Mani Pulite: cosa è stata e cosa ci ha lasciato
Mani Pulite: cosa è stata e cosa ci ha lasciato
Io stringo i pugni e mi dico
che tutto cambierà
Neffa, Cambierà
3.2. I “numeri” complessivi dell’inchiesta
L’unica cosa certa della dimensione quantitativa di Mani Pulite è che fu imponente.
Tutte le fonti consultate restituiscono infatti numeri impressionanti.
Non c’è invece coincidenza tra i dati dell’una e dell’altra, verosimilmente a causa delle differenti metodologie di ricerca e delle oggettive difficoltà di accesso e di verifica di materiali imponenti, risalenti nel tempo e frammentati in plurimi rivoli.
La prima fonte è un documentario curato da Rai Storia in occasione del ventennale di Mani Pulite e riassunto sul web da Rai News[1].
La seconda è un approfondimento del quotidiano La Repubblica[2].
La terza e ultima fonte è una ricerca condotta per il Corriere della Sera da Luigi Ferrarella compulsando direttamente i fascicoli processuali[3].
3.3. I suicidi
Furono ben 31 - ma secondo alcune fonti il numero fu più alto[4]- le persone che si tolsero la vita perché coinvolte in Mani Pulite o comunque lambite dall’inchiesta o per effetti indotti da questa.
Si impongono alcune avvertenze: le vicende di cui si parla sono connesse non alla sola Mani pulite milanese ma a quella nazionale; si parlerà solo dei casi di cui esiste evidenza giornalistica e che appaiono ragionevolmente classificabili come suicidi; le vittime saranno indicate con le sole iniziali come gesto dovuto di rispetto.
Ecco la storia di alcune di loro.
Cominciò FF. Era il coordinatore dell’USL 75 di Milano. Non era indagato ma temeva di esserlo a causa di una laurea falsa. Si uccise col monossido di carbonio della sua auto il 23 maggio 1992[5].
Seguì RA, segretario del PSI di Lodi. Il 17 giugno 1992, dopo essere stato interrogato dai giudici di Mani Pulite, si sparò un colpo alla tempia[6].
Il 21 luglio 1992 fu il turno di GR, messo comunale, su un cui conto era stato accertato un deposito di un miliardo di lire[7].
Il 27 luglio 1992 si uccise sparandosi alla testa MM, importante imprenditore edile comasco, dopo essere stato interrogato dal sostituto Davigo in relazione a presunte tangenti per i lavori della Milano-Serravalle[8].
Il 2 settembre 1992 si uccise sparandosi un colpo di fucile nella cantina di casa il deputato del PSI e tesoriere regionale del partito SM, dopo avere ricevuto vari avvisi di garanzia dai PM milanesi[9]. Prima del suo tragico gesto, SM compilò una lettera indirizzata a Giorgio Napolitano, presidente della Camera dei Deputati[10].
Il 25 febbraio 1993 si tolse la vita SC, già dirigente generale del ministero delle Partecipazioni statali[11].
Il 12 aprile 1993 VC, consigliere comunale di Pescara, si lanciò dal sesto piano del palazzo in cui abitava dopo essere stato coinvolto in un’indagine su presunti reati compiuti dal comitato di gestione dell’USL pescarese[12].
Il 30 aprile 1993 si gettò nell’Adige GM, ex segretario amministrativo della DC di Rovigo[13].
Il 26 giugno 1993 fu trovato il corpo senza vita di AV, accademico e componente del CIP farmaci nonché collaboratore dell’ex ministro De Lorenzo.
Il 20 luglio 1993 si suicidò GC, presidente dell’ENI. Il suo corpo senza vita fu trovato nelle docce del carcere milanese di San Vittore con un sacco di plastica infilato in testa e sigillato da una corda.
Prima di uccidersi GC scrisse lettere ai familiari e ai suoi avvocati per spiegare le ragioni del suo gesto[14].
Il 23 luglio 1993 si suicidò sparandosi con una pistola RG, leader del gruppo Ferruzzi[15].
Il 10 luglio 1994 si suicidò sparandosi in bocca AL, maresciallo della Guardia di Finanza, in quel momento agli arresti domiciliari dopo un breve periodo di carcerazione[16].
4. Le caratteristiche identitarie
4.1. La mediaticità
È nella comune consapevolezza che Mani Pulite fu uno spartiacque per il nostro Paese e dopo di essa nulla fu più come prima.
Nelle varie partizioni di questo paragrafo si proverà a mettere a fuoco i segni più evidenti della straordinarietà di un’esperienza che travalicò ampiamente la dimensione giudiziaria, trasformandosi in fenomeno di costume, catalizzatore di sentimenti popolari, orientamento etico, discrimine politico, fonte di nuovi equilibri di sistema e altro ancora.
