Quale sorte per gli embrioni crioconservati. Un’analisi etica

embrioni crioconservati
embrioni crioconservati

Le argomentazioni che seguono danno per assodata l’evidenza della biologia dello sviluppo secondo la quale il mio ciclo vitale è iniziato quando i citoplasmi dei gameti dei miei genitori si sono fusi. E danno per dimostrata la conclusione filosofica secondo la quale ogni vivente della specie umana è individuo, è persona[1].

Le tecniche di fecondazione extracorporea – come la FIVET e la ICSI – prevedono la possibilità di congelare gli embrioni nei primissimi stadi di divisione cellulare. Nel 1983 venne data notizia della prima gravidanza umana ottenuta con un embrione scongelato, embrione che era stato sottoposto al congelamento quando si componeva di otto cellule[2].

 

Indicazioni e conseguenze

Si ricorre al congelamento degli embrioni quando il processo di fertilizzazione in provetta ha ottenuto un numero di embrioni superiore a quello utile al primo tentativo di trasferimento nella tuba o nell’endometrio, per cui gli embrioni giudicati trasferibili, ma non trasferiti vengono congelati; oppure quando la donna non è disponibile a sottoporsi al trasferimento degli embrioni nella tuba o nell’endometrio il giorno programmato, e le cause possono essere le più diverse: perché rinuncia a proseguire la procedura, perché è fisicamente o psicologicamente indisposta.

Gli embrioni sono conservati in azoto liquido a una temperatura pari a -196° e sono definiti in uno stato di crio-stabilità. Questa condizione di stabilità può durare molto tempo, salvo eventi fototossici, come i radicali liberi e la formazione di macromolecole imputabili a precedenti radiazioni ionizzanti e all’azione di raggi cosmici[3]. Alcuni studi condotti sui mammiferi in generale ritengono che la crioconservazione potrebbe durare anche centinaia di anni e non influenzerebbe le cellule embrionali[4]. Comunque sono registrati casi di gravidanze con nati vivi e vitali dopo anni di congelamento: dopo 7 anni e 5 mesi[5], dopo 8 anni[6], dopo 8 anni e 9 mesi[7], dopo 12 anni[8], dopo 13 anni[9], dopo 19 anni e 7 mesi[10].

Quindi allo stato attuale la durata del congelamento non è un criterio oggettivo utile a capire se l’embrione sia vitale e viabile. L’embrione è viabile quando allo scongelamento ha la possibilità di impiantarsi nell’endometrio uterino e di iniziare la gravidanza, tale possibilità è valutata sulla base delle sue qualità morfologiche. L’embrione è vitale quando è capace di sviluppare in modo integrato la divisione cellulare, la crescita e la differenziazione. L’embrione viabile è sempre vitale. Si può dare il caso di un embrione vitale ma non viabile, cioè incapace di impiantarsi, e questa incapacità di impiantarsi può derivare da anomalie irreversibili nel suo sviluppo, anomalie irreversibili che spesso vanno imputate alle tecniche di produzione usate.

Le percentuali di sopravvivenza dell’embrione allo scongelamento variano abbastanza a seconda dello stadio di vita in cui l’embrione è crioconservato (embrione di due pro-nuclei; embrione di 2-8 cellule; embrione allo stadio di blastocisti) e del modo con cui è stato ottenuto l’embrione (ad es. con o senza ICSI) e oscillano da un massimo del 96% a un minimo del 51%[11]. Le percentuali di successo dell’impianto nell’endometrio oscillano tra un massimo del 25% e un minimo del 6,9%. E le percentuali di gravidanza oscillano tra un massimo del 33% e un minimo del 3,1%.[12]

 

Diffusione del fenomeno in Italia

In Italia qual è la diffusione del fenomeno? Limito la mia analisi all’ultimo dato ufficialmente disponibile, cioè il 2017. Nel corso del 2017 gli embrioni umani formati in provetta e giudicati trasferibili sono stati 107.435; il 40,1% di questi, cioè 43.076 è stato congelato; mentre ne sono stati scongelati 29.226[13]. «Dei 29.226 embrioni scongelati nel 2017, 27.528 sono sopravvissuti allo scongelamento con un tasso di sopravvivenza del 94,2%. Gli embrioni sopravvissuti sono stati in piccola parte congelati (1,1%) e per la maggior parte (82,7%) utilizzati per il successivo trasferimento in utero»[14].

Il fenomeno del congelamento degli embrioni si è notevolmente sviluppato a partire dalla sentenza della Corte costituzionale n. 151 del 2009 che ha eliminato il limite – originariamente previsto nella legge 40/2004 – di produrre solo gli embrioni utili a un trasferimento. E quindi di fatto ha aperto la possibilità del congelamento.

anno

Embrioni congelati

Embrioni scongelati

Differenza stimata[15]

2010

16.280

8.779

7.501

2011

18.978

11.482

7.496

2012

18.957

12.611

6.346

2013

22.143

14.224

7.919

2014

28.757

16.536

12.221

2015

34.490

20.444

14.046

2016

38.443

23.169

15.274

2017

42.779

29.226

13.553

totale

 

 

84.356

 

Possiamo stimare che in Italia ci siano circa 84.356 embrioni umani in stato di crioconservazione. È molto verosimile che tale cifra sia ridotta per difetto. In ogni caso non sappiamo neanche quanti degli embrioni umani crioconservati sono in attesa di trasferimento nella tuba o nell’endometrio e quanti sono in stato di abbandono nel senso che la coppia che ha partecipato al processo di fecondazione non intende proseguire i tentativi di trasferimento.

