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Controllo delle esportazioni, sanzioni economiche internazionali e decreto legislativo n. 231 del 2001: nuove sfide e auspicabile sinergia

Decreto 231
Decreto 231

Controllo delle esportazioni, sanzioni economiche internazionali e decreto legislativo n. 231 del 2001: nuove sfide e auspicabile sinergia

 

Indice

Cenni introduttivi sulla responsabilità amministrativa dell’ente da reatpo

Responsabilità per violazione in materia di controllo delle esportazioni e di sanzioni economiche internazionali

Segue: Decreto Legislativo 231/2001: considerazioni di applicabilità

M.O.G. 231 e Export Control: punti di contatto

Conclusioni

 

Abstract

Il contesto geopolitico attuale e lo sviluppo normativo del Decreto Legislativo 231/2001, che ha comportato un progressivo “aggiornamento” della lista dei reati presupposto, pongono nuove sfide per le imprese attive sui mercati internazionali; il presente elaborato analizza quali possono essere i punti di contatto.

 

Abstract

The current geopolitical environment and the regulatory development of Legislative Decree 231/2001, which has resulted in a progressive "updating" of the list of predicate offenses, pose new challenges for companies active in international markets; this paper analyzes what may be the points of contact.


Cenni introduttivi sulla responsabilità amministrativa dell’ente da reato

Per lungo tempo è stata sostenuta la tesi da parte della dottrina penalistica - icasticamente riassunta con l’espressione societas delinquere non potest (G. MARINUCCI, La responsabilità penale delle persone giuridiche. Uno schizzo storico-dogmatico, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, p. 445) - dell’incapacità dell’organizzazione di commettere illeciti. Nel panorama dell’Europa continentale del secolo scorso veniva pertanto rifiutata la previsione della punibilità della persona giuridica (G. MARINUCCI - E. DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2017, p. 807).

Nei decenni a seguire, soprattutto grazie alla giurisprudenza americana, è andata sviluppandosi l’idea della corporate criminal liability, formulando criteri - interpretati dalle corti americane di volta in volta più e meno estensivamente - in base ai quali poter imputare all’organizzazione la responsabilità degli illeciti.

In Italia, con l’attuazione della legge delega n. 300 del 2000 viene emanato nel 2001 il decreto legislativo n. 231, intitolato “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”. La responsabilità degli enti è una responsabilità nascente da reato, in particolare dai reati che sono tassativamente indicati dal legislatore nella terza sezione del primo capo del decreto legislativo n. 231/2001. La normativa ha subito negli anni una costante evoluzione concretizzatasi nel progressivo ampiamento del catalogo dei reati-presupposto, i quali, laddove commessi da persone fisiche (in posizione apicale o subordinata) all’interno dell’ente e nell’interesse o a vantaggio di quest’ultimo, possono comportare la punibilità dell’ente medesimo.

L’aspetto innovativo di questo decreto, che sancisce una rivoluzione copernicana nell’Ordinamento italiano, si concretizza nel fatto che l’ente viene reso punibile sulla base di una imputazione ad esso direttamente addebitabile a seguito della commissione di un reato nel suo interesse o vantaggio (A. MANNA, La c.d. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: un primo sguardo d’insieme, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2002, p. 501) (Articolo 5 d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (Responsabilità dell’ente) “1.  L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente  o  di  una  sua  unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone  che  esercitano,  anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b)  da  persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a). 2.  L’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.”); la novità più rilevante ai nostri fini, tuttavia, consiste in realtà nella costruzione di una normativa finalizzata alla prevenzione dei reati tipici della criminalità economica (A. ALESSANDRI, Note penalistiche sulla nuova responsabilità delle persone giuridiche, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2002, p. 33).

Il decreto legislativo n. 231/2001 si caratterizza infatti per una componente di natura premiale per le società (e gli altri enti): promuove l’adozione di modelli di organizzazione, gestione e controllo adeguati a prevenire i reati mediante la prospettazione dei vantaggi che deriverebbero dalla loro predisposizione rispetto ai potenziali rischi (G. CANZIO - L. D. CERQUA - L. LUPARIA, Diritto penale delle società. Accertamento delle responsabilità individuali e processo alla persona giuridica, Padova, 2016, p. 875).


Responsabilità per violazione in materia di controllo delle esportazioni e di sanzioni economiche internazionali

Tutte le misure restrittive all’esportazione e/o all’importazione, gli embarghi di qualunque genere, le sanzioni, sia di natura politica che economica, incluse le c.d. “smart sanctions” (sanzioni destinate ad individui o gruppi di individui al fine di ridurre le conseguenze economiche) il diritto doganale, la disciplina del contrasto ai fenomeni criminali e terroristici, sono adottate dalla UE e gli Stati Membri devono conformarsi, anche in ossequio al principio del primato che riveste il diritto dell’Unione Europea rispetto ai diritti nazionali dei singoli Stati Membri. Posto che, fatte salve le debite eccezioni, in linea di principio il diritto della UE è fonte normativa sovraordinata rispetto al diritto nazionale, vi è da dire che generalmente la normativa comunitaria, nella materia dell’Export Control, per quanto afferisce il sistema sanzionatorio, fornisce solamente indicazioni di carattere generale, demandando ai legislatori nazionali il compito di definire il precetto sanzionatorio.