Poco o nulla di tutto questo sarebbe stato però possibile se Mani Pulite non avesse attirato lo strabiliante seguito pubblico che la accompagnò per anni e se essa stessa non avesse avuto tra le sue armi l’inedita abilità mediatica dei suoi protagonisti di prima fila.
Un ruolo preponderante lo ebbero naturalmente la stampa e la TV che si mossero secondo due prospettive complementari: un’informazione quotidiana capillare sugli eventi dell’inchiesta; l’attribuzione di uno spazio preponderante al tema della corruzione così da conferirgli assoluta centralità nel dibattito pubblico e nell’agenda politico-istituzionale[17].
Basti qui ricordare che la fortunata trasmissione Rai “Un giorno in Pretura”, nata per offrire al grande pubblico televisivo l’opportunità (o l'illusione?) di uno sguardo dall’interno (o dal buco della serratura?) nelle aule di giustizia, tra il 1993 e il 1994 dedicò ben 25 puntate al processo Enimont che sono state adesso raccolte in boxset e offerte all’audience, al pari di una serie di successo[18].
Senza poi contare lo stile descrittivo di quelle puntate, la scelta delle visuali e dei dettagli sui quali focalizzarsi (comprese le gocce di sudore di alcuni personaggi, il filo di bava che tracima inconsapevolmente dall’angolo della bocca di altri), la narrazione prescelta. Ognuno di questi temi meriterebbe di essere approfondito per coglierne il senso, le implicazioni e gli effetti. Ma non qui, non questa volta almeno.
Ci fu poi un’ulteriore caratteristica della copertura informativa di Mani Pulite ad opera dei mass media: in buona parte i professionisti dell’informazione la intesero all’insegna della condivisione dei suoi scopi e dei suoi metodi sicché lo sguardo critico divenne merce assai rara e si manifestò per lo più a distanza di molti anni dall’epicentro dell’inchiesta[19].
E ci fu infine un aspetto cruciale che divenne la genesi diretta o indiretta di molteplici trasformazioni successive: i PM titolari delle indagini, sia pure con intensità differenti tra loro, abbracciarono la crescente notorietà piuttosto che ritrarsene, diventando personaggi mediatici e testimonial di se stessi.
Come si è visto, ci furono interviste, comunicati diretti all’opinione pubblica, dichiarazioni pubbliche e canali costantemente aperti con la stampa.
Non fu una cosa di poco conto. Si diede vita in questo modo ad un nuovo metodo di comunicazione della giustizia senza più mediazioni e filtri. I pubblici ministeri scesero nell’agorà mediatica e ne occuparono il centro.
Non fu una cosa di sola immagine e di puro rilievo scenico, tutt'altro.
La conquistata centralità dei PM servì loro anzitutto a propagandare una nuova idea di giustizia e di verità: entrambe stavano per intero nei risultati delle loro attività.
Lo si coglie con la massima chiarezza nel comunicato letto in TV da Antonio Di Pietro, riportato nella nota n. 11 della seconda parte.
Frasi come «persone raggiunte da schiaccianti prove in ordine a gravi fatti di corruzione» e «precedenti misfatti» riferite a indagati equivalgono a dire che le indagini preliminari hanno già raggiunto la verità cui è preordinato il giudizio penale e che le fasi e i gradi che seguiranno non potranno che confermarla.
A parte questo primo ed essenziale messaggio, altri e non meno importanti possono essere colti nelle parole del Dr. Di Pietro: l'incombenza e la diffusione del male, l'inefficienza delle istituzioni e la disfunzionalità degli strumenti messi in campo a fronte di un'emergenza così maligna e nefasta, il contrasto tra legge e coscienza, la frustrazione di chi prova sentimenti di giustizia ed equità, la solitudine di chi prova a resistere, la chiamata alle armi degli uomini di buona volontà perché si raccolgano attorno alla cittadella assediata (la Procura di Milano, va da sé) e uniscano le loro forze a quelle di chi è ancora in piedi a combattere nonostante ogni avversità e chiede solo di potere continuare.
Se il pregio delle parole dovesse essere misurato solo in base alla loro capacità di arrivare al cuore delle persone, quelle del PM Di Pietro furono un innegabile capolavoro.
E se la loro efficacia stesse nel suscitare sentimenti di identificazione e desiderio di schierarsi a fianco dell'oratore, il capolavoro fu doppio[20].
Si conclude qui ma il tema sarà ripreso più avanti così da valutarne in modo più compiuto le ulteriori implicazioni.