Il male, la mela e il fruttarolo
Precedentemente abbiamo descritto sommariamente quelle che potrebbero dirsi “le linee guida” sul male.
Nella conclusione della prima parte abbiamo visto come spesso si pensa alla diminuzione del bene sotto un aspetto “quantitativo”. Ma è ragionevolmente più corretto parlare di una diminuzione della “qualità” del bene[1].
I tipi di male
San Tommaso ci spiega che «ogni cosa si accresce conformemente alla sua natura», dove per “natura” si intende l’agire proprio della cosa, una sua certa perfezione, mentre una privazione indica un decadimento. Un semplice esempio potrebbe essere quello sul colore bianco, il quale è più bianco quanto più riflette la luce, mentre inizia a essere meno bianco quanto più assorbe la luce invece che rifletterla, fino a poter essere percepito come nero.
Bianco, nero, riflettere e assorbire la luce sono dei concetti che ritroviamo anche in Tolkien che descrivere il male come Ombra. Qualcosa di secondario e derivato dalla Luce, non qualcosa di primario e positivo.
Per analogia, la stessa cosa si può dire del bene che è più perfetto più si avvicina al termine della sua perfezione che è il Bene assoluto, cioè Dio[2].
Noi facciamo esperienza della corruzione di alcune realtà, come nel caso dei difetti fisici (cecità, la focomelia, etc.). Però, riflettendoci, capiamo come questi sono conseguenza della nostra realtà, del fatto che siamo dei viventi che si corrompono fisicamente.
Tolkien pone la metafora della corruzione come effetto del male: non può distruggere o annullare il bene ma riesce a macchiarlo e rovinarlo. Il male è una specie di parassita del bene e lo scimmiotta.
Alcuni mali si presentano come necessari per la vita di altri beni più grandi. Per esempio, il fuoco corrompe l’aria, ma se non lo facesse non avremmo il fuoco.
Di fronte a un cieco noi proviamo compassione, cioè ci facciamo carico della sua sofferenza e vogliamo aiutarlo. Invece, un male morale (una violenza, un furto, etc.) suscita in noi una certa ira a seconda della sua gravità.
Perché ci sono alcuni mali che ci suscitano questo sentimento? Perché rimaniamo sconcertati di fronte alla sofferenza di un indifeso? Perché, quando parliamo dell’uomo, il vero male è quello morale. Lì vi scoviamo un certo disordine, cioè qualcosa che non ci appartiene. Ci sentiamo portati nell’opposto. Scopriamo in noi questa legge e, se vi è una legge, c’è qualcuno che l’ha promulgata.
La mela e il fruttarolo[3]
Nel pensiero giudaico prima e cristiano successivamente, il male è conseguenza di una scelta libera e volontaria contro questa legge che il Promulgatore ci ha donato. La famosa mela (che non ritroviamo nelle scritture) mangiata dai progenitori simboleggia l’arroganza dell’uomo di scegliere ciò che è legittimo da ciò che non lo è, cioè decidere autonomamente cos’è bene e cos’è male senza confrontarsi con il Promulgatore universale, cioè Dio.
Nella sua epopea, Tolkien ripropone quest’errore più e più volte nella forma del racconto mitologico che aiuta l’uomo a comprendere in profondità la sua natura, ovvero ci aiuta a capire il perché delle cose.
Di Morgoth/Melkor[4] ne abbiamo già parlato. È la prima creatura che si ribella ad Iluvatar perché si fa prendere dall’arroganza dei doni che lo stesso Iluvatar gli aveva donato. Creato come il più perfetto tra le creature spirituali, la sua corruzione sarà più profonda e trascina con sé molti dei quali si fanno prendere dal suo falso splendore.
Nella tradizione giudeo-cristiana le creature esistono per entrare in relazione tra loro (la stessa Trinità è una relazione tra tre persone), così Adamo ha la necessità di Eva come aiuto simile a lui, cioè qualcuno come lui con cui entrare in relazione. Melkor, invece, è una creatura molto potente che non mette a disposizione i suoi doni per aiutare gli altri ma, da solo, ricerca ciò che lo soddisfa di più. Questo atteggiamento non lo aiuta a comprendere la vera natura della signoria di Iluvatar, che si relaziona alle sue creature in modo propositivo e mai coercitivo. La corruzione di Melkor lo porta a imitare malevolmente Iluvatar così da creare parodie del suo comportamento e delle sue creature. Infatti, i troll e gli orchi scimmiottano rispettivamente ent ed elfi[5].
Orchi e troll sottostanno a Melkor e Sauron. Non sono creature pienamente libere perché sono perennemente sotto lo sguardo indagatore dei loro padroni. Ciò che vivono è lo stesso disagio di coloro i quali pensano Dio come un oscuro scrutatore pronto a trarli in fallo.
