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La riforma dei controlli per un’indirizzo europeo

Da "Comuni d’Europa" dicembre 1993.

LA RIFORMA DEI CONTROLLI: PER UN INDIRIZZO EUROPEO

E’ ormai un fatto notorio la crisi del sistema dei controlli.

Un elemento che non può non indurre a una riflessione è costituito dalla diversità del nostro sistema dei controlli rispetto a quelli esistenti negli altri paesi europei, diversità che può essere letta come ritardo culturale e come approccio inadeguato ad una moderna concezione della finanza pubblica.

Il potere centrale ha cercato in qualche modo di porre rimedio alle inadeguatezze del sistema, ma lo ha fatto operando con tentativi scoordinati tutti tesi ad accentrare il controllo degli enti locali nella Corte dei Conti vista come organo garante della legittimità e del buon andamento della cosa pubblica.

La stessa istituzione della Sezione enti locali della Corte dei Conti (avvenuta con l’art. 13 del DL 22/12/81 N. 786, convertito in legge 26/2/82 N.5) non ha consentito di superare i limiti dei tradizionali controlli di legittimità. L’avvio di un embrionale riesame della gestione finanziaria degli enti locali non solo non ha posto un freno al fenomeno di deresponsabilizzazione degli amministratori tanto più il riesame della finanza locale viene effettuato in termini globali. Le risultanze dell’attività di controllo della Sezione risultano perciò prive di conseguenze immediate sui singoli enti assoggettati a verifica - rimanendo sempre privilegiata la funzione referente della Corte - sicché i disservizi di un singolo ente, pur carichi di riflessi negativi sull’intera finanza statale, sfuggono alla adozione immediata di correttivi in grado di ripristinare l’alterato buon andamento della pubblica amministrazione.

I più volte individuati limiti delle norme in tema controlli si legano, a una conclamata responsabilità della Corte dei Conti in subiecta materia: il quadro che ne emerge è comunque quello di una normativa scoordinata e disorganica e di un’attività di revisione contabile modesta quanto a risultati.

Non paiono destinati a migliore sorte i più recenti provvedimenti assunti dai due ultimi governi in materia di legittimità dell’azione amministrativa.

Quello emanato dal Governo Amato (D.L. 8/9/93 N.54 in G.U. n.56 del 9/3/93) era caratterizzato da una notevole originalità: non aveva precedenti di alcun tipo (se non in parte nel disegno di legge n,2924/88 poi divenuto legge 142/90), era svincolato da qualsiasi logica sistematica, non aveva preoccupazioni di efficienza e di contrasti istituzionali, peraltro si segnalava soprattutto per i suoi caratteri di incostituzionalità (mancava il requisito dell’urgenza, essendo prevista esplicitamente la sua operatività tra un anno; violava il principio dell’autonomia degli enti locali sottoponendoli ad una forma di controllo repressivo di un organo statale), di conflittualità istituzionale e di sostanziale inapplicabilità sul piano pratico.

Il decreto è stato accolto da un unanime coro di voci critiche (tra i pochi giudizi positivi quello di Giuseppe Carbone, presidente della Corte dei Conti, "i controlli amministrativi", in Repubblica 20/3/93) ed è stato fatto decadere senza troppi rimpianti.

Insieme al decreto se n’è andato anche il Governo Amato, sostituito dall’attuale Governo in carica.

Sull’impulso del ministro Cassese, il Governo in carica ha ripreso in mano il problema, insistendo però nella sua risoluzione attraverso lo strumento del Decreto Legge, ed utilizzando l’arma della perseveranza, continuando cioè a riproporre il decreto legge non appena questi veniva in scadenza: così abbiamo avuto il DL 15/5/93 n.143 (in G.U.N. 113 del 17/5/93), il DL 17/7/93 n.232 (in G.U.N. 166 del 17/7/93 n.232 (in G.U.N. 166 del 17/7/93), il DL 14/9/93 n.359 (in G.U.N. 217 del 15/9/93) e finalmente il recentissimo DL 15/11/93 n.453 (in G.U.N. 268 del 15/11/93).

Questi provvedimenti sono sostanzialmente analoghi, salvo lievi modifiche e appaiono sicuramente meno rozzi e più equilibrati rispetto al DL N.54/93.

