Il dilemma etico-giuridico sulla sorte degli embrioni soprannumerari

fecondazione assistita
fecondazione assistita

Abstract: La legge nr. 40/2004 che, dopo tanti anni di inerzia legislativa, ha provveduto ad allineare la disciplina italiana sulla procreazione medicalmente assistita a quella degli altri paesi europei, andando, tuttavia, ad introdurre una serie di divieti e di corrispettive sanzioni che, di anno in anno, sono state oggetto di critiche demolitive da parte del Giudice delle Leggi.

A seguito delle sentenze nr. 96/2015 e nr. 229/2015 giuristi e scienziati hanno iniziato ad interrogarsi circa la sorte degli embrioni soprannumerari, ossia quegli embrioni che a causa di un’anomalia genetica o semplicemente perché in sovrannumero rispetto al quantitativo necessario ai fini dell’inseminazione in utero, giacciono in uno stato di crioconservazione a tempo indeterminato, non essendo per loro prevista alcuna sorte.

 

Indice

1. Embrioni sani ed embrioni malati: le differenze

2. L’adozione per la nascita degli embrioni soprannumerari

3. Embrioni soprannumerari tra opinioni e teorie

 

1. Embrioni sani ed embrioni malati: le differenze

L’opera di sostanziale restyling posta in essere dai giudici costituzionali sull’impianto originario della L.n.40/2004, non ha ancora, ad oggi, consentito di rispondere forse al più “inquietante” interrogativo che affligge sia i medici sia i giuristi contemporanei: qual è il destino di tutti gli embrioni attualmente crioconservati perché non trasferiti o non trasferibili?

Per embrioni soprannumerari, si intendono, infatti, tutti quegli embrioni mai portati alla nascita in quanto:

a) residuali rispetto a quelli utilizzati nel ciclo di fecondazione assistita andato a buon esito;

b) risultati affetti da una malattia a trasmissione genetica, individuata mediante diagnosi genetica pre-impianto;

c) scartati dalla madre che abbia revocato il consenso al trattamento di fecondazione artificiale, dopo la loro formazione, ma prima dell’impianto in utero;

d) formati e congelati prima dell’entrata in vigore della Legge n.40/2004, quindi prima che si disciplinasse il loro utilizzo.

Secondo alcuni dati tratti dalle relazioni annuali del Ministero della Salute al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge contenente norme in materia di Procreazione Medicalmente Assistita, in Italia

nel 2008 sono stati formati 84.861 embrioni e crioconservati 763;

nel 2009 formati 99.258 e crioconservati 7.337;

nel 2010 formati 113.019 e crioconservati 16.280;

nel 2011 formati 118.049 e crioconservati 18.798;

nel 2012 formati 114.276 e crioconservati 18.957;

nel 2013 formati 110.016 e crioconservati 22.143;

nel 2014 formati 112.563 e crioconservati 28.957 embrioni.

Tutti numeri indicativi di vite mai iniziate, numeri, peraltro, in evidente crescita, destinati ad aumentare di anno in anno, considerato il dilagarsi dell’utilizzo delle tecniche di procreazione artificiale.

Occorre, infatti, far presente che, proprio a seguito della sentenza n. 96/2015 della Corte Costituzionale, tale situazione è andata ulteriormente ad aggravarsi, in quanto, si ricorda, che non solo è stato rimosso il divieto di accesso alla PMA per coppie fertili portatrici di malattie a trasmissione genetica, ma sono stati specificati dalla Corte i presupposti di ammissibilità per l’espletamento della pratica di diagnosi genetica pre-impianto e successiva ed eventuale selezione embrionaria.

È stata, poi, la successiva e correlata sentenza n. 229/2015 a disporre, in un angusto passaggio della decisione, la crioconservazione obbligatoria e di durata indeterminata per tutti gli embrioni risultanti malformati, onde evitare la soppressione “tamquam res” e assicurare un’adeguata tutela alla “dignità dell’embrione”.

