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La causa di non punibilità ex articolo 323 ter Codice Penale

causa di non punibilità
causa di non punibilità

Indice:

1. Premessa

2. La Legge Severino

3. La Legge 69/2015: dalla sanzione alla premialità del comportamento collaborativo

4. Una nuova causa di non punibilità: l’articolo 323 ter Codice Penale

5. In generale: ratio e condizioni di operatività

6. I reati presupposto

7. L’utilità conseguita

8. La non applicabilità “all’agente sotto copertura”

9. Conclusioni

 

1. Premessa

La Legge 9 gennaio 2019, n. 3 (conosciuta come “Legge Spazza-corrotti”) ha introdotto diverse «Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e dei movimenti politici», incidendo organicamente su più settori.

La novella, infatti, coinvolge la parte generale e speciale del codice penale, l’ordinamento penitenziario, il processo penale  e la disciplina della responsabilità da reato degli enti ex Decreto Legislativo n. 231/2001, seguendo le orme delle precedenti riforme, attuate al fine di restringere il fenomeno corruttivo quale evento patologico e falsificatore del corretto svolgimento dei traffici giuridici nonché del regolare svolgimento della funzione pubblica.

 

2. La Legge Severino

Un intervento organico in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, dopo quello realizzato dalla Legge 26 aprile 1990, n. 86, è stato introdotto dalla Legge 190/2012 (c.d. “Legge Severino”), la quale risponde all’esigenza di prevedere un sistema più rigido di contrasto al fenomeno corruttivo.

Tale esigenza, in verità, era stata già avvertita a livello internazionale, a seguito del crescente fenomeno di corruzione su larga scala. Dinanzi a un fenomeno tanto espanso, infatti, si rendeva necessaria un’azione coordinata fra più nazioni.

Per tali motivazioni, la legge Severino dà attuazione all’articolo 6 dalla dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro   la   corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116, e degli articoli 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata ai sensi della legge 28 giugno 2012, n.110.

Le modifiche più rilevanti, in ordine ai reati contro la pubblica amministrazione, hanno coinvolto i reati di cui agli articoli 317, 318, 319, 320, 322, 322 bis, 323, Codice Penale, modificando la fattispecie tipica o inasprendo il trattamento sanzionatorio.

Inoltre, sono state introdotte nuove fattispecie di reato agli articoli 319 quater Codice Penale (induzione indebita a dare o promettere utilità) e 346 bis Codice Penale (traffico di influenze illecite).

 

3. La Legge 69/2015: dalla sanzione alla premialità del comportamento collaborativo

La successiva Legge 69/2015 si è limitata a razionalizzare il dato normativo derivante dalla precedente riforma, rendendo le disposizioni normative più armoniche tra di loro a seguito di una rilettura sistematica delle disposizioni stesse e inasprendo la risposta sanzionatoria per i reati contro la pubblica amministrazione. Difatti, ha ulteriormente inasprito il trattamento sanzionatorio, tra gli altri, dei reati di cui agli articoli 314, 318, 319, 319 ter, 319 quater Codice Penale, ed ha riscritto il reato di cui all’articolo 317 Codice Penale.

In aggiunta, ha introdotto l’attenuante di cui al co. 2 dell’articolo 323 bis Codice Penale che riconosce la diminuzione della pena da un terzo a due terzi per colui che, in relazione ai delitti di corruzione, induzione indebita e istigazione alla corruzione previsti dagli articoli 318, 319, 319 ter,  319 quater, 320, 321, 322 e 322 bis Codice Penale, «si sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori nonché per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili».

L’efficace adoperarsi dell’autore del reato – quale condotta post delictum – giustifica l’applicazione della circostanza attenuante a seguito del minor disvalore sociale che connota la condotta stessa.

Il fine ultimo della norma è quello di incentivare il reo, mediante la prospettazione della diminuzione della pena, a collaborare con l’amministrazione giudiziaria allo scopo di ottenere uno dei risultati indicati dalla norma. Non è necessario, dunque, che vi sia il reale e genuino pentimento dell’imputato, quanto, piuttosto, che la collaborazione sia efficacemente idonea a rivelare i fenomeni corruttivi non noti.