L’intento dei decreti, in tutte le versioni, è anzitutto quello di ridisegnare la struttura della Corte dei Conti su base regionale, rendendo più rapidi e veloci i meccanismi di individuazione e di recupero del denaro illegittimamente sottratto alle casse pubbliche. Non a caso il testo iniziale faceva parte di quel provvedimento presentato dal ministro della Giustizia del Governo Amato, Giovanni Conso, ma non firmato dal presidente della Repubblica, che introduceva rilevanti modifiche nel trattamento riservato ai reati tipici di tangentopoli.

Nella prospettiva della riforma dei controlli paiono particolarmente significativi i seguenti punti: anzitutto con il decreto 453/93 scompare improvvisamente la norma istitutiva dei servizi di controllo interno nelle pubbliche amministrazioni (art.8 DL 143/93; art.9 DL N.232/93; art.9 DL N.359/93, uno dei punti centrali della riforma dei controlli secondo il prof. Cassese, cfr. "i moscerini e gli avvoltoi - Sistema dei controlli e riforma della Costituzione", in Il Corriere Giuridico n.2/93, p.228).

Non può però sostenersi un ripensamento in proposito da parte del Governo, ma semplicemente l’intenzione di collocare la norma in un contesto di riforma dell’organizzazione della P.A., confinando nel presente DL solo la normativa quadro relativa alla Corte dei Conti.

Il problema dei controlli viene espressamente trattato nell’art.7 del DL 453/93.

Lo schema di fondo della norma è quello che discende direttamente dalla 142/90 (limitazione del controllo preventivo agli atti del provvedimento qualora l’organo di controllo non si sia pronunciato entro un breve tempo determinato dal ricevimento dell’atto, N.R. 30 gg), ma in questo quadro sicuramente ragionevole e condivisibile, vengono inserite altre disposizioni piuttosto discutibili.

Anzitutto viene espressamente introdotto il controllo sulla gestione nei confronti delle amministrazioni regionali (n.6), controllo non previsto nel primo DL n.143/93.

La previsione normativa contenuta nella stesura del predetto decreto n.143/93 era sicuramente preferibile, nella sua linearità e speditezza rispetto a quella definita nell’ultimo decreto, molto farraginosa e sicura fonte di conflittualità istituzionale.

Ci si domanda infatti a questo punto quale sia il ruolo della Commissione di controllo sull’Amministrazione Regionale, prevista dall’art.125 della Costituzione e non ancora abrogata,e come questo controllo vada a raccordarsi con il controllo esercitato dal predetto organo.

Viene anche affidato alla Corte dei Conti il controllo sul "funzionamento dei controlli interni", rectius il controllo sui controlli, ma il legislatore si è dimenticato, come si è visto prima, la norma istitutiva dei medesimi, per cui pare piuttosto problematico questo "super-controllo".

Per quanto riguarda gli enti locali viene mantenuta ferma la competenza della Sezione enti locali della Corte sulla cui efficacia e produttività ci siamo già soffermati sopra.

Ad un primo esame potrebbe sembrare che il legislatore, con questa norma, abbia voluto escludere l’applicabilità ai Comuni ed alle Province del nuovo controllo successivo di gestione di cui al n.5 della norma in esame, al fine di evitare che gli enti locali siano sottoposti due volte al controllo della Corte dei Conti.

Peraltro ad un esame più approfondito potrebbe facilmente sostenersi che i due controlli si differenzino sia sotto un profilo soggettivo sia oggettivo e che quindi ben possano essere "compatibili".

Infatti il controllo attribuito alla sezione Enti locali della Corte dei Conti riguarda solo le province e i comuni con più di ottomila abitanti, mentre il controllo "successivo" di nuova istituzione, riferendosi genericamente alle "Amministrazioni Pubbliche", interessa qualsiasi ente locale, indipendentemente dalla sua dimensione, inoltre, diversamente dal primo, che comporta valutazioni di ordine complessivo, ha come oggetto l’attività delle singole amministrazioni sottoposte separatamente ed "autonomamente" ai "severi" giudizi dell’organo di controllo.

Ne consegue, anche in linea con lo spirito centralista che anima la presente normativa, che, secondo quest’ultima, gli enti locali saranno sottoposti ad un doppio controllo da parte della Corte dei Conti, con buona pace del sistema delle autonomie.

Tale sistema può poi essere fonte di conflittualità istituzionale in quanto il nuovo controllo successivo della Corte dei Conti si sovrappone anche al controllo del Coreco previsto all’art.46 N.11 L. 142/90.

