Costi minimi: match point per gli autotrasportatori!
Con l’ordinanza 47 pronunciata il 7 febbraio 2018, la Corte Costituzionale ha messo la parola fine a ogni tentativo di aggirare l’applicazione dei costi minimi a danno dei vettori.
La Corte, infatti, ha dichiarato non fondati i dubbi di legittimità costituzionale che il Tribunale di Lucca aveva sollevato in riferimento all’art. 83 bis del D.L. 112/08, conv. in L. 133/08, così segnando un punto di svolta per i giudizi pendenti e fornendo un autorevole supporto per quei trasportatori che, sino ad oggi, hanno tentennato, incerti se agire o meno per il recupero dei propri legittimi crediti.
Tentennamenti e incertezze veicolati da interpretazioni fuorvianti e fuorviate delle pronunce della Corte di Giustizia in materia; chi scrive aveva già avuto modo di dirlo ma serve ribadirlo.
Nella complessa vicenda dei costi minimi, infatti, il giudice europeo è stato interpellato due volte e per due volte, prima nel 2014 e poi nel 2016, si è espresso indicando quella che dev’essere la corretta applicazione della disciplina nazionale.
Vale fare il punto.
Vero è che la lettura del diritto fornita dalla Corte europea è inaggirabile. Vero è, anche, che il 2016 (21 giugno) la stessa Corte si schiariva la voce e precisava che cosa intendeva dire – ma a chi scrive era già chiaro da tempo! – nella famigerata sentenza del 4 settembre 2014: solo i costi minimi calcolati dall’Osservatorio dell’Autotrasporto tra il novembre 2011 e il luglio 2012 cozzano con i principi di libera concorrenza al cui rispetto sono tenuti gli Stati membri dell’Unione Europea.
Nessuna censura, invece, per il calcolo delle tariffe minime operato dal Ministero, né prima dell’istituzione né dopo l’abolizione dell’Osservatorio.
Vero è, però, che tra le due pronunce europee, il legislatore, con la Legge di stabilità 2015, interveniva per falciare l’art. 83 bis.
Se ne è preso atto, pur non mancando di notare come l’intervento del legislatore, camuffato come una doverosa conformazione dell’Italia al dictum pronunciato dalla CGUE nel 2014, sia stato in realtà animato unicamente dalla volontà di salvare la categoria dei committenti attraverso un’interpretazione frettolosa e abnorme della lettura offerta dalla Corte di Giustizia.
Resta però che le modifiche legislative hanno effetto soltanto a decorrere dall’entrata in vigore della legge che le introduce e che, pertanto, i costi minimi precedentemente maturati sono più che legittimi.
Tant’è vero che, ora, è intervenuta a salvarli anche la Corte Costituzionale con l’ordinanza qui in commento, con buona (e forzata) pace dei committenti, delle associazioni di categoria e di chi sinora ha spalleggiato le letture che volevano i costi minimi, in ordine, illegittimi, abrogati (sin dal 2010!) e incostituzionali.
Secondo la Corte, invece, l’art. 83 bis non cozza con i principi costituzionali e, pertanto, non crea alcuna ingiustificata disuguaglianza né ostacola la libera iniziativa economica. Al contrario, il sistema dei costi minimi è funzionale alla tutela di primari interessi generali tra cui, in particolare, la sicurezza stradale e degli stessi autotrasportatori e, in conseguenza di ciò, la Corte giunge a definire le tariffe minime rivendicate dai vettori “incomprimibili ed essenziali”.
Sul finire, preme accennare alla sentenza che il Tar Lazio pronunciava il 21.01.17 (pubblicata il 21.02.17) e che, ritenendo di interpretare le parole della Corte di Giustizia, giungeva a censurare il metodo di calcolo adottato dal Ministero, incorrendo però in una palese forzatura della sentenza europea. Mentre la Corte di Giustizia definiva il Ministero come soggetto senz’altro legittimato a stabilire tariffe minime per l’autotrasporto, per il TAR l’illegittimità doveva (per forza…) annidarsi, allora, nella formula di calcolo dallo stesso adottata. Abolito l’Osservatorio, questo è vero, il Ministero aveva ripreso a conteggiare le tariffe minime adottando il sistema di calcolo usato dallo stesso Osservatorio. Tuttavia, la Corte di Giustizia non ha mai sollevato alcuna obiezione sulla formula adottata per quantificare i minimi tariffari, concentrandosi unicamente sulla natura, privata o pubblica, del soggetto adibito a tale compito. Nessun credito può quindi avere la sentenza, pure tanto invocata, pronunciata dal Tar Lazio!
Tanto più che, tutt’oggi, sono diversi i Tribunali che pronunciano ingiunzioni di pagamento a carico dei committenti: si citano, a titolo di esempio, il decreto ingiuntivo N. 1841/16 emesso il 24.10.16 dal Tribunale di Forlì e il N. 5606/17 emesso il 14.09.17 dal Tribunale di Bologna.
Ancor più di prima, sembra possibile oggi superare tutte quelle interpretazioni e applicazioni distorte, operate sulle pronunce della Corte di Giustizia, che hanno indotto molti vettori a desistere dal recupero dei propri legittimi crediti e che, purtroppo, hanno sempre avuto più eco di quelle, ben più oculate, che distinguono tra le tariffe ministeriali e quelle determinate dall’Osservatorio. Ad avviso di chi scrive, con il ricorso allo strumento dell’analogia e tramite un rigoroso ragionamento giuridico, i diritti dei vettori, il cui esercizio è stato paralizzato dalle criticabili interpretazioni di cui si è detto, possono ancora essere azionati.
In conclusione, intervenuta la conferma circa la piena legittimità della ratio che anima la disciplina in materia di costi minimi dell’autotrasporto, chi scrive auspica che sia finito il tempo dei vaneggiamenti, dei rinvii, dei ricorsi pretestuosi, delle censure immotivate. Non solo, ancora chi scrive si augura, unendosi all’appello dei vettori, che l’ordinanza della Corte sia motivo per un nuovo intervento del legislatore, correttivo del precedente e volto a reintrodurre “incomprimibili” costi minimi a tutela dei trasportatori.
La Corte Costituzionale, infatti, ha sparato il colpo del via, facendo finalmente chiarezza: esclusa solo la parentesi tra novembre 2011 e luglio 2012, i costi minimi maturati prima dell’entrata in vigore della Legge di stabilità sono legittimi e, ad avviso di chi scrive, possono essere ancora recuperati.