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Quali controlli nel nuovo ordinamento costituzionale?

"QUALI CONTROLLI NEL NUOVO ORDINAMENTO COSTITUZIONALE"

Ancona, 1 Dicembre 2001, Centro Congressi, Quartiere Fieristico di Ancona, Largo Fiera della Pesca, 11;

apertura dei lavori: Franco Balli.

1) Premessa

Nel dibattito che si è sviluppato negli ultimi tempi fra i giuristi e fra le diverse forze politiche del nostro Paese in merito alla trasformazione in senso federale dello Stato, un punto fermo è ormai rappresentato dalla recente entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, recante "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione" (in G.U. n. 248 del 24 ottobre 2001 ed in vigore dall’8 novembre 2001), la cui applicazione, al di là delle posizioni oscillanti fra federalismo minimo e federalismo massimo, comporterà effetti significativi e profonde innovazioni nell’ordinamento giuridico, soprattutto in quei settori di legislazione riguardanti le materie rientranti, in base alla nuova formulazione dell’art. 117 della Costituzione, come modificato dall’art. 3 della suddetta legge costituzionale n.3/2001, nella potestà legislativa delle Regioni.

Non v’è dubbio, infatti, che per l’effetto dell’entrata in vigore della legge di riforma costituzionale n.3/2001 e dell’eventuale esercizio della potestà legislativa regionale nelle materie ad essa riservate dal nuovo testo dell’art. 117 Cost., settori fondamentali dell’ordinamento giuridico, fin qui disciplinati in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, potrebbero essere disciplinati, in futuro, in maniera diversa da Regione a Regione, sulla base di una specifica disciplina dettata dalla legislazione regionale.

Con l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3/2001 (8 novembre, 2001), il dibattito sembra essersi incentrato, peraltro, sul sistema dei controlli negli Enti locali, e segnatamente, sulla immediata, o meno abrogazione del controllo di legittimità del Co.Re.Co. sugli atti degli Enti locali per effetto della abrogazione dell’art 130 Cost. (si veda in Giust.it nel 10/2001, L. Oliveri, "L’abrogazione dei controlli sugli atti degli Enti locali"; A. Riccardo, "Riforma costituzionale e controllo sugli atti etc."; nonché G. Virga, "I nuovi principi costituzionali non possono abrogare per implicito le disposizioni delle leggi previgenti; T. Miele, "La riforma del titolo V della Cost.": gli effetti dell’ordinamento", si veda anche A. Saccapani e G. Macheda, "Enti nel caos dopo la fine dei controlli, in Italia Oggi, 16/11/2001; M. Massaro; Stop immediato ai controlli sugli atti di Comuni e Province, il Sole 24 Ore 10/11/2001; A. Bianco, "I Co.Re.Co. tenuti in vita artificialmente e sui segretari l’ombra delle regioni, il Sole 24 Ore 22/11/2001; Petronio, "Controlli cambio di rotta senza bussola", Guida agli Enti locali, il Sole 24 Ore; A. Lonoce, "Federalismo e mancanza di controlli", 5/10/2001).

Sul punto anzi ci permettiamo di allegare, un editoriale del prof. Vittorio Italia pubblicata sul n. 44 del 17 novembre u.s. della Guida gli Enti locali del Sole 24 Ore che ci sembra particolarmente felice nella soluzione giuridica del problema.

Tuttavia non è su questo problema che vogliamo incentrare il presente convegno, trattasi infatti di problema di diritto transitorio, mentre noi vogliamo affrontare il toro per le corna e accentrare la nostra attenzione sul problema principale e cioè quali controlli nel nuovo ordinamento costituzionale.

A sentire tante Cassandre pare evidente che, superato il regime transitorio (e forse anche prima) i Co.Re.Co. debbano fare i bagagli e tornare a casa. Il mio saluto non potrebbe essere allora altro che "Ave Cesare, morituri te salutant" dove i gladiatori siamo noi e Cesare Ministri come Bassanini o Bossi (per non far torto a nessuno).

Se è così, pare opportuno un brevissimo excursus storico, partendo dal secolo scorso, per capire come si è arrivati a questo punto.

2) Breve storia dei controlli amministrativi esterni sugli Enti locali

Giova pertanto, ricordare che gli Enti locali, nel sistema delle leggi comunali provinciali di cui ai testi unici del 1934 e 1915 e al Regolamento del 1911, erano sottoposti a penetranti poteri di vigilanza, di controllo e tutela da parte dello Stato che li esercitava per il tramite di organi statali decentrati quali il Prefetto e la Giunta Provinciale Amministrativa, nonché ai più specifici e penetranti poteri di autorizzazione e approvazione, anche questi esercitati da organi statali di amministrazione attiva.

Tale sistema di controllo era manifestamente in contrasto con il sistema costituzionale delle autonomie locali soprattutto sotto due aspetti specifici: il primo attiene alla imputazione soggettiva di tali poteri e segnatamente ad organi statali di amministrazione attiva privi, pertanto, del carattere di neutralità, il secondo concernente il tipo di funzione di controllo attribuita a tali organi, non limitata a garantire la mera legalità degli atti, ma intesa a sindacarli anche nel merito.

Questo sistema è stato profondamente modificato dalla Costituzione che, all’art. 130, ha stabilito che il controllo sugli atti delle Province, dei Comuni e degli Enti locali è esercitato da un organo della regione, costituito nei modi stabiliti dalla legge della Repubblica.