Il risultato è che i bilanci e i conti consuntivi degli enti locali potranno essere soggetti ad un quadruplice controllo: quello del Coreco (ex art.46 L.142/90); quello del Collegio dei Revisori (ex art. 57 L.142/90); quello della Corte dei Conti (ai sensi del DL 768/81) ed infine al nuovo controllo successivo della Corte dei Conti, con buona pace del prof. Cassese che aveva individuato come limite quello dell’eccessiva proliferazione dei controlli (cfr. op. cit. p.228), ma soprattutto delle autonomie che si troveranno addirittura "ingabbiate" nel nuovo sistema dei controlli.

Pare pertanto indispensabile, in sede di eventuale conversione del decreto, l’esplicita esclusione degli enti locali dal novero delle "amministrazioni pubbliche" di cui all’art.7 N.5.

In sostanza trattasi, come si può vedere, di disposizioni che solo in parte possono anche essere condivise sul piano dell’efficienza dei controlli ( specificatamente per quanto riguarda gli atti delle amministrazioni statali), ma dall’altra parte esse portano a compimento quel processo di accentramento del controllo negli organi statali centrali, con conseguente inevitabile compressione delle autonomie locali.

Detto processo iniziato con le richieste di informazioni ai Coreco da parte della Corte dei Conti, transitato attraverso la sentenza n.422 del 24/3/88 della Corte Costituzionale che ha riconosciuto la legittimità di tali richieste, arriva al suo culmine con il riferimento della Corte dei Conti non più e non solo al Parlamento, ma anche ai Consigli regionali!

In sostanza la Corte dei Conti, con il provvedimento in esame è oggi diventato un organo centrale, sia pur decentrato, abilitato al controllo successivo di efficacia e di efficienza per conto dei Consigli regionali, espropriando di tali funzioni il Coreco rinnovato secondo le disposizioni di cui alla L. 142/90.

Qui il contrasto con l’art. 130 della Costituzione è palese e solo l’insipienza e la scarsa attenzione al problema da parte delle Regioni può consentire una tale espropriazione che si tradurrà in una inevitabile limitazione dell’autonomia locale.

A questo proposito spiace peraltro constatare come la capacità di comprensione di tale problema sia del tutto assente presso i nostri deputati, forse pressati da altre esigenze, se è vero che la Commissione parlamentare per le riforme istituzionali ha proposto, con notevole lungimiranza, la seguente modifica dell’art.130 della Costituzione: " Sezioni decentrate della Corte dei Conti esercitano, nei limiti e con le modalità stabilite da leggi dello Stato il controllo di legittimità sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali."

E’ ormai da qualche anno che stiamo assistendo ad un vero e proprio sistematico attacco che viene sferrato da diverse parti, anche tra loro molto distanti, agli organi regionali di controllo.

Cominciò l’allora ministro della Sanità De Lorenzo il quale, nel suo primo disegno di legge concernente le misure di riordino delle USL, pretendeva che il controllo sulla gestione di queste ultime fosse effettuato dalle Regioni utilizzando "società specializzate".

Sull’efficacia di tale controllo basti pensare al gruppo Ferruzzi ed alle Società specializzate che ne rivedeva e certificava i bilanci.

Di gran moda poi, in questo momento, come si è visto, la tesi di chi invoca l’affidamento dei controlli alla Corte dei Conti, trasformata in sezione regionale (in questo senso: M.S. Giannini, "Riforma delle autonomie, il progetto Giannini" in Regione e Governo locale, 1989, n.4 p.41 e seg.).

Il paladino di tale tesi è soprattutto il prof. Cassese (op.cit.). che peraltro ha avuto recentemente l’autorevole conforto dell’On.le Alessandra Mussolini (che in un’intervista televisiva si è espressamente pronunziata per la soppressione di Regioni, Province e Comitati di controllo) e del Ministro dell’Interno Nicola Mancino ( Il Sole 24 Ore, 31/5/1993: "Mancino vuole super-controlli sugli enti locali").

Nessuna voce al momento si è levata per richiedere il ripristino della "tutela prefettizia", ma data la confusione esistente sul problema dei controlli, non ci meraviglieremmo se qualcuno proponesse tale soluzione.

In realtà la soluzione del problema c’è già, e non richiede nessuna modifica della Carta Costituzionale. Basta introdurre il controllo successivo sull’attività dell’ente locale non previsto, ma neppure escluso, dal legislatore costituzionale che forse non lo conosceva neppure.

