Carl Menger: un liberale laico e riformista
In occasione del centenario della morte del fondatore della Scuola austriaca Carl Menger, scomparso a Vienna il 26 febbraio 1921, Liberilibri ha pubblicato nel 2021 Un altro Menger. Scritti polemici, volume curato da Raimondo Cubeddu, professore ordinario di Filosofia politica all’Università di Pisa (e già autore per Liberilibri de Le istituzioni e la libertà uscito nel 2007), e da Marco Menon, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Civiltà e forme del sapere dell’Università di Pisa.
Il libro raccoglie una selezione degli interventi pubblici del grande economista, scritti solo “apparentemente” minori e disparati che, al contrario delle sue opere maggiori, contribuiscono a far luce sulla personalità, il pensiero, le vicissitudini personali e politiche di uno dei più grandi, innovativi e influenti economisti e filosofi sociali di tutti i tempi, restituendone un’immagine per molti versi inedita.
Questi scritti, a volte molto brevi e occasionali, per lo più articoli apparsi sulla stampa viennese con cui Menger collaborava e mai pubblicati sinora in lingua diversa dall’originale, non lasciano dubbi sul suo liberalismo: Carl Menger era tutt’altro che un “prudente conservatore”, come sosteneva Hayek, era piuttosto un liberale laico e riformista, attento alle questioni sociali ma privo di inclinazioni stataliste ed era, soprattutto, un appassionato educatore. Queste pagine consentono infatti di chiarire anche la genesi e l’autoconsapevolezza della Scuola austriaca, e mostrano la cocente passione di Menger per la ricerca, per la didattica e la cura per la formazione dei propri allievi come pure della classe dirigente austriaca.
La raccolta comprende recensioni alle opere dei principali esponenti della Scuola austriaca, alcuni articoli su questioni politiche, e un pamphlet redatto a quattro mani con il Principe Rodolfo d’Austria. È inoltre arricchita da interviste e documenti pressoché ignorati dalla letteratura scientifica, e completata da un’Appendice che riassume le tesi di un libro polemico contro le idee religiose di Menger scritto nel 1908 dal gesuita Alois J. Peters, riscoperto da Raimondo Cubeddu.
Ecco un gustoso – e in questo caso non certo polemico – brano tratto dal capitolo “Un ritratto del Principe Rodolfo”:
«Il Principe Rodolfo era alto e snello, e la sua figura, valorizzata da un’accurata scelta del vestiario, gli conferiva un aspetto nobile e aristocratico. Pure in abiti civili o in tenuta da caccia la sua figura, la sua andatura e le sue movenze lo rendevano riconoscibile già da distante. Anche persone che non lo conoscevano erano colpite dalla sua presenza. In gioventù aveva una voce allegra, suadente; era d’aspetto dolce, quasi femmineo; aveva un volto dall’incarnato lieve, roseo, che ben si accompagnava ai suoi capelli biondi, e soprattutto degli occhi molto belli, chiari, dallo sguardo intenso. Una volta maturo, il suo aspetto acquisto un’espressione seria, mentre la sua figura mantenne la plasticità dell’età giovanile. Era di forza fisica non comune e possedeva una rara resistenza alla fatica, probabilmente l’unica caratteristica di cui il Principe si vantava un po’.
Il tratto del Principe che più colpiva era il suo irrefrenabile anelito all’apprendimento. In giovane età era stato uno studente nel miglior senso della parola, ed è rimasto tale anche negli anni della maturità, quando personalità di simile collocazione sociale facilmente lasciano cadere qualsiasi anelito ulteriore nell’ambito delle scienze. È dovuto venire a capo di tutte le materie d’insegnamento del ginnasio e della facoltà di Giurisprudenza, calcolate per dodici anni, in un tempo molto più breve di quello concesso agli altri giovani, poiché il suo diciottesimo anno di età era stato stabilito come termine dei suoi studi. In questo periodo ha dovuto fare anche approfonditi studi militari. Il suo successo di fronte a quella grande quantità di materie di studio e il suo brillante superamento degli esami (niente affatto meramente strumentali al diploma, e sempre per la piena soddisfazione dell’Imperatore, che vi assisteva) erano dovuti soltanto alla sua buona memoria, alla sua non comune capacita di comprensione e al suo impegno. Allo stesso tempo, il Principe Rodolfo aveva sempre anche tempo e voglia di lavorare per occuparsi in maniera particolarmente approfondita di alcune delle sue materie preferite, oltre i limiti dei compiti che gli erano stati assegnati.
Era tipico del Principe cercare di dare forma al sapere appreso mettendolo per iscritto in modo autonomo, qualora avesse suscitato il suo particolare interesse. In gioventù ha riempito, di sua iniziativa, innumerevoli quaderni di elaborati scritti, ed era straordinariamente felice e orgoglioso se per questa ragione otteneva la lode dell’Imperatore o dell’Imperatrice, quando degnavano della loro attenzione questi quaderni. Negli anni successivi questo impulso creativo si è concretizzato nelle sue descrizioni di viaggi, date alle stampe, nelle sue trattazioni ornitologiche e nelle sue altre pubblicazioni. I suoi scritti sono caratterizzati da uno stile leggero e gradevole, e da una inusuale capacita d’osservazione. Era in grado di descrivere con dovizia di particolari gli oggetti più complessi che aveva visto solo di sfuggita. Ad esempio, egli sapeva, dopo i ricevimenti ufficiali, di quali decorazioni fossero ricoperti i singoli dignitari, o come fossero abbigliate le dame. Poteva descrivere nel minimo dettaglio le mire dei dignitari stranieri. In qualche modo le caratteristiche particolari delle personalità con cui aveva avuto a che fare, specialmente dei diplomatici, non sfuggivano mai alla sua finissima capacità di osservazione. Ha scritto i suoi numerosi e ampi libri in grande fretta e senza apportare miglioramenti al testo. Ha dettato agli stenografi parola per parola la maggior parte di questi libri. Si arrabbiava molto ogniqualvolta gli capitava a tiro d’orecchio l’opinione tanto diffusa secondo cui nelle sue opere date alle stampe sarebbe stato aiutato da altre persone, specialmente dai suoi insegnanti passati. Era così geloso della propria originalità da non permettere a nessuno di dare uno sguardo in anteprima ai manoscritti da lui destinati alla stampa. Anche i discorsi al solito arguti, che il Principe Rodolfo in numerose occasioni pubbliche ha liberamente pronunciato, sono sempre stati farina del suo sacco.
Non minori erano le conoscenze linguistiche del Principe. La natura poliglotta della monarchia già di per sé poneva alla sua competenza linguistica delle grandi sfide. Oltre al tedesco, parlava perfettamente l’ungherese. Era abile anche con la lingua boema, il polacco lo parlava poco, ciononostante con un buon accento. Delle lingue straniere conosceva alla perfezione solo il francese, mentre l’inglese e l’italiano non gli erano familiari.
Nelle relazioni il Principe Rodolfo era di riconosciuta affabilità. Aveva la tendenza a sopravvalutare gli uomini di grande talento e specie quelli con una grande fama letteraria, mentre alla nobiltà dei natali o della condizione sociale badava ben poco oltre il dovuto. La sua inclinazione lo portava ad avere a che fare con gli studiosi e i letterati, che non perdeva occasione di premiare pubblicamente. Si considerava come uno che condivideva il loro anelito. Aveva sempre pronta una battuta mordace per l’ignoranza accompagnata da superbia, mentre aveva un riguardo bonario per l’erudizione pedante o le arti e lettere prive di forma. Nei rapporti con le persone delle classi privilegiate il Principe Rodolfo brillava per l’eleganza non ricercata e la grazia della sua presenza, e per la sua serena prontezza. Non era solamente la sua elevata condizione sociale a far sì che si raccogliesse sempre una grande cerchia di persone laddove gli capitasse di apparire. Presso le corti straniere lasciava dietro di sé sempre l’impressione più brillante. Questi successi sociali non erano il risultato di una gentilezza intenzionale o della brama di apparire spiritoso, quanto piuttosto di un sereno lasciarsi andare e di una formazione non comune, che tornava utile alla sua prontezza. Chi lo aveva conosciuto più da vicino non poteva dimenticarlo facilmente.»