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Se il gioco è fermo non è che puoi fare il fenomeno come nulla fosse

Calcio
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Quando il gioco è fermo non può giustificarsi alcuna condotta di aggressione, vietata dalle regole della disciplina sportiva.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con sentenza del 23 gennaio 2019, n. 3144, affermando che, nell’ambito di una competizione agonistica, la condotta lesiva non è scriminata dall’esimente non codificata del c.d. “rischio consentito” o da quelle codicistiche del consenso dell’avente diritto cui all’articolo 50 o dell’esercizio di un diritto ex articolo 51 Codice Penale se priva di un collegamento funzionale con l’attività sportiva e gratuitamente aggressiva.

 

La testata

La sentenza della Cassazione trae origine dal ricorso proposto da un soggetto avverso la sentenza di condanna per il reato di lesioni personali, per aver, durante una partita di calcetto, nell’atto di battere una punizione, colpito con una testata un giocatore avversario, postosi davanti alla palla.

L’aggressione era avvenuta “a gioco fermo” e, per tale ragione, i giudici di merito avevano ritenuto che la condotta del prevenuto non poteva considerarsi scriminata.

L’imputato lamentava violazione di legge e vizio di motivazione per mancato riconoscimento dell’esimente non codificata del c.d. “rischio consentito” o di quelle di cui agli articoli 50 e 51 Codice Penale. A parer del ricorrente, poiché le regole del calcetto non prevedono la sospensione del gioco, neppure in attesa di una punizione, non poteva ritenersi che il fatto fosse avvenuto “a gioco fermo”, ma, al contrario, durante lo svolgersi della prestazione agonistica, con conseguente operatività delle scriminanti invocate.

Si tratta di condotta criminosa, non vale il rischio consentito o l’esercizio del diritto

La Corte di Cassazione ha ritenuto che, nel caso di specie, fosse solo apparente la denuncia di una violazione di legge o di un vizio motivazionale, avendo il ricorrente richiesto alla Corte un (inammissibile) giudizio di merito sul fatto se, al momento della condotta, il gioco fosse fermo o meno.

Limitandosi a richiamare il dato documentale rappresentato dal referto dell’arbitro, che dava conto dell’espulsione dell’imputato in quanto “a gioco fermo dava una testata al diretto avversario”, la Corte ha concluso che la condotta criminosa dell’imputato non poteva ritenersi scriminata in quanto svincolata dalla dinamica di gioco e ha enunciato il seguente principio di diritto:

non è applicabile la scriminante del rischio consentito, né tantomeno quelle dell’esercizio del diritto o del consenso dell’avente diritto, qualora, come nella specie, nel corso di un incontro di calcio, l’imputato colpisca l’avversario con una testata al di fuori di un’azione ordinaria di gioco, trattandosi di dolosa aggressione fisica per ragioni avulse dalla peculiare dinamica sportiva, considerato che nella disciplina calcistica l’azione di gioco è quella focalizzata dalla presenza del pallone ovvero da movimenti, anche senza palla, funzionali alle più efficaci strategie tattiche (blocco degli avversari, marcamenti, tagli in area ecc.) e non può ricomprendere indiscriminatamente tutto ciò che avvenga in campo, sia pure nei tempi di durata regolamentare dell’incontro.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000 a favore della Cassa delle ammende.