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Stalking - Cassazione Penale: gli atti di bullismo integrano il reato di atti persecutori se costringono il compagno a cambiare scuola

atti persecutori - stalking
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La Cassazione con una recente pronuncia ha fornito un importante spunto di riflessione chiarendo la  relazione che sussiste tra atti di bullismo e stalking, confermando la condanna di due minori che per tutto l’anno scolastico avevano vessato un compagno di classe, producendo nella vittima una stato di ansia e di paura per la propria incolumità, costringendola ad interrompere la frequenza scolastica. Tali condotte integrerebbero correttamente il reato di atti persecutori (stalking).

 

La vicenda

Nel caso in esame due minori avevano posto in essere, in danno di un compagno di scuola, una pluralità di condotte vessatorie, costringendo la vittima ad interrompere la frequenza scolastica, e infine, a cambiare scuola. Tali condotte determinavano un’evidente alterazione delle condizioni di vita del minore accompagnato da un perdurante stato di ansia e di paura per la propria incolumità.

La Corte di appello di Catania confermava la sentenza con cui il Tribunale per i minorenni di Catania aveva condannato i due imputati in relazione ai reati di lesione personali aggravate, percosse e  atti persecutori.  Avverso tale sentenza entrambi gli imputati proponevano ricorso in Cassazione.

 

La decisione

A parere del giudice di legittimità i motivi di impugnazione avanzati dai ricorrenti risultano generici, non specifici e meramente apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso. Con essi i ricorrenti hanno proposto una mera rivalutazione delle risultanze probatorie, compito non  rimesso alla corte, che non può reinterpretare gli elementi di prova valutati dal Giudice di merito ai fini della decisione.

Altresì è apparsa inutile la difesa dei due ricorrenti che aveva provato a minimizzare l’accaduto evidenziando che la vittima avrebbe lasciato l’istituto scolastico non a causa delle condotte degli imputati, bensì per decisione dei genitori di denunciare la scuola.

Piuttosto per la Cassazione appare del tutto condivisibile e puntuale il percorso argomentativo seguito dal giudice di secondo grado con riferimento alla ritenuta sussistenza dei reati contestati, sottolineando che  la pluralità delle condotte vessatorie avrebbero determinato un’evidente alterazione delle condizione di vita del minore, integrando, correttamente, la fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 612-bis del Codice Penale (Atti persecutori), unitamente all’accertato stato di ansia e di paura per la propria incolumità fisica, insorto nel minore.

Inoltre secondo la Cassazione, la Corte Territoriale avrebbe fornito un’esauriente risposta a tutti i rilievi difensivi, ponendo a fondamento della sua decisione la narrazione della persona offesa, sottoposta a specifica verifica e individuando importanti elementi di riscontro alla narrazione di quest’ultima (testimonianze dei compagni di classe, video registrati con i telefonini).

I giudici  hanno sottolineato, poi, la gravità dei fatti posti in essere nonché l’assenza di un processo di maturazione e di rivisitazione critica del proprio operato da parte degli imputati “i quali, continuando ad affermare che la persona offesa è stata vittima di scherzi, dimostrano di non aver compreso la gravità della propria condotta”.

Pertanto, alla luce di tali evidenze, il ricorso dei due ricorrenti è stato rigettato.

(Corte di Cassazione,  Sezione Quinta Penale, Sentenza 11 giugno 2018, n. 26595)