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Congelamento degli embrioni: un caso e molti problemi

Embrioni congelati
Embrioni congelati

La notizia è rimbalzata da New York e ha suscitato simultaneamente meraviglia e scalpore. Essa ha immediatamente diviso l’America, rectius l’opinione pubblica degli Americani statunitensi. Ha sollevato, come era «naturale», molti interrogativi, etici e giuridici innanzitutto.

 

Di che cosa si tratta?

Si tratta della «nascita» di una bambina – Molly Gibson – avvenuta a Knoxville il giorno 26 ottobre 2020, a ventisette anni dal suo concepimento.  Non è possibile, dirà il lettore. Invece, è stato possibile (e lo sarà per molti altri casi in futuro). I giornali quotidiani hanno scritto che è nata all’età di ventisette anni e che sua «madre», quando Molly Gibson è stata concepita, aveva appena dodici mesi. Si tratta di un caso curioso e discusso, il quale pone diversi interrogativi e solleva molte questioni.

Andiamo per gradi. Tina Gibson – la «madre» di Molly – aveva dovuto arrendersi dinnanzi alla propria infertilità. A ventinove anni, infatti, aveva dovuto prendere atto che la propria infertilità non era vincibile. Volendo avere figli, si era orientata verso l’adozione. Sua madre, però, la informò dell’esistenza di una organizzazione no profit che si occupava delle donazioni di embrioni congelati.

La pratica del congelamento degli embrioni è diffusa negli U.S.A.. Essa, negli U.S.A., è dovuta al fatto che diverse coppie vogliono avere figli «quando si sentono pronte» anche se talvolta ciò avviene allorché la «natura» non lo consente, per lo meno non lo consente in «maniera naturale», vale a dire nel rispetto dell’ordine fisiologico della donna. Per poter avere figli a qualsiasi età, dunque, congelano gli embrioni che, poi, «impiantano» in un momento successivo, anche a distanza di anni rispetto al momento del concepimento.

 

Una prima conseguenza

Le coppie che optano per questa pratica non sempre si limitano a «rinviare» la nascita.

Qualche volta cambiano «idea» (e, quindi, non sono più interessate ad avere figli); qualche volta si separano (e, perciò, l’embrione congelato, frutto della precedente coppia, è «rifiutato»);

qualche volta cambiano le situazioni personali (come nel caso, per esempio, di una signora convivente che, dopo essere ricorsa alla fecondazione in vitro nel 2002, ha «perso» a causa della di lui morte il convivente e per questo ha cambiato «idea», decidendo di «donare» alla scienza i cinque embrioni, invocando a tal fine l’esercizio del suo diritto di proprietà);

altre volte cambiano i contesti legali (la signora, per esempio, alla quale si è appena fatto riferimento, ricorse alla CEDU, essendosi trovata di fronte a un divieto normativo circa la sperimentazione sugli embrioni, il quale le impediva la «donazione»).

Talvolta, poi, le coppie decidono di congelare embrioni di cui successivamente non si «servono» e, talvolta, congelano un numero di embrioni superiore ai possibili figli successivamente desiderati. Molti embrioni vengono, così, «abbandonati». Non viene loro concesso di svilupparsi e di nascere. La loro esistenza viene, per così dire, «dimenticata». Talvolta sono destinati alla sperimentazione scientifica, cioè vengono usati come strumenti di ricerca (e, spesso, di profitti).

È chiaro che in questo secondo caso si pone cinicamente fine alla loro vita. Nel primo caso, invece, di fatto li si abbandona come «res nullius»: pur mantenendo formalmente la titolarità dei diritti sull’embrione, questo è conservato come «cosa» e «cosa» di nessuno. Pare che negli U.S.A. attualmente (2020) si conservi circa un milione di embrioni congelati e non «adottati»; embrioni, quindi, che non interessano ad alcuno, nemmeno a coloro che ne conservano la titolarità. Possono interessare solamente alla ricerca e alla sperimentazione. Le cellule sono talvolta considerate «pezzi di ricambio» utilizzati per la cura di qualche malattia.

In Italia la sperimentazione sull’embrione era vietata (art. 13 Legge n. 40/2004), fatta eccezione per quella terapeutica relativa all’embrione e applicata esclusivamente nel suo interesse. Si è detto «era vietata», poiché la Corte costituzionale italiana (vedi soprattutto le Sentenze n. 151/2009 e n. 162/2014) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di diverse disposizioni della citata Legge n. 40/2004. Da parte sua la CEDU ha imposto l’introduzione di modifiche a questa legge, ammettendo (in tal caso la Sentenza deve essere ancora emessa) o accogliendo ricorsi (per esempio nel caso Costa-Pavan v. Italia nel 2012), le quali hanno «snaturato» la (parzialmente discutibile) ratio della Legge n. 40/2004 e imposto la cassazione di diverse sue disposizioni.

