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Corte di Giustizia: la responsabilità degli stati membri per non corretta attuazione delle direttive comunitarie nella sentenza Robins

Nella recente sentenza Robins e al. c Secretary of State for Work and Pensions (Corte di Giustizia CE, causa C-278/05, sentenza del 25 gennaio 2007) la Corte di Giustizia Europea è tornata sul tema delle condizioni necessarie affinché sorga la responsabilità di uno stato membro nei confronti dei singoli per la non corretta attuazione di una direttiva CE.

La sentenza che qui si commenta riguarda l’attuazione da parte del Regno Unito della direttiva 80/987 CE in materia di tutela del trattamento pensionistico dei lavoratori subordinati iscritti a un fondo pensionistico aziendale in caso di insolvenza del datore di lavoro. Un elevato numero di dipendenti della società ASW Ltd aveva aderito a due regimi pensionistici aziendali finanziati dal datore di lavoro. La ASW Ltd era stata messa in liquidazione giudiziale e, conseguentemente, anche i due regimi pensionistici venivano sottoposti a liquidazione.

La legge britannica che disciplina i trattamenti pensionistici (Pension Act 1995) dispone che, in caso di insolvenza del datore di lavoro e incapienza delle risorse finanziarie dei fondi pensionistici per il soddisfacimento dei diritti dei lavoratori, gli amministratori dei fondi devono erogare le prestazioni previste secondo criteri di priorità. Ma, a causa delle limitate risorse finanziarie a disposizione dei fondi della ASW Ltd, i lavoratori pensionati di detta società avevano ricevuto solo una parte delle prestazioni originariamente previste.

I dipendenti di ASW Ltd. lamentavano che il livello di tutela delle prestazioni pensionistiche garantito dalla normativa nazionale britannica era inferiore al livello di tutela previsto dalla direttiva 80/987 CE. Conseguentemente, ritenendo che il governo britannico avesse violato il diritto comunitario con una non corretta attuazione della direttiva 80/987 CE citavano in giudizio davanti alla Chancery Division il governo britannico in persona del Secretary of State for Work and Pension al fine di sentirlo condannato al risarcimento dei danni subiti.

La Chancery Division, incerta sul punto se il governo britannico avesse attuato correttamente la direttiva 80/987 CE, chiedeva ausilio ex art. 234 CE alla Corte di Giustizia. Alla Corte è domandato di chiarire il contenuto delle garanzie accordate dalla direttiva 80/987 CE ai lavoratori e di stabilire se il Regno Unito deve essere chiamato a risarcire i danni subiti dai lavoratori qualora risulti che non abbia dato corretta attuazione alla direttiva.

Secondo la costante giurisprudenza dei giudici comunitari (si veda, ex multis, Corte di Giustizia CE, cause C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame III, Racc. pag.I-1029) tre sono le condizioni che devono essere soddisfatte affinché uno stato membro sia tenuto i risarcire i danni subiti dai singoli a seguito delle violazioni del diritto comunitario imputabili allo stato, alle quali è riconducibile anche la non corretta attuazione di una direttiva. Le condizioni sono:

• la norma di diritto comunitario che è stata violata attribuisce diritti ai singoli;

• la violazione del diritto comunitario deve essere sufficientemente caratterizzata;

• il nesso di causalità diretto tra la violazione del diritto comunitario e il danno subito dai soggetti lesi.

Nel nostro caso il requisito della violazione del diritto comunitario assume una particolare rilevanza posto che le altre due condizioni non sono state contestate. L’art. 8 della direttiva 80/987 CE, nel disciplinare gli obblighi degli stati membri in materia pensionistica, si limita a stabilire che gli stati membri “si assicurino che vengano adottate le misure necessarie”. Secondo la Corte la direttiva mira a garantire ai lavoratori subordinati un grado minimo di tutela a livello comunitario in caso di insolvenza del datore di lavoro. In ogni caso, la formula sopra riportata dell’art. 8 della direttiva lascia agli stati membri un ampio margine di discrezionalità per quanto riguarda la scelta dei mezzi di tutela dei diritti dei lavoratori. Quindi non può sostenersi che la direttiva impone agli stati membri l’obbligo di garanzia integrale. L’importante conseguenza che ne discende è che uno stato membro, in caso di insolvenza del datore di lavoro o di incapienza delle risorse dei fondi pensionistici aziendali, può anche non assumere l’obbligo di garantire integralmente il soddisfacimento dei diritti pensionistici maturati dai lavoratori senza, per questo, violare il diritto comunitario.

Tuttavia, la Corte non ritiene che la legge nazionale britannica sia conforme alla direttiva. Anzi, la tutela prevista dalla legge britannica è certo inferiore ai livelli di tutela previsti dalla direttiva, visto che secondo alcuni dati statistici non contestati, un numero rilevante di lavoratori ha subito perdite considerevoli sulle prestazioni attese, nella misura compresa tra il 20% e il 50% di quanto avevano diritto originariamente.