Sebbene accomunati dalla condizione del non impianto, la riflessione circa il possibile destino degli embrioni “abbandonati” deve necessariamente tener conto della fondamentale scissione tra embrioni sani ed embrioni malati.

Gli embrioni sani sono potenzialmente inidonei all’impianto, in quanto il mancato trasferimento in utero dipende da ragioni estrinseche all’embrione stesso; gli embrioni malati, invece, non potranno mai essere impiantati nell’utero della madre, giacché il loro trasferimento determinerebbe un grave pericolo per la salute della medesima.

Il “problema” della crioconservazione si pone soprattutto in relazione alla prima categoria di embrioni, ossia quelli sani, non soltanto per gli elevatissimi costi della conservazione del materiale biologico che secondo quanto disposto dalle Linee Guida, gravano sulle singole Regioni, ma anche per la necessità – avvertita non solo nei rami medico-giudici, ma anche sociali – di predisporre una disciplina che ne favorisce la destinazione più appropriata.

 

2. L’adozione per la nascita degli embrioni soprannumerari

Già nel lontano 2005, il Comitato Nazionale della Bioetica, con un documento intitolato “Adozione per la Nascita” (APN) aveva, per primo, sollevato il problema, proponendo, al contempo, una soluzione.

Difatti, secondo il CNB, la più grande lacuna presente nella  disciplina italiana sulla fecondazione assistita era rinvenibile proprio nella forte tutela apprestata al nascituro, che, però, ignorava del tutto la sorte degli embrioni congelati ed abbandonati, lasciando, così, ipotizzare che essi dovevano essere custoditi fino al momento della loro estinzione, momento tra l’altro, che non è determinabile, in quanto la scienza non può fornire alcuna risposta sulla durata massima della crioconservazione.

Il CNB, dunque, auspicava la cd. adozione per la nascita per gli embrioni sani, ma “abbandonati” dai genitori biologici.

L’impianto nell’utero di una diversa donna, difatti, da un lato, consentirebbe agli embrioni abbandonati, scartati, non rivendicati, di veder soddisfatta un’aspettativa di vita, consentendo loro di svilupparsi verso la nascita fino al raggiungimento di un’esistenza autonoma; dall’altro, permetterebbe alle coppie non in grado di procreare autonomamente, di evitare le trafile dell’adozione vera e propria, generando, al contempo, un figlio nato dal grembo della donna che desidera diventare madre e nei cui confronti si procederà all’impianto.

 

3. Embrioni soprannumerari tra opinioni e teorie

Diverse critiche sono state mosse a tale proposta, la più importante evidenzia come la pratica dell’adozione, seppur in astratto praticabile, non consentirebbe comunque di sopperire all’elevatissimo, ormai, numero di embrioni in stato di abbandono, assodato che, entro tal numero, vi rientrano anche gli embrioni “malati”, ossia quelli non impiantabili, per i quali, ovviamente, la pratica dell’adozione non è in ogni caso operabile.

Riguardo a quest’ultima categoria le opinioni, anche in seno al CNB, sono state diverse e contrastanti:

una prima corrente di pensiero propendeva per destinare, previo consenso dei genitori biologici, gli embrioni “in stato di abbandono” alla ricerca scientifica, anche se ciò dovesse comportare un esito distruttivo a loro carico. Si parlerebbe, in tal caso, di una sorta di “donazione” dell’embrione alla ricerca scientifica, escludendosi, di tal che, tutte le considerazioni sul suo status ontologico;

l’altra corrente di pensiero, sostiene, a contrario, che l’utilizzazione strumentale e con esito distruttivo degli embrioni non sia mai eticamente accettabile perché contraria alla loro intrinseca dignità e al loro diritto alla vita, per cui l’unica soluzione possibile ed eticamente accettabile, sarebbe quella di lasciare gli embrioni crioconservati per “secula seculorum”.

Allo stato, la questione è ancora aperta e di grandissima attualità: oltre al “silenzio- inadempimento” del legislatore, rimasto omertoso rispetto ai solleciti provenienti tanto dalla giurisprudenza di merito, quanto dalla dottrina, si è aggiunto il silenzio del Giudice delle Leggi, che ha “ deciso di non decidere”.

