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Corruzione tra etica e morale

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Corruzione tra etica e morale

 

Secondo il pensiero di Richard Feynman (1918-1988), premio Nobel per la fisica, scienziato famoso per l’elaborazione della teoria sulla meccanica e sull’elettrodinamica quantistica, se una persona ha un’etica il suo valore si suppone sia uguale a 1. Se in più questa persona è intelligente, cioè oltre alla conoscenza ha una forte propensione per l’immaginazione, si può aggiungere uno 0 = 10. Se è anche ricca, altro 0 = 100. Se oltre a tutto questo è anche una bella persona, altro 0 = 1000. Però, se perde l’etica perde l’1, cioè perde tutto il resto, perché restano solo zeri.

Una rappresentazione teorica che delinea con chiarezza cosa sia disposto a sacrificare colui che accetta di entrare nel vortice dell’illegalità, della corruzione, del compromesso ricattatorio fondato sulle dinamiche delittuose, disciplinate dal codice penale.

Il tentativo di definire l’aspetto corruttivo non è semplice, perché implica risvolti culturali, di metodo e normativi.

Un approccio di questo tipo si può ricondurre sicuramente al diritto penale, disciplina che si occupa in modo scientifico delle fattispecie delittuose. Infatti, le tipologie di reato evidenziano ogni fatto che offende un diritto giuridicamente tutelato, in modo da sanzionarlo con pene proporzionali al bene che si ritiene leso.

Se si affronta il fenomeno corruttivo in una dimensione più ampia di quella del diritto penale, ci si proietta verso un sistema di “atteggiamenti di prevenzione” della corruzione, che presuppongono punti di rilievo come la capacità di misurare e di valutare la dimensione del fenomeno; la verifica delle cause; l’analisi degli effetti; gli strumenti che si possono adottare.

La letteratura è ricca di definizioni della corruzione, che, sintetizzando, si può definire l’abuso da parte di un soggetto del potere che esercita al fine di ottenere vantaggi privati invece di perseguire l’interesse pubblico come vuole la legge. Quindi, gli elementi che si devono valutare sono il “potere”, cioè la facoltà che la legge attribuisce ad un soggetto di prendere decisioni obbligatorie per altri soggetti; il “soggetto”, pubblico o privato, a cui viene affidato questo potere; l’”abuso”, quando il potere è esercitato oltre i limiti stabiliti dalla legge[1].

Le scienze economiche, per collegare gli elementi essenziali sopra citati relativi al fenomeno corruttivo, si avvalgono di modelli sullo stile dell’Agency theory; cioè, esaminano il rapporto tra un soggetto principale ed un agente, in cui il primo delega il secondo (quindi non gli attribuisce il potere ma solo l’esercizio del potere che resta in capo al soggetto delegante) per realizzare degli obiettivi, legando questo rapporto a una qualche forma implicita o esplicita di contratto.

L’idea stessa di corruzione implica l’intromissione di un outsider spesso privato, a cui l’agente cede illecitamente vantaggi e riconosce in modo arbitrario dei diritti, contro il volere del principale; tutto questo in cambio di una contropartita di cui l’agente si appropria in modo occulto. Da un punto di vista relazionale, la corruzione si instaura in un rapporto non bivalente ma trivalente, in cui tra agente e principale si interpone un terzo attore facente parte della platea a cui si rivolge l’attività dell’agenzia. Infatti, il terzo attore è colui che svia l’azione del primo dagli obiettivi scelti dal secondo. Si viene così modificando la struttura stessa dell’agenzia, identificando i ricavi della corruzione come “rendita”[2].

La corruzione, infatti, è l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati. Con la parola “abuso” si intende quando si realizza una “deviazione intenzionale” del comportamento dell’agente (es. un funzionario della pubblica amministrazione) dal compito di tutela degli interessi pubblici del principale (es. il privato) e una conseguente violazione del rapporto di fiducia che il privato ripone nel funzionario.

I criteri che individuano l’abuso sono le “regole morali” e le “regole giuridiche”. Le prime assumono rilevanza in un determinato contesto sociale; le seconde sono il frutto della codificazione voluta dal diritto positivo. La coesistenza di entrambi i criteri genera la miscela esplosiva che identifica il fenomeno corruttivo in tutta la sua essenza, anche se la mera violazione di regole morali non è sufficiente per classificare un comportamento come illecito.