Con riguardo a questa forma di sindacato, si parla appunto di controllo di gestione, per indicare che il suo oggetto non è più l’atto amministrativo singolarmente considerato, ma tutta la gestione globalmente intesa, caratterizzata non solo dagli atti emanati ma anche dagli omessi, e soprattutto, dai risultati raggiunti. Dell’attività amministrativa si tratta di valutare l’efficacia e l’efficienza: la prima esprime l’idoneità a raggiungere gli obiettivi prefissati, la seconda attiene al rapporto tra risorse impiegate e risultati conseguiti.

Tale sistema potrebbe ben essere affiancato ai tradizionali controlli di legittimità, che in forma maggiormente ridotta e razionalizzata anche rispetto a quella prevista dalla legge 152/90 (si pensi al sistema di controllo eventuale già previsto in lacune legislazioni regionali prima della legge 142/90; legge 12/12/85 n.28 dell’Emilia-Romagna, e legge 8/2/82 del n.2 della Lombardia) possano ancora svolgere un’utile funzione.

Ad avviso di chi scrive, non pare che questo organo formato da magistrati di carriera, cioè inamovibili e di nomina governativa, potrebbe risolvere il problema in esame: sicuramente non sarebbe risolto il problema dello svincolo dei controlli della politica, come dimostrano le recenti polemiche interne alla Corte dei Conti seguite dalla stampa nazionale.

Del resto anche sotto il profilo dell’efficienza vi sarebbe molto da ridire in proposito. Senza andare al problema delle pensioni di guerra e dei relativi danni che ancora aspettano di essere liquidati, e che il governo, con una norma degna della Repubblica di Vichy, risolve con una generale declaratoria di estinzione del giudizio (art.6 n.2 del DL 453/93) in mancanza di istanza per la prosecuzione del medesimo da depositarsi entro un anno dalla data dell’insediamento della sezione competente, basti qui osservare alla fine di luglio di quest’anno risultavano ancora da esaminare 192 mila rendiconti e 792 mila titoli di pagamento (Roberto Turno: "Su procura e pensioni pesano 250mila pensioni di guerra" Il Sole 24 Ore, 24/10/93).

Sembra a chi scrive che è più che sufficiente per la Corte dei Conti il controllo sulle amministrazioni dello Stato che peraltro, almeno dalle note vicende giudiziarie che sono sui giornali, non pare particolarmente efficace (vedasi, ad es., appalti ANAS e quant’altro). Del resto per quanto riguarda l’Europa, solo nel sistema inglese e francese il controllo degli enti locali viene affidato a funzionari o magistrati di carriera e ciò si spiega ampiamente con le tradizioni centraliste di questi stati.

Entrambi ovviamente devono essere affidati al Coreco quale organo costituzionalmente previsto ed a ciò deputato dall’art.130 della Costituzione.

Del resto un’embrionale forma di controllo di gestione è già affidata al Coreco dall’art. 46 N.11 della L. 142/90 (che peraltro all’art.57 affida al collegio dei revisori la revisione economico-finanziaria dell’ente, che può essere un utile supporto al futuro controllo di efficacia e di efficienza affidato al Coreco).

Ovviamente però, per svolgere tali compiti (ex art.44 N.4 L.142/90), il Coreco deve essere dotato di adeguate strutture serventi, essendo allo stato indispensabile di poter effettuare un serio controllo di gestione con le strutture attualmente esistenti.

Si potrebbe pensare anche ad un controllo di gestione impostato dapprima su tematiche (ad es. personale, contratti, servizi...) preventivamente scelte dall’organo di controllo per poter svolgere un esame approfondito sulla gestione in materia dell’ente locale.

Tale attività sarebbe di grande rilievo pratico e politico in quanto consentirebbe ai cittadini di avere un immediato rapporto sull’attività dell’ente locale (i Coreco nel nostro sistema istituzionale sono ormai i soli organi che si pronunciano in tempi brevissimi) e verrebbero a configurare il Coreco come una vera e propria banca dati della autonomie, con evidenti benefici per l’efficacia e l’efficienza dell’attività di queste ultime e della stessa Regione.

La soluzione da noi proposta potrebbe anche essere letta come un indispensabile adeguamento a livelli "europei" della nostra normativa in materia di controlli.

Si noti che oltre ad avvicinarci all’Europa, essa consentirebbe una notevole moralizzazione della nostra vita politica ed un vero controllo più imparziale e più efficace dell’azione amministrativa, nel totale rispetto peraltro delle autonomie locali e della carta costituzionale.

Non nutriamo peraltro soverchie illusioni sull’accoglimento nelle sedi competenti della nostra linea "europea" Pare infatti sempre attuale quanto affermato dal De Sanctis nella sua "Storia della letterature italiana"; "in Italia prevalse la Rettorica, la cui prima regola è l’orrore del particolare e la vaga generalità".