La norma, che comporta un duplice ordine di conseguenze circa il contenuto dei poteri di controllo e circa l’imputazione soggettiva degli stessi poteri, oltre ad aver avuto come conseguenza, per effetto delle trasformazioni apportate dal nuovo ordinamento degli Enti locali, prima la trasformazione e, subito dopo, la soppressione del controllo di merito, oltre alla riduzione del controllo di legittimità alle principali deliberazioni dell’ente, ha altresì comportato la sostituzione dell’organo dello Stato con una organo della Regione al quale ha attribuito la funzione di controllo sugli atti degli ee. ll., conseguentemente radicando nel medesimo organo il correlato potere ("Un organo della Regione....esercita.....il controllo di legittimità sugli atti delle province, dei Comuni e degli Enti locali", così recita(va) l’art.130 della Costituzione).

A dare attuazione al precetto costituzionale ha provveduto la legge, 62,53, la quale, dopo aver disposto l’istituzione dell’organo regionale, ha dettato norme riguardanti la sua composizione nonché il procedimento di controllo. Peraltro come è a tutti noto, la Costituzione è stata concretamente attuata solo all’inizio degli anni ’70. Il che ci fa pensare che prima di cambiarla, forse, come sostiene l’ex Presidente Scalfaro, era meglio attuarla (n.d. la Costituzione).

Tale normativa è stata, successivamente, ridisegnata dalla legge delle autonomie n. 142 del 1990, istitutiva del c.d. controllo eventuale, e delle successiva norme delle leggi c.d. Bassanini, che oltre al controllo limitato agli atti fondamentali istituiscono il servizio di consulenza del Co.Re.Co. a favore degli Enti locali, e, da ultimo, dal decreto legislativo n. 267 del 2000 recante norme sull’ordinamento degli Enti locali.

3) La pari dignità fra pubbliche istituzioni

Ora secondo alcuni commentatori (De Marinis, Riccardo, Olivieri) con l’entrata in vigore della legge costituzionale 3/2001, cessando immediatamente di esistere nel nostro ordinamento l’istituto del controllo di cui all’abrogato 130 della Costituzione, cessa anche l’attività di controllo del Co.Re.Co.

Ma vi è di più.

Con riferimento al nuovo testo del 114 Cost., comma 1 e 2, 120 comma 2, si verifica una condizione di sostanziale "pari soggettività" o "pari dignità" costituzionale fra Stato, Regioni, Comuni, Province e Città Metropolitane quali enti autonomi costituenti l’organizzazione dei poteri pubblici. Quindi non più una piramide come era nella costituzione abrogata (che vedeva al vertice lo Stato, poi le Regioni ed infine le autonomie locali) ma una linea orizzontale che vede sullo stesso piano le diverse autorità pubbliche....

Secondo questi commentatori il controllo di legittimità amministrativa sugli atti, esercitato da un organo che emana da un’altra amministrazione (statale o regionale), costituirebbe una evidente manifestazione della obiettiva condizione di subordinazione in cui viene a trovarsi l’ente destinatario, per cui si conclude che è da escludere che le regioni, nell’esercizio della propria competenza legislativa, possano istituire forme di controllo sugli atti degli Enti locali i quali potranno tutt’al più dotarsi di controlli "interni" lasciando il vero controllo all’autorità giudiziaria o in ultima analisi ai cittadini. Questo sarebbe il federalismo.

Ora ci permettiamo sommessamente di dissentire con questa tesi che pare il frutto dell’ubriacatura di autonomia che ha recentemente invaso gli Enti locali, per cui si è passati dal controllo prefettizio al "fasso tutto mi" (almeno nelle promesse elettorali) di certi sindaci.

4) Cenni alla disciplina europea dei controlli amministrativi esterni

Posto che siamo, o dovremmo essere, in Europa, pare opportuno un breve cenno al sistema dei controlli negli altri paesi.

In Europa praticamente ogni regione dispone di un’istituzione di controllo finanziario esterno. In Spagna, come in Irlanda e Svizzera, coesistono diversi statuti e gli organi regionali di controllo esterno dispongono di poteri di tipo diverso, mentre altrove la regola maggioritaria sembra essere l’uniformità dei poteri esercitati dagli organi regionali all’interno di uno stesso Stato.

Per quanto riguarda l’istituzione, lo statuto e le regole di funzionamento, si distinguono due grandi gruppi: gli stati decentralizzati, come Germania e Spagna, dove questi aspetti sono di competenza regionale, e gli altri Stati, tradizionalmente unitari, dove l’esistenza, lo statuto e le regole di funzionamento degli organi regionali di controllo finanziario, sono determinati dallo stato centrale: di quest’ultimo gruppo fanno parte Francia, Inghilterra Galles e Irlanda.

In ordine all’estensione dell’attività di controllo si è visto che l’obiettivo principale degli organi regionali di controllo esterno è la verifica dei conti delle regioni e ugualmente degli organismi e delle imprese da esse dipendenti e finanziate.

La regola generale vuole che questi stessi organi regionali di controllo esterno siano abilitati a verificare i conti delle amministrazioni territoriali o degli enti di livello inferiore alla regione, come comuni, distretti, contee, province o dipartimenti.

L’obiettivo del controllo esterno esercitato dagli organi regionali di controllo è in quasi tutti i casi triplice:

- controllo della regolarità di bilancio;

- controllo della legittimità;

- controllo dell’efficacia dell’economia.

I primi due obiettivi sono realizzati praticamente ovunque, mentre sul terzo, di sviluppo teorico e pratico più recente, non esiste l’unanimità assoluta: esso non è effettuato dagli organi regionali di controllo d’Irlanda né in tutti i cantoni in Svizzera.

