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Omofobia, omosessualità, diritti

Sydney
Ph. Antonio Capodieci / Sydney

Indice:

1. Il rinvio della discussione della Proposta di legge Zan per ragioni di metodo

2. Il fondamento della legge positiva: volontà vs. razionalità

3. Le dichiarazioni di Zaia sulla Proposta di legge Zan

4. Cosa è il diritto

 

1. Il rinvio della discussione della Proposta di legge Zan per ragioni di metodo

Sulla Proposta di legge Zan, approvata dalla Camera dei Deputati e ora al Senato della Repubblica, è intervenuto nella presente Rubrica «Osservatorio tre Bio» Daniele Mattiussi lo scorso novembre (2020). L’autore dell’intervento si chiedeva (forse retoricamente) se il libertinaggio fosse da tutelare e promuovere per legge; rectius, se il fine della Proposta di legge Zan fosse – come appare sempre più chiaramente – questa tutela e questa promozione.

La questione è tornata di attualità in occasione della calendarizzazione dei lavori del Senato. Il 7 aprile 2021, infatti, la Commissione Giustizia di Palazzo Madama ha deciso il rinvio della discussione per «ragioni di metodo». Trattasi di un problema tecnico, irrilevante per quel che attiene al merito. Esso, infatti, è utile solamente al rinvio. Non per risolvere il caso. Tanto meno per «bloccare» l’approvazione di una Proposta di legge che – se approvata – sarebbe una legge ingiusta.

 

2. Il fondamento della legge positiva: volontà vs. razionalità

La discussione, sollevata dal rinvio, ha fatto emergere alcune posizioni. Non solamente quelle – note – dei favorevoli all’approvazione della Proposta di legge Zan in nome dei «diritti umani», ma anche quelle dei contrari, i quali generalmente vi si oppongono perché sarebbe «illiberale». Matteo Salvini, per esempio, ha dichiarato a questo proposito che «c’è il rischio che si arrivi a bollare come sbagliate per legge posizioni condivise da milioni di Italiani e ciò è profondamente illiberale»[1].

Con riferimento a questa dichiarazione (condivisa sostanzialmente da altri autori, da associazioni pro-vita, da alcune testate giornalistiche ritenute non conformiste) vanno annotate almeno due «cose».

La prima che la legge (positiva) non ha per fondamento la volontà, ma la razionalità (intesa in senso classico[2]). Irrilevante, infatti, per la sua legittimità è il consenso[3]. Il consenso, infatti, può essere dato anche a leggi inique: si pensi, per esempio, alle leggi razziali[4], all’aborto procurato[5] e via dicendo. Tutte le leggi (positive) – giuste e ingiuste – sono approvate nei sistemi liberal-democratici dai Parlamenti. Quindi esse godono del consenso della maggioranza. A maggior ragione esse godono di questo consenso nel caso di approvazione per via referendaria.

Il consenso (volontaristico) non ha il potere di cambiare la natura delle «cose», di costituire la giustizia. Per esempio un creditore non può essere trasformato in debitore per norma, ope legis. Anche se ciò è avvenuto. Si pensi, a questo proposito, alla normativa vigente relativa al cosiddetto bail-in[6].

La seconda osservazione riguarda il fine della legge, non il suo fondamento. La legge (positiva), essendo o dovendo essere un comando razionale privo di passione, deve prescrivere il bene e vietare il male. Perciò essa deve inevitabilmente pronunciarsi su ciò che è bene e su ciò che è male, sul giusto e sull’ingiusto. La sua «neutralità» è impossibile.

Ha ragione Salvini nell’affermare che la legge «non condivisa» va contro la dottrina giuridica liberale. Egli, però, sembra non considerare che la teoria liberale della legge è, in ultima analisi, insostenibile, perché è necessariamente destinata a portare o all’anarchia o al totalitarismo. Tertium non datur. La teoria liberale della legge, infatti, vanifica (almeno virtualmente) il diritto, riconoscendo alla persona una sovranità sulla stessa legge, persino sulla Costituzione.

È significativa, a questo proposito, per esempio la Sentenza n. 467/1991 della Corte costituzionale italiana, la quale sostiene che la persona gode di esenzioni e di diritti che le consentono di non assolvere anche a doveri pubblici, qualificati dalla Costituzione stessa come «inderogabili».

All’opposto la stessa teoria liberale della legge, al fine di evitare l’anarchia, è stata costretta a proporre la dottrina del repubblicanesimo (magistralmente teorizzato da Rousseau), il quale tutto fa dipendere dallo Stato[7], persino l’esistenza dell’individuo. Esso, pertanto, – cioè lo Stato – è signore non solo del diritto ma della stessa realtà.