Di fronte a questo stato di cose quale può essere una soluzione umanamente degna per questi esseri umani di vita embrionale, abbandonati in azoto liquido a - 196°?

 

L’unica soluzione proporzionata

La soluzione proporzionata, ordinaria e moralmente legittima è quella di invitare la madre a tentare l’annidamento dell’embrione e così iniziare la gravidanza. Questa soluzione rispetta perfettamente il diritto del figlio a svilupparsi e crescere nel grembo della propria madre, e non di altri: la cavità uterina non è un forno, ma è il luogo nel quale inizia il rapporto materno-embrionale che è decisivo sia per lo sviluppo fisico che psichico del figlio. Ma se questa soluzione è impraticabile – ad esempio per morte della madre o sua indisponibilità fisica – quali soluzioni si prospettano?

 

Altre quattro soluzioni

Una prima soluzione consisterebbe nella distruzione, cioè nel provocare direttamente la morte. Questa soluzione è contraria al principio di uguaglianza tra gli esseri umani. E perciò non è eticamente accettabile.

Una seconda soluzione consisterebbe nell’usare le cellule embrionali a scopo di ricerca o di estrazione di cellule staminali. Il Parlamento dell’Unione Europea il 15 giugno 2006 votò – con 284 voti favorevoli, 249 contrari e 32 astensioni – il Programma strutturale sulla ricerca sugli embrioni umani. Esso prevede la possibilità di usare ai fini di ricerca le cellule derivanti da embrioni soprannumerari abbandonati. Questa soluzione fa prevalere gli interessi della ricerca scientifica sulla tutela del vivente uomo e sul divieto di fare esperimenti su esseri umani incapaci di dare il consenso. Il Codice di Norinberga, il Codice di Helsinki, la Dichiarazione Unesco del 2005 prevedono esplicitamente che: «La ricerca scientifica deve essere praticata soltanto con il previo, libero, esplicito consenso informato della persona sottoposta» (Dichiarazione Unesco 2005, art. 6, b) e circa chi è incapace a dare il consenso prescrive che: «La ricerca deve essere praticata soltanto per il beneficio di colui che è sottoposto alla sperimentazione» (Dichiarazione Unesco 2005, art. 7, b). Questa seconda soluzione è contraria non solo al principio di uguaglianza tra esseri umani, ma anche a questi due principi della ricerca scientifica, e quindi non è eticamente accettabile.

Una terza soluzione consisterebbe nell’adozione per la nascita, detta anche adozione prenatale: una donna e un uomo vogliono sottrarre all’azoto liquido un essere umano di età embrionale e dargli una possibilità di nascita e quindi di vita prima intra-uterina e poi extra-uterina. La coppia adottante è mossa da questa nobile intenzione, la donna adottante è disponibile a sottoporsi alle terapie ormonali per disporsi al trasferimento e all’impianto dell’embrione, a portare a termine la gravidanza e la coppia è disponibile a crescere ed educare quest’essere umano dopo il suo parto. Tale soluzione non è equivalente alla fecondazione eterologa perché nel nostro caso la fecondazione è già avvenuta, ed è avvenuta per volontà indipendenti e autonome rispetto a quelle della coppia adottante. Tale soluzione non è neanche equiparabile all’utero in affitto, perché la donna della coppia adottante inizia la gravidanza e dopo il parto è decisa ad assumere con l’uomo il ruolo di genitore, di custode della vita fisica e psichica del neonato. Questa soluzione apre alcuni problemi etici.

a) La donna diventa incinta non in seguito a un rapporto coniugale con suo marito ed è incinta non di suo figlio. Sotto questo aspetto c’è la lesione del bene che è il matrimonio.

b) Restano i rischi per la salute della donna adottante: si deve sottoporre a trattamenti ormonali per preparare la mucosa dell’endometrio all’impianto. Restano anche i rischi per la salute e la vita dell’embrione adottato. Ora mi domando: l’esposizione a tali rischi è proporzionata rispetto ai benefici sperati? Il maggiore beneficio sperato è sottrarre al congelatore un essere umano di vita embrionale e dargli una prospettiva di nascita. Il rischio peggiore è l’alta percentuale di morte degli embrioni in occasione dello scongelamento (che alcuni stimano pari al 30-35%[16] e che dai dati relativi alla percentuale di sopravvivenza sappiamo oscillare tra il 4% e il 49%). L’esposizione al rischio di morte in questa fattispecie si configura come una possibilità reale all’interno di una procedura voluta, quindi come effetto collaterale non voluto intenzionalmente, ma previsto, messo in conto dalla procedura tecnica. Quindi, nel nostro caso la morte è un fenomeno eticamente distinto dalla morte come evento che capita.

c) Perciò, esporre la donna adottante a quei rischi e soprattutto esporre l’essere umano di età embrionale a quei rischi non significa forse intraprendere una sorta di accanimento procreatico?

Una quarta soluzione «è quella di permettergli di morire, sottraendolo a quel mezzo sproporzionato, straordinario e temporale che è la crioconservazione (che è un mezzo, tra l’latro, che non assicura in sé nemmeno la vita, poiché non sappiamo se l’embrione crioconservato sia realmente vivo fino a quando non si procede al decongelamento)»[17]. Presenta una difficoltà di realizzazione: come posso permettere che l’embrione oggi congelato domani muoia senza che io provochi direttamente la morte? Il permettere che muoia passa dal sottrarlo al congelamento. E chi lo sottrae al congelamento ne provoca la morte. Questa soluzione è «emotivamente tragica», non può «essere accettata con indifferenza e senza, nel contempo, che si creino le condizioni giuridiche e culturali affinché non ricorra più, in nome della “salute riproduttiva” alla crioconservazione»[18].

 

Conclusione

Ognuna delle quattro soluzioni che ho prospettato sollevano – in misura diversa – gravi problemi etici. Nessuna delle quattro è esente da critiche. Nessuna ci soddisfa come uomini. Ognuna implica dei disordini, delle ingiustizie più o meno gravi. Queste soluzioni gravemente ingiuste e disumane sono la conseguenza del gravissimo disordine compiuto all’inizio: aver separato la generazione dell’uomo dall’atto sessuale, averlo ridotto a un fatto solo biologico e aver congelato l’uomo appena concepito.

Che nessuna delle quattro soluzioni soddisfi la nostra umanità segnala che gli esseri umani di vita embrionale congelati si trovano in una condizione di ingiustizia talmente grave che è impossibile porvi rimedio.

In tal senso la Congregazione per la dottrina della fede con l’istruzione Dignitas personae insegna: «Occorre costatare, in definitiva, che le migliaia di embrioni in stato di abbandono determinano una situazione di ingiustizia di fatto irreparabile. Perciò Giovanni Paolo II lanciò un “appello alla coscienza dei responsabili del mondo scientifico ed in modo particolare ai medici perché venga fermata la produzione di embrioni umani, tenendo conto che non si intravede una via d’uscita moralmente lecita per il destino umano delle migliaia e migliaia di embrioni “congelati”, i quali sono e restano pur sempre titolari dei diritti essenziali e quindi da tutelare giuridicamente come persone umane”»[19].

 

[1] Per l’evidenza biologica e per la dimostrazione filosofica mi sia consentito rinviare al mio: L’embrione umano: qualcosa o qualcuno?, quarta edizione, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2010.

[2] Cf. Trounson A., Mohr L., Human pregnancy following cryopreservation, thawing and transfer of an eight-cell embryo, in «Nature» 1983, 305 (5936) 707-709.

[3] «Fertility and Sterility» 2002 (77) 1074.

[4] «Fertility and Sterility » 2010 (93) 109.

[5] «Human Reproduction» 1999 (14) 1650.

[6] «Human Reproduction» 1998 (13) 2970.

[7] «Fertility and Sterility» 2002 (77) 1074.

[8] «Human Reproduction» 2004 (19) 328.

[9] «Medicina e Morale» 2006, 1217.

[10] «Fertility and Sterility» 2011 (95) 1120.

[11] Cf. Serebrovska Z., Di Pietro M. L., Bompiani A., Fecondazione artificiale e crioconservazione degli embrioni, in «Medicina e Morale» 2006, 13-39, specie 23 e 31.

[12] Cf. Ibidem, 23.

[13] Cf. Ministero della salute, Relazione al Parlamento sull’applicazione della legge 40/2004, pubblicata il 26 giugno 2019, 132.

[14] Ibidem, 123.

[15] I dati numerici degli embrioni congelati e degli embrioni scongelati sono ricavati da Ministero della salute, Relazione al Parlamento..., pubblicata il 26 giugno 2019, 120. La differenza stimata non compare nella relazione, è elaborata da me, perciò la dico “stimata”: in particolare non tiene conto dei dati precedenti al 2010 e del fatto che un embrione congelato in un anno solare (es. 2009) possa essere stato scongelato l’anno solare successivo (es. 2010) per essere sottoposto a trasferimento.

[16] Cf. Comitato Nazionale per la Bioetica, L’adozione per la nascita degli embrioni crioconservati e residuali derivanti da procreazione medicalmente assistita (P.M.A.), 18 novembre 2005.

[17] Pessina A., La disputa sull’adozione degli embrioni umani. Linee per una riflessione filosofica, in «Medicina e Morale» 2013, 1110.

[18] Ibidem, 1111.

[19] Congregazione per la dottrina della fede, Istruzione Dignitatis personae, 8 settembre 2008, n. 18, in Enchiridion di Bioetica, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2020, 1001.