Da "Comuni d’Europa" dicembre 1993.

LA RIFORMA DEI CONTROLLI: PER UN INDIRIZZO EUROPEO

E’ ormai un fatto notorio la crisi del sistema dei controlli.

Un elemento che non può non indurre a una riflessione è costituito dalla diversità del nostro sistema dei controlli rispetto a quelli esistenti negli altri paesi europei, diversità che può essere letta come ritardo culturale e come approccio inadeguato ad una moderna concezione della finanza pubblica.

Il potere centrale ha cercato in qualche modo di porre rimedio alle inadeguatezze del sistema, ma lo ha fatto operando con tentativi scoordinati tutti tesi ad accentrare il controllo degli enti locali nella Corte dei Conti vista come organo garante della legittimità e del buon andamento della cosa pubblica.

La stessa istituzione della Sezione enti locali della Corte dei Conti (avvenuta con l’art. 13 del DL 22/12/81 N. 786, convertito in legge 26/2/82 N.5) non ha consentito di superare i limiti dei tradizionali controlli di legittimità. L’avvio di un embrionale riesame della gestione finanziaria degli enti locali non solo non ha posto un freno al fenomeno di deresponsabilizzazione degli amministratori tanto più il riesame della finanza locale viene effettuato in termini globali. Le risultanze dell’attività di controllo della Sezione risultano perciò prive di conseguenze immediate sui singoli enti assoggettati a verifica - rimanendo sempre privilegiata la funzione referente della Corte - sicché i disservizi di un singolo ente, pur carichi di riflessi negativi sull’intera finanza statale, sfuggono alla adozione immediata di correttivi in grado di ripristinare l’alterato buon andamento della pubblica amministrazione.

I più volte individuati limiti delle norme in tema controlli si legano, a una conclamata responsabilità della Corte dei Conti in subiecta materia: il quadro che ne emerge è comunque quello di una normativa scoordinata e disorganica e di un’attività di revisione contabile modesta quanto a risultati.

Non paiono destinati a migliore sorte i più recenti provvedimenti assunti dai due ultimi governi in materia di legittimità dell’azione amministrativa.

Quello emanato dal Governo Amato (D.L. 8/9/93 N.54 in G.U. n.56 del 9/3/93) era caratterizzato da una notevole originalità: non aveva precedenti di alcun tipo (se non in parte nel disegno di legge n,2924/88 poi divenuto legge 142/90), era svincolato da qualsiasi logica sistematica, non aveva preoccupazioni di efficienza e di contrasti istituzionali, peraltro si segnalava soprattutto per i suoi caratteri di incostituzionalità (mancava il requisito dell’urgenza, essendo prevista esplicitamente la sua operatività tra un anno; violava il principio dell’autonomia degli enti locali sottoponendoli ad una forma di controllo repressivo di un organo statale), di conflittualità istituzionale e di sostanziale inapplicabilità sul piano pratico.

Il decreto è stato accolto da un unanime coro di voci critiche (tra i pochi giudizi positivi quello di Giuseppe Carbone, presidente della Corte dei Conti, "i controlli amministrativi", in Repubblica 20/3/93) ed è stato fatto decadere senza troppi rimpianti.

Insieme al decreto se n’è andato anche il Governo Amato, sostituito dall’attuale Governo in carica.

Sull’impulso del ministro Cassese, il Governo in carica ha ripreso in mano il problema, insistendo però nella sua risoluzione attraverso lo strumento del Decreto Legge, ed utilizzando l’arma della perseveranza, continuando cioè a riproporre il decreto legge non appena questi veniva in scadenza: così abbiamo avuto il DL 15/5/93 n.143 (in G.U.N. 113 del 17/5/93), il DL 17/7/93 n.232 (in G.U.N. 166 del 17/7/93 n.232 (in G.U.N. 166 del 17/7/93), il DL 14/9/93 n.359 (in G.U.N. 217 del 15/9/93) e finalmente il recentissimo DL 15/11/93 n.453 (in G.U.N. 268 del 15/11/93).

Questi provvedimenti sono sostanzialmente analoghi, salvo lievi modifiche e appaiono sicuramente meno rozzi e più equilibrati rispetto al DL N.54/93.