 

Un rilievo preliminare

La stampa ha scritto che Molly Gibson è nata all’età di ventisette anni. Lo ha fatto generalmente per suscitare curiosità e clamore. Quello che è significativo, però, è che ha detto una cosa vera: la vita, infatti, inizia con il concepimento. Dopo il concepimento si sviluppa, divenendo quello che è. La natura – come si dice – non fa salti. L’evoluzione è evoluzione (cioè crescita e sviluppo) di un ente che è e che diviene quello che è.

L’esistenza di Molly Gibson (come quella di tutti gli altri esseri viventi, compresi quindi gli esseri umani) è iniziata con il suo concepimento anche se – è questione sulla quale torneremo fra poco – il «congelamento» subìto ne ha impedito lo sviluppo naturale e secondo i tempi regolamentati dalla natura.

L’affermazione della stampa, quindi, evidenzia e sta a significare che il «senso comune» ritiene – lo ritiene a ragione – che l’individuo umano non «cambia» essenza: non è fino a una certa data dopo il suo concepimento un grumo di cellule di cui si può fare quello che si vuole; non è «altro» rispetto a quello che esso successivamente sarà al termine del suo sviluppo.

 

Scienza ed etica: una necessaria osservazione generale

Non tutto ciò che è scientificamente possibile è eticamente praticabile. La scienza, infatti, necessita di essere illuminata e guidata. Non nel senso che la ricerca scientifica debba essere condizionata da criteri che le sono estranei, bensì nel senso che le sue conoscenze, i suoi risultati e, prima ancora i suoi metodi, non si autolegittimano. Meglio: i metodi e i risultati scientifici sono applicabili solamente se e in quanto rispettano l’ordine naturale delle «cose».

La biologia, per esempio, ha fatto passi da gigante (come diverse altre scienze) negli ultimi tempi. Il suo progresso, tuttavia, può essere definito tale solo se è di giovamento alla vita, in primis alla vita umana; non quando esso diventa, per esempio, esclusivamente fonte e mezzo di ricchezza oppure strumento per la realizzazione di qualsiasi desiderio e di qualsiasi aspettativa.

Chiediamoci, pertanto: il congelamento degli embrioni umani è moralmente e giuridicamente (ove giuridicamente è molto più di legalmente) legittimo? Vedremo fra poco perché la risposta dev’essere negativa. Quello che sin d’ora possiamo, però, affermare è che esso non può e non deve essere praticato né con la sola finalità di aumentare le conoscenze, sacrificando esseri umani (e, quindi, esso non deve essere usato come strumento di dominio della natura), né con lo scopo di assicurare un’ampia rosa di scelte a chi prima aveva violato l’ordine naturale (al fine, per esempio, di avere figli in un momento da lui ritenuto «appropriato» alle sue soggettivistiche opzioni, riservandosi quindi di averli in un qualsiasi altro momento diverso dal momento del concepimento, anche quando le leggi fisiologiche normalmente non lo consentono o quando l’età o altri fattori non facilitano l’adempimento dei doveri della patria potestas, in particolare di quelli educativi).

 

Il congelamento azione di impedimento allo sviluppo naturale della vita

Il congelamento dell’embrione è un’azione violenta sullo stesso embrione, la quale gli impedisce il suo sviluppo naturale. Anche nell’ipotesi che il congelamento sia effettuato al solo fine di impiantare l’embrione in un momento successivo (consentendogli, in tal caso, la ripresa dello sviluppo), esso resta un impedimento allo sviluppo naturale del concepito. Non si tratta in questo caso di soppressione (o di distruzione) dell’embrione. Tuttavia l’embrione vede violato il suo diritto alla vita, allo sviluppo, alla crescita.

Il fatto – considerando la questione sotto il profilo civilistico – potrebbe, pertanto, rientrare nella negazione del mantenimento, esercitata con violenza sull’incapace. Un brocardo, infatti, giustamente afferma che «necare videtur qui alimenta dethrait» (chi toglie gli alimenti è come se uccidesse). Il fatto, nel caso di congelamento dell’embrione, è aggravato dalla volontà di strumentalizzare l’essere umano ancora non nato. E ciò è una grave violazione del suo diritto, poiché il primo diritto dell’individuo, anche dell’individuo concepito, è quello alla vita e a ciò che essa implica.