Gli Stati Membri, tuttavia, configurano le violazioni dei regolamenti unionali in modo non uniforme, spaziando dall’ambito del penalmente rilevante a quello amministrativo, con ciò di conseguenza prevedendo sanzioni eterogenee.

A livello nazionale, la più recente fonte normativa in Italia, in materia di violazioni di regolamenti unionali in tema di sanzioni, è il Decreto Legislativo n. 221 del 15 dicembre 2017 (Decreto Legislativo 15 dicembre 2017, n. 221 ‘Attuazione della delega al Governo di cui all’articolo 7 della legge 12 agosto 2016, n. 170, per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della normativa europea ai fini del riordino e della semplificazione delle procedure di autorizzazione all’esportazione di prodotti e di tecnologie a duplice uso e dell’applicazione delle sanzioni in materia di embarghi commerciali, nonché per ogni tipologia di operazione di esportazione di materiali proliferanti’); questo decreto detta la disciplina su esportazioni o servizi di intermediazione posti in essere in violazione degli obblighi previsti dal regolamento sui prodotti dual use dal regolamento antitortura o altri regolamenti che prevedono restrizioni sui prodotti (si pensi ad esempio a quanto previsto dal Regolamento UE 833/2014 per quanto riguarda specificamente la Russia); specificamente alle “Sanzioni relative ai prodotti a duplice uso ed ai prodotti a duplice uso non listati” (ex articolo 18) e  alle “Sanzioni relative ai prodotti listati per effetto di misure restrittive unionali” (ex articolo 20) sono infatti previste: la pena della reclusione o la pena pecuniaria prevista per i delitti (multa).

Per quanto concerne invece la violazione dei regolamenti in materia di designazione di soggetti (persone fisiche o giuridiche), si deve fare riferimento al Decreto Legislativo n. 109 del 22 giugno 2007 (“Misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l’attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale, in attuazione della direttiva 2005/60/CE”).

Ex articolo 13 del decreto de qua, è infatti sancito che la condotta di chi opera, in violazione delle disposizioni cui all’articolo 5 (comma 1, 2, 4 e 5) del medesimo decreto, soggiace alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 500.000; è vieppiù prevista una analoga sanzione per le violazioni delle norme su obblighi di comunicazione gravanti sui soggetti.
 

Segue: Decreto Legislativo 231/2001: considerazioni di applicabilità

Le previsioni normative, per le violazioni dei regolamenti pocanzi menzionati, non rientrano, tra i reati presupposto ex Decreto 231, non potendosi configurare con ciò la responsabilità per l’ente. Nonostante siano potenzialmente integrati gli elementi necessari per muovere un rimprovero alla società che, operante nel commercio internazionale, ponga in essere operazioni contrarie alle misure restrittive dei regolamenti europei in materia di sanzioni internazionali, il Legislatore italiano non ha ritenuto (per ora) di poter ricomprendere tali fattispecie nei reati presupposto. Posto che, come ribadito, il presupposto per la responsabilità dell’ente nascente da reato (presupposto) sia l’illecita condotta dell’apicale (o di soggetto a lui subordinato) nell’interesse o a vantaggio dell’ente, non risulterebbe astrattamente fuorviante ritenere di inquadrare nello schema della 231 anche la fattispecie della società che opera nel mercato internazionale in violazione degli obblighi previsti dal regolamento sui prodotti dual use ad esempio.

Il ruolo fondamentale che le sanzioni internazionali hanno e stanno avendo nel contrasto all’invasione russa dell’Ucraina, la conseguente importanza di avere degli strumenti punitivi in caso di violazione, nonché il graduale e costante “allargamento” del catalogo dei reati presupposto, non portano ad escludere che le loro violazioni possano essere aggiunte in futuro nel Decreto 231/2001.

D’altro canto, il contesto commercial-internazionale dei regolamenti unionali in materia di congelamento dei fondi e delle risorse di soggetti designati (ovvero di restrizioni economiche sull’esportazione di determinati prodotti o in determinati settori) non sarebbe una novità per il Decreto Legislativo 231/2001.

Nel catalogo dei reati presupposto ve ne sono infatti alcuni che trovano già terreno fertile proprio nelle aree sensibili legate alla gestione delle operazioni commerciali con l’estero. Basti pensare, ai reati di vendita di prodotti industriali con segni mendaci (articolo 517 c.p., richiamato dall’articolo 25 bis Decreto 231), al riciclaggio (articolo 648 bis, richiamato dall’articolo 25 octies Decreto Legislativo 231/2001) e ai reati di contrabbando (artt. 282 ss., d.p.r. 43/1973, richiamati nell’articolo 25 sexiesdecies Decreto 231).


M.O.G. 231 e Export Control: punti di contatto

La valutazione del rischio sotteso alla gestione del processo di import e export comporta la necessità di prendere in considerazione le normative nazionali e internazionali (ad esempio, la verifica della corretta classificazione doganale delle merci, la determinazione di origine non preferenziale e preferenziale delle stesse, nonché la corretta determinazione dei dazi e dei diritti di confine).

Le normative di export control e le autorità incaricate del controllo e rispetto delle previsioni sanzionatorie, raccomandano alle imprese l’adozione di specifici Programmi Interni di Conformità (PIC), rectius sistemi di politiche aziendali e procedure interne volte a introdurre presidi adeguati e proporzionati al rischio per la gestione dell’export control (Cfr. Raccomandazione UE 1318/2019, 30 luglio 2019, contenente le Linee guida finalizzate ad agevolare la predisposizione di un programma interno di conformità – PIC – oggi sostituita e integrata dalla Raccomandazione UE 2021/1700 adottata ai sensi dell’articolo 26, nuovo Regolamento UE 821/2021, entrato in vigore il 9 settembre 2021, che disciplina i controlli sulle esportazioni dei beni a duplice uso, che rimette alla Commissione e al Consiglio la messa a punto di orientamenti e raccomandazioni pratiche per assicurare l’efficienza del regime e la coerenza della sua attuazione).

Nonostante tali Programmi Interni di Conformità nascano come sistemi di compliance volti a regolamentare la movimentazione dei prodotti a duplice uso o, comunque, dei prodotti soggetti a restrizione, è ormai sempre più evidente l’esigenza di regolamentare attraverso tali procedure l’intero processo di import e di export al fine di valutare e gestire correttamente tutti gli aspetti di rischio potenzialmente applicabili (P. QUERCIA, A. ZANCHETTA, Restrizioni internazionali, sanzioni economiche e legge 231. Le misure restrittive ai rapporti economici con la Russia dopo l’invasione del 24 febbraio 2022, in Rivista 231).

Parallelamente, e per quanto concerne i fini di questo contributo, lo stesso Decreto Legislativo 231/2001 prevede, quale unica esimente da responsabilità per gli enti in caso di commissione dei reati di cui al catalogo ex Decreto 231, l’aver adottato e correttamente implementato un efficace ed idoneo Modello di organizzazione, gestione e controllo (cd. Modello 231) che possa regolamentare i processi aziendali nelle aree cd. sensibili alla commissione dei reati presupposto; alla luce di quanto sin qui esposto è evidente come i presidi e i controlli adottati in ambito di export compliance possano potenzialmente essere una parte integrante dell’impianto preventivo posto in essere con il Modello 231.

I modelli sono generalmente suddivisi in una parte generale e in una parte speciale: la prima è dedicata a tracciare la struttura istituzionale del modello e contiene dunque una serie di definizioni, mentre la seconda specifica quali procedure e regole adottare per prevenire i reati. Le regole cautelari possono essere inoltre ulteriormente descritte in modo maggiormente dettagliato all’interno di protocolli operativi cui fa rinvio la parte speciale del modello (C. PIERGALLINI, Paradigmatica dell’autocontrollo penale (dalla funzione alla struttura del “modello organizzativo” ex Decreto Legislativo 231/2001), in Studi in onore di Mario Romano, Napoli, 2011, p. 2059). Emerge dunque come le procedure di export control possano ben coniugarsi al modello 231, posto che l’inserimento del PCI sia parimenti essenziale per la prevenzione degli illeciti.


Conclusioni

Le sanzioni internazionali pongono senz’altro sfide complesse per la compliance e la due diligence delle imprese italiane operanti in mercati internazionali, alla luce soprattutto della dinamica e costante evoluzione della normativa di riferimento.

Dall’analisi sin qui svolta, emerge come le procedure di export control, nell’assolvere una funzione preventiva, prima ancora di corretta (e necessaria) amministrazione di impresa, ricoprono un ruolo fondamentale; per adempiere a ciò è necessario dotarsi di programmi di export compliance che siano stati costruiti dopo un’attenta valutazione del rischio specifico dell’impresa, dei suoi prodotti (o servizi), delle sue catene di fornitura e dei suoi partner internazionali.

Pertanto, dalla comunanza di scopi e dalla potenziale strumentalità della gestione del processo di export con il modello 231, l’auspicabile introduzione delle violazioni delle restrizioni agli scambi economici internazionali nel catalogo del Decreto Legislativo 231/2001 potrebbe portare a benefici in termini di efficacia preventiva ed efficienza di controllo.

L’auspicio, non si traduce in una becera ricomprensione delle violazioni di sanzioni internazionali nell’ambito del penalmente rilevante in un’ottica repressiva-retributiva, bensì nell’innovativa funzione di prevenzione offerta dal Decreto Legislativo 231/2001 che permetterebbe altresì un proficuo svolgimento di operazioni commerciali in ottemperanza alla normativa nazionale e internazionale.