 

3. Le dichiarazioni di Zaia sulla Proposta di legge Zan

Interessanti – e degne di nota, ovvero di commento – sono anche alcune dichiarazioni del Governatore del Veneto, Luca Zaia, appartenente alla Lega di Salvini. Questi avrebbe dichiarato a proposito della Proposta di legge Zan che «prima o poi passerà»[8]. Ciò è molto probabile.

Ci auguriamo, però, che il cosiddetto «principio di effettività» non venga assunto a criterio di giudizio. Altrimenti si finirebbe per accogliere l’assurda teoria hegeliana secondo la quale ciò che è «reale» (cioè effettivo) è «razionale»[9], facendo così della sociologia la scienza sovrana alla luce della quale operare le cosiddette «scelte» politiche (che «scelte» non sarebbero, essendo semplici «registrazioni»)[10].

Quello, però, che maggiormente rileva, sono altre dichiarazioni del Governatore del Veneto, il quale già in occasione del Congresso mondiale delle famiglie a Verona di un paio di anni fa[11], aveva chiaramente manifestato la propria opinione: «Se c’è una patologia – aveva dichiarato allora Zaia – è l’omofobia, non l’omosessualità». Intendiamoci: non si tratta di punire ulteriormente chi è già stato in qualche modo punito dalla natura (l’osservazione è dell’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità[12] – che recentemente si è – almeno parzialmente – rimangiata l’affermazione).

Non si tratta di istituire discriminazioni ingiuste. Quella che va respinta è la rivendicazione di vedere riconosciuta la pratica dell’omosessualità come diritto soggettivo. Il che comporterebbe, a cascata, il riconoscimento di altri «diritti»: dal cosiddetto «matrimonio» omosessuale alle adozioni.

Il fatto è che Zaia (come diversi «benpensanti» contemporanei) basa queste sue opinioni sulla dottrina kantiana. Forse di ciò egli non è pienamente consapevole. La sua «teoria dei confini», però, rivela senza ombra di dubbio il suo orientamento e la sua ispirazione. Egli, infatti, avrebbe affermato che «la tua vita finisce dove comincia la mia. E ci vuole sempre il rispetto di mezzo». La terminologia non è fedelmente kantiana anche se kantiana è l’affermazione. La libertà è stata sostituita dal termine vita. La Weltanschauung, però, è la stessa. La dottrina liberale, che si ispira al pensatore di Königsberg, sostiene, infatti, che la tua libertà termina dove inizia la libertà degli altri. Perciò nessuna interferenza nel «privato» è lecita[13].

Il primo problema, però, – anche prescindendo da altre questioni – è la definizione di «privato», la sua perimetrazione. Il secondo problema è rappresentato dalla richiesta di far assurgere a «pubblico» ciò che sarebbe da considerarsi «privato»: la Proposta di legge Zan, infatti, postula il «riconoscimento» (e ciò segna già il passaggio dal «privato» al «pubblico») del «diritto all’omosessualità», rectius il riconoscimento del diritto alla sua pratica: non meramente a quella di fatto ma a quella pubblicamente riconosciuta. Il che porta al «superamento» della dottrina kantiana o, meglio, al suo coerente sviluppo, il quale incorre in una radicale contraddizione e, perciò, segna la sua fine[14].

Infine va preso atto di una terza, significativa, dichiarazione di Zaia: «le libertà – egli dice – devono essere garantite a tutti». Non c’è dubbio. Di quali libertà, però, parliamo? Il contesto delle dichiarazioni del Governatore del Veneto consente di rilevare con certezza che le libertà, di cui parla Zaia, sono quelle «liberali», la cui applicazione è rivendicata con maggiore coerenza e maggiore profondità dai «radicali», dall’anima, cioè, più liberale del liberalismo[15].

La libertà liberale è, propriamente parlando, la «libertà negativa», quella libertà, cioè, che è regolata nel suo esercizio solamente dalla libertà e che, quindi, non ha criteri. L’unico criterio/non-criterio è la volontà/potere. Non si tratta del riconoscimento della «libertà di scelta»[16], ma della «libertà di autodeterminazione» assoluta[17]. È impropria, pertanto la terminologia del Berlin ed è contraddittoria la teoria di Kant che ha introdotto la distinzione tra «libertà di» e «libertà da», considerando quest’ultima «negativa». Più coerente a questo proposito è stato Hobbes per il quale la libertà sta nel «silenzio della legge», ovvero essa si ha solamente nella condizione nella quale l’individuo umano ha la possibilità di agire o non agire senza che nessuno intervenga ad ostacolare la sua decisione.

