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L’interdittiva antimafia secondo la giurisprudenza amministrativa

Ecco le principali statuizioni
interdittiva antimafia
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Illustro qui di seguito le principali statuizioni della recente giurisprudenza amministrativa in tema di interdittiva antimafia.

1. L’interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento dell’impresa con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste.

Pertanto, ai fini della sua adozione, occorre non già provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata.

2. Gli elementi indiziari vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (T.A.R. Campania, n. 3195/2018; Cons. Stato, III, n. 2342/2011).

3. L’interdittiva antimafia può legittimamente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo, purché dall’analisi del complesso delle vicende esaminate emerga un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell’attività di impresa (T.A.R. Campania, I, n.73/2019; Cons. Stato, III, n. 2/2020).

4. Il mero decorso del tempo è, in sé, un elemento neutro, che non smentisce da solo la persistenza di legami vincoli e sodalizi e, comunque, non dimostra da solo l’interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari.

Del resto, l’infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle organizzazioni criminali dalla quale promana e per la durevolezza dei legami che esse instaurano con il mondo imprenditoriale, ha una stabilità di contenuti e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio disponibile (T.A.R. Campania, I, n. 155/2020 e Cons. Stato, III, n. 4657/2015).

5. L’Amministrazione può dare rilievo anche ai rapporti di parentela tra titolari di un’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici o contigui a contesti malavitosi laddove tali rapporti, per loro natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, secondo criteri di verosimiglianza, che l’impresa ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla criminalità organizzata.

Specialmente nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia ben può verificarsi un’influenza reciproca di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza.

Deve essere, quindi, esclusa ogni presunzione di irrilevanza dei rapporti di parentela, ove gli stessi risultino indizianti di una situazione complessiva tale da non rendere implausibile un collegamento, anche non personale e diretto, tra soggetti imprenditori ed ambienti della criminalità organizzata (T.A.R. Campania, I, n. 5796/2019).

6. La valutazione del rischio di inquinamento mafioso deve basarsi sul criterio del “più probabile che non”; gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o possono anche essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.

La relativa valutazione da parte del Prefetto risulta sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti (Cons. Stato, III, n.4542/2020).

Con specifico riguardo all’informativa antimafia, il Prefetto, ai sensi dell’art. 91, comma 5 del Codice antimafia verifica l’assenza delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto, di cui all’articolo 67, e accerta se risultano elementi dai quali sia possibile desumere la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, anche attraverso i collegamenti informatici di cui all’art. 98, comma 3.

Ai sensi del comma 6, il Prefetto può, altresì, desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata, nonché dall’accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui all’articolo 3 della legge n. 136/2010, commesse con la condizione della reiterazione prevista dall’articolo 8-bis della legge n. 689/1981.

Il legislatore indica, quindi, le fonti da cui il Prefetto può desumere tentativi di infiltrazione mafiosa, le quali hanno natura meramente esemplificativa e non certo tassativa.