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Natura, principi e funzionamento del sistema contributivo forense

Natura solidaristica e contributo minimo obbligatorio a carico di tutti gli avvocati
Sistema contributivo forense
Sistema contributivo forense

Abstract

Il sistema della previdenza forense ha natura solidaristica. La previsione di un contributo minimo a carico di tutti gli esercenti la professione forense è volta ad assicurare un trattamento previdenziale minimo anche nel caso di redditi percepiti modesti.

 

Indice

1. Il sistema della previdenza forense

2. Il criterio solidaristico di base della previdenza forense

3. Il contributo annuo obbligatorio della previdenza forense

 

1. Il sistema della previdenza forense

Nel nostro ordinamento, all’espletamento di attività latu sensu lavorativa, sia essa intellettuale o manuale, esercitata in forma autonoma o subordinata, dietro pagamento di corrispettivo, deve accompagnarsi la copertura previdenziale.

E ciò per ragioni di tutela di posizioni indisponibili dal singolo (tutela avverso la vecchiaia, la malattia, l’invalidità e per i superstiti) e, quindi, a prescindere se, poi in concreto, al singolo potrà o meno essere erogata una qualche prestazione.

Nel caso di avvocati, l’articolo 21, comma 8, Legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) dà attuazione a tali principi, laddove dispone che: “l’iscrizione agli Albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense”.

Il sistema della previdenza forense − quale disciplinato fondamentalmente dalla Legge 20 settembre 1980, n. 576, più volte modificata, e dalla successiva normativa sulla privatizzazione della Cassa, integrata dalla regolamentazione di quest’ultima – si ispira ad un criterio solidaristico e non già esclusivamente mutualistico, come riconosciuto in diverse occasioni dalla Corte Costituzionale (cfr., tra le tante, sentenza n. 362 del 28 novembre 1997).

Gli avvocati assicurati, che svolgono un’attività libero-professionale riconducibile anch’essa all’area della tutela previdenziale del lavoro, garantita in generale dal secondo comma dell’articolo 38 della Costituzione, non solo beneficiano – assumendone il relativo onere con l’assoggettamento al contributo soggettivo ed integrativo (ex articoli 10 e 11 della citata Legge n. 576 del 1980) − della copertura da vari rischi di possibile interruzione o riduzione della loro attività con conseguente contrazione o cessazione del flusso di reddito professionale, ma anche condividono solidaristicamente la necessità che, verificandosi tali eventi, «siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita», come prescritto dalla citata norma costituzionale.

Ciò rappresenta, non diversamente da parallele forme di previdenza per altre categorie di liberi professionisti, la connotazione essenziale della previdenza forense, quale soprattutto risultante dalla riforma introdotta con la citata Legge n. 576 del 1980, e il superamento dell’originario e risalente criterio, derivato dalle assicurazioni private, di accantonamento dei contributi in conti individuali per fare fronte, in chiave meramente assicurativa e non già solidaristica, a tali rischi.

Le plurime prestazioni previdenziali previste dalla Legge n. 576 del 1980, quali

la pensione di vecchiaia (articolo 2),

quella di anzianità (articolo 3),

quella di inabilità (articolo 4) o di invalidità (articolo 5),

quella di reversibilità (articolo 7),

rappresentano le distinte articolazioni di tale solidarietà mutualistica categoriale prescritta dal legislatore con carattere di obbligatorietà in attuazione del precetto costituzionale posto dall’articolo 38, secondo comma, Costituzione e da ultimo rafforzata dalla citata Legge n. 247 del 2012.

 

2. Il criterio solidaristico di base della previdenza forense

L’abbandono di un sistema interamente disciplinato dalla legge – dopo la trasformazione della Cassa in fondazione di diritto privato in forza del Decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall’articolo 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza) – e l’apertura all’autonomia regolamentare del nuovo ente non hanno indebolito il criterio solidaristico di base, che rimane quale fondamento essenziale di questo sistema integrato, di fonte ad un tempo legale (quella della normativa primaria di categoria) e regolamentare (quella della Cassa, di natura privatistica).

Con il citato Decreto Legislativo n. 509 del 1994, il legislatore delegato, in attuazione di un complessivo disegno di riordino della previdenza dei liberi professionisti (articolo 1, comma 23, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, recante «Interventi correttivi di finanza pubblica»), ha arretrato la linea d’intervento della legge (si è parlato in proposito di delegificazione della disciplina: da ultimo, Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 13 febbraio 2018, n. 3461), lasciando spazio alla regolamentazione privata delle fondazioni categoriali, alle quali è assegnata la missione di modellare tale forma di previdenza secondo il criterio solidaristico.

In particolare, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 67 del 30 marzo 2018, ha ritenuto che “rientra ora nell’autonomia regolamentare della Cassa dimensionare la contribuzione degli assicurati nel modo più adeguato per raggiungere la finalità di solidarietà mutualistica che la legge le assegna, assicurando comunque l’equilibrio di bilancio (articolo 2, comma 2, del Decreto Legislativo n. 509 del 1994) e senza necessità di finanziamenti pubblici diretti o indiretti (articolo 1, comma 3, del medesimo decreto legislativo.), che sono anzi esclusi”.

Tale connotazione solidaristica giustifica e legittima l’obbligatorietà e l’automaticità ex lege dell’iscrizione alla Cassa e la sottoposizione dell’avvocato al suo regime previdenziale e segnatamente agli obblighi contributivi.

Ha inoltre chiarito la Consulta che “Per altro verso, l’avvocato pensionato nella gestione INPS, iscritto alla Cassa, che di fatto non possa accedere alla pensione di anzianità o di vecchiaia, può in ogni caso maturare, dopo cinque anni di contribuzione, la pensione contributiva di vecchiaia, secondo quanto previsto dal Regolamento generale della Cassa.

Infatti, La normativa regolamentare della Cassa (articolo 8 del Regolamento per le prestazioni previdenziali) prevede la pensione contributiva secondo i criteri della Legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare) in rapporto al montante dei contributi soggettivi versati entro un determinato tetto reddituale, nonché delle somme corrisposte a titolo di riscatto o di ricongiunzione”.

Tale prestazione vale comunque ad escludere che la contribuzione versata senza la possibilità concreta di conseguire alcun trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità rimanga erogata “a vuoto”. C’è quindi, anche in caso di iscrizione alla Cassa in età avanzata, la possibilità concreta di conseguire una prestazione previdenziale di entità calcolata con il sistema contributivo.

Il criterio solidaristico significa anche che non c’è una diretta corrispondenza, in termini di corrispettività sinallagmatica, tra la contribuzione, alla quale è chiamato l’avvocato iscritto, e le prestazioni previdenziali (ed anche assistenziali) della Cassa.

Si ha quindi che l’assicurato partecipa, nel complesso ed in generale, al sistema delle prestazioni della Cassa, il cui intervento, al verificarsi di eventi coperti dall’assicurazione di natura previdenziale, si pone in rapporto causale con l’obbligo contributivo senza che sia necessario alcun più stretto ed individualizzato nesso di corrispettività sinallagmatica tra contribuzione e prestazioni.

 

3. Il contributo annuo obbligatorio della previdenza forense

In tale ottica, la previsione di un contributo annuo obbligatorio corrisponde alla garanzia di percezione di un trattamento pensionistico, sia pure, eventualmente, in misura minima.

A nulla rileva che detto contributo non risulti proporzionale al reddito professionale e che non sia informato al principio di progressività.

Al riguardo si ricorda che la Corte Costituzionale, quando si è pronunciata sulla natura tributaria o meno delle contribuzioni previdenziali e sulla conformità al principio di progressività ex articolo 53 della Costituzione di queste ultime, ha affermato che la contribuzione previdenziale non è assimilabile all’imposizione tributaria vera e propria, di carattere generale, ma è da considerare quale prestazione patrimoniale avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori interessati (cfr. sentenza n. 173 del 7 luglio 1986; nello stesso senso sentenza n. 88 del 17 marzo 1995).

L’obbligazione tributaria si fonda sulla «capacità contributiva» (articolo 53, comma 1, Costituzione) e non ha necessariamente una destinazione mirata, bensì si raccorda al generale dovere di concorrere alle «spese pubbliche» e può anche rispondere a finalità di perequazione reddituale nella misura in cui opera il prescritto canone di progressività del sistema tributario (articolo 53, comma 2, Costituzione).

Invece, la contribuzione dovuta alla Cassa, fin quando assicura l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici alle esigenze di vita, anche con un indiretto effetto di perequazione, non eccede la solidarietà categoriale di natura previdenziale, in quanto «volta a realizzare un circuito di solidarietà interno al sistema previdenziale» (sentenza n. 173 del 13 luglio 2016), né trasmoda in un’obbligazione ascrivibile invece alla fiscalità generale e quindi di natura tributaria.

Dunque, la previsione di un contributo minimo a carico di tutti gli esercenti la professione forense risponde alle esigenze solidaristiche della categoria ed è volta ad assicurare un trattamento previdenziale minimo anche nel caso di redditi percepiti modesti, mentre affrancare da detto obbligo taluni professionisti determinerebbe un ingiustificato slittamento dell’obbligo contributivo complessivo in capo soltanto ad alcuni professionisti.

Peraltro, la necessità di assicurare un trattamento pensionistico a tutti gli iscritti impone la correlata esigenza di imporre un contributo minimo obbligatorio, senza il quale la Cassa, al fine di assicurare il pareggio del bilancio, sarebbe tenuta ad aumentare in modo irragionevole la contribuzione richiesta agli avvocati che producono maggiore reddito professionale.