Il dilemma da sciogliere non è di semplice risoluzione infatti, lungi dal voler mettere in discussione l’obbligo di tutela costituzionale del diritto alla vita dell’embrione e della sua integrità, bisogna valutare con attento spirito pragmatico quali conseguenze produce un divieto assoluto di sperimentazione, come quello imposto dalla legge del 2004.

La lettura scientifica internazionale, ci consente ad oggi di sapere che il prelievo dall’embrione di cellule staminali pluripotenti, potrebbe rivelarsi decisivo per gli esiti della futura medicina rigenerativa: le cellule staminali pluripotenti, infatti, se opportunamente istruite in laboratorio, potrebbero essere in grado di differenziarsi in ulteriori cellule e tessuti capaci di riparare organi e sistemi compromessi. Tuttavia, come già evidenziato, il prelievo di tale materiale biologico, porterebbe alla distruzione dell’embrione stesso.

Ma, al fronte di questo tragico destino, non si possono trascurare i benefici che potrebbero discendere da un avanzamento degli studi sull’uso delle cellule staminali embrionali, in vista non tanto dell’accrescimento di conoscenze, ma della possibile sperimentazione di terapie funzionali, che potrebbero salvaguardare il diritto alla salute di molte persone affette da malattie ad oggi incurabili.

A parere di chi scrive, un intervento ponderato da parte del legislatore dovrebbe essere volto ad un bilanciamento più razionale degli interessi in gioco, bilanciamento che dovrebbe essere orientato a non sacrificare in modo assoluto ed indiscriminato la libertà di ricerca scientifica, ma a disciplinarne la praticabilità in materia con coordinate precise, che assicurino, oltre al perseguimento degli scopi di ricerca, anche un’adeguata tutela alla dignità dell’embrione.

A tale idea si può giungere anche mediante un’analisi comparatistica della legislazione europea in materia.

È opportuno ricordare, infatti che, a livello europeo non esiste un divieto generalizzato di sperimentazione sugli embrioni umani. Addirittura, le regolamentazioni più permissive, tra cui  vi rientrano quella inglese e spagnola, consentono non solo la destinazione degli embrioni umani alla ricerca, ma persino la creazione in vitro di embrioni ai fini di sperimentazione.

Le legislazioni su citate, pur facendo progredire, in tal modo, il progresso scientifico, non perdono di vista la tutela dell’embrione, prevedendo, infatti, che lo svolgimento delle ricerche non può essere effettuato successivamente alla comparsa della cd. stria primitiva, vale a dire al primo “abbozzo” di sistema nervoso, che si forma a partire dal quattordicesimo giorno di sviluppo.

A livello europeo, non sussistono disposizioni regolamentari e normative contrarie a tale ultima soluzione: ed invero, si ricorda, che la Convenzione di Oviedo all’articolo 18 vieta la sola “costituzione di embrioni umani ai fini di ricerca”, mentre, nel caso in cui la ricerca sugli embrioni in vitro sia ammessa da parte del singolo Stato si limita a prescrivere che sia assicurata “un’adeguata tutela all’embrione”.

L’autonomia degli Stati in materia viene ribadita anche dalla recente e succitata sentenza Parrillo c. Italia, con la quale la Corte ha riconosciuto pieno margine di apprezzamento agli Stati membri, considerata la complessità della questione morale ed etica.

Non si comprendono le ragioni per cui una simile opzione non possa essere accolta anche in Italia, considerando che prima del quattordicesimo giorno di gestazione, secondo la scienza, non può ancora parlarsi di vita in fieri e che, anche a voler confutare religiosamente od eticamente tale ultimo assunto, il diritto alla vita dell’embrione crioconservato risulta comunque essere frustrato dal congelamento a tempo indeterminato che, sebbene con tempi più lunghi, conduce ugualmente al perimento del materiale biologico così conservato.