Esso, quindi, subisce una violazione di un suo diritto fondamentale e irrinunciabile (non potrebbe, ovviamente, rinunciarvi, poiché della sua rinuncia è titolare – in questo caso – colui che la viola). Esso, però, subisce anche altri «danni», poiché – lo osservò, per esempio, Umberto Veronesi, un autore non sospetto e lo annotò il Dipartimento di riproduzione medicalmente assistita dello Shanghai Ninth people’s hospital – col trascorrere del tempo le probabilità di successo calano: l’impianto in utero di un embrione congelato molto tempo prima comporta minori probabilità che l’impianto vada a buon fine. Talvolta, infatti, non si ottiene l’attecchimento, altre volte la gravidanza non giunge a termine. Non si soddisfano, così, i desideri e le aspettative dell’aspirante madre. Soprattutto, però, l’embrione congelato e impiantato subisce la morte artificialmente procurata sia pure nel tentativo, altrettanto artificiale, di favorire la sua vita, «bloccata» però in precedenza usando leggi di natura (scientismo) contro la natura.

 

Lo sconcerto giurisprudenziale

La giurisprudenza – sia quella costituzionale, sia quella ordinaria, sia quella delle Corti internazionali – rivela a proposito dei diritti del concepito non ancora nato un impressionante disorientamento. Per lo più si aggrappa alle sole norme positive molto spesso inadeguate a risolvere i casi. È la necessaria conseguenza della formazione giuridica positivistica offerta dalle attuali Facoltà di Giurisprudenza che scambiano il diritto con la prescrizione normativa positiva.

Intendiamoci: le norme dovrebbero essere leggi e le leggi (positive) dovrebbero essere partecipazione del diritto. In questo caso il ricorso alla norma (positiva) sarebbe di vero aiuto per risolvere il caso secondo equità. Il fatto è che i giudici di fronte ai problemi posti dai nuovi casi, soprattutto quando essi investono questioni bioetiche e biogiuridiche, non sanno che pesci pigliare, non sanno quali sono le decisioni giuste. Nell’ipotesi migliore ricorrono alla teoria dell’ordinamento o alla teoria degli ordinamenti. Ma la teoria dell’ordinamento o degli ordinamenti non consente loro né di uscire dall’ordinamento (o di andare «oltre» l’ordinamento, anche se non necessariamente «contro» l’ordinamento), né di cogliere le questioni nella loro vera portata e di offrire soluzioni conformi alla giustizia.

Per capirci è bene portare due esempi. Il primo riguarda una Sentenza della magistratura ordinaria italiana, il secondo una Sentenza della CEDU, entrambe riguardanti presupposti necessari per la soluzione di controversie biogiuridiche.

Ebbene il Tribunale di Bologna ritiene (lo afferma con una Sentenza del 26 giugno 2000) di dover rilevare differenze essenziali tra gli ovuli fecondati ma non impiantati e crioconservati e gli embrioni già allocati nell’utero materno. Sul piano biologico e giuridico ci sarebbe, secondo il Tribunale di Bologna, una differenza sostanziale. Da ciò conseguirebbe che gli ovuli fecondati ma non impiantati e crioconservati non godrebbero della stessa tutela legale rispetto agli embrioni già allocati nell’utero materno: le prerogative giuridiche, infatti, sarebbero diverse. Non neghiamo che l’ordinamento positivo preveda tutele legali diverse nei due casi.

Rileviamo, piuttosto e innanzitutto, che il Tribunale di Bologna ritiene di poter affermare in una sua Sentenza e come presupposto legittimante della stessa, che tra ovuli fecondati ma non impiantati e crioconservati e embrioni già allocati nell’utero materno, sussistano differenze essenziali, cioè di natura, diverse sul piano biologico, che comporterebbero a loro volta considerazioni e trattamenti giuridici diversi.

Il secondo esempio viene tratto, come si è detto, dalla giurisprudenza della CEDU. Ebbene la CEDU (giudizio n. 53924/00), essendo incerta circa il «punto di partenza della vita» (vale a dire quando la vita abbia effettivamente inizio), ha ritenuto opportuno affermare che esso resta nella discrezionalità dei singoli ordinamenti nazionali. Singolare affermazione, sia perché l’inizio della vita (pur essendo difficile da individuare) non dipende dalla discrezionalità di alcun legislatore, sia perché è quanto meno strano che una Corte che è chiamata a riconoscere e far rispettare (ove richiesto) i diritti umani non trovi altra via, a tal fine, che invocare le legislazioni nazionali, cioè gli ordinamenti positivi dei singoli Stati.

