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La "specificità dello sport" riconosciuta nel nuovo progetto di trattato UE: nuovi scenari e prospettive del fenomeno sportivo

Il tema è già stato brevemente richiamato nell’articolo relativo al c.d. Rapporto Belet che, come si ricorderà, conteneva una serie di principi, non vincolanti, elaborati dal Parlamento europeo nella prospettiva di una diffusa riorganizzazione del calcio professionistico in Europa.

Si era sottolineato, in particolare, il rinnovato interesse, da parte delle Istituzioni UE, nei riguardi del fenomeno sportivo, mediante l’adozione di un Libro Bianco (c.d White Paper), ovvero un documento elaborato dalla Commissione Europea (su iniziativa di Jan Figel, Commissario europeo per la Cultura e lo Sport) allo scopo di offrire una visione d’insieme dello sport comunitario, ovviamente anche sotto il profilo economico e organizzativo.

Era stato anche osservato come l’UE non avesse mai avuto competenza diretta in materia di sport, con la conseguenza che al fenomeno sportivo non erano mai stati riservati interventi sistematici in ambito comunitario, nonostante determinate politiche UE avessero esercitato una decisiva influenza, negli anni, nei riguardi di particolari aspetti connessi all’attività sportiva; tanto è vero che le Federazioni Sportive Nazionali degli Stati membri erano state costrette a riformulare quelle norme di settore in contrasto con i principi del diritto comunitario, tra cui, a mero titolo esemplificativo, si possono indicare la libertà di circolazione dei lavoratori e la concorrenza.

Ora, alla luce della grande novità emersa all’esito dell’ultima Conferenza Intergovernativa dei 27 Stati membri UE (Lisbona, 18 ottobre 2007), ovvero l’attribuzione al fenomeno sport del carattere della “specificità”, è parso opportuno completare, per così dire, la riflessione che aveva preso le mosse dal precedente intervento.

Preliminarmente, però, va premesso come la nuova visione comunitaria in tema di sport si collochi nel contesto di un generale processo di rivisitazione e di emendamento avente ad oggetto tutte le regole e gli obiettivi che la UE aveva individuato in precedenza.

Invero, già in occasione del Consiglio europeo di Nizza (2000), era stata evidenziata, per la prima volta, mediante una comune dichiarazione di principio, la specifica natura dello sport e l’importanza del suo ruolo nell’area comunitaria, tanto da indurre i capi di Stato e di Governo europei a intervenire presso le Istituzioni UE per sollecitare una particolare attenzione alle funzioni sociali, educative e culturali dello sport medesimo, attraverso politiche mirate.

Ora, a distanza di ben sette anni, il testo del nuovo Trattato UE, se unanimemente approvato da tutti i 27 Stati membri (l’entrata in vigore è prevista per il 1 gennaio 2009), sembra segnare una svolta decisiva in relazione al definitivo riconoscimento della specifica dimensione sportiva comunitaria.

In tal senso, infatti, il punto n. 124 del novellato testo del Trattato UE prescrive che “l’UE dovrà contribuire alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto della specifica natura dello sport, delle sue strutture basate sull’attività volontaria e della sua funzione sociale ed educativa. La dimensione europea va sviluppata anche nello sport, promuovendo l’imparzialità nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili del settore sportivo, proteggendo l’integrità fisica e morale degli atleti e delle atlete, specialmente tra i più giovani”.

Dunque, i quattro elementi fondanti il nuovo corso del fenomeno sportivo comunitario, ovvero sport, specificità, struttura organizzativa e valori sociali, costituiscono i principi che ne individuano, o ne dovrebbero individuare, una dimensione più ontologicamente sportiva piuttosto che economica, sottraendolo, per così dire, ad influenze discendenti dalle dinamiche che caratterizzano i fenomeni concorrenziali e di mercato.

In che termini, però, potrà manifestarsi il carattere di “specificità” dello sport?

Un immediato vantaggio, ad esempio, potrà essere conseguito a livello di organizzazione dei vivai nazionali. Se, infatti, la nota sentenza Bosman (essa sancì la libera circolazione degli atleti che non poteva essere limitata, come accaduto sino a quel momento, dall’obbligo di pagare un indennizzo da parte del club cessionario in favore di quello cedente) ha favorito la possibilità, per i clubs di calcio di allestire, nel tempo, squadre prive di giocatori selezionabili per la squadra nazionale (in Italia il caso dell’Internazionale F.C. è eclatante), con l’avvento dei nuovi principi comunitari, al contrario, ciascuna Federazione calcistica nazionale potrà prevedere e regolamentare l’obbligo di impiegare un numero minimo di calciatori (anche stranieri) formati e addestrati dalle società sportive alla medesima affiliate.

Ulteriore conseguenza, inoltre, potrebbe essere quella di disincentivare la corsa di queste ultime all’accaparramento di baby atleti extracomunitari di cui, magari, solo uno o due su dieci riuscirebbero ad emergere, con il rischio di relegare gli altri ai margini della società civile, senza alcuna prospettiva di carriera.

Inoltre, difficilmente si riproporrà un “caso Charleroi”. Si ricorda come nel 2005 il club calcistico belga R. Charleroi S.C. promosse un giudizio contro la F.I.F.A., dinanzi al Tribunale del Commercio di Charleroi, per ottenere il risarcimento dei danni (pari a 860 mln di euro) derivanti dalla mancata utilizzazione, per 8 mesi, di un proprio calciatore (Abdelmajid Oulmers) infortunatosi nel corso di una gara disputata con la squadra nazionale di appartenenza (Marocco).

Se la domanda risarcitoria del sodalizio belga dovesse essere accolta, ciascun club potrebbe negare il rilascio dei propri tesserati stranieri in occasione delle gare nazionali.

Tuttavia, in ossequio ai principi consacrati nel richiamato punto n. 124 del nuovo testo del Trattato UE, tale evenienza sarebbe senza dubbio scongiurata, pur dovendosi, in ogni caso provvedere ad approntare ogni adeguata tutela in merito.

In via ulteriore, si può ipotizzare come ogni velleità di costituire una superlega calcistica da parte dei clubs più rappresentativi d’Europa debba essere messa da parte, poiché si presume che la “specificità” dello sport rafforzi il ruolo istituzionale delle varie Federazioni calcistiche nazionali, della FIFA (Federation Internationale de Football Association) e dell’UEFA.

Peraltro, anche in tema di diritti televisivi, é presumibile che la relativa vendita non sarà riservata ai singoli clubs ma attuata a livello centrale, al fine di garantire risorse sufficienti a tutte le società sportive, in base a criteri di solidarietà e mutualità, anch’essi principi cardini del nuovo approccio europeo al fenomeno sportivo.

Si può affermare che sono state poste le basi per decretare una netta separazione tra i profili etici ed educativi dello sport, da un lato, e quelli più specificamente legati alla sua dimensione economica, dall’altro.

Ad avviso di chi scrive, però, quest’ultima non potrà essere integralmente disattesa, tenuto conto dei contratti di prestazione sportiva, dei bilanci societari, in generale, di tutto quanto possa emergere dal c.d. indotto.

Tanto più che, ad ogni buon conto, quanto emerso all’esito della Conferenza Intergovernativa di Lisbona dovrà trovare concreta realizzazione attraverso l’emanazione di leggi e direttive a livello comunitario, oltre che di provvedimenti ad hoc da parte di ciascuno Stato.

In breve, è prematuro per asserire se le nuove prerogative dello sport europeo resteranno solo un buon proposito o troveranno concreta realizzazione nei fatti, ma, probabilmente, nell’incertezza, anziché lasciarsi andare a facili trionfalismi, sarebbe meglio, per così’ dire, che tutti gli addetti ai lavori mantenessero un profilo basso.

E’ il caso di Michel Platini (Presidente UEFA -Union Européenne de Football Association-), che, consapevole del lungo cammino da percorrere, nonché disseminato di insidie, si è limitato a manifestare solo un cauto ottimismo.

Il tema è già stato brevemente richiamato nell’articolo relativo al c.d. Rapporto Belet che, come si ricorderà, conteneva una serie di principi, non vincolanti, elaborati dal Parlamento europeo nella prospettiva di una diffusa riorganizzazione del calcio professionistico in Europa.

Si era sottolineato, in particolare, il rinnovato interesse, da parte delle Istituzioni UE, nei riguardi del fenomeno sportivo, mediante l’adozione di un Libro Bianco (c.d White Paper), ovvero un documento elaborato dalla Commissione Europea (su iniziativa di Jan Figel, Commissario europeo per la Cultura e lo Sport) allo scopo di offrire una visione d’insieme dello sport comunitario, ovviamente anche sotto il profilo economico e organizzativo.

Era stato anche osservato come l’UE non avesse mai avuto competenza diretta in materia di sport, con la conseguenza che al fenomeno sportivo non erano mai stati riservati interventi sistematici in ambito comunitario, nonostante determinate politiche UE avessero esercitato una decisiva influenza, negli anni, nei riguardi di particolari aspetti connessi all’attività sportiva; tanto è vero che le Federazioni Sportive Nazionali degli Stati membri erano state costrette a riformulare quelle norme di settore in contrasto con i principi del diritto comunitario, tra cui, a mero titolo esemplificativo, si possono indicare la libertà di circolazione dei lavoratori e la concorrenza.

Ora, alla luce della grande novità emersa all’esito dell’ultima Conferenza Intergovernativa dei 27 Stati membri UE (Lisbona, 18 ottobre 2007), ovvero l’attribuzione al fenomeno sport del carattere della “specificità”, è parso opportuno completare, per così dire, la riflessione che aveva preso le mosse dal precedente intervento.

Preliminarmente, però, va premesso come la nuova visione comunitaria in tema di sport si collochi nel contesto di un generale processo di rivisitazione e di emendamento avente ad oggetto tutte le regole e gli obiettivi che la UE aveva individuato in precedenza.

Invero, già in occasione del Consiglio europeo di Nizza (2000), era stata evidenziata, per la prima volta, mediante una comune dichiarazione di principio, la specifica natura dello sport e l’importanza del suo ruolo nell’area comunitaria, tanto da indurre i capi di Stato e di Governo europei a intervenire presso le Istituzioni UE per sollecitare una particolare attenzione alle funzioni sociali, educative e culturali dello sport medesimo, attraverso politiche mirate.

Ora, a distanza di ben sette anni, il testo del nuovo Trattato UE, se unanimemente approvato da tutti i 27 Stati membri (l’entrata in vigore è prevista per il 1 gennaio 2009), sembra segnare una svolta decisiva in relazione al definitivo riconoscimento della specifica dimensione sportiva comunitaria.

In tal senso, infatti, il punto n. 124 del novellato testo del Trattato UE prescrive che “l’UE dovrà contribuire alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto della specifica natura dello sport, delle sue strutture basate sull’attività volontaria e della sua funzione sociale ed educativa. La dimensione europea va sviluppata anche nello sport, promuovendo l’imparzialità nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili del settore sportivo, proteggendo l’integrità fisica e morale degli atleti e delle atlete, specialmente tra i più giovani”.

Dunque, i quattro elementi fondanti il nuovo corso del fenomeno sportivo comunitario, ovvero sport, specificità, struttura organizzativa e valori sociali, costituiscono i principi che ne individuano, o ne dovrebbero individuare, una dimensione più ontologicamente sportiva piuttosto che economica, sottraendolo, per così dire, ad influenze discendenti dalle dinamiche che caratterizzano i fenomeni concorrenziali e di mercato.

In che termini, però, potrà manifestarsi il carattere di “specificità” dello sport?

Un immediato vantaggio, ad esempio, potrà essere conseguito a livello di organizzazione dei vivai nazionali. Se, infatti, la nota sentenza Bosman (essa sancì la libera circolazione degli atleti che non poteva essere limitata, come accaduto sino a quel momento, dall’obbligo di pagare un indennizzo da parte del club cessionario in favore di quello cedente) ha favorito la possibilità, per i clubs di calcio di allestire, nel tempo, squadre prive di giocatori selezionabili per la squadra nazionale (in Italia il caso dell’Internazionale F.C. è eclatante), con l’avvento dei nuovi principi comunitari, al contrario, ciascuna Federazione calcistica nazionale potrà prevedere e regolamentare l’obbligo di impiegare un numero minimo di calciatori (anche stranieri) formati e addestrati dalle società sportive alla medesima affiliate.

Ulteriore conseguenza, inoltre, potrebbe essere quella di disincentivare la corsa di queste ultime all’accaparramento di baby atleti extracomunitari di cui, magari, solo uno o due su dieci riuscirebbero ad emergere, con il rischio di relegare gli altri ai margini della società civile, senza alcuna prospettiva di carriera.

Inoltre, difficilmente si riproporrà un “caso Charleroi”. Si ricorda come nel 2005 il club calcistico belga R. Charleroi S.C. promosse un giudizio contro la F.I.F.A., dinanzi al Tribunale del Commercio di Charleroi, per ottenere il risarcimento dei danni (pari a 860 mln di euro) derivanti dalla mancata utilizzazione, per 8 mesi, di un proprio calciatore (Abdelmajid Oulmers) infortunatosi nel corso di una gara disputata con la squadra nazionale di appartenenza (Marocco).

Se la domanda risarcitoria del sodalizio belga dovesse essere accolta, ciascun club potrebbe negare il rilascio dei propri tesserati stranieri in occasione delle gare nazionali.

Tuttavia, in ossequio ai principi consacrati nel richiamato punto n. 124 del nuovo testo del Trattato UE, tale evenienza sarebbe senza dubbio scongiurata, pur dovendosi, in ogni caso provvedere ad approntare ogni adeguata tutela in merito.

In via ulteriore, si può ipotizzare come ogni velleità di costituire una superlega calcistica da parte dei clubs più rappresentativi d’Europa debba essere messa da parte, poiché si presume che la “specificità” dello sport rafforzi il ruolo istituzionale delle varie Federazioni calcistiche nazionali, della FIFA (Federation Internationale de Football Association) e dell’UEFA.

Peraltro, anche in tema di diritti televisivi, é presumibile che la relativa vendita non sarà riservata ai singoli clubs ma attuata a livello centrale, al fine di garantire risorse sufficienti a tutte le società sportive, in base a criteri di solidarietà e mutualità, anch’essi principi cardini del nuovo approccio europeo al fenomeno sportivo.

Si può affermare che sono state poste le basi per decretare una netta separazione tra i profili etici ed educativi dello sport, da un lato, e quelli più specificamente legati alla sua dimensione economica, dall’altro.

Ad avviso di chi scrive, però, quest’ultima non potrà essere integralmente disattesa, tenuto conto dei contratti di prestazione sportiva, dei bilanci societari, in generale, di tutto quanto possa emergere dal c.d. indotto.

Tanto più che, ad ogni buon conto, quanto emerso all’esito della Conferenza Intergovernativa di Lisbona dovrà trovare concreta realizzazione attraverso l’emanazione di leggi e direttive a livello comunitario, oltre che di provvedimenti ad hoc da parte di ciascuno Stato.

In breve, è prematuro per asserire se le nuove prerogative dello sport europeo resteranno solo un buon proposito o troveranno concreta realizzazione nei fatti, ma, probabilmente, nell’incertezza, anziché lasciarsi andare a facili trionfalismi, sarebbe meglio, per così’ dire, che tutti gli addetti ai lavori mantenessero un profilo basso.

E’ il caso di Michel Platini (Presidente UEFA -Union Européenne de Football Association-), che, consapevole del lungo cammino da percorrere, nonché disseminato di insidie, si è limitato a manifestare solo un cauto ottimismo.