Per definire meglio cosa si intende quando si parla di corruzione, è opportuno valutare il rapporto che si genera tra comportamento “integro” ed “etico”. Il primo esprime la qualità dell’agire degli individui e delle organizzazioni e rappresenta ciò che può essere controllato attraverso una corretta “prevenzione”; il secondo esprime l’insieme delle regole e dei valori che consentono di valutare ciò che si ritiene “giusto” da ciò che si ritiene “sbagliato”[3]. Questi sono valori ponderati, che hanno una carica soggettiva intrinseca, mentre le regole morali indicano un comportamento ritenuto corretto in un determinato contesto. Secondo Aristotele l’etica è il modo d’essere, è la filosofia della pratica, è una riflessione sul comportamento dell’uomo e sui valori che orientano le sue scelte; la morale, invece, rappresenta il modo di agire in una determinata situazione. In tal modo si dimostra il rapporto stretto che intercorre tra integrità ed etica, potendo così identificare l’etica come il criterio più idoneo a misurare l’integrità di una persona o di un’organizzazione.

Tornando al concetto centrale di “corruzione”, si può cercare di esaminare ora l’integrità in rapporto alla corruzione. Si è detto che la corruzione è la deviazione da regole morali rilevanti in un determinato contesto sociale e che l’integrità implica l’agire con valori e regole morali; ne consegue che l’integrità è un concetto speculare positivo rispetto a quello negativo della corruzione. Ma questa affermazione si rifà ad un profilo filosofico di corruzione, mentre se ci si riferisce ad un profilo tipicamente legale, riconducibile cioè ad una fattispecie normativa del codice penale, l’integrità diventa un elemento integrativo della corruzione, valutato confrontandosi con le norme giuridiche e non con i comportamenti o i valori. In altri termini, un comportamento che deviasse dalle regole giuridiche che disciplinano le fattispecie corruttive sarebbe indice di un agire “non integro”, anche se comportamenti non integri potrebbero intendersi non necessariamente come comportamenti corrotti. Pertanto, si può ragionevolmente sostenere che l’integrità è una caratteristica che amplia il profilo corruttivo arricchendolo di sfumature filosofiche, che si desumono dal concetto stesso di corruzione. La corruzione è sanzionata in modo forte dal codice, poiché identifica una violazione di legge, mentre se si tratta di valutare un comportamento che non identifica una corruzione ma una non integrità, la sanzione è più lieve o in alcuni casi semplicemente amministrativa o addirittura solo disciplinare.

Un altro aspetto da considerare attiene alla funzione dei concetti di integrità e corruzione sotto il profilo della policy. Se la corruzione è un concetto fondamentale per giustificare la repressione, l’integrità è, invece, un concetto utile per costruire politiche di prevenzione e l’inasprimento delle pene non si ritiene sufficiente a governare il fenomeno corruttivo; bisogna, al contrario, creare il terreno che renda più difficile ed impraticabile il percorso della corruzione, individuando le zone grigie che si regolano e si sviluppano sul filo della legalità e che sono moralmente inaccettabili.

Dunque, se si promuovono con maggior convinzione azioni che implichino l’integrità nei comportamenti, si riducono le procedure per contrastare i fenomeni corruttivi; questa policy make che si fa strada nelle organizzazioni internazionali, come l’OCSE, propone strumenti di prevenzione a volte efficaci, che siano in grado di far emergere proprio quelle aree grigie in cui maturano i profili tipici del fenomeno corruttivo. In questo senso, si possono identificare quelli che si chiamano gli “indici di percezione” sui quali si disegna la corruzione. Tra quelli più rilevanti si colloca, in primo luogo, quello pubblicato annualmente da Trasparency International, cioè il CPI, Corruption Perception Index; in secondo luogo, l’indice sul controllo della corruzione pubblicato dalla Banca Mondiale cioè il Rating of control of corruption. Questi indici offrono misurazioni a livello aggregato, integrando i dati relativi ad indagini su fonti diverse per tipologia, metodo ed estensione di campioni.

Le cause all’origine dei fenomeni corruttivi possono essere di tipo “culturale” (gruppi sociali, tradizioni, modelli di ispirazione politica, clan e mafie); cause di tipo socio-politico (burocrazia, livello di fiducia nelle istituzioni, inflazione legislativa, decentramento amministrativo non controllato); cause di tipo economico (livello di ricchezza e conseguente crescita nel Paese, meccanismo wealth and growth, distribuzione del reddito, incremento della povertà, inefficienza del settore pubblico, inflazione, libertà economica); infine cause di tipo giuridico (la legislazione troppo complessa contro la corruzione e la conseguente sua inefficacia applicativa)[4]franco

Concludendo.

