Indicatori, procedure e sorveglianza macroeconomica
Indicatori, procedure e sorveglianza macroeconomica
Nell’ultimo decennio si è potuto constatare l’insorgenza di maggiori squilibri macroeconomici nell’UE. Ciò ha pesato non poco sulla crisi finanziaria del 2008 e degli anni successivi, determinando conseguenze negative in termini di competitività del Paese, con l’effetto di non consentire più un efficace ricorso a misure di politica monetaria, se non quelle di innalzare il saggio di sconto, producendo una politica restrittiva per tutti i Paesi dell’UE.
Nel 2011, con il “colpo di mano” targato Goldman Sachs and Company, l’UE ha istituito la PSM, procedura d’infrazione per squilibri macroeconomici. Consiste, in sintesi, in una procedura di sorveglianza e successivamente di esecuzione che consente di individuare e correggere in tempo gli squilibri negli Stati membri che li manifestano, con lo scopo di evitare “l’effetto contagio” tra i vari Stati.
Come riferimenti giuridici dei meccanismi di sorveglianza si ricordano l’art. 3 del TUE e gli artt. 119, 121 e 136 del TFUE. Si specifica che nel TUE gli Stati contraenti istituiscono l'Unione europea e le attribuiscono competenze per conseguire i loro obiettivi comuni. Il TUE si compone di 55 articoli. Il TFUE organizza, invece, il funzionamento dell'Unione e determina i settori, la delimitazione e le modalità d'esercizio delle sue competenze.
Si tratta di meccanismi di sorveglianza che utilizzano parametri in grado di accendere in modo automatico la “spia sul cruscotto”, cercando di prevenire e correggere per tempo gli squilibri macroeconomici all’interno dei Paesi UE. Questa sorveglianza si connette al cd. “semestre europeo”, introdotto con la L. n. 196/2009.
La sorveglianza si basa su elementi e procedure complesse.
- La relazione della Commissione europea sul meccanismo di allerta (AMR) viene redatta sulla base di indicatori di squilibri esterni, quali le partite correnti, patrimonio netto, tasso di cambio reale, esportazioni, costo del lavoro. Poi, anche sulla base di indicatori di squilibri interni, quali i prezzi delle abitazioni, i flussi di credito nel settore privato, il risparmio privato, il debito del settore privato, il debito pubblico, il tasso di disoccupazione, la variazione delle passività del settore finanziario.
Ogni indicatore ha una soglia limite, superata la quale iniziano i problemi, differenziando l’analisi a seconda che si tratti di Paesi all’interno o meno della zona euro. Queste criticità possono mettere a rischio la stabilità della moneta, creando fluttuazioni imprevedibili che allarmano i mercati finanziari, molto sensibili a qualunque percezione di instabilità.
Quando uno Stato supera più soglie, la Commissione avvia un’indagine approfondita per monitorare costantemente la politica economica e di bilancio dello Stato sotto osservazione, indicando le linee guida per correggere gli squilibri.
- Le raccomandazioni sono strumenti che devono necessariamente precedere le procedure d’infrazione. Infatti, quando la Commissione europea ravvisa squilibri macroeconomici, deve informare il Parlamento, il Consiglio e l’Eurogruppo sul superamento delle soglie. In base all’art. 121.2 TFUE, il Consiglio può rivolgere allo Stato membro interessato le raccomandazioni specifiche necessarie, che si sommano a quelle di rito contemplate nel mese di luglio dal Semestre europeo nei confronti di tutti i Paesi membri.
- Vi sono anche raccomandazioni correttive, quando si tratta di squilibri eccessivi, cioè molto evidenti e che si trascinano per più di due anni consecutivi. L’informativa della Commissione, oltre agli organi sopra citati, deve andare anche al Comitato europeo per il rischio sistemico (CESR). In base all’art. 121.4 TFUE, il Consiglio adotta una raccomandazione che certifica il rischio eccessivo, intimando al Paese membro di adottare un piano d’azione correttivo entro un certo termine (ordinatorio, non perentorio), adottando tutte le misure necessarie per il rientro dalla situazione di rischio.
- Il Piano d’azione correttivo dello squilibrio sarà valutato entro due mesi dal Consiglio, tenendo conto della relazione della Commissione.
- La valutazione da parte del Consiglio, dopo la raccomandazione della Commissione, porta alla decisione, con la quale il Consiglio verifica l’inadempimento, dovuto all’inerzia dello Stato membro che non rispetta il termine per riallinearsi ai parametri europei. Vengono fissati nuovi termini (sempre ordinatori) per consentire l’adozione delle misure correttive. Il Consiglio deve informare il Consiglio europeo.
Si ricorda, per completezza, che i termini ordinatori non hanno efficacia vincolante e non producono effetti sanzionatori, a differenza di quelli perentori che se non rispettati provocano la decadenza del provvedimento e le relative sanzioni; infine i termini dilatori, che consentono di fissare il momento prima del quale un atto non può essere compiuto, spostando quindi l’efficacia del provvedimento nel tempo.
- Le sanzioni. Possono essere inflitte sanzioni progressive per squilibri eccessivi, che prevedono un deposito fruttifero, oppure ammende annuali nella misura dello 0,1% del Pil nazionale.
A questo punto è utile riportare alcuni risultati conseguiti delle procedure per gli squilibri macroeconomici, osservando che il numero dei Paesi membri che sono stati oggetto di osservazione dal 2012 al 2016 è 19; nel 2018 è sceso a 12; nel 2019 a 13; nel 2023 a 15.
In estrema sintesi, quelli che hanno presentato squilibri degni di attenzione sono 11 nel 2018, 10 nel 2019, 5 nel 2023.