I due esempi portati rendono evidenti le oscillazioni, le incertezze, le contraddizioni della gran parte della giurisprudenza a proposito delle questioni bioetiche e biogiuridiche.

 

Diritti violati e conseguenze giuridico-civili

Il congelamento degli embrioni non solo è antigiuridico in sé e per sé (nonostante sia sempre più spesso ammesso da norme positive), ma è di ostacolo alla vita civile. Esso, infatti, impedendo lo sviluppo e la nascita degli embrioni (salvo il caso – che pone, però, altri problemi – che questa, cioè la nascita, avvenga magari a distanza di molti anni dal concepimento), impedisce per esempio il verificarsi della condizione prevista dall’art. 1, c. 2 Codice Civile per il riconoscimento dei diritti riconosciuti per legge a favore del concepito.

Per esempio, gli impedisce di succedere anche se concepito al tempo dell’apertura della successione (articolo 462, c. 1 Codice Civile). Lo priva, quindi – come si è detto – non solo del diritto alla vita, alla nascita e al naturale sviluppo, ma anche di diritti che l’ordinamento pone in capo al concepito sia pure subordinandoli all’evento della nascita. Dall’altra parte, sulla base della disposizione dell’articolo 715, c. 1 Codice Civile, la divisione non può aver luogo prima della nascita del concepito, creando così una situazione complessa, difficilmente districabile in presenza di uno o più embrioni congelati.

 

Norme positive, diritto, ordine etico

Le «complicazioni» che le nuove normative in tema di embrioni, di embrioni congelati, di trapianti degli stessi in utero comportano non riguardano semplicemente le disposizioni di legge positive. Se queste non investissero a loro volta questioni più profonde, i problemi sarebbero facilmente risolubili: basterebbe cambiarle e tutto sarebbe risolto. Con riferimento a quanto appena accennato in tema di diritti del concepito riconosciuti per legge ma condizionati all’evento della nascita, basterebbe modificare ad nutum il Codice Civile in vigore.

Per essere ancora più chiari e circoscrivendo il problema alla successione e alla divisione, basterebbe per esempio prevedere l’esclusione assoluta del concepito dalla successione e stabilire che la divisione può legittimamente avvenire ignorando il concepito al tempo dell’apertura della successione, anche se poi nasce vivo. È giusto, però, escludere il concepito dalla successione o privarlo, se nato vivo, dell’eredità o di parte dell’eredità? La domanda investe una questione di giustizia al pari di un’altra domanda che, più in generale, riguarda il problema della successione in sé. Anche a questo proposito, infatti, la legge positiva deve riconoscere diritti che essa non costituisce ma semplicemente registra e regolamenta.

Che i legislatori abbiano manifestato incertezze a questo proposito, dovute al fatto che non si sono impegnati nella ricerca del fondamento delle leggi positive, poco rileva. Non basta, infatti, registrare che ci sono state incertezze; che la successione è stata (e tuttora è) regolamentata in modi diversi dagli ordinamenti; che si è discusso (e si discute) circa la sua legittimità. Non basta questo per affermare che ogni legislatore avrebbe discrezionalità assoluta rispetto a questo problema e a molti altri. In diritto le decisioni vanno sempre argomentate. L’argomentazione non può prescindere dalla giustizia la quale, a sua volta, deve considerare il caso concreto per essere equa, vale a dire per non ridursi a un enunciato verbale privo di senso.

Per escludere, quindi – tornando all’esempio – il concepito dalla successione bisogna trovare le ragioni della sua esclusione che, se non fossero veramente fondate, potrebbero comportare il non riconoscimento del diritto di testare, l’assurdità delle disposizioni normative riguardanti la legittima, la riduzione dell’indegnità a un’affermazione retorica e via dicendo.

La questione si allarga se si considera che il concepito congelato potrebbe mai vedere la luce (cioè nascere), che potrebbe essere sacrificato sull’altare della ricerca scientifica, che potrebbe essere trapiantato a distanza di decenni dal suo concepimento. Lo scientismo (il dominio sulla natura e l’uso arbitrario delle leggi della natura), calpestando l’ordine naturale e alterando tempi e modi secondo i quali la natura opera, finisce così per porre problemi giuridici destinati a rimanere insoluti o, meglio, a essere risolti secondo criteri occasionalmente adottati e arbitrariamente usati ed imposti dal legislatore.