Circa i legami degli organismi regionali di controllo con altre istituzioni dei vari livelli territoriali, esiste una grande uniformità nei vari paesi europei. Solo nel caso degli organi regionali di controllo esterno francesi si osservano relazioni di potere e di procedura con l’organo di controllo esterno dello Stato centrale: essi sono istituzionalizzati tanto che gli organi regionali sono membri del Consiglio Superiore delle Camere Regionali dei Conti.

Relativamente alle procedure di controllo si è potuto accertare che, contrariamente a quanto previsto nel nostro sistema:

- la verifica dei conti non avviene esclusivamente su documenti, ma sono presi in considerazione anche altri elementi, ed anche accertamenti effettuati in loco.

- I documenti analizzati sono sia quelli detenuti dall’organismo di controllo che quelli appartenenti ad altri organismi pubblici. Nella maggior parte dei paesi possono essere consultati documenti di vari organismi privati, specialmente se vi sia ragione di credere che si siano avuti degli spostamenti di capitali verso di essi.

- Quanto ai poteri giurisdizionali dell’organo di controllo, essi esistono solo in Irlanda, unico paese dove all’organo regionale di controllo, si riconosca la facoltà di avviare azioni giudiziarie, il che tuttavia è ammesso in ipotesi specifiche anche nel cantone svizzero del Jura.

Gli organi regionali di controllo esterno osservano in tutti i casi una procedura in contraddittorio, che per certi aspetti e principi somiglia a quella giurisdizionale, benché non sia riconosciuta la facoltà di imporre sanzioni. Tale possibilità è riconosciuta solo agli organi regionali di controllo di Francia e Svizzera

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Il finanziamento degli organi regionali di controllo esterno proviene generalmente dal bilancio della regione, nella totalità per quanto riguarda Spagna, Germania, Svizzera e Svezia, solo in parte negli altri Stati. In Inghilterra e Galles, il finanziamento avviene secondo un sistema di quote di partecipazione stabilito, mentre in Francia esso è garantito dal bilancio dello Stato centrale.

5) Federalismo e controlli esterni amministrativi

Occorre a questo punto domandarsi, proprio per il federalismo già arrivato e per quello che arriverà, forse che le autonomie spagnole o tedesche sono meno "autonome" perché consentano il controllo esterno sui loro bilanci?

La Costituzione Spagnola impone con l’art. 103 il decentramento a livello territoriale e con l’art. 137 sancisce il diritto dei Consigli Municipali a gestire in modo autonomo i propri affari.

Ma le autonomie locali spagnole o tedesche non sentono alcun vincolo di subordinazione nei confronti delle Regioni che, appunto, non si collocano su un piano superiore ma su un piano paritario.

Il concetto è facilmente spiegabile ove si comprendono a fondo i concetti di federalismo e di controllo.

Il problema nasce infatti dalla cattiva gestione del potere che i Co.Re. Co. hanno svolto prima degli anni ’90, quando tutte le delibere venivano controllate e valendosi dei poteri di annullamento conferite dalla legge talvolta l’organo di controllo di colore politicamente diverso da quello dell’amministrazione controllata, annullava alcune deliberazioni dell’Ente locale, di fatto impedendo in questi casi l’attività amministrativa.

Tutto questo però è cambiato con la legislazione successiva che ha limitato progressivamente il numero delle delibere da "controllare". Tuttavia si trattava sempre di un controllo "preventivo" che poteva sfociare nell’annullamento degli atti. Ma tutto ciò non esiste negli altri stati europei ed in particolare negli stati federali.

Il controllo è solo ed esclusivamente "successivo", si attua cioè sui bilanci e sui conti consuntivi e non sfocia mai in un potere di annullamento di atti, ma semplicemente in un rapporto al parlamento (consiglio) regionale che potrà poi pubblicizzarlo dandogli ovviamente una notevole valenza politica.

Ecco quindi che non viene minimamente lesa l’autonomia degli Enti locali ex art. 114 della Costituzione.

In proposito pare opportuno ricordare una norma costituzionale che viene costantemente ignorata dalla critica, cioè l’art. 41 terzo comma relativo all’iniziativa economica, articolo tutt’ora in vigore. Vi si afferma che "La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali".

Ora ci si domanda chi controlla l’attività economica pubblica delle amministrazioni locali, in continua espansione? L’autorità giudiziaria....i cittadini....nessuno. Ai poster l’ardua sentenza!

6) Prospettive con l’eliminazione dei controlli amministrativi esterni: l’affidamento al sistema giurisdizionale.

E’ doveroso esaminare la tesi di quanti, e sono soprattutto i sindaci dei grandi comuni, i quali, essendo stati nominati direttamente dai cittadini, vorrebbero eliminare ogni controllo amministrativo (considerato alla stregua di lacci e laccioli) affidandosi solo controllo giurisdizionale (e a quello politico degli elettori).

Pare utile partire da alcuni dati, in particolare c’è lo studio della Banca Mondiale che, in un documento pubblicato nel numero di marzo 1998 di Finance and Development, pubblicazione trimestrale del Fondo Monetario Internazionale, dedicato alla lotta alla corruzione mondiale, mentre assegna la palma dell’onestà alla Danimarca, piazza l’Italia al trentesimo posto (su 47) dietro Cile, Spagna, Grecia, Polonia e appena prima di Malaysia e Zambia.

Ora, se si collega questo dato a quelli risultati dalle relazioni lette in pompa magna dai vari procuratori generali in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario alla presenza delle "autorità", allora si vede che nel 1997 il 95% dei furti denunciati è rimasto impunito.

