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Lo Stato Pontificio e la pena misericordiosa

Mastro Titta
Mastro Titta

Sono in Cassazione e finita l’udienza mi attardo a pensare se tornare a studio o fare una passeggiata per Roma, fino a Piazzale Flaminio, dal “Professore”. La pigrizia lavorativa mi porta a scegliere la passeggiata e mi incammino in una città sempre più sporca e rumorosa che però nasconde, nonostante tutto e tutti, ancora tanti squarci di improvvisa bellezza.

La giornata è soleggiata, si preannuncia l’estate e la camminata mi mette allegria. Arrivo dal “Professore”, una sorta di icona per tutti i malati di libri di seconda mano. La sua bancarella si presenta come un fortino, una sorta di muraglia di libri accatastati assediati dalle macchine e dai motorini dei “romani” sempre più sguaiati e meno intrisi della bonomia di un tempo.

Per chi ama i libri non c’è di meglio che sporcarsi con la polvere per cercare la chicca desiderata e tante volte mai ipotizzata, estraniandosi dal rumoroso presente.

La trovo, sono fortunato, beata pigrizia lavorativa. Mi capita tra le mani il libretto di A. Ademollo, “Le annotazioni di Mastro Titta”, editore Lapi, Città di Castello 1886.

Lo compro e sfoglio le prime pagine, nell’introduzione si legge:

Fra tutte le città del mondo civile credo che Roma sia sempre stata quella ove governo e governanti professarono il minor rispetto per la vita degli altri anche in tempi non molto precedenti al nostro. Basta a persuadere di ciò la fredda indifferenza con la quale i menanti, non esclusi quelli avversi al Governo ed ai baroni romani, raccontano nei loro Avvisi con scrupolosa frequenza gli omicidi ed i supplizi. La compassione non si sentiva; non era del luogo né del tempo. L’abitudine aveva generato l’indifferenza”.

L’autore ripercorre brevemente la storia dei supplizi e suppliziati in Roma dal secolo decimoquarto in poi, per poi soffermarsi su Le annotazioni di Mastro Titta, soprannome di Giovanni Battista Bugatti, nato a Senigallia il 6 marzo 1779 e morto a Roma il 18 giugno 1869.

Ufficialmente il suo mestiere era quello di verniciatore di ombrelli, ma in realtà era il boia dello Stato Pontificio, il “maestro di giustizie” (da cui il termine Mastro, mentre Titta è un diminutivo del suo nome).

Noto anche come “er Boja de Roma”, iniziò la sua carriera di incaricato delle esecuzioni delle condanne a morte il 22 marzo 1796, con l’esecuzione di Nicola Gentilucci, e fino al 17 agosto 1864 (con l’esecuzione di Domenico Antonio Demartini scese dal patibolo per andare in pensione, con un vitalizio mensile di 30 scudi, sostituito dal suo aiutante Vincenzo Balducci) raggiunse la quota di 514 nomi di giustiziati, anche se sul taccuino che Bugatti trascrisse meticolosamente ne furono annotati 516: dal conto vengono sottratti due condannati, uno perché fucilato e l’altro perché impiccato e squartato dal solerte aiutante.

In questo libretto con minuziosa dedizione Mastro Titta annota le date di nascita, il reato e il giorno e le modalità dell’esecuzione il più delle volte la decapitazione. Nell’arco di 68 anni di attività, Mastro Titta esegue 516 esecuzioni. Non c’è che dire, nella città dei Papi la misericordia celeste era dimenticata.

In confronto del nostro Mastro Titta, lo stesso Maitre Roch gran carnefice di Francia e di Navarra diventa un pigmeo. Nella sua carriera di circa quarantacinque anni 1834-1879, Maitre Roche ha giustiziato 68 condannati ed assistito come aiuto ad 80 esecuzioni.

Il Bugatti in arte Titta in sessant’otto anni 1796-1864, ha eseguito da sé 516 giustizie.

Queste annotazioni sono davvero preziose per la storia criminale e penale dello Stato Ecclesiastico!