Zaia, quindi, dovrebbe invocare non il riconoscimento delle libertà per tutti (il riconoscimento è già limite e regola per l’esercizio della libertà e, quindi, è – almeno parziale – negazione della dottrina giuridica liberale) e la loro garanzia (che è già richiamo ad un «potere» sovraindividuale), ma l’assenza totale della legge. Invece, egli, contraddicendosi, ha prospettato (in un’altra recente occasione) l’opportunità di ricorrere al TSO (Trattamento sanitario obbligatorio) in presenza della pandemia da coronavirus[18].

Questa contraddizione del Governatore del Veneto è oggettivamente rilevante, perché è dimostrazione dell’impossibilità dell’assenza della legge (positiva) e della sua neutralità. Resterebbe, comunque, da considerare che anche in assenza della legge positiva, la legge non scompare, essendo ineliminabile quella naturale e quella divina. È, quindi, l’esperienza che mostra le contraddizioni di Hobbes e degli autori «liberali», meno coerenti e meno radicali di Hobbes.

 

4. Cosa è il diritto

Il problema dell’omosessualità e della sua pratica non è di oggi. In ogni epoca l’omosessualità è stata praticata. Talvolta è stata esaltata. Spesso, però, è stata anche punita. Basterebbe, a questo proposito, ricordare quanto dispose la codificazione di Teodosio (IV secolo d. C.) e, soprattutto, quella di Giustiniano (V secolo d. C.). Anche nelle società più antiche, quelle che generalmente non punivano l’omosessualità e la praticavano a livello di massa, gli omosessuali volevano apparire, in pubblico, come eterosessuali (basti pensare, per esempio, a Giulio Cesare), anche se privatamente ne combinavano di tutti i colori.

Oggi, però, l’Occidente (figlio del protestantesimo e del liberalismo che è la sua secolarizzazione) rivendica il «diritto» al libero esercizio della miseria morale dell’uomo e propone la sua debolezza come forza. Lo fa sulla base di un’illuministica (e astratta) eguaglianza agli stessi «diritti» che diritti propriamente non sono, essendo essenzialmente pretese. Ciò che si ritiene favorisca l’eguaglianza dei «diritti» è la «libertà negativa» la quale è negazione della libertà.

Il riferimento, perciò, a Salvini e a Zaia (che, nonostante le diverse apparenze, sono figli di questa cultura) non è motivato da ragioni personali: le loro posizioni, infatti, sono condivise trasversalmente. Il riferimento non è alla Lega in sé o a suoi uomini.

Le questioni sollevate dalle dichiarazioni di Salvini e di Zaia e poste, ancor prima, dalla Proposta di legge Zan, investono un problema nodale e decisivo per la definizione di civiltà, in particolare per la definizione di civiltà giuridica. Il diritto, infatti, non è imposizione di norme tendenti alla realizzazione di un’astratta e vuota eguaglianza (non rinvenibile nell’esperienza), ma determinazione di ciò che è giusto.

Su questa questione sarà opportuno tornare, come è necessario riprendere il discorso sulla differenza tra libertà di pensiero (dogma del liberalismo) e libertà del pensiero, che è diritto della verità. La Proposta di legge Zan, istituendo il reato di omofobia, offende entrambe: quella liberale (la libertà di pensiero) e quella classica (la libertà del pensiero). Soprattutto, però, pretende di imporre il nichilismo (teoretico, morale, giuridico) per norma e di annullare l’ordine morale per legge: è – com’è stato osservato – l’assurda rivendicazione, già teorizzata dal Portalis, del «diritto» di onnipotenza.

 

[1] In un’Intervista concessa a «Il Giornale» (Milano, 12 aprile 2021) Salvini ribadisce il concetto: «La Legge Zan è sbagliata, - ha dichiarato, scambiando una Proposta di legge per una legge – è una battaglia ideologica che rischia di limitare la libertà di parola e pensiero».

[2] La differenza tra razionalità classica e razionalità moderna è data dal fatto che la prima è «contemplativa», la seconda «operativa». La razionalità classica, infatti, è coglimento dell’ordine naturale e conformità all’ordine naturale delle cose. La razionalità moderma è mero calcolo, ricerca della via più breve per arrivare a conseguire il risultato che ci si è prefissi di raggiungere.