Si tratta, dunque, di coniugare tutti gli sforzi possibili per creare le condizioni che permettano di individuare celermente i sintomi del processo corruttivo, che diventa come una “tassa occulta” sulle imprese, con gravi ripercussioni sugli investimenti e sulla crescita economica del Paese, rappresentando, perfino, una tassa regressiva sulle attività commerciali e sulle PMI. Inoltre, la corruzione forma una barriera alle regole di leale concorrenza previste dal TUE e dal TFUE, causando forti inefficienze dell’intero sistema economico mondiale, allocando risorse verso destinazioni non efficienti. La conseguenza di tutto ciò si ripercuote anche sulla spesa pubblica, aggravando gli sforzi di realizzazione della manovra di finanza pubblica, che ogni anno il governo deve presentare al parlamento e alla Commissione europea. Tutti questi fattori non fanno che aumentare i costi delle transazioni e l’incertezza, alterando le priorità economiche, favorendo il rent seeking; inoltre, alimentano l’economia sommersa riducendo le entrate pubbliche e aumentando la pressione fiscale, perché destinata ad un numero minore di contribuenti; si riduce in modo sensibile la capacità dello Stato di fornire beni e servizi essenziali[5]. E’ pur vero che la corruzione genera riflessi negativi sull’intero sistema economico, ma il maggior danno lo subiscono le imprese di piccole dimensioni, che non sarebbero comunque in grado di corrompere per aggiudicarsi fette di mercato e nemmeno di sopportarne i costi. Se a livello mondiale le PMI rappresentano la quota più ampia delle imprese, vuol dire che il fenomeno corruttivo è in grado di alterare gravemente gli equilibri del mercato, a discapito delle PMI e a favore di società rilevanti, di grandi dimensioni, con meno scrupoli e maggiori protezioni a livello politico.

Un rapporto dell’ONU del 2017 riferisce che su 80 milioni di imprese esistenti in quel periodo nel mondo, circa il 90% è rappresentato da piccole e medie imprese.

Sarebbe auspicabile, pertanto, un ulteriore intervento del legislatore europeo, che introducesse criteri e regole universali, predisponendo, in via preventiva, meccanismi efficaci di verifica e di pubblicità nelle transazioni e, in via repressiva, sanzioni certe e applicabili in concreto.

 

[1] Z. Szántó, Principals, agents, and clients. Review of the modern concept of corruption, in Innovation, The European journal of social sciences, n 4, 629-632, 1999; A.J. Brown, What are we trying to measure? Reviewing the basic of corruption definition, in C. Sampford, A. Shacklock, C. Connors and F. Galtung, eds., Measuring corruption, Ashgate Publishing Limited, UK, 2006.

[2] E.C. Banfield, Corruption as a feature of governmental organization, in The Journal of law and economics, vol. XVIII (3), 1975; M. Franzini, La corruzione come problema d’agenzia, in R. Artoni (a cura di), Teoria economica e analisi delle istituzioni, Bologna, Il Mulino, 1991; A. Vannucci, Inefficienza amministrativa e corruzione, in Riv. Trim. Sc. Amm. 1, pp. 29-55, 1997.

[3] R.C. Solomon, A better way to think about business: How personal integrity leads to corporate success, Oxford University Press, 1999; M. Benjamin, Splitting the difference: Compromise and integrity in ethics and politics, Lawrence, University Press of Kansas, 1990.

[4] D. Treisman, The causes of corruption: a cross-national study, in Journal of public economics, 76, 399-457, 2000; H.E. Sung, Democracy and political corruption: a cross-national comparison, in Crime, law and social change, 41 (2), 179-194, 2004; B. Husted, Wealth, culture and corruption, in Journal of international business studies, XXX (2), 339-360, 1999; P. Mauro, Corruption and growth, in Quarterly Journal of economics, CX, 681-712, 1995; J.B. Williamson, Corruption, democracy, economic freedom and state strength: a cross-national analysis, in International Journal of comparative sociology, 46 (4), 327-345, 2005.

[5] D. Gbetnkom, Corruption and small and medium-sized enterprise growth in Cameroon, 2012.