In totale l’83% dei delitti denunciati è risultato impunito nel 1997. Ma non si pensi che il 1997 sia un anno eccezionale, se andiamo avanti negli anni le medie non cambiano (nel 1991 ad es. è rimasto impunito il 96,6% dei furti), rimangono grosso modo le stesse per tutti gli anni ’90.

Ma se queste sono le cifre può avere un senso affidare in pratica alla giurisdizione il controllo degli Enti locali? Ad essere maliziosi potrebbe pensarsi che si conta sulla inefficienza della giurisdizione per poter agire da parte degli amministratori nella massima "autonomia", ma sarebbe sicuramente ingiusto, ben conoscendo gli effetti nefasti di quell’arma impropria in mano ai procuratori che è "l’avviso di garanzia".

In realtà le istanze di maggior grado di autonomia degli Enti locali, anche nella prospettiva della riforma in senso federale dello Stato, impongono oggi un ripensamento del ruolo e della funzione dell’attività di controllo, che può essere disciplinata secondo modalità che consentano alla Regione di esercitare un sostanziale potere di "indirizzo collaborativo" verso le amministrazioni locali e quanto più quest’ultimo sarà efficace, tanto più il controllo potrà trasformarsi da vincolo mal tollerato dagli enti in una risorsa utilizzabile - come è stato opportunamente affermato - per obiettivi non solo di legalità, ma anche, e soprattutto, di buona ed efficiente amministrazione.

L’autonomia non può essere invece intesa come assenza di ogni forma di controllo e di verifica della legalità.

In un sistema democratico non vi è potere senza controllo. Chi amministra deve sottoporre le proprie scelte e decisioni, oltre al vaglio politico di chi lo ha eletto, anche alle verifiche della legalità e della efficienza.

Un ripensamento dei controlli amministrativi è oggi necessario alla luce delle esperienza e dei risultati ottenuti, al fine di coniugare la tutela dell’autonomia degli enti territoriali con la garanzia del rispetto della legalità dell’adozione amministrativa.

Non si può invece condividere la tesi di quanti propugnano l’eliminazione dei controlli, sulla base della considerazione che la vigilanza non ha impedito che l’attività degli Enti locali venisse esercitata in dispregio della legge e delle regole che disciplinano una sana e corretta gestione della cosa pubblica. C’è semmai da chiedersi quali sarebbero stati i risultati se fossero venuti meno anche questi "filtri" amministrativi che, se non hanno potuto reprimere i fenomeni di corruzione e di malversazione nell’ambito degli Enti locali, li hanno tuttavia limitati.

In un paese in cui l’illegalità è diffusa e fortemente radicata nel territorio occorre non già eliminare, ma rafforzare e, se necessario, ricostruire i controlli amministrativi, quegli "anticorpi fisiologici" che costituiscono una difesa contro l’illegalità e gli strumenti ordinari di vigilanza sull’attività amministrativa.

E’ perlomeno utopistico pensare che si possa pervenire, nel futuro, a migliori risultati, sostituendo ai controlli amministrativi il controllo giurisdizionale. La giustizia italiana soffre già di troppi e gravi mali perché si possa ritenerla in grado di perseguire, con efficacia e tempestività, le responsabilità derivanti da una condotta amministrativa che si discosta dai canoni della legalità e dalle regole di una corretta gestione delle risorse pubbliche.

Né ha senso affermare che il sistema dei controlli delineato dalla Legge 142/90 ha imbavagliato o appesantito lo svolgimento dell’attività dei Comuni e delle Province.

Le difficoltà, i ritardi e le insufficienze che appesantiscono l’azione delle comunità locali non dipendono dai controlli preventivi di legittimità dell’organo regionale, che vengono esercitati entro termini brevissimi, a pena di esecutività degli atti, rispetto ai quali l’esigenza della legittimità come garanzia per tutti prevale sull’altrettanto rilevante valore dell’autonomia.

D’altra parte non si possono gestire le illegalità dell’attività amministrativa con le denunce penali o con i ricorsi agli organi della giurisdizione amministrativa: si accentuerebbe la tanto deprecata sovraesposizione della Magistratura, la quale (con buona pace del potere politico) sarebbe chiamata a svolgere sempre più un ruolo di supplenza che - come è stato giustamente osservato - si accentua proprio ogni qual volta saltano i controlli amministrativi.

Un’ultima considerazione su un ipotesi di "privatizzazione" dei controlli amministrativi: avanzata in qualche sede. Chi ritiene auspicabile un controllo affidato a "professionisti" richiamando, forse senza saperlo, una tesi che era propria dell’allora ministro della Sanità De Lorenzo il quale, nel suo primo disegno di legge concernente le misure di riordino delle USL, pretendeva che il controllo sulla gestione di queste ultime fosse effettuato dalle Regioni utilizzando "società specializzate".

Sull’efficacia di tale controllo basti pensare al gruppo Gradini-Ferruzzi ed alla Società specializzata che ne rivedeva e certificava i bilanci.

Il De Lorenzo, è comunque, nonostante le vicissitudini personali, riuscito nel suo intento, cioè ha ottenuto l’eliminazione del controllo dei Co.Re.Co. dalla Sanità affidandolo alle Regioni, cioè a nessuno.

La Sanità quindi oggi è libera e svincolata dal controllo dei Co.Re.Co.e lasciata all’autonomia totale dei direttori generali di nomina regionale (veri e propri podestà senza controllo) eppure non risulta che abbia fornito gravi prove di efficienza e di trasparenza nella gestione, anzi i dati forniscono elementi contrari, né è dato sapere se altri Poggiolini o altri De Lorenzo siano o meno presenti sulla scena pubblica.