[3] Trattasi del «consenso volontaristico» che ritiene inutile l’argomentazione. Non si tratta, quindi, né del «consenso dialettico» (vale a dire dato dopo ampia discussione e approfondita riflessione), né del «consenso» del «senso comune» (ovvero del «buon senso» naturale degli esseri umani).

[4] Le cosiddette Leggi razziali, infatti, furono approvate dal Parlamento nel pieno rispetto delle procedure previste dall’ordinamento giuridico italiano. Esse, pertanto, godettero del consenso dell’organo deputato ad approvarle, il quale, in quanto organo costituzionale, espresse la volontà dei rappresentati, il loro «consenso».

[5] La legge n. 194/1978 fu approvata dal Parlamento e confermata dal Referendum svoltosi nel 1981. Essa, quindi, ebbe un consenso «rafforzato», assolutamente inidoneo, comunque, a renderla legge giusta.

[6] L’Unione Europea ha approvato, infatti, la Direttiva UE n. 2014/59, recepita dall’ordinamento giuridico italiano in seguito ai DD. Lgs. n. 180 e n. 181 /2015.

[7] Sull’argomento, per alcune considerazioni che mi paiono rilevanti, rinvio a D. CASTELLANO, Ordine etico e diritto, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2011, pp. 52 ss.

[8] I virgolettati attribuiti a Zaia sono stati riportati dal quotidiano «La Verità», Milano, 9 aprile 2021.

[9] Hegel scrive ciò apertis verbis nella Prefazione alla sua opera della maturità Lineamenti di Filosofia del Diritto. Va sottolineato che, se ciò fosse vero, non sarebbe possibile parlare né di legge giusta né di legge ingiusta: della legge si potrebbe solamente dire che è effettiva, in vigore.

[10] Il «principio di effettività» è stato spesso adottato anche nel campo giuridico. Esso è stato fatto proprio anche dalle Corti costituzionali. La Corte costituzionale italiana, per esempio, lo ha apertamente accolto ed esplicitamente applicato con la Sentenza n. 126/1968.

[11] Il congresso si è tenuto a Verona nel 2019.

[12] L’OMS aveva inserito l’omosessualità nell’elenco delle malattie mentali. Il 17 maggio 1990 la stessa OMS cancellò l’omosessualità da questo elenco. La cancellazione non esclude che l’omosessualità possa (o debba) essere considerata una malattia, anche se non necessariamente mentale. Va osservato che l’OMS si è costantemente adeguata alle mode. Essa, con la citata cancellazione, ha «obbedito» alle coerenti «direttive» della Weltanschauung della dottrina dell’americanismo.

[13] La divisione del diritto in «privato» e in «pubblico» è un dogma della Modernità giuridica, la quale sostiene che il diritto privato nasce dall’accordo intersoggettivo, dal «patto di associazione», per usare la terminologia hobbesiana; quello pubblico dall’imposizione di regole volute dal potere, dal «patto di sottomissione» che – ancora secondo la teoria politica di Hobbes – instaura il potere (definito) politico. Nicola Matteucci, per esempio, è chiarissimo a questo proposito: «il primo – scrive, infatti, Matteucci – crea il diritto, il secondo instaura il monopolio della forza; con il primo nasce il diritto privato, con il secondo quello pubblico» (cfr. N. MATTEUCCI, Lo Stato moderno, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 118).

[14] L’impossibile neutralità della legge impone di considerare il fatto che essa non può avere per scopo la sola convivenza, stabilendo recinti entro i quali l’individuo può fare quello che vuole. È proprio la convivenza a richiedere il necessario riconoscimento della natura degli atti umani e la loro regolamentazione. Anche nel «privato», perciò, ci sono regole da osservare e rispettare. L’esperienza, poi, dimostra che quasi sempre il «privato» cade sotto la normativa del «pubblico». Ciò è particolarmente evidente nell’epoca moderna e contemporanea.

[15] Per chi volesse approfondire la questione rinvio al Capitolo dedicato al Radicalismo del mio manuale Introduzione alla filosofia della politica, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2020.

[16] La libertà di scelta altro non è che il libero arbitrio che è proprio di ogni essere umano e al cui esercizio ha diritto chi è in grado di intendere e volere. La libertà di scelta è, perciò, quella che, per esempio, Agostino d’Ippona chiamò «libertas minor».

[17] Sull’argomento si rinvia a R. DI MARCO, Autodeterminazione e diritto, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2017.

[18] Cfr. Intervista al «Corriere della sera», Milano, 4 luglio 2020, e dichiarazioni riportate dall’AGI. Roma, 3 luglio 2020.