Quelli che si è ritenuto abbiano presentato anche segni di squilibri eccessivi sono 6 nel 2017, 3 nel 2019, 3 nel 2023.
La BCE, organo di politica monetaria dell’UE, ha tra i suoi compiti anche quello di stimolare e monitorare (ma senza poteri di controllo!) che gli sforzi correttivi dei singoli Paesi membri dell’UE, attraverso i meccanismi di sorveglianza, siano costantemente applicati dalla Commissione e dal Consiglio. La condizione migliore che consente di evitare contraccolpi finanziari nell’area Euro è il costante monitoraggio, che si concretizza in un dialogo con le autorità nazionali, visite di esperti e relazioni periodiche.
In tutto questo che ruolo ha il Parlamento europeo? C’è il rischio che un deficit democratico possa insinuarsi in un meccanismo così complesso di procedure?
Con il Trattato di Lisbona il Parlamento è diventato co-legislatore nella sorveglianza multilaterale, in base all’art. 121.6 TFUE. Quando si tratta di sorveglianza macroeconomica, gli atti legislativi non possono prescindere dal dialogo economico, cioè un dialogo tra le istituzioni europee che “dovrebbe” garantire maggiore trasparenza, responsabilità e rendicontazione. Quindi, il ruolo del Parlamento può essere individuato proprio in quella istituzione che crea le condizioni politiche di dialogo sulla base delle scadenze del Semestre europeo. Ciò con lo scopo specifico di evitare il più possibile le situazioni di squilibri eccessivi, tenendo in considerazione i bilanci e la politica economica di ogni singolo Stato membro. Infatti, non si deve trascurare la tenuta dei conti, il rapporto deficit/Pil e debito/Pil, che rappresentano la cartina di tornasole della situazione finanziaria di uno Stato.
La collaborazione tra istituzioni europee nell’utilizzo degli indicatori nella valutazione degli squilibri macroeconomici è fondamentale, anche per riformulare i Regolamenti e le Direttive in senso più idoneo a tale scopo. Uno stretto coordinamento tra autorità europee e nazionali è doveroso, anche per stabilire se e come rimodulare le regole dei trattati.
I Trattati non sono dogmi, non è richiesto un atto di fede, possono essere rinegoziati e rimodulati in base alle dinamiche che man mano cambiano l’assetto economico-finanziario non solo europeo ma anche mondiale. D'altronde, ci sono andamenti ciclici dovuti all’alternanza di fasi favorevoli e fasi avverse dell’economia mondiale, per cui deve essere sempre valutata l’opportunità di introdurre eccezioni, che consentano di tenere il ritmo del volano economico su di giri, altrimenti si rischia di avere i conti in ordine ma di causare recessione, deflazione e, nei casi estremi, anche il default degli Stati più fragili, che hanno un indebitamento più forte.
Dal punto di vista economico, anche se il debito pubblico è elevato, si deve considerare che puntare sulla crescita del Pil è un modo di renderlo meno negativo; poi, se il debito è acceso e acquistato per la maggior parte dallo stesso Paese in cui si è prodotto, questo è un segnale positivo, ciò che non ha considerato, per esempio, la Francia negli ultimi anni, a differenza dell’Italia. E gli effetti si vedono sui conti pubblici. Anche gli USA hanno problemi seri di debito pubblico, che per una gran parte è nelle mani di sottoscrittori stranieri; la loro prima fortuna è quella di avere come moneta il dollaro, moneta internazionale riconosciuta per le transazioni di petrolio, gas e materie prime in genere; la seconda fortuna è di essere svincolati dalle regole europee che vietano la svalutazione monetaria, potendo riallineare la loro competitività senza grandi sforzi.
Un’altra considerazione, in un contesto difficile come quello che abbiamo avuto dal 2020 in poi, è che la BCE deve saper calibrare il saggio di sconto in modo tale da non abbattere eccessivamente i consumi e gli investimenti (es. quelli immobiliari) per il timore di non controllare l’inflazione. Infatti, è preferibile un’inflazione lievemente superiore al 2% piuttosto che fermare l’economia di un Paese.
Se poi, attraverso la paura amplificata e a mio avviso ingiustificata un governo si permette di “chiudere” un Paese addirittura con il coprifuoco, ignorando scientemente le garanzie costituzionali, si crea un precedente gravissimo, un pericolo che nemmeno in tempi di guerra fu contemplato. Per un giurista come il sottoscritto, il comportamento politico-sanitario scelto è aberrante, non giustificabile da nessun punto di vista, pericoloso a tutti gli effetti, qualunque sia l’emergenza da fronteggiare. Fermare l’economia e la fiducia nei movimenti finanziari di un Paese, per il sottoscritto è una scelta scellerata, dalle conseguenze imprevedibili. J. Stiglitz avrebbe avuto qualcosa da dire in merito, rimarcando la gravità di una scelta simile. Non andiamo oltre.
Ritornando sui nostri passi, il ruolo del Parlamento europeo è quello di coinvolgere maggiormente i parlamenti nazionali, favorendo incontri con le commissioni competenti, in modo da contemperare le esigenze degli ordinamenti giuridici e politici nazionali con quelli europei. Ciò si traduce in un maggior coinvolgimento dei parlamenti nazionali nelle procedure del Semestre europeo e soprattutto nella preparazione dei programmi di stabilità e crescita (PSC) e programmi di riforma (PNR), in sinergia con le istituzioni europee. Questo modo di procedere può favorire una maggiore trasparenza, fattibilità e responsabilità nelle decisioni pubbliche, nella gestione della res publica, una questione che ci riguarda tutti, anche coloro che si avvicinano timidamente alla realtà complessa di un mondo sempre più globalizzato e interconnesso.