"QUALI CONTROLLI NEL NUOVO ORDINAMENTO COSTITUZIONALE"

Ancona, 1 Dicembre 2001, Centro Congressi, Quartiere Fieristico di Ancona, Largo Fiera della Pesca, 11;

apertura dei lavori: Franco Balli.

1) Premessa

Nel dibattito che si è sviluppato negli ultimi tempi fra i giuristi e fra le diverse forze politiche del nostro Paese in merito alla trasformazione in senso federale dello Stato, un punto fermo è ormai rappresentato dalla recente entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, recante "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione" (in G.U. n. 248 del 24 ottobre 2001 ed in vigore dall’8 novembre 2001), la cui applicazione, al di là delle posizioni oscillanti fra federalismo minimo e federalismo massimo, comporterà effetti significativi e profonde innovazioni nell’ordinamento giuridico, soprattutto in quei settori di legislazione riguardanti le materie rientranti, in base alla nuova formulazione dell’art. 117 della Costituzione, come modificato dall’art. 3 della suddetta legge costituzionale n.3/2001, nella potestà legislativa delle Regioni.

Non v’è dubbio, infatti, che per l’effetto dell’entrata in vigore della legge di riforma costituzionale n.3/2001 e dell’eventuale esercizio della potestà legislativa regionale nelle materie ad essa riservate dal nuovo testo dell’art. 117 Cost., settori fondamentali dell’ordinamento giuridico, fin qui disciplinati in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, potrebbero essere disciplinati, in futuro, in maniera diversa da Regione a Regione, sulla base di una specifica disciplina dettata dalla legislazione regionale.

Con l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3/2001 (8 novembre, 2001), il dibattito sembra essersi incentrato, peraltro, sul sistema dei controlli negli Enti locali, e segnatamente, sulla immediata, o meno abrogazione del controllo di legittimità del Co.Re.Co. sugli atti degli Enti locali per effetto della abrogazione dell’art 130 Cost. (si veda in Giust.it nel 10/2001, L. Oliveri, "L’abrogazione dei controlli sugli atti degli Enti locali"; A. Riccardo, "Riforma costituzionale e controllo sugli atti etc."; nonché G. Virga, "I nuovi principi costituzionali non possono abrogare per implicito le disposizioni delle leggi previgenti; T. Miele, "La riforma del titolo V della Cost.": gli effetti dell’ordinamento", si veda anche A. Saccapani e G. Macheda, "Enti nel caos dopo la fine dei controlli, in Italia Oggi, 16/11/2001; M. Massaro; Stop immediato ai controlli sugli atti di Comuni e Province, il Sole 24 Ore 10/11/2001; A. Bianco, "I Co.Re.Co. tenuti in vita artificialmente e sui segretari l’ombra delle regioni, il Sole 24 Ore 22/11/2001; Petronio, "Controlli cambio di rotta senza bussola", Guida agli Enti locali, il Sole 24 Ore; A. Lonoce, "Federalismo e mancanza di controlli", 5/10/2001).

Sul punto anzi ci permettiamo di allegare, un editoriale del prof. Vittorio Italia pubblicata sul n. 44 del 17 novembre u.s. della Guida gli Enti locali del Sole 24 Ore che ci sembra particolarmente felice nella soluzione giuridica del problema.

Tuttavia non è su questo problema che vogliamo incentrare il presente convegno, trattasi infatti di problema di diritto transitorio, mentre noi vogliamo affrontare il toro per le corna e accentrare la nostra attenzione sul problema principale e cioè quali controlli nel nuovo ordinamento costituzionale.

A sentire tante Cassandre pare evidente che, superato il regime transitorio (e forse anche prima) i Co.Re.Co. debbano fare i bagagli e tornare a casa. Il mio saluto non potrebbe essere allora altro che "Ave Cesare, morituri te salutant" dove i gladiatori siamo noi e Cesare Ministri come Bassanini o Bossi (per non far torto a nessuno).

Se è così, pare opportuno un brevissimo excursus storico, partendo dal secolo scorso, per capire come si è arrivati a questo punto.

2) Breve storia dei controlli amministrativi esterni sugli Enti locali

Giova pertanto, ricordare che gli Enti locali, nel sistema delle leggi comunali provinciali di cui ai testi unici del 1934 e 1915 e al Regolamento del 1911, erano sottoposti a penetranti poteri di vigilanza, di controllo e tutela da parte dello Stato che li esercitava per il tramite di organi statali decentrati quali il Prefetto e la Giunta Provinciale Amministrativa, nonché ai più specifici e penetranti poteri di autorizzazione e approvazione, anche questi esercitati da organi statali di amministrazione attiva.

Tale sistema di controllo era manifestamente in contrasto con il sistema costituzionale delle autonomie locali soprattutto sotto due aspetti specifici: il primo attiene alla imputazione soggettiva di tali poteri e segnatamente ad organi statali di amministrazione attiva privi, pertanto, del carattere di neutralità, il secondo concernente il tipo di funzione di controllo attribuita a tali organi, non limitata a garantire la mera legalità degli atti, ma intesa a sindacarli anche nel merito.

Questo sistema è stato profondamente modificato dalla Costituzione che, all’art. 130, ha stabilito che il controllo sugli atti delle Province, dei Comuni e degli Enti locali è esercitato da un organo della regione, costituito nei modi stabiliti dalla legge della Repubblica.