È interessante come anche Saruman[6], insieme a Melkor e Sauron, è un altro esempio di natura spirituale incarnata che si corrompe lungo la sua vita, perché decide di abbandonare la missione a lui affidata per trovare autonomamente una via che avrebbe salvato il mondo. Dimenticandosi che non vi è un bene così grande che possa giustificare una qualsiasi azione malvagia (ad esempio non è giustificabile rubare ai ricchi per dare ai poveri o uccidere un bimbo nel grembo della madre per qualsiasi beneficio o giustificazione), inizierà a demolire, distruggere e rimodellare la natura circostante Orthanc[7], imitare le creature razionali modellando una razza per i suoi scopi (gli Uruk-hai), a sfruttare mezzi che portano in sé un certo rischio (vedi i Palantír[8]) e a desiderarne altri come l’Anello[9] del potere.
La razza degli Uruk-hai[10] di Orthanc sono l’incoronamento della malvagità di Saruman. Alcuni autori vedono un parallelo tra le stregonerie che Saruman esegue per ottenere questa nuova razza e gli esperimenti che i Nazisti fecero durante la Seconda guerra mondiale per ottenere quella razza perfetta che doveva servire per i loro scopi.
Infine, mi soffermo sulla figura di Gollum[11]. Hobbit dal corpo piagato dal desiderio di possesso dell’Anello, la sua triste storia si dipana sul sottofondo della tragedia vissuta tra Caino e Abele.
Qui i personaggi si chiamano Sméagol e Déagol. Come Abele, il quale sacrificio è accettato da Dio apparentemente per nessun motivo, così Déagol trova l’Anello senza alcun merito evidente. Sméagol, a fronte di questa scoperta, diventerà insensatamente geloso della fortuna di Déagol fino al punto di ucciderlo per ottenere l’Anello.
Ottenuto l’Anello non ammetterà l’omicidio commesso ma pretenderà di sostenere di averlo ricevuto come regalo di compleanno e che lui meritava tale regalo. Così facendo Tolkien ci mostra di nuovo il potere seduttivo del male che schiaccia la verità, come accade in coloro i quali dopo aver commesso omicidi o crimini trovano sempre delle giustificazioni per le proprie azioni, trasformando la loro libera scelta in una supposta necessità nel nome di un presunto bene.
Così Sméagol giustifica l’omicidio di Déagol come una necessità. Tale azione è resa ancora più riprovevole per il fatto che i due erano amici stretti. Il suo comportamento lo porterà a separarsi dalla stessa comunità hobbit per iniziare a vivere totalmente solo. Ma la sua trasformazione non si riduce solamente a questo, infatti un po’ per volta regredisce in forme di vita primordiale, iniziando a muoversi poggiandosi anche sugli arti anteriori, a mangiare cibo crudo e a parlare in modo confusionario. Di fatto si trasformerà un po’ per volta in Gollum, una creatura completamente ripiegata sull’appetito dei suoi desideri.
Come se ciò non bastasse, siccome tutti siamo chiamati a vivere una relazione, Gollum creerà una pseudo-comunità identificata totalmente in lui e questo lo porterà a una sorta di disturbo dissociativo dell’identità.
Tolkien dimostra come gli effetti del male sono divisori sia nei confronti degli altri, ponendoci in una opposizione aprioristica col mondo esterno, che nei confronti di noi stessi, dividendoci interiormente.
Il vescovo americano Fulton J. Sheen, commentando Marco 5,9, evidenzia come il l’uomo posseduto del racconto biblico si identifica nel gruppo di demoni chiamati Legione, cioè in un insieme di più persone all’interno dello stesso corpo, evidenziando una multipla personalità che porta a una divisione interna.
Ora tale male che, ripetiamo, non è conforme alla natura razionale dell’uomo, è detto, nella teologia cristiana, peccato.
Ed effettivamente è un peccato quando l’uomo inizia a vivere un’esistenza che non ha nulla a che fare con la sua chiamata.
[1] Cf., Somma teologica, q. 48, a. 4.
[2] Cf., Somma teologica, q. 49, a. 3.
[3] Molti spunti di questa sessione sono stati ricavati da: R. C. Wood, The Gospel According to Tolkien: Visions of the Kingdom in Middle-earth, Westminster John Knox Press, Louisville (KY) 2003.
[4] Si rimanda a: https://lotr.fandom.com/it/wiki/Melkor per maggiori informazioni.
[5] Si rimanda a: https://lotr.fandom.com/it/wiki/ per maggiori informazioni.
[6] Si rimanda a: https://lotr.fandom.com/it/wiki/Saruman per maggiori informazioni.
[7] Si rimanda a: https://lotr.fandom.com/it/wiki/Orthanc per maggiori informazioni.
[8] Si rimanda a: https://lotr.fandom.com/it/wiki/Palantir per maggiori informazioni.
[9] Si rimanda a: https://lotr.fandom.com/it/wiki/Unico_Anello per maggiori informazioni.
[10] Si rimanda a: http://tolkiengateway.net/wiki/Uruk-Hai – In una sua lettera, Tolkien ci tiene a sottolineare che nessuno è creato uruk e nessuno è uruk in maniera irrimediabilmente, vi è sempre la possibilità di redimersi (Cf., J. R. R. Tolkien, Le lettere 1914/1973, Bompiani, Milano 2018, pp. 145-147, Lettera, 78).
[11] Si rimanda a: https://lotr.fandom.com/it/wiki/Gollum