 

Due parole conclusive

La giustizia è virtù cardinale. Essa è la costante e perpetua volontà di dare a ciascuno il suo, cioè ciò che gli è dovuto («iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi»).

I genitori, essendo responsabili del concepimento, debbono quindi al concepito (e, poi, al figlio), per dovere di giustizia, tutto ciò che è necessario al suo mantenimento e alla sua venuta alla luce secondo i ritmi stabiliti dalla natura. Il congelamento dell’embrione, pertanto, è contrario sia all’ordine naturale delle «cose» sia alla giustizia. Perciò, esso è contrario alla «morale della famiglia» come si esprime il Codice Penale italiano in vigore: il Codice Penale, infatti, ne riconosce e ne impone il rispetto (art. 570).

Il congelamento dell’embrione, quindi, avrebbe rilievo penale per l’ordinamento giuridico italiano. Esso sarebbe azione idonea per la sospensione (almeno temporanea) dei mezzi di sussistenza che in dottrina (anche secondo le dottrine positivistiche, si pensi, per esempio, all’Antolisei) non coincidono con gli alimenti disciplinati dal Codice Civile: sono, infatti, molto di più. Il congelamento dell’embrione (fatto in vista di qualsiasi finalità) sarebbe, pertanto, azione antigiuridica e immorale. Esso rappresenterebbe il tentativo di mettere nel nulla il dovere o, meglio, le conseguenze di un dovere e di sottrarsi agli adempimenti richiesti da un’obbligazione. Si dirà che l’articolo 570 Codice Penale è «superato» dalla Legge n. 40/2004 che, in parte, «abbandona» la «morale della famiglia» e, per alcuni aspetti, la morale in sé.

Non solo.

Come si è accennato, la graduale ma costante demolizione della Legge n. 40/2004 è avvenuta in virtù della giurisprudenza della Corte costituzionale italiana (Sentenze n. 151/2009, n. 162/2014, n. 96/2015, n. 229/2015), la quale, applicando coerentemente la Costituzione, ha evidenziato il salto di qualità tra vecchio ordinamento (CC e CP, in primis) – anche se per la parte non caducata ancora in vigore – e nuovo ordinamento costituzionale. Poiché nessuno può essere punito per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce reato, si deve concludere che l’ordinamento giuridico italiano ha operato una significativa trasformazione legale. Impossibile, però, a questo proposito, è la trasformazione giuridica ed etica di un’obbligazione naturale, anche se nei fatti disattesa e non rispettata.

Nella nostra epoca è diffuso il convincimento secondo il quale l’etica dipende dalle opzioni individuali o dalle scelte condivise. Peggio: è diffuso il convincimento secondo il quale la natura non esiste e, se esiste, è ridotta alla volontà del soggetto (per esempio, con riferimento agli embrioni, si dice che sono meritevoli di tutela se e solo se sono pensati e voluti come persone) o all’effettività delle «cose», vale a dire non al loro stato ontologico ma alla loro condizione empirica (si sostiene, per esempio, che la terapia – anziché essere strumento per il ristabilimento dell’ordine fisiologico – modifica ad nutum la natura, cioè la modifica secondo un qualsiasi disegno soggettivo).

Convincimenti come questi appaiono deliri per il «senso comune»: tutto è abbandonato all’arbitrio e alla cieca volontà. Tanto che si afferma senza alcun pudore intellettuale che, non avendo i valori morali alcuna consistenza se non soggettiva (dipendendo essi dalla libertà di coscienza di ciascuno), anche la procreazione è legata alla sola volontà. Non nel senso che essa dipenda da una scelta e da una decisione personale (voler procreare o meno), bensì nel senso che essa, non essendo un fatto solamente biologico, è subordinata, dal concepimento al parto, a un atto di volontà definito (erroneamente) morale. Sarebbe, così, pienamente legittimata la crioconservazione degli embrioni come l’aborto procurato.

Sono tesi diffuse e condivise che consentono non solamente l’APN (Adozione per nascita) come nel caso di Molly Gibson, sul quale ci siamo brevemente soffermati, ma qualsiasi altra decisione e qualsiasi altro utilizzo (degli embrioni congelati), poiché si dice che l’embrione è persona solo se voluto come tale: se non è voluto come tale sarebbe una «cosa» utilizzabile come si vuole.