 

4. Una nuova causa di non punibilità: l’articolo 323 ter Codice Penale

In linea di continuità con la logica premiale di cui all’articolo 323 bis Codice Penale si colloca l’articolo 323 ter Codice Penale, introdotto dalla Legge Spazza-corrotti.

Difatti, se da un lato il recente legislatore ha continuato a prevedere delle sanzioni più rigide per talune fattispecie criminose (ad esempio, ha inasprito il trattamento sanzionatorio dei reati di cui agli articoli 316 ter, 318 Codice Penale), dall’altro lato ha previsto dei nuovi strumenti premiali, volti all’emersione della corruzione nascosta (c.d. “cifra oscura”).

 

5. In generale: ratio e condizioni di operatività

L’articolo 323 ter Codice Penale è rubricato “Causa di non punibilità”. Difatti, l’articolo suddetto recita «Non è punibile chi ha commesso taluno dei fatti previsti dagli articoli 318, 319, 319 ter, 319 quater, 320, 321, 322 bis, limitatamente ai delitti di corruzione e di induzione indebita ivi indicati, 353, 353 bis e 354 Codice Penale» a condizione che si verifichino congiuntamente le seguenti condizioni:

- il soggetto denunci il fatto volontariamente, fornendo indicazioni utili e concrete per assicurare la prova del reato e per individuare gli altri responsabili, entro il termine di quattro mesi dalla commissione del fatto e comunque non dopo aver avuto notizia di essere sottoposto ad indagini. La conoscenza di un procedimento penale a suo carico, infatti, lederebbe il requisito del volontario ravvedimento a scapito, inoltre, dell’effettiva utilità della denuncia stessa (co. 1);

- il soggetto metta a disposizione l’utilità dallo stesso percepita o, in caso di impossibilità, di una somma di denaro di valore equivalente, ovvero indichi elementi utili e concreti per individuarne il beneficiario effettivo, entro il medesimo termine sopra indicato (co. 2).

In aggiunta, il legislatore prevede un doppio limite: la norma non si applica in favore dell’agente sotto copertura che ha agito in violazione delle disposizioni dell’articolo 9, Legge 146/2016, nonché nel caso in cui la denuncia sia preordinata rispetto alla commissione del reato denunciato.

La legge non specifica il destinatario della denuncia, ma è plausibile ritenere che essa debba essere indirizzata all’autorità giudiziaria o altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne. Pertanto, essa può realizzarsi nelle forme canonizzate di cui all’articolo 333 Codice Procedura Penale.

La logica sottesa alla norma è evidente: il legislatore, introducendo lo strumento premiale dell’auto-denuncia, vuole minare il rapporto fiduciario e omertoso instauratosi tra le parti a seguito del pactum sceleris, insinuando nell’altro il dubbio della possibile denuncia del fatto illecito per conseguire l’esclusivo vantaggio personale dell’impunità.

In tal modo il legislatore, da un lato incentiva la volontaria e tempestiva collaborazione per i reati corruttivi e paracorruttivi tassativamente indicati nella norma, e dall’altro lato persegue il fine ultimo di portare all’evidenza i fenomeni corruttivi non conosciuti.

La non punibilità del “reo confesso” deriva da una scelta polito-criminale del legislatore, dunque da una scelta di inopportunità della pena a fronte di un reato completo nella sua struttura (sposandosi la tesi più accreditata in giurisprudenza della struttura tripartita del reato, suddivisa in fatto tipico, antigiuridico e colpevole, dovendo collocare le condizioni di punibilità fuori dalla struttura del reato stesso).

Pertanto, l’articolo 323 ter Codice Penale rientra tra le cc.dd. cause di non punibilità in senso stretto, le quali, come nel caso di specie, rendono inopportuna la pena a fronte di una condotta successiva alla commissione del reato.