L’intento dei decreti, in tutte le versioni, è anzitutto quello di ridisegnare la struttura della Corte dei Conti su base regionale, rendendo più rapidi e veloci i meccanismi di individuazione e di recupero del denaro illegittimamente sottratto alle casse pubbliche. Non a caso il testo iniziale faceva parte di quel provvedimento presentato dal ministro della Giustizia del Governo Amato, Giovanni Conso, ma non firmato dal presidente della Repubblica, che introduceva rilevanti modifiche nel trattamento riservato ai reati tipici di tangentopoli.

Nella prospettiva della riforma dei controlli paiono particolarmente significativi i seguenti punti: anzitutto con il decreto 453/93 scompare improvvisamente la norma istitutiva dei servizi di controllo interno nelle pubbliche amministrazioni (art.8 DL 143/93; art.9 DL N.232/93; art.9 DL N.359/93, uno dei punti centrali della riforma dei controlli secondo il prof. Cassese, cfr. "i moscerini e gli avvoltoi - Sistema dei controlli e riforma della Costituzione", in Il Corriere Giuridico n.2/93, p.228).

Non può però sostenersi un ripensamento in proposito da parte del Governo, ma semplicemente l’intenzione di collocare la norma in un contesto di riforma dell’organizzazione della P.A., confinando nel presente DL solo la normativa quadro relativa alla Corte dei Conti.

Il problema dei controlli viene espressamente trattato nell’art.7 del DL 453/93.

Lo schema di fondo della norma è quello che discende direttamente dalla 142/90 (limitazione del controllo preventivo agli atti del provvedimento qualora l’organo di controllo non si sia pronunciato entro un breve tempo determinato dal ricevimento dell’atto, N.R. 30 gg), ma in questo quadro sicuramente ragionevole e condivisibile, vengono inserite altre disposizioni piuttosto discutibili.

Anzitutto viene espressamente introdotto il controllo sulla gestione nei confronti delle amministrazioni regionali (n.6), controllo non previsto nel primo DL n.143/93.

La previsione normativa contenuta nella stesura del predetto decreto n.143/93 era sicuramente preferibile, nella sua linearità e speditezza rispetto a quella definita nell’ultimo decreto, molto farraginosa e sicura fonte di conflittualità istituzionale.

Ci si domanda infatti a questo punto quale sia il ruolo della Commissione di controllo sull’Amministrazione Regionale, prevista dall’art.125 della Costituzione e non ancora abrogata,e come questo controllo vada a raccordarsi con il controllo esercitato dal predetto organo.

Viene anche affidato alla Corte dei Conti il controllo sul "funzionamento dei controlli interni", rectius il controllo sui controlli, ma il legislatore si è dimenticato, come si è visto prima, la norma istitutiva dei medesimi, per cui pare piuttosto problematico questo "super-controllo".

Per quanto riguarda gli enti locali viene mantenuta ferma la competenza della Sezione enti locali della Corte sulla cui efficacia e produttività ci siamo già soffermati sopra.

Ad un primo esame potrebbe sembrare che il legislatore, con questa norma, abbia voluto escludere l’applicabilità ai Comuni ed alle Province del nuovo controllo successivo di gestione di cui al n.5 della norma in esame, al fine di evitare che gli enti locali siano sottoposti due volte al controllo della Corte dei Conti.

Peraltro ad un esame più approfondito potrebbe facilmente sostenersi che i due controlli si differenzino sia sotto un profilo soggettivo sia oggettivo e che quindi ben possano essere "compatibili".

Infatti il controllo attribuito alla sezione Enti locali della Corte dei Conti riguarda solo le province e i comuni con più di ottomila abitanti, mentre il controllo "successivo" di nuova istituzione, riferendosi genericamente alle "Amministrazioni Pubbliche", interessa qualsiasi ente locale, indipendentemente dalla sua dimensione, inoltre, diversamente dal primo, che comporta valutazioni di ordine complessivo, ha come oggetto l’attività delle singole amministrazioni sottoposte separatamente ed "autonomamente" ai "severi" giudizi dell’organo di controllo.

Ne consegue, anche in linea con lo spirito centralista che anima la presente normativa, che, secondo quest’ultima, gli enti locali saranno sottoposti ad un doppio controllo da parte della Corte dei Conti, con buona pace del sistema delle autonomie.

Tale sistema può poi essere fonte di conflittualità istituzionale in quanto il nuovo controllo successivo della Corte dei Conti si sovrappone anche al controllo del Coreco previsto all’art.46 N.11 L. 142/90.

Il risultato è che i bilanci e i conti consuntivi degli enti locali potranno essere soggetