x

x

Legge, verità e libertà: derive legislative, minacce alla verità dell’uomo, attentati alla libertà di coscienza e di educazione

Proposta Zan
Proposta Zan

Con l’obiettivo di alimentare un sano e aperto dibattito in particolare sulla Proposta di Legge riunita Zan, Boldrini, Scalfarotto, Perantoni e Bartolozzi pubblichiamo il primo intervento, di segno fortemente negativo. Si tratta del testo della relazione tenuta dal Dottor Giacomo Rocchi al convegno OPMeetings svoltosi a Bologna il 12 settembre 2020.

 

Indice:

1. Ma il progetto di legge Zan mette in pericolo le nostre libertà fondamentali oppure c’è qualcosa di più?

2. La domanda è: siamo preoccupati perché ci toglieranno la libertà di esprimere le nostre convinzioni sulle tematiche attinenti alla sessualità umana oppure siamo preoccupati per la verità sull’uomo?

3. Restiamo, comunque, al tema della libertà negata

4. Cosa si intende per “discriminazione”? “discriminare” significa discernere, distinguere, differenziare, all’interno di un gruppo o una società

5. Andiamo avanti: quando sono punite queste discriminazioni? Quando sono commesse “per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”

6. Non basta: la norma è scritta per invitare il giudice a valutare la illiceità della condotta – e quindi per condannare – sulla base di quello che lo stesso giudice ritiene sia il motivo per cui hai detto una determinata frase o hai tenuto una determinata condotta

7. Ancora: l’istigazione alla discriminazione – cioè la sollecitazione ad adottare un trattamento diverso per determinate situazioni – è punita anche se commessa in privato e non pubblicamente

8. Concludo sulla libertà dicendo: nessuno stupore!

9. Vi ripropongo, però, la domanda: siamo preoccupati per la nostra libertà oppure per la verità sull’uomo?

10. La volontà della lobby LGBTQ di affermare, anzi di imporre, una realtà diversa da quella naturale, cioè di fare opera contro la verità dell’uomo, si è manifestata da tempo

 

1. Ma il progetto di legge Zan mette in pericolo le nostre libertà fondamentali oppure c’è qualcosa di più?

Vedete, molti di noi hanno partecipato alle manifestazioni delle Sentinelle in Piedi che si sono tenute nei mesi scorsi, con grande successo, manifestazioni che ponevano l’accento sulla libertà, accusando la maggioranza che sta approvando il disegno di legge di introdurre un reato di opinione. Io ho partecipato a quella davanti alla Camera dei Deputati, che si è conclusa con il grido ripetuto della folla: libertà, libertà. 

Ma se noi ci fermiamo a questo aspetto – che esiste, lo vedremo subito – rischiamo di non comprendere appieno la portata di questo progetto, il disegno in cui si inserisce e al quale dà una spinta decisiva.

 

2. La domanda è: siamo preoccupati perché ci toglieranno la libertà di esprimere le nostre convinzioni sulle tematiche attinenti alla sessualità umana oppure siamo preoccupati per la verità sull’uomo?

Se ci limitiamo a parlare della libertà messa in pericolo, diamo spazio alle spiegazioni del deputato Zan ad Avvenire (“Non vogliamo limitare la libertà d’espressione di nessuno. Non sarà una legge-bavaglio, né una legge liberticida”) oppure a quella grottesca modifica del testo secondo cui “ai sensi della presente legge, sono consentite la libera espressione di convincimenti e di opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte”.

Fermiamoci un attimo su questa ultima novità nell’iter parlamentare. A ben vedere, il fatto che, nel testo originario del progetto, questa clausola non esistesse, già è eloquente dell’intenzione repressiva, tanto che è stata la stessa maggioranza ad aggiungere qualche garanzia a chi la pensa diversamente (“forse abbiamo esagerato”); ma l’ipotesi più verosimile è che si tratti del classico specchietto per le allodole (e infatti Avvenire, il 24 luglio, intitolò: “Omofobia, intesa sul salva-idee. L’opinione diventa reato se istiga all’odio”: in realtà nel testo dell’emendamento non c’è alcuna distinzione relativa all’istigazione all’odio).

Ho detto: clausola grottesca; nei miei studi di giurisprudenza, mi ero convinto che, in Italia, in base all’art. 21 della Costituzione, “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”; ora scopro che lo Stato “consente”, bontà sua, l’espressione di convincimenti ed opinioni, purché “libera”. Questo ultimo aggettivo è messo lì senza alcun senso (cosa si intende: che non è consentita l’espressione se non è libera? Cioè quella fatta sotto la minaccia di una pistola?). Ma, a parte questa “perla”, mi chiedo: siamo forse tornati indietro di qualche secolo? Dobbiamo attendere che lo Stato – il potere pubblico – “consenta” alla nostra manifestazione del pensiero? Sembra confermare che la legge presuppone il divieto di manifestare convincimenti ed opinioni, salvo la generosa “concessione”

E del resto, che dire di quanto previsto subito dopo? “sono consentite … le condotte legittime”! Quando mai le condotte legittime non sono consentite? C’è bisogno che il legislatore preveda un “nulla osta”? Questa frase ancora una volta, mostra un altro volto: il progetto parte dall’idea che tutte le condotte che hanno a che fare con la discriminazione per motivi di genere, identità di genere, orientamento sessuale o sesso sono vietate.

In altre parole, siamo passati dallo Stato liberale, per cui è consentito tutto ciò che non è vietato, allo Stato autoritario, in cui tutto è vietato a meno che il potere te lo consenta! Ma te lo consente solo se le condotte sono riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte”: quindi esistono condotte non riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà di scelta?

Mi fermo qui: oltre ad essere scritto in questa maniera, l’emendamento è stato confezionato per non realizzare affatto una “riserva” di libertà e non incide in alcun modo sulle previsioni penali. Basta pensare che la Commissione Affari Costituzionali della Camera, presieduta dall’on. Ceccanti – un autorevole professore universitario di diritto costituzionale, per di più eletto con il Partito Democratico – nel redigere il parere al progetto di legge, scrive: “con riferimento all’articolo 3 (che è quello che interessa), valuti la Commissione di merito l’opportunità di rivedere la formulazione della disposizione, nel senso di chiarire più puntualmente che non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e la manifestazione di convincimenti o di opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, nonché le condotte legittime riconducibili alla libertà delle scelte, purché non istighino all’odio o alla violenza, ossia non presentino un nesso con atti gravi, concreti e attuali”.

Come vedete, nemmeno la maggioranza crede alla clausola salva idee...

 

3. Restiamo, comunque, al tema della libertà negata

Davvero la legge Zan è liberticida.

Leggiamo la norma penale che ci aspetta: “è punito con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”.

Prima osservazione: il famoso odio che giustificherebbe la punizione (ricordate il titolo di Avvenire? “L’opinione diventa reato se istiga all’odio”) non c’è affatto: si punisce la discriminazione e l’incitamento alla discriminazione. Tenete presente che la punizione non riguarda l’istigazione alla violenza o la condotta violenta, che sono previsti in una norma più severa nel comma successivo. Stiamo parlando di una discriminazione non violenta, pacifica, e di incitamento a condotte del tutto pacifiche.

 

4. Cosa si intende per “discriminazione”? “discriminare” significa discernere, distinguere, differenziare, all’interno di un gruppo o una società

Quali sono le discriminazioni che sono vietate? Tutte quelle che possiamo immaginare! Vedete, la norma non sanziona differenze di trattamento già vietate da altre norme, ma stabilisce che qualsiasi differenza di trattamento è vietata e punita con il carcere!

Ma non tutte le differenze di trattamento costituiscono discriminazione: ad esempio, come ha affermato la Corte Costituzionale, non costituisce discriminazione il divieto per le coppie omosessuali di ricorrere alle tecniche di fecondazione artificiale.

Le differenze di trattamento possono essere giustificate per motivi educativi (scelta della baby-sitter: posso sapere se è affiliato al Circolo Mario Mieli? Insegnante di scuola cattolica da scegliere), di riservatezza (accesso dei transgender agli spogliatoi femminili oppure camerate di collegi separate per ragazze e ragazzi), di coscienza (il pasticcere o il fotografo che non vogliono prestare la loro opera in unioni civili omosessuali), di equità (atleti maschi che si sentono donne e che gareggiano in competizioni femminili), di fede religiosa (accesso ai seminari).

Da oggi, tutto ciò sarebbe vietato e punito con il carcere: un colpo di spugna a problematiche discusse in tutto il mondo (penso ad esempio alle gare sportive e alle regole che sono state via via adottate).

 

5. Andiamo avanti: quando sono punite queste discriminazioni? Quando sono commesse “per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”

Abbiamo, quindi, quattro categorie che vengono poste una accanto all’altra: sesso, genere, identità di genere e orientamento sessuale. Quando il Pubblico Ministero vorrà contestare il reato al “discriminatore” dovrà specificare i motivi che lo hanno indotto alla condotta vietata.

Quindi, accanto al sesso (suppongo che l’alternativa sia maschio/femmina) esiste il genere: cioè, ciascuno di noi è maschio o femmina, ma anche di genere differente. Ma attenzione: il nostro genere non corrisponde all’identità di genere, che è una cosa differente; per di più, abbiamo un orientamento sessuale.

Il fatto è che la portata di questi concetti non è affatto pacifica e tanto meno è diffusa nella popolazione (provate a chiedere a un vostro amico: di che genere sei? e che identità di genere hai?). In effetti, alcune proposte tentavano di darne una definizione ma introducendo altri concetti: la proposta Boldrini e Speranza faceva riferimento al concetto di “identità sessuale” e a quello di “ruolo di genere”, mentre la proposta Scalfarotto e altri parlava di motivi “fondati sull’omofobia o sulla transfobia”.

Questa incertezza rende la norma penale illegittima: uno dei principi fondamentali del diritto penale di uno Stato democratico è che la condotta vietata deve essere descritta con precisione: il cittadino deve poter prevedere la possibilità di una sua punizione.

Ancora una volta, la Commissione Affari Costituzionali della Camera (cioè quella che vede le proposte di legge sotto l’ottica della legittimità costituzionale), scrive: “valuti la Commissione l’opportunità di chiarire maggiormente i confini tra condotte discriminatorie fondate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, al fine di evitare incertezze in sede applicativa”.

“Incertezza in sede applicativa” vuol dire che voi siete già stati denunciati, avete dovuto nominare un avvocato, siete stati interrogati dal P.M., rinviati a giudizio e il giudice che deve decidere se condannarvi o meno si chiede: ma per quali motivi avrà detto quella frase, avrà scritto quel testo, avrà tenuto quella condotta?

La signora che, nello spogliatoio della sua palestra, si è trovata di fronte un uomo nudo (o meglio: un appartenente al genere umano con l’apparato genitale maschile in bella mostra) e gli ha tirato contro tutto quello che trovava (magari il phon, e gli ha provocato un bel livido) avrà commesso violenza per motivi fondati sul sesso (e quale sesso: quello della signora o quello dell’altra persona?) oppure sull’identità di genere o sull’orientamento sessuale?

Possiamo scherzare: ma ricordiamoci quanto è già avvenuto in altri Paesi: ragazze costrette a condividere gli spogliatoi con persone munite di apparato genitale maschile che avevano diritto di entrarvi perché transgender, perché si sentivano donne.

Pensate che, in un dibattito on line, quando ho posto questo problema, una mia collega mi ha risposto: la signora si deve adeguare, oppure vada a fare la doccia a casa. È un tema che mostra un’altra faccia di queste riforme: la difesa delle donne e delle ragazze, la promozione del sesso femminile nei vari ambiti, vengono strumentalizzate da uomini e utilizzata da uomini, spesso contro le donne.

 

6. Non basta: la norma è scritta per invitare il giudice a valutare la illiceità della condotta – e quindi per condannare – sulla base di quello che lo stesso giudice ritiene sia il motivo per cui hai detto una determinata frase o hai tenuto una determinata condotta

Leggiamo: ad esempio “è punito … chi compie atti di discriminazione … per motivi fondati sull’orientamento sessuale”. Quindi non è punita la “discriminazione di genere” (ognuno dia il significato che vuole a questa espressione), ma la “discriminazione per motivi fondati sul genere” (oppure per “motivi fondati sull’orientamento sessuale” o “fondati sull’identità di genere”).

Cosa vuol dire? Che la differenza di trattamento – in qualunque ambito – porterà ad una condanna se il giudice vi ravviserà i motivi che hanno spinto il soggetto a compierla: cioè il pregiudizio, vale a dire le convinzioni personali.

Questo mette in pericolo moltissime persone: penso al professore che rischia di essere denunciato per avere assegnato un voto negativo ad uno studente con tendenze omosessuali (lo avrà fatto per motivi fondati sull’orientamento sessuale?); penso ai responsabili delle scuole private nella scelta degli insegnanti; ai genitori nella selezione delle baby-sitter …

 

7. Ancora: l’istigazione alla discriminazione – cioè la sollecitazione ad adottare un trattamento diverso per determinate situazioni – è punita anche se commessa in privato e non pubblicamente

Non è difficile immaginare questo scenario: una denuncia contro un’associazione cattolica perché tra i propri scopi ha l’incitamento alla discriminazione per motivi fondati sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere (basta pensare in che modo è stato presentato il Congresso Mondiale delle Famiglie e comprendiamo bene quante associazioni potrebbero essere denunciate).

Il reato ipotizzato è partecipazione ad un’associazione tra quelle vietate ed è punito con la reclusione fino a sei anni! Leggiamo: “E’ vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo (vedete quanto è generica la descrizione, in modo da comprendere qualsiasi tipo di associazione) avente tra i propri scopi (quindi non come unico scopo) l’incitamento alla discriminazione per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”: quindi sono possibili intercettazioni telefoniche ed ambientali (le famose cimici).

Vediamo, qui, quanto è falsa la distinzione tra “propaganda” e “istigazione”: l’on. Zan sottolinea sempre che la “propaganda” non è vietata, al contrario di quella che riguarda idee razziste. In realtà, le prese di posizione pubbliche saranno utilizzate per ipotizzare altri reati mentre condotte del tutto inoffensive e che costituiscono espressione della libertà di manifestazione del pensiero, della libertà di associazione, della libertà di riunione saranno punite anche se non c’è stata nessuna propaganda.

Le Sentinelle in piedi, Provita, il Comitato difendiamo i nostri figli saranno equiparati al ku klux klan o a gruppuscoli neonazisti.

Per rappresentare la portata del pericolo: sapete che una sentenza della Cassazione del 2013 ha ritenuto integrare un’associazione per delinquere una “struttura” che utilizzava un blog per tenere i contatti tra gli aderenti, fare proselitismo, diffondere testi, programmare azioni dimostrative e raccogliere elargizioni?

 

8. Concludo sulla libertà dicendo: nessuno stupore!

Se voi vedete le fotografie dell’on. Zan (anche quella su Avvenire) notate un uomo rassicurante, tranquillo e sorridente, uno che vi dice: “andrà tutto bene, rispettiamo le idee, abbiamo un solo obiettivo: tutelare le persone più vulnerabili” (cito ancora l’intervista in ginocchio su Avvenire). Ma noi vediamo che – come sempre hanno fatto i movimenti LGBTQ in tutto il mondo – quell’uomo gioioso ha pensato bene di usare, come prima cosa, lo strumento penale!

La legge Zan è una promessa di carcere per chi dirige le manifestazioni contro il progetto, di censura, di punizione dei genitori che terranno a casa i figli quando la scuola diventerà arcobaleno, di licenziamento di insegnanti, dipendenti pubblici e privati e giornalisti per qualunque “errore” anche minimo, di divieti di manifestazioni, di carabinieri nelle canoniche per identificare chi parla e chi ascolta, di preti pubblicamente censurati e minacciati (e, temo, rimproverati dai Vescovi). Nei social network fioccheranno le chiusure e gli oscuramenti e dalla televisione pubblica e privata scompariranno i pochi che, ancora, riescono a difendere la verità.

Quindi, sì: libertà, libertà, come abbiamo gridato rivolti ad un Parlamento di un Paese democratico!

 

9. Vi ripropongo, però, la domanda: siamo preoccupati per la nostra libertà oppure per la verità sull’uomo?

Se ci accostiamo ad altre legge ingiuste – come tali menzognere – vogliamo garantire alla donna la libertà di scelta oppure vogliamo impedire che un bambino sia ucciso? Vogliamo essere sicuri che l’aspirante suicida abbia ben compreso quello che firmava oppure vogliamo impedirne la morte? Ci interessa che alla fecondazione in vitro accedano soltanto le coppie “giuste” oppure vogliamo impedirla in ogni caso, sapendo che nove embrioni su dieci tra quelli prodotti moriranno certamente?

Come ho scritto in una lettera alla Nuova Bussola Quotidiana, nel “nostro” mondo c’è chi spinge per l’approvazione di una legge contro l’omofobia “scritta bene” e che, appunto, garantisca la libertà – come chiede Luciano Moia a Zan – di “affermare la verità del matrimonio fondato sull’amore tra uomo e donna, senza attribuire identica valenza alle unioni omosessuali”. Appunto: quale valenza Luciano Moia attribuisce alle unioni (unioni?) omosessuali.

Il fatto è che l’omofobia non esiste (e nemmeno la lesbofobia, la bifobia e la transfobia di cui si parlerebbe il 17 maggio di ogni anno nelle scuole e nei discorsi del Presidente della Repubblica). Questo è il punto: non parliamo solo di libertà di pensiero, espressione, educazione ecc., ma di verità. Una legge non può fondarsi su un concetto falso ed ingannevole! L’omofobia non è una patologia (la legge punirebbe i malati?) né una condotta (la legge penale punisce le condotte, non le opinioni!).

In realtà si vuole stabilire per tutti e definitivamente che l’omosessualità è buona, che l’ideologia gender è giusta, che i bambini possono cambiare sesso/genere/identità di genere, che una mamma o un padre non sono necessari, che è meglio comprare i figli piuttosto che concepirli in un rapporto perenne di amore, e così via.

Non è (solo) un problema di libertà: che lo Stato democratico si fermi davanti alla camera da letto non comporta affatto che tutto è buono e giusto, è proponibile alla società, ai ragazzi, ai bambini. Di più: non tutte le differenze di trattamento sono ingiuste se giustificate dall’omosessualità, dall’adesione all’ideologia gender, dal travestitismo, dal transessualismo: spesso sono doverose, altre volte sono un diritto che deve essere mantenuto.

Lo Stato deve favorire lo sviluppo della famiglia naturale fondata sul matrimonio e aiutarla a svilupparsi e a generare figli.

 

10. La volontà della lobby LGBTQ di affermare, anzi: di imporre, una realtà diversa da quella naturale, cioè di fare opera contro la verità dell’uomo, si è manifestata da tempo

Non ci ricordiamo più le Linee Guida dell’UNAR per i giornalisti (le prime veline provenienti dalla Presidenza del Consiglio dopo quelle dell’epoca fascista!)?

Il documento vietava, tra l’altro, di usare espressioni quali «famiglia naturale» o «famiglia tradizionale», o espressioni quali «famiglia gay» o «famiglia omosessuale» per intendere il nucleo in cui i genitori sono dello stesso sesso: meglio «famiglie omogenitoriali», oppure «famiglie con due papà, due mamme»; «meglio ancora parlare, semplicemente, di famiglie» ed evitare di contrapporre tali realtà al concetto di «famiglie tradizionali»; si vietava ai giornalisti di affermare che il bambino «ha bisogno di una figura maschile e di una femminile come condizione fondamentale per la completezza dell’equilibrio psicologico»; si vietava loro di parlare di «utero in affitto», meglio «gestazione di sostegno», meno dispregiativa.

E non ci ricordiamo dei libretti Beck promossi dall’UNAR per le scuole primarie (e pagati con le vostre tasse)? Si diceva ai maestri che "le questioni riguardanti l’omosessualità in Italia sono permeate da condizionamenti culturali e sociali dell’ambiente esterno e non vengono insegnate tra i banchi di scuola" e si osservava che “Gli anni delle elementari offrono una meravigliosa ed importante opportunità di instillare e/o nutrire atteggiamenti positivi e rispettosi delle differenze individuali, familiari e culturali, comprese quelle relative all’orientamento sessuale e all’espressione di genere. Nella società occidentale si dà per scontato che l’orientamento sessuale sia eterosessuale. La famiglia, la scuola, le principali istituzioni della società, gli amici si aspettano, incoraggiano e facilitano in mille modi, diretti ed indiretti, un orientamento eterosessuale”.

Cosa pensate che verrà proposto nelle iniziative della gioiosa “Giornata nazionale contro la omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia” che le amministrazioni pubbliche e le scuole dovranno organizzare per “promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione e per contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere”?

Siamo in una guerra totale, dopo quelle sul divorzio, l’aborto, la fecondazione artificiale, l’eutanasia, le unioni civili, una guerra durissima: ma non possiamo annacquarla.

Una battaglia per la verità.