Com’è evidente, tale causa di non punibilità ha natura soggettiva e pertanto, in caso di concorso di persone nel reato, potrà avere effetto soltanto riguardo alla persona fisica a cui si riferisce e non anche ai concorrenti (articolo 119, comma 1, Codice Penale).

 

6. I reati-presupposto

I reati per i quali trova applicazione suddetta causa di non punibilità sono tassativamente indicati dallo stesso legislatore.

Tali reati sono: il reato di corruzione per l’esercizio della funzione (articolo 318 Codice Penale),  di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio (articolo 319 Codice Penale), di corruzione in atti giudiziari (articolo 319 ter Codice Penale), di induzione indebita a dare o promettere utilità (articolo 319 quater Codice Penale) di corruzione di persona incarica di un pubblico servizio (articolo 320 Codice Penale), di corruzione e induzione indebita di cui all’articolo 322 bis Codice Penale,  ed infine i reati di turbata libertà degli incanti (articolo 353 Codice Penale), di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (articolo 353 bis Codice Penale) e del reato di astensione dagli incanti (articolo 354 Codice Penale).

Inoltre, la norma fa espressa menzione dell’articolo 321 Codice Penale, il quale prevede che le pene stabilite per gli articoli 318, 319, 319 bis, 319 ter e 320 Codice Penale si applicano anche a chi dà o promesse al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio il denaro o altra utilità. Tale richiamo rende logicamente applicabile la causa di non punibilità tanto al corrotto quanto al corruttore con lo scopo, come detto, di spezzare il vincolo solidaristico instauratosi tra i contraenti del patto corruttivo.

La natura di causa di non punibilità in senso stretto e la presenza di un elenco di reati minuziosamente definito, sono indici sintomatici della volontà del legislatore di non applicare l’articolo 323 ter Codice Penale a fattispecie di reato diverse, seppur affini, da quelle tassativamente previste dalla norma.

Tuttavia, tali delitti sono strutturalmente diversi fra di loro.

Le fattispecie di reato di corruzione e induzione indicate dalla norma (articoli 318, 319, 319 ter, 319 quater, 320, 321, 322 bis Codice Penale) sono reati plurisoggettivi (di concorso necessario proprio) di natura bilaterale e ben si coniugano rispetto al fine ultimo perseguito dalla norma.

I reati di cui agli articoli 353, 353 bis e 354 Codice Penale, invece, possono essere commessi mediante una condotta monosoggettiva.

Pertanto, può configurarsi l’ipotesi in cui il reato si sia realizzato con la sola condotta del reo e che questi si autodenunci nei termini previsi ex lege per beneficare della causa di non punibilità de quo, senza la presenza di un corresponsabile da denunciare e senza fornire alcun contributo pratico all’attività investigativa.

Sebbene si tratti di reati monosoggettivi, è frequente che tali reati si realizzino in concorso con altri, di talché l’ipotesi innanzi esposta resterebbe priva di risvolti pratici. Tuttavia, non può negarsi la possibilità che tale ipotesi si verifichi in concreto, realizzando una fraudolenta – seppur lecita – applicazione dell’articolo 323 ter Codice Penale.

 

7. L’utilità conseguita

Altro problema riscontrabile si configura in ordine all’utilità del reato. Come detto, la non punibilità del denunciante è subordinata alla messa a disposizione dell’utilità dallo stesso percepita o, in caso di impossibilità, di una somma di denaro di valore equivalente. Qualora tale utilità sia oggettivamente ed economicamente apprezzabile, nulla quaestio. Può accadere, però, che l’utilità conseguita non consista in una prestazione economica, né tanto meno monetizzabile, come ad esempio, la richiesta di una prestazione sessuale.

Stante il tenore letterale della norma, la causa di non punibilità non potrà trovare applicazione senza la messa a disposizione di una utilità percepita o di una somma equivalente.

Come più volte detto, il legislatore ha posto dei vincoli precisi per l’operatività dell’articolo 323 ter Codice Penale: la spontaneità e genuinità della denuncia quale atto di resipiscenza e quindi la non conoscenza di indagini a proprio carico; il rispetto del termine previsto per legge; il contributo effettivo e concreto per assicurare la prova del reato e per individuare gli altri corresponsabili e la messa a disposizione dell’utilità (o somma equivalente) conseguita dal reato.

Ogni singolo elemento richiesto dalla norma appare indispensabile – alla luce degli ambiziosi obiettivi che il legislatore intende perseguire –, a pena della mancata applicazione della causa di non punibilità in parola.

 

8. La non applicabilità “all’agente sotto copertura”

Ultimo profilo di analisi riguarda la non applicazione dell’articolo 323 ter Codice Penale in favore dell’agente sotto copertura che abbia agito in violazione delle disposizioni dell’articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146.

Occorre sin da subito ricordare che la Legge 3/2019 ha modificato anche il tenore letterale di suddetto articolo, riscrivendone totalmente la lett. a), comma 1.

Tale comma, fermo quanto disposto dall’articolo 51 Codice Penale, prevede una ulteriore causa di giustificazione per il c.d. “agente sotto copertura”.

Difatti, l’agente (la cui qualifica è accuratamente descritta dalla norma, definendosi tale solo colui che è parte di un determinato corpo di polizia o altro corpo militare) che commette uno dei reati indicati dall’articolo 9 co. 1 (trattasi, per lo più, di reati plurisoggettivi che presentano notevoli difficoltà di accertamento, tra i quali i reati di corruzione di cui agli articoli 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, e l’ipotesi di traffico di influenze illecite di cui all’articolo 346-bis Codice Penale, anch’essa modificata dalla Legge 3/2019) non è punito qualora:

- rispetti i limiti delle proprie competenze;

- abbia commesso uno o più reati nel corso di specifiche operazioni di polizia;

- perseguiva l’unico fine di acquisire elementi di prova.

La violazione delle condizioni appena descritte comporta, di conseguenza, l’antigiuridicità del fatto di reato posto in essere dall’agente sotto copertura, non potendo operare la causa di giustificazione in parola.

Ebbene, la previsione dell’articolo 323 ter Codice Penale che esclude l’applicabilità all’agente sotto copertura che abbia agito in violazione delle disposizioni di cui all’articolo 9 sopra citato, appare del tutto congrua.

Difatti, una interpretazione sistematica delle norme non permetterebbe l’applicazione di una causa di non punibilità (articolo 323 ter Codice Penale) a quel fatto tipico di reato che, per le modalità con cui si è verificato, sia considerato dall’ordinamento antigiuridico e quindi meritevole di pena (articolo 9, Legge 146/2006).

 

9. Conclusioni

Esaminata nei tratti essenziali la disciplina della causa di non punibilità in parola, si riscontrano comunque profili problematici nella sua concreta operatività.

Come già rappresentato, un primo problema si pone in relazione all’operatività di detta esimente ai reati monosoggettivi ricompresi nel dettato normativo, che sembrano non rispondere integralmente alla ratio prefissata dal legislatore di spezzare il vincolo fiduciario tra i correi nelle fattispecie corruttive e paracorruttive.

Altro problema evidenziato attiene all’applicabilità dell’articolo 323 ter Codice Penale in tutte le non rare ipotesi in cui l’utilità conseguita non sia in alcun modo monetizzabile o comunque sia oggettivamente impossibile la restituzione

In ultimo, occorre interrogarsi sull’effettivo successo della nuova disposizione e sulla reale capacità di portare alla luce la “cifra oscura” nei reati corruttivi: la causa di non punibilità è davvero in grado di spingere il reo a denunciare il fatto di reato nonostante la conveniente pattuizione di quanto stabilito nell’accordo corruttivo?

- F. VERGINE, Il Processo, fasc.1, 1° MARZO 2019.

-V. MONGILLO, La legge “spazzacorrotti”: ultimo approdo del diritto penale emergenziale nel cantiere permanente dell’anticorruzione, in Diritto Penale Contemporaneo, Fascicolo 5/2019.