La norma, che comporta un duplice ordine di conseguenze circa il contenuto dei poteri di controllo e circa l’imputazione soggettiva degli stessi poteri, oltre ad aver avuto come conseguenza, per effetto delle trasformazioni apportate dal nuovo ordinamento degli Enti locali, prima la trasformazione e, subito dopo, la soppressione del controllo di merito, oltre alla riduzione del controllo di legittimità alle principali deliberazioni dell’ente, ha altresì comportato la sostituzione dell’organo dello Stato con una organo della Regione al quale ha attribuito la funzione di controllo sugli atti degli ee. ll., conseguentemente radicando nel medesimo organo il correlato potere ("Un organo della Regione....esercita.....il controllo di legittimità sugli atti delle province, dei Comuni e degli Enti locali", così recita(va) l’art.130 della Costituzione).

A dare attuazione al precetto costituzionale ha provveduto la legge, 62,53, la quale, dopo aver disposto l’istituzione dell’organo regionale, ha dettato norme riguardanti la sua composizione nonché il procedimento di controllo. Peraltro come è a tutti noto, la Costituzione è stata concretamente attuata solo all’inizio degli anni ’70. Il che ci fa pensare che prima di cambiarla, forse, come sostiene l’ex Presidente Scalfaro, era meglio attuarla (n.d. la Costituzione).

Tale normativa è stata, successivamente, ridisegnata dalla legge delle autonomie n. 142 del 1990, istitutiva del c.d. controllo eventuale, e delle successiva norme delle leggi c.d. Bassanini, che oltre al controllo limitato agli atti fondamentali istituiscono il servizio di consulenza del Co.Re.Co. a favore degli Enti locali, e, da ultimo, dal decreto legislativo n. 267 del 2000 recante norme sull’ordinamento degli Enti locali.

3) La pari dignità fra pubbliche istituzioni

Ora secondo alcuni commentatori (De Marinis, Riccardo, Olivieri) con l’entrata in vigore della legge costituzionale 3/2001, cessando immediatamente di esistere nel nostro ordinamento l’istituto del controllo di cui all’abrogato 130 della Costituzione, cessa anche l’attività di controllo del Co.Re.Co.

Ma vi è di più.

Con riferimento al nuovo testo del 114 Cost., comma 1 e 2, 120 comma 2, si verifica una condizione di sostanziale "pari soggettività" o "pari dignità" costituzionale fra Stato, Regioni, Comuni, Province e Città Metropolitane quali enti autonomi costituenti l’organizzazione dei poteri pubblici. Quindi non più una piramide come era nella costituzione abrogata (che vedeva al vertice lo Stato, poi le Regioni ed infine le autonomie locali) ma una linea orizzontale che vede sullo stesso piano le diverse autorità pubbliche....

Secondo questi commentatori il controllo di legittimità amministrativa sugli atti, esercitato da un organo che emana da un’altra amministrazione (statale o regionale), costituirebbe una evidente manifestazione della obiettiva condizione di subordinazione in cui viene a trovarsi l’ente destinatario, per cui si conclude che è da escludere che le regioni, nell’esercizio della propria competenza legislativa, possano istituire forme di controllo sugli atti degli Enti locali i quali potranno tutt’al più dotarsi di controlli "interni" lasciando il vero controllo all’autorità giudiziaria o in ultima analisi ai cittadini. Questo sarebbe il federalismo.

Ora ci permettiamo sommessamente di dissentire con questa tesi che pare il frutto dell’ubriacatura di autonomia che ha recentemente invaso gli Enti locali, per cui si è passati dal controllo prefettizio al "fasso tutto mi" (almeno nelle promesse elettorali) di certi sindaci.

4) Cenni alla disciplina europea dei controlli amministrativi esterni

Posto che siamo, o dovremmo essere, in Europa, pare opportuno un breve cenno al sistema dei controlli negli altri paesi.

In Europa praticamente ogni regione dispone di un’istituzione di controllo finanziario esterno. In Spagna, come in Irlanda e Svizzera, coesistono diversi statuti e gli organi regionali di controllo esterno dispongono di poteri di tipo diverso, mentre altrove la regola maggioritaria sembra essere l’uniformità dei poteri esercitati dagli organi regionali all’interno di uno stesso Stato.

Per quanto riguarda l’istituzione, lo statuto e le regole di funzionamento, si distinguono due grandi gruppi: gli stati decentralizzati, come Germania e Spagna, dove questi aspetti sono di competenza regionale, e gli altri Stati, tradizionalmente unitari, dove l’esistenza, lo statuto e le regole di funzionamento degli organi regionali di controllo finanziario, sono determinati dallo stato centrale: di quest’ultimo gruppo fanno parte Francia, Inghilterra Galles e Irlanda.

In ordine all’estensione dell’attività di controllo si è visto che l’obiettivo principale degli organi regionali di controllo esterno è la verifica dei conti delle regioni e ugualmente degli organismi e delle imprese da esse dipendenti e finanziate.

La regola generale vuole che questi stessi organi regionali di controllo esterno siano abilitati a verificare i conti delle amministrazioni territoriali o degli enti di livello inferiore alla regione, come comuni, distretti, contee, province o dipartimenti.

L’obiettivo del controllo esterno esercitato dagli organi regionali di controllo è in quasi tutti i casi triplice:

- controllo della regolarità di bilancio;

- controllo della legittimità;

- controllo dell’efficacia dell’economia.

I primi due obiettivi sono realizzati praticamente ovunque, mentre sul terzo, di sviluppo teorico e pratico più recente, non esiste l’unanimità assoluta: esso non è effettuato dagli organi regionali di controllo d’Irlanda né in tutti i cantoni in Svizzera.

Circa i legami degli organismi regionali di controllo con altre istituzioni dei vari livelli territoriali, esiste una grande uniformità nei vari paesi europei. Solo nel caso degli organi regionali di controllo esterno francesi si osservano relazioni di potere e di procedura con l’organo di controllo esterno dello Stato centrale: essi sono istituzionalizzati tanto che gli organi regionali sono membri del Consiglio Superiore delle Camere Regionali dei Conti.

Relativamente alle procedure di controllo si è potuto accertare che, contrariamente a quanto previsto nel nostro sistema:

- la verifica dei conti non avviene esclusivamente su documenti, ma sono presi in considerazione anche altri elementi, ed anche accertamenti effettuati in loco.

- I documenti analizzati sono sia quelli detenuti dall’organismo di controllo che quelli appartenenti ad altri organismi pubblici. Nella maggior parte dei paesi possono essere consultati documenti di vari organismi privati, specialmente se vi sia ragione di credere che si siano avuti degli spostamenti di capitali verso di essi.

- Quanto ai poteri giurisdizionali dell’organo di controllo, essi esistono solo in Irlanda, unico paese dove all’organo regionale di controllo, si riconosca la facoltà di avviare azioni giudiziarie, il che tuttavia è ammesso in ipotesi specifiche anche nel cantone svizzero del Jura.

Gli organi regionali di controllo esterno osservano in tutti i casi una procedura in contraddittorio, che per certi aspetti e principi somiglia a quella giurisdizionale, benché non sia riconosciuta la facoltà di imporre sanzioni. Tale possibilità è riconosciuta solo agli organi regionali di controllo di Francia e Svizzera

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Il finanziamento degli organi regionali di controllo esterno proviene generalmente dal bilancio della regione, nella totalità per quanto riguarda Spagna, Germania, Svizzera e Svezia, solo in parte negli altri Stati. In Inghilterra e Galles, il finanziamento avviene secondo un sistema di quote di partecipazione stabilito, mentre in Francia esso è garantito dal bilancio dello Stato centrale.

5) Federalismo e controlli esterni amministrativi

Occorre a questo punto domandarsi, proprio per il federalismo già arrivato e per quello che arriverà, forse che le autonomie spagnole o tedesche sono meno "autonome" perché consentano il controllo esterno sui loro bilanci?

La Costituzione Spagnola impone con l’art. 103 il decentramento a livello territoriale e con l’art. 137 sancisce il diritto dei Consigli Municipali a gestire in modo autonomo i propri affari.

Ma le autonomie locali spagnole o tedesche non sentono alcun vincolo di subordinazione nei confronti delle Regioni che, appunto, non si collocano su un piano superiore ma su un piano paritario.

Il concetto è facilmente spiegabile ove si comprendono a fondo i concetti di federalismo e di controllo.

Il problema nasce infatti dalla cattiva gestione del potere che i Co.Re. Co. hanno svolto prima degli anni ’90, quando tutte le delibere venivano controllate e valendosi dei poteri di annullamento conferite dalla legge talvolta l’organo di controllo di colore politicamente diverso da quello dell’amministrazione controllata, annullava alcune deliberazioni dell’Ente locale, di fatto impedendo in questi casi l’attività amministrativa.

Tutto questo però è cambiato con la legislazione successiva che ha limitato progressivamente il numero delle delibere da "controllare". Tuttavia si trattava sempre di un controllo "preventivo" che poteva sfociare nell’annullamento degli atti. Ma tutto ciò non esiste negli altri stati europei ed in particolare negli stati federali.

Il controllo è solo ed esclusivamente "successivo", si attua cioè sui bilanci e sui conti consuntivi e non sfocia mai in un potere di annullamento di atti, ma semplicemente in un rapporto al parlamento (consiglio) regionale che potrà poi pubblicizzarlo dandogli ovviamente una notevole valenza politica.

Ecco quindi che non viene minimamente lesa l’autonomia degli Enti locali ex art. 114 della Costituzione.

In proposito pare opportuno ricordare una norma costituzionale che viene costantemente ignorata dalla critica, cioè l’art. 41 terzo comma relativo all’iniziativa economica, articolo tutt’ora in vigore. Vi si afferma che "La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali".

Ora ci si domanda chi controlla l’attività economica pubblica delle amministrazioni locali, in continua espansione? L’autorità giudiziaria....i cittadini....nessuno. Ai poster l’ardua sentenza!

6) Prospettive con l’eliminazione dei controlli amministrativi esterni: l’affidamento al sistema giurisdizionale.

E’ doveroso esaminare la tesi di quanti, e sono soprattutto i sindaci dei grandi comuni, i quali, essendo stati nominati direttamente dai cittadini, vorrebbero eliminare ogni controllo amministrativo (considerato alla stregua di lacci e laccioli) affidandosi solo controllo giurisdizionale (e a quello politico degli elettori).

Pare utile partire da alcuni dati, in particolare c’è lo studio della Banca Mondiale che, in un documento pubblicato nel numero di marzo 1998 di Finance and Development, pubblicazione trimestrale del Fondo Monetario Internazionale, dedicato alla lotta alla corruzione mondiale, mentre assegna la palma dell’onestà alla Danimarca, piazza l’Italia al trentesimo posto (su 47) dietro Cile, Spagna, Grecia, Polonia e appena prima di Malaysia e Zambia.

Ora, se si collega questo dato a quelli risultati dalle relazioni lette in pompa magna dai vari procuratori generali in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario alla presenza delle "autorità", allora si vede che nel 1997 il 95% dei furti denunciati è rimasto impunito.

