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Pensione di reversibilità per le coppie same sex

il discrimen tra il principio di retroattività della legge e la tutela antidiscriminatoria
Marina di Ravenna
Ph. Alessandro Saggio / Marina di Ravenna

Pensione di reversibilità per le coppie same sex: il discrimen tra il principio di retroattività della legge e la tutela antidiscriminatoria

La Cassazione Sez. I Civile, con ordinanza n. 8241 del 14.03.2022, analizza la questione della pensione di reversibilità per coppie gay di fatto, respingendo il ricorso di una donna che aveva convissuto per trent’anni con la partner deceduta prima dell’entrata in vigore della legge n. 76 del 2016.
 

Pensione di reversibilità per le coppie same sex: i gravami esaminati e la decisione della corte di Cassazione.

La questione prendeva le mosse dal riconoscimento e dalla parificazione, apportata dalla l. 76 del 2016, tra coppie omosessuali ed eterosessuali, nell’alveo delle c.d. “unioni civili”.

Nonostante già il Giudice di Prime cure e la Corte d'appello di Bologna, con sentenza del 5 marzo 2019, avessero rigettato il gravame, asserendo la totale infondatezza della domanda e vieppiù, escludendo la discriminazione lamentata dalla ricorrente, in considerazione della differente posizione del coniuge superstite rispetto al convivente superstite dello stesso sesso, la stessa proponeva ricorso per cassazione.

La questione in esame ha ad oggetto la configurabilità del diritto alla pensione di reversibilità a favore del partner di una relazione affettiva stabile e di lunga durata con persona dello stesso sesso, svoltasi e conclusasi, a causa del decesso dell'altro partner, prima dell'entrata in vigore della L. n. 76 del 2016, che ha regolamentato le unioni civili tra persone dello stesso sesso.

La  ricorrente denunciava violazione e falsa applicazione degli art. 2, 36 e 38 Cost., ritenuto che una coppia omoaffettiva, quand’anche formatasi prima dell’entrata in vigore della L. 20 maggio 2016 n. 76 avrebbe dovuto - parimenti- essere riconosciuta quale formazione sociale di tipo familiare meritevole di tutela anche sotto il profilo previdenziale e quindi, conseguentemente, adiva la Corte di Cassazione  per una violazione dell’art. 3 della Costituzione ritenuto che era stato negato il diritto alla pensione indiretta a un partner di coppia omoaffettiva, in periodo in cui tale coppia non poteva accedere all'istituto matrimoniale, con l'effetto di riconoscere il diritto al trattamento previdenziale soltanto ai coniugi.

Inoltre, facendo riferimento anche alla normativa europea, denunciava la violazione della Carta dei diritti fondamentali dell'UE (artt. 10, 19 e 157 TFUE, 13 e 33); della Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000; della Direttiva 2006/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006.

La ricorrente denunciava, altresì, la violazione e falsa applicazione degli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali, in relazione agli artt. 10, 19 e 157 TFUE e alle Direttive 2000/78/CE e 2006/54/CE, critica la sentenza impugnata nella parte in cui asseriva non fosse provata la posizione equivalente della loro coppia con quella propria delle relazioni tra coniugi.

La Corte di Cassazione, analizzando congiuntamente tutte le censure sollevate, rispondeva in senso negativo, avendo stabilito che la pensione di reversibilità non potesse essere riconosciuta, nella vigenza della disciplina antecedente alla data di entrata in vigore della L. n. 76 del 2016, a favore di superstite già legato da stabile convivenza con persona dello stesso sesso poi deceduta, avuto riguardo al principio di irretroattività dettato dall'art. 11 preleggi (sic, Cass., sez. lav., n. 24694 del 2021).

Analoga conclusione prospettata anche per escludere il diritto alla reversibilità della pensione di inabilità a favore del convivente more-uxorio in una unione eterosessuale (vd. Cass., sez. lav., n. 22318 del 2016).

In effetti, afferisce ad un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza che le persone dello stesso sesso conviventi in stabile relazione di fatto sono titolari del diritto alla vita familiare ex art. 8 della Cedu; pertanto, nell'esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente la condizione di coppia, esse possono adire il giudice per rivendicare un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alle coppie coniugate, ma solo dinanzi a specifiche situazioni.

Si tratta, infatti, di formazioni sociali tutelabili ai sensi dell'art. 2 Cost., cui "spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia e di ottenerne il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri, dovendosi escludere che l'aspirazione a tale riconoscimento sia realizzabile solo attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio e spettando al Parlamento il compito di individuare le forme di garanzia e di riconoscimento delle suddette unioni" (Corte Cost. n. 170 del 2014, la quale ha anche precisato che quand’anche possibile ricavare dall'interpretazione in via estensiva degli artt. 8 e 12 Cedu il diritto a contrarre matrimonio anche per le coppie omosessuali, è riservata alla discrezionalità del legislatore nazionale la possibilità di prevedere eventuali forme di tutela per le coppie appartenenti al medesimo sesso).

Seguendo lo stesso filone interpretativo, la Corte di Cassazione, prima dell'intervento del legislatore del 2016, aveva considerato legittima la mancata estensione del regime matrimoniale alle unioni omoaffettive, non rientranti tra le ipotesi legislative di unione coniugale, ancorché il rilievo costituzionale ex art. 2 Cost. di tali formazioni sociali, e del nucleo affettivo-relazionale che le caratterizza, comportasse che queste unioni potessero acquisire un adeguato grado di protezione e tutela anche ad opera del giudice ordinario (sic, Cass., sez. I, n. 2400 del 2015).

Il legislatore con la legge n. 76/2016 aveva colmato la lacuna presente nell'ordinamento italiano e già segnalata dalla Corte Edu (sentenza Oliari c. Italia del 21 luglio 2015), riconoscendo piena tutela alle coppie omoaffettive che fossero parti della unione civile- che si costituisce attraverso una dichiarazione effettuata davanti all'ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni - alle quali veniva esteso il diritto ai trattamenti previdenziali, ai sensi della L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 20.

Tuttavia, appariva impraticabile alla Suprema Corte poter battere il terreno, assai sdrucciolevole, di una applicazione retroattiva della stessa legge del 2016, in una vicenda svoltasi interamente ed esauritasi (con il decesso del partner) prima dell'entrata in vigore della predetta normativa, con l'effetto che la relazione personale è configurabile come convivenza di fatto; nè poteva essere effettuata una operazione ermeneutica orientata a rimuovere gli effetti di quella che è denunciata come discriminazione, mediante il riconoscimento del trattamento previdenziale mancato.

Come rilevato da questa Corte anche successivamente all'entrata in vigore della L. n. 76 del 2016, la scelta del modello di unione riconosciuta tra persone dello stesso sesso negli ordinamenti facenti parte del Consiglio d'Europa è rimessa al libero apprezzamento degli Stati membri, purché garantisca a tali unioni uno standard di tutela adeguato (cfr. Cass., sez. I, n. 11696 del 2018) cosa che non permette di inferire direttamente il riconoscimenti di tutti i diritti anche patrimoniali e previdenziali riconosciuti alle coppie coniugate solo dal 2016.

In altri termini, l'impossibilità per la coppia omoaffettiva di beneficiare del trattamento previdenziale, nel contesto normativo antecedente alla L. n. 76 del 2016, trova va giustificazione nella impossibilità di contrarre il vincolo matrimoniale, trattandosi di una scelta del legislatore che è espressione del margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati.

Infatti, giova evidenziare come le disposizioni a tutela delle "unioni civili" siano state introdotte nel 2016 senza una espressa previsione di retroattività, in tal modo avendo il legislatore inteso implicitamente ribadire nello specifico la irretroattività della legge che, per essere derogata, avrebbe richiesto una adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza, anche tenendo conto dei valori lesi dall'efficacia a ritroso della norma (sic, Corte Cost. n. 73 del 2017).

Per altro verso, neppure è ravvisabile una discriminazione nel mancato riconoscimento della pensione di reversibilità alle coppie omo-affettive.

La valutazione concernente l'esistenza di una discriminazione sfugge ad automatismi e ricade nella competenza del giudice nazionale, il quale non può prescindere dal considerare, in concreto, le prassi e le tradizioni costituzionali dello Stato, specialmente quando vengono in rilievo gli obblighi positivi finalizzati a garantire il rispetto effettivo dei diritti tutelati dall'art. 8 Cedu (sic, Tomàs Aldeguer c. Spagna, 14 giugno 2016, nell'ambito della tutela della vita privata e familiare, vertente sulla mancato riconoscimento del diritto di non beneficiare di uno specifico regime di previdenza sociale, tanto più che nel periodo considerato gli Stati godevano di un certo margine di apprezzamento e mancava un consenso degli Stati circa i diritti da attribuire alle coppie same sex).

Si aggiunga che la Corte costituzionale, nel riconoscere la legittimità costituzionale delle disposizioni che non includono anche i conviventi "more uxorio" tra i soggetti beneficiari del trattamento pensionistico di reversibilità (come pure per la corresponsione della rendita Inail) escludeva la violazione del principio di tutela delle formazioni sociali in cui si sviluppa la persona umana, asserendo chetale principio non comportasse necessariamente il riconoscimento del trattamento di reversibilità al convivente.

La mancata inclusione della persona unita ad un'altra dello stesso sesso, fra i soggetti beneficiari del trattamento di reversibilità, rinviene allora una non irragionevole giustificazione nella circostanza che tale pensione si ricollega geneticamente ad un preesistente rapporto giuridico formalizzato che qui per definizione manca, con la conseguenza che deve ribadirsi la diversità delle situazioni poste a raffronto e, quindi, la non illegittimità di una differenziata disciplina delle stesse.

Alla luce delle predette considerazioni, dunque, la pensione di reversibilità non può essere riconosciuta, nella vigenza della disciplina antecedente alla data di entrata in vigore della L. n. 76 del 2016 – che ha introdotto nel nostro ordinamento l'istituto della unione civile tra persone dello stesso sesso, disciplinando altresì le convivenze di fatto –, a favore di superstite già legato da stabile convivenza con persona dello stesso sesso poi deceduta, avuto riguardo al principio di irretroattività dettato dall'art. 11 preleggi.

Ad analoga conclusione si è pervenuti per escludere il diritto alla reversibilità della pensione di inabilità a favore del convivente more-uxorio in una unione eterosessuale.