Pearl
L’umanità ha sempre catalogato alcuni eventi come disgrazie o sfortune perché di fronte al mistero del male si rimane sempre tragicamente disarmati. Di fronte a un lutto prematuro, una malattia grave, una guerra o a un evento catastrofico naturale l’immagine dell’uomo ne esce devastata, irriconoscibile, deturpata.
Eppure, disgrazie e sfortune sono e rimangono semplici categorie mondane, cioè categorie che non includo lo sguardo penetrante di Dio, sono categorie che escludono l’anagogia* dell’evento. L’umanità dovrebbe ricordare che i pensieri di Dio ci sovrastano come il cielo sovrasta la terra[1], che: «non cade foglia che Dio non voglia». Ma appunto perché scevra di Dio diventiamo come l’uomo insensato del salmo che non intende in quanto stolto[2]. Tutta la Sacra Scrittura[3] è impregnata di esempi nei quali Dio permette eventi disgraziati che invece si risolvono nella prospettiva fondamentale della salvezza dell’uomo.
Non viene negata la felicità presente ma ci viene ricordato che siamo qui solo di passaggio e per tutti esiste un certo aspetto della croce che può esser rifiutato o accettato e sublimato.
Anche nella cultura popolare e nella letteratura, troviamo esempi che possono aiutarci, ne voglio citare due. Il primo è il sacrificio di Gandalf nella Lotta del Picco, ove affronta e muore per mano del Flagello di Durin, il Balrog di Khazad-dûm. Solamente grazie a questo sacrificio, la Compagnia dell’Anello potrà proseguire la missione appena iniziata.
Il secondo esempio lo ricaviamo dall’elegia intitolata Pearl[4] (la Perla), nella quale l’autore racconta il dramma per la morte della giovane figlia.
Egli racconta di un sogno nel quale vede la figlia morta in tenerissima età: «Sei proprio tu la perla che ho pianto per tante notti nutrite di lacrime? Chiusa nel cuore ho tenuta l’angoscia da quando nell’erba via te ne fuggisti»[5].
Dolcemente l’anima della bimba defunta non nega la paternità: «Signore [risponde la Perla], tu hai detto cose sbagliate ché la tua perla mai fu persa: in uno scrigno qui è chiusa al sicuro, in questa riviera sì gaia e ridente, e qui rimarrà in gioia perenne, dove mai pena e dolore risuonano»[6].
Credo che vi siano da sottolineare almeno due passaggi, il primo è che la Perla non nega la paternità, ricordandoci così che nella vita eterna riconosceremo i nostri legami, non saremo degli spettri vaganti nel vuoto cosmico né energia che verrà annullata in una energia superiore ma, rinnovati in Cristo, saremo ancora noi. L’altro passaggio è l’affermazione della Perla che si trova in un posto di gioia perenne dove non v'è più alcuna pena. Un posto che non si vorrà mai più abbandonare.
In questo semplice poemetto medievale, in un tempo nel quale si credeva nell’azione di Dio anche tramite i sogni[7], un autore sconosciuto, ci rivela alcune verità teologiche che oggi accantoniamo come sciocchezze perché la società post-post-moderna dà più fiducia a: cartomanti, chiromanti, indovini, stregoni e fattucchieri vari.
Rimane altresì il mistero del dolore nel quale non credo vi possa essere una risposta umana soddisfacente. Il vessillo di Cristo che si staglia nell’orizzonte della storia umana rimane esempio per antonomasia del giusto servo sofferente[8] che paga il riscatto della mia salvezza per me peccatore. Dolore che non si configura solamente in ambito medico ma presenta uno spettro d'azione più ampio che trova radice nell’umanità stessa[9].
Credo che le croci sono per nostra correzione affinché possiamo raggiungere la salvezza, come lo stesso Apostolo ricorda: «Se siete senza correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete bastardi, non figli!»[10]; la vita dei santi ce lo ricorda continuamente. Non c’è stato santo che non abbia abbracciato un aspetto della croce: «Con ripetuti colpi di salutare scalpello e con diligente ripulitura l'Artista divino vuole preparare le pietre con le quali costruire l'edificio eterno. [...] Molto giustamente si può affermare che ogni anima destinata alla gloria eterna è costituita per innalzare l'edificio eterno. Un muratore che vuole edificare una casa innanzi tutto deve ben ripulire le pietre che vuole usare per la costruzione. Cosa che ottiene a colpi di martello e scalpello. Allo stesso modo si comporta il Padre celeste con le anime elette, che la somma sapienza e provvidenza fin dall'eternità ha destinate ad innalzare l'edificio eterno. [...] Ma quali sono questi colpi di martello e di scalpello? Sorella mia, sono le ombre, i timori, le tentazioni, le afflizioni di spirito e i tremori spirituali con qualche aroma di desolazione e anche il malessere fisico»[11].
*per anagogia intendiamo qui il pensiero di p. Giuseppe Barzaghi op che potete ritrovare in https://www.edizionistudiodomenicano.it/prodotto/lo-sguardo-di-dio/
[1] Cꜰʀ. Is 55, 9
[2] Cꜰʀ. Sal, 91
[3] Cꜰʀ., Lettera apostolica Salvifici doloris, Giovanni Paolo II, San Pietro 11 febbraio 1984, num. 6
[4] Sir Gawain e il cavaliere verde, la Perla e Sir Orfeo, a cura di Christopher Tolkien, Edizioni Mediterranee, 2009 Roma
[5] Cit, Ibidem, stanza 21.
[6] Cit, Ibidem, stanza 22.
[7] Cꜰʀ. Summa Theologiæ II-II, q. 171-174
[8] Cꜰʀ. Is, 53
[9] Lettera apostolica Salvifici doloris, num. 5
[10] Cfᴛ. Ebrei 12,8
[11] Cfᴛ. Ufficio delle letture, seconda lettura, 23 settembre, Memoria di San Pio da Pietrelcina