In totale l’83% dei delitti denunciati è risultato impunito nel 1997. Ma non si pensi che il 1997 sia un anno eccezionale, se andiamo avanti negli anni le medie non cambiano (nel 1991 ad es. è rimasto impunito il 96,6% dei furti), rimangono grosso modo le stesse per tutti gli anni ’90.

Ma se queste sono le cifre può avere un senso affidare in pratica alla giurisdizione il controllo degli Enti locali? Ad essere maliziosi potrebbe pensarsi che si conta sulla inefficienza della giurisdizione per poter agire da parte degli amministratori nella massima "autonomia", ma sarebbe sicuramente ingiusto, ben conoscendo gli effetti nefasti di quell’arma impropria in mano ai procuratori che è "l’avviso di garanzia".

In realtà le istanze di maggior grado di autonomia degli Enti locali, anche nella prospettiva della riforma in senso federale dello Stato, impongono oggi un ripensamento del ruolo e della funzione dell’attività di controllo, che può essere disciplinata secondo modalità che consentano alla Regione di esercitare un sostanziale potere di "indirizzo collaborativo" verso le amministrazioni locali e quanto più quest’ultimo sarà efficace, tanto più il controllo potrà trasformarsi da vincolo mal tollerato dagli enti in una risorsa utilizzabile - come è stato opportunamente affermato - per obiettivi non solo di legalità, ma anche, e soprattutto, di buona ed efficiente amministrazione.

L’autonomia non può essere invece intesa come assenza di ogni forma di controllo e di verifica della legalità.

In un sistema democratico non vi è potere senza controllo. Chi amministra deve sottoporre le proprie scelte e decisioni, oltre al vaglio politico di chi lo ha eletto, anche alle verifiche della legalità e della efficienza.

Un ripensamento dei controlli amministrativi è oggi necessario alla luce delle esperienza e dei risultati ottenuti, al fine di coniugare la tutela dell’autonomia degli enti territoriali con la garanzia del rispetto della legalità dell’adozione amministrativa.

Non si può invece condividere la tesi di quanti propugnano l’eliminazione dei controlli, sulla base della considerazione che la vigilanza non ha impedito che l’attività degli Enti locali venisse esercitata in dispregio della legge e delle regole che disciplinano una sana e corretta gestione della cosa pubblica. C’è semmai da chiedersi quali sarebbero stati i risultati se fossero venuti meno anche questi "filtri" amministrativi che, se non hanno potuto reprimere i fenomeni di corruzione e di malversazione nell’ambito degli Enti locali, li hanno tuttavia limitati.

In un paese in cui l’illegalità è diffusa e fortemente radicata nel territorio occorre non già eliminare, ma rafforzare e, se necessario, ricostruire i controlli amministrativi, quegli "anticorpi fisiologici" che costituiscono una difesa contro l’illegalità e gli strumenti ordinari di vigilanza sull’attività amministrativa.

E’ perlomeno utopistico pensare che si possa pervenire, nel futuro, a migliori risultati, sostituendo ai controlli amministrativi il controllo giurisdizionale. La giustizia italiana soffre già di troppi e gravi mali perché si possa ritenerla in grado di perseguire, con efficacia e tempestività, le responsabilità derivanti da una condotta amministrativa che si discosta dai canoni della legalità e dalle regole di una corretta gestione delle risorse pubbliche.

Né ha senso affermare che il sistema dei controlli delineato dalla Legge 142/90 ha imbavagliato o appesantito lo svolgimento dell’attività dei Comuni e delle Province.

Le difficoltà, i ritardi e le insufficienze che appesantiscono l’azione delle comunità locali non dipendono dai controlli preventivi di legittimità dell’organo regionale, che vengono esercitati entro termini brevissimi, a pena di esecutività degli atti, rispetto ai quali l’esigenza della legittimità come garanzia per tutti prevale sull’altrettanto rilevante valore dell’autonomia.

D’altra parte non si possono gestire le illegalità dell’attività amministrativa con le denunce penali o con i ricorsi agli organi della giurisdizione amministrativa: si accentuerebbe la tanto deprecata sovraesposizione della Magistratura, la quale (con buona pace del potere politico) sarebbe chiamata a svolgere sempre più un ruolo di supplenza che - come è stato giustamente osservato - si accentua proprio ogni qual volta saltano i controlli amministrativi.

Un’ultima considerazione su un ipotesi di "privatizzazione" dei controlli amministrativi: avanzata in qualche sede. Chi ritiene auspicabile un controllo affidato a "professionisti" richiamando, forse senza saperlo, una tesi che era propria dell’allora ministro della Sanità De Lorenzo il quale, nel suo primo disegno di legge concernente le misure di riordino delle USL, pretendeva che il controllo sulla gestione di queste ultime fosse effettuato dalle Regioni utilizzando "società specializzate".

Sull’efficacia di tale controllo basti pensare al gruppo Gradini-Ferruzzi ed alla Società specializzata che ne rivedeva e certificava i bilanci.

Il De Lorenzo, è comunque, nonostante le vicissitudini personali, riuscito nel suo intento, cioè ha ottenuto l’eliminazione del controllo dei Co.Re.Co. dalla Sanità affidandolo alle Regioni, cioè a nessuno.

La Sanità quindi oggi è libera e svincolata dal controllo dei Co.Re.Co.e lasciata all’autonomia totale dei direttori generali di nomina regionale (veri e propri podestà senza controllo) eppure non risulta che abbia fornito gravi prove di efficienza e di trasparenza nella gestione, anzi i dati forniscono elementi contrari, né è dato sapere se altri Poggiolini o altri De Lorenzo siano o meno presenti sulla scena pubblica.