Dopo aver acclarato che la legge britannica viola la direttiva 80/987 CE si deve verificare se tale violazione può essere considerata come una violazione sufficientemente caratterizzata del diritto comunitario al fine di poter ritenere sussistente la responsabilità del governo britannico nei confronti dei lavoratori di ASW Ltd. Affinché tale requisito sia soddisfatto è necessario che la violazione sia grave e manifesta. Al riguardo, i giudici comunitari distinguono due ipotesi, a seconda che la norma comunitaria riconosca o meno un certo di margine di discrezionalità allo stato. Se la norma non lascia alcun potere discrezionale allo stato ovvero riconosce allo stato solo un potere discrezionale notevolmente ridotto, una violazione del diritto comunitario può costituire una violazione grave e manifesta in re ipsa. Nei casi dove lo stato dispone ancora di potere discrezionale è necessario far ricorso ad una serie di criteri indicati dalla Corte di Giustizia. Quindi, il giudice nazionale, davanti al quale una domanda risarcitoria è stata introdotta deve tenere conto dei seguenti fattori: il grado di chiarezza e precisione della norma violata, l’ampiezza del potere discrezionale che tale norma riconosce alle autorità nazionali, il carattere intenzionale o involontario della violazione o del danno causato, la scusabilità o inescusabilità di un eventuale errore di diritto, la circostanza che la condotta di un’istituzione comunitaria abbiano potuto concorrere alla violazione della norma.

Nel nostro caso l’elemento chiave per l’accertamento della responsabilità dello stato membro è il grado di chiarezza e precisione della norma violata, al quale la Corte dedica una particolare attenzione nella sentenza. In primo luogo, né le parti del procedimento principali, né gli stati membri intervenuti nella procedimento davanti alla Corte, né la Commissione hanno saputo indicare con precisione il grado di tutela richiesto dalla direttiva. Inoltre la direttiva non fornisce alcun elemento utile al fine di poter determinare il livello minimo di tutela richiesto per i diritti alle prestazioni. Infine la Commissione nella relazione definitiva sull’attuazione della direttiva nell’ordinamento giuridico degli Stati membri ha spiegato che le misure adottate dal Regno Unito sembrano rispondere ai requisiti previsti dalla direttiva 80/987 CE.

In conclusione, anche se il compito di accertare la sussistenza di una violazione grave e manifesta spetta al giudice nazionale davanti al quale la domanda risarcitoria è dibattuta, la Corte, tenuto conto della natura non chiara e precisa della norma comunitaria che si assume violata, sembra escludere che il Regno Unito abbia commesso una violazione grave e manifesta del diritto comunitario.

Nella recente sentenza Robins e al. c Secretary of State for Work and Pensions (Corte di Giustizia CE, causa C-278/05, sentenza del 25 gennaio 2007) la Corte di Giustizia Europea è tornata sul tema delle condizioni necessarie affinché sorga la responsabilità di uno stato membro nei confronti dei singoli per la non corretta attuazione di una direttiva CE.

La sentenza che qui si commenta riguarda l’attuazione da parte del Regno Unito della direttiva 80/987 CE in materia di tutela del trattamento pensionistico dei lavoratori subordinati iscritti a un fondo pensionistico aziendale in caso di insolvenza del datore di lavoro. Un elevato numero di dipendenti della società ASW Ltd aveva aderito a due regimi pensionistici aziendali finanziati dal datore di lavoro. La ASW Ltd era stata messa in liquidazione giudiziale e, conseguentemente, anche i due regimi pensionistici venivano sottoposti a liquidazione.

La legge britannica che disciplina i trattamenti pensionistici (Pension Act 1995) dispone che, in caso di insolvenza del datore di lavoro e incapienza delle risorse finanziarie dei fondi pensionistici per il soddisfacimento dei diritti dei lavoratori, gli amministratori dei fondi devono erogare le prestazioni previste secondo criteri di priorità. Ma, a causa delle limitate risorse finanziarie a disposizione dei fondi della ASW Ltd, i lavoratori pensionati di detta società avevano ricevuto solo una parte delle prestazioni originariamente previste.

I dipendenti di ASW Ltd. lamentavano che il livello di tutela delle prestazioni pensionistiche garantito dalla normativa nazionale britannica era inferiore al livello di tutela previsto dalla direttiva 80/987 CE. Conseguentemente, ritenendo che il governo britannico avesse violato il diritto comunitario con una non corretta attuazione della direttiva 80/987 CE citavano in giudizio davanti alla Chancery Division il governo britannico in persona del Secretary of State for Work and Pension al fine di sentirlo condannato al risarcimento dei danni subiti.

La Chancery Division, incerta sul punto se il governo britannico avesse attuato correttamente la direttiva 80/987 CE, chiedeva ausilio ex art. 234 CE alla Corte di Giustizia. Alla Corte è domandato di chiarire il contenuto delle garanzie accordate dalla direttiva 80/987 CE ai lavoratori e di stabilire se il Regno Unito deve essere chiamato a risarcire i danni subiti dai lavoratori qualora risulti che non abbia dato corretta attuazione alla direttiva.

Secondo la costante giurisprudenza dei giudici comunitari (si veda, ex multis, Corte di Giustizia CE, cause C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame III, Racc. pag.I-1029) tre sono le condizioni che devono essere soddisfatte affinché uno stato membro sia tenuto i risarcire i danni subiti dai singoli a seguito delle violazioni del diritto comunitario imputabili allo stato, alle quali è riconducibile anche la non corretta attuazione di una direttiva. Le condizioni sono:

• la norma di diritto comunitario che è stata violata attribuisce diritti ai singoli;

• la violazione del diritto comunitario deve essere sufficientemente caratterizzata;

• il nesso di causalità diretto tra la violazione del diritto comunitario e il danno subito dai soggetti lesi.

Nel nostro caso il requisito della violazione del diritto comunitario assume una particolare rilevanza posto che le altre due condizioni non sono state contestate. L’art. 8 della direttiva 80/987 CE, nel disciplinare gli obblighi degli stati membri in materia pensionistica, si limita a stabilire che gli stati membri “si assicurino che vengano adottate le misure necessarie”. Secondo la Corte la direttiva mira a garantire ai lavoratori subordinati un grado minimo di tutela a livello comunitario in caso di insolvenza del datore di lavoro. In ogni caso, la formula sopra riportata dell’art. 8 della direttiva lascia agli stati membri un ampio margine di discrezionalità per quanto riguarda la scelta dei mezzi di tutela dei diritti dei lavoratori. Quindi non può sostenersi che la direttiva impone agli stati membri l’obbligo di garanzia integrale. L’importante conseguenza che ne discende è che uno stato membro, in caso di insolvenza del datore di lavoro o di incapienza delle risorse dei fondi pensionistici aziendali, può anche non assumere l’obbligo di garantire integralmente il soddisfacimento dei diritti pensionistici maturati dai lavoratori senza, per questo, violare il diritto comunitario.

Tuttavia, la Corte non ritiene che la legge nazionale britannica sia conforme alla direttiva. Anzi, la tutela prevista dalla legge britannica è certo inferiore ai livelli di tutela previsti dalla direttiva, visto che secondo alcuni dati statistici non contestati, un numero rilevante di lavoratori ha subito perdite considerevoli sulle prestazioni attese, nella misura compresa tra il 20% e il 50% di quanto avevano diritto originariamente.

Dopo aver acclarato che la legge britannica viola la direttiva 80/987 CE si deve verificare se tale violazione può essere considerata come una violazione sufficientemente caratterizzata del diritto comunitario al fine di poter ritenere sussistente la responsabilità del governo britannico nei confronti dei lavoratori di ASW Ltd. Affinché tale requisito sia soddisfatto è necessario che la violazione sia grave e manifesta. Al riguardo, i giudici comunitari distinguono due ipotesi, a seconda che la norma comunitaria riconosca o meno un certo di margine di discrezionalità allo stato. Se la norma non lascia alcun potere discrezionale allo stato ovvero riconosce allo stato solo un potere discrezionale notevolmente ridotto, una violazione del diritto comunitario può costituire una violazione grave e manifesta in re ipsa. Nei casi dove lo stato dispone ancora di potere discrezionale è necessario far ricorso ad una serie di criteri indicati dalla Corte di Giustizia. Quindi, il giudice nazionale, davanti al quale una domanda risarcitoria è stata introdotta deve tenere conto dei seguenti fattori: il grado di chiarezza e precisione della norma violata, l’ampiezza del potere discrezionale che tale norma riconosce alle autorità nazionali, il carattere intenzionale o involontario della violazione o del danno causato, la scusabilità o inescusabilità di un eventuale errore di diritto, la circostanza che la condotta di un’istituzione comunitaria abbiano potuto concorrere alla violazione della norma.

Nel nostro caso l’elemento chiave per l’accertamento della responsabilità dello stato membro è il grado di chiarezza e precisione della norma violata, al quale la Corte dedica una particolare attenzione nella sentenza. In primo luogo, né le parti del procedimento principali, né gli stati membri intervenuti nella procedimento davanti alla Corte, né la Commissione hanno saputo indicare con precisione il grado di tutela richiesto dalla direttiva. Inoltre la direttiva non fornisce alcun elemento utile al fine di poter determinare il livello minimo di tutela richiesto per i diritti alle prestazioni. Infine la Commissione nella relazione definitiva sull’attuazione della direttiva nell’ordinamento giuridico degli Stati membri ha spiegato che le misure adottate dal Regno Unito sembrano rispondere ai requisiti previsti dalla direttiva 80/987 CE.

In conclusione, anche se il compito di accertare la sussistenza di una violazione grave e manifesta spetta al giudice nazionale davanti al quale la domanda risarcitoria è dibattuta, la Corte, tenuto conto della natura non chiara e precisa della norma comunitaria che si assume violata, sembra escludere che il Regno Unito abbia commesso una violazione grave e manifesta del diritto comunitario.