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Funzioni amministrative "a costo zero" - Nota a: Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, ordinanza del 15 ottobre 2018, n. 556

Funzioni amministrative "a costo zero" - Nota a: Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, ordinanza del 15 ottobre 2018, n. 556
Funzioni amministrative "a costo zero" - Nota a: Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, ordinanza del 15 ottobre 2018, n. 556

Il massimo organo della Giustizia Amministrativa della Sicilia, con ordinanza n. 556 del 15.10.2018, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale con riferimento all’articolo 34, comma 4, della Legge Regionale n. 22 del 1986, nella misura in cui essa prevede una rimodulazione funzionale in capo ai Comuni senza fornire le adeguate coperture finanziarie.

La normativa in parola avrebbe infatti disatteso la "fisiologica correlazione" per cui, al trasferimento di funzioni amministrative, si dovrebbe accompagnare la spettanza di risorse aggiuntive atte a perseguirle secondo una titolarità o un conferimento commisurati alle ‘rispettive competenze’ (articolo 118, comma 2 della Costituzione). Pertanto, il meccanismo che nella fattispecie imputi ad un Ente Locale di prossimità la gestione e la manutenzione del patrimonio in dissesto, da un lato, e il riassorbimento e l’eventuale riqualificazione del personale dipendente, dall’altro, di un ex Istituto Pubblico di Assistenza e Beneficenza (“IPAB”) - ciò senza fornire gli strumenti economici necessari a garantire un presidio minimo circa l’ottimale soddisfacimento degli obiettivi assegnati - sarebbe in contrasto con taluni fondamentali principi costituzionali: segnatamente, quello che sancisce l’autonomia finanziaria (articolo 119, comma 1) e, per l’appunto, quello che esplicita la relazione tra funzioni amministrative e risorse attribuite (commi 5 e 6).

Nell’eccepire siffatto trasferimento di funzioni senza risorse, l’Ordinanza in commento si rifà ad una costante giurisprudenza della Corte Costituzionale a mente della quale, con richiamo a un ulteriore, specifico principio (quello del "coordinamento della finanza pubblica"), l'illegittimità risiederebbe nella contestuale distorsione di due legami indissolubili a livello locale: il rapporto mezzi finanziari-bisogni istituzionali, e il rapporto entrate-spese di bilancio.

In questo senso, è appena il caso di ricordare come il principio del coordinamento della finanza pubblica sia stato largamente impiegato dal Legislatore nazionale, durante la stagione della "decretazione d’urgenza" (si ricordino: il Decreto Legge n.78/2010; il Decreto Legge n. 138/2011; il Decreto Legge n. 201/2011; il Decreto Legge n. 95/2012), quale giustificativo privilegiato alle misure di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica in un’ottica di efficientamento (cosiddetta spending review). Misure che hanno tra l’altro previsto, sotto diverse forme, l’obbligatorietà della gestione associata delle funzioni amministrative fondamentali e della semplificazione di forme associative e modelli organizzativi orientati alla corretta erogazione dei connessi servizi a livello locale.

A ciò si aggiunga come, a far data dal 2003, la progressiva soppressione delle "IPAB" a favore delle Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona ("ASP") abbia rappresentato un passaggio consequenziale verso un pieno e concreto esercizio, da parte dei Comuni, di nuove prerogative ridisegnate dalla riforma del Titolo V della Costituzione, ivi comprese quelle preordinate allo svolgimento di compiti di programmazione, progettazione e realizzazione di sistemi locali di servizi sociali e socio-assistenziali a rete, nonché di predisposizione di servizi e prestazioni sociali in senso lato.

Alla luce di quanto precede è dunque probabile che, nel pronunciarsi sulla presunta illegittimità della norma censurata, la Consulta si esprimerà rifacendosi non solo al sopraccitato diritto interno  ma anche al diritto comunitario (non da ultimo, al principio di proporzionalità), e questo perché funzioni quali quelle svolte dalle attuali “ASP” ben sono ascrivibili alla categoria dei servizi di interesse generale non economico (SIG) di cui al Protocollo n. 26 ai Trattati dell’Unione Europea, i quali attengono alla tutela di diritti fondamentali che ogni Stato è obbligato a garantire, e per i quali è tenuto a fornire le relative prestazioni secondo le modalità ritenute più adeguate.