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Cassazione Penale: per chi è razzista c’è l’aggravante

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto contro l’ordinanza con la quale veniva disposta la misura degli arresti domiciliari in sostituzione della custodia cautelare in carcere nei confronti del ricorrente.

La misura cautelare era stata disposta in riferimento al reato di lesioni personali aggravate dalla finalità di odio razziale commesse nel corso di un’aggressione ai danni di due cittadini extracomunitari.

Il ricorrente lamentava l’insussistenza di tale aggravante, ex articolo 3 della Legge 122/1993, in mancanza di alcun elemento in grado di dimostrare che l’aggressione avesse avuto la finalità di discriminazione razziale, in quanto gli insulti consistevano in generici epiteti rivolti alle persone aggredite.

La Cassazione, richiamando consolidate pronunce giurisprudenziali, ha dichiarato infondato il ricorso su questo punto.

In particolare, si legge che sussiste l’aggravante di cui all’articolo 3 della Legge 122/1993 quando “l’azione si manifesti come consapevole esteriorizzazione, immediatamente percepibile, nel contesto in cui è maturata, avuto anche riguardo al comune sentire, di un sentimento di avversione o di discriminazione fondato sulla razza, l’origine etnica o il colore e cioè di un sentimento immediatamente percepibile come connaturato alla esclusione di condizioni di parità”.

Inoltre, continuano i Giudici di legittimità, “deve ritenersi che lo stesso persegua la finalità che caratterizza l’aggravante in questione a prescindere dal movente che ha innescato la condotta e che può essere anche di tutt’altra natura.”

L’aggravante sussiste quando risulti che il reato sia stato “oggettivamente strumentalizzato all’odio o alla discriminazione razziale”.

Data l’inequivocabile volontà del ricorrente di discriminare le vittime del reato, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso confermando l’ordinanza di disposizione degli arresti domiciliari.

(Corte di Cassazione - V Sezione Penlae, 15 luglio 2013, n.30525/2013)

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto contro l’ordinanza con la quale veniva disposta la misura degli arresti domiciliari in sostituzione della custodia cautelare in carcere nei confronti del ricorrente.


La misura cautelare era stata disposta in riferimento al reato di lesioni personali aggravate dalla finalità di odio razziale commesse nel corso di un’aggressione ai danni di due cittadini extracomunitari.

Il ricorrente lamentava l’insussistenza di tale aggravante, ex articolo 3 della Legge 122/1993, in mancanza di alcun elemento in grado di dimostrare che l’aggressione avesse avuto la finalità di discriminazione razziale, in quanto gli insulti consistevano in generici epiteti rivolti alle persone aggredite.

La Cassazione, richiamando consolidate pronunce giurisprudenziali, ha dichiarato infondato il ricorso su questo punto.

In particolare, si legge che sussiste l’aggravante di cui all’articolo 3 della Legge 122/1993 quando “l’azione si manifesti come consapevole esteriorizzazione, immediatamente percepibile, nel contesto in cui è maturata, avuto anche riguardo al comune sentire, di un sentimento di avversione o di discriminazione fondato sulla razza, l’origine etnica o il colore e cioè di un sentimento immediatamente percepibile come connaturato alla esclusione di condizioni di parità”.

Inoltre, continuano i Giudici di legittimità, “deve ritenersi che lo stesso persegua la finalità che caratterizza l’aggravante in questione a prescindere dal movente che ha innescato la condotta e che può essere anche di tutt’altra natura.”

L’aggravante sussiste quando risulti che il reato sia stato “oggettivamente strumentalizzato all’odio o alla discriminazione razziale”.

Data l’inequivocabile volontà del ricorrente di discriminare le vittime del reato, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso confermando l’ordinanza di disposizione degli arresti domiciliari.

(Corte di Cassazione - V Sezione Penlae, 15 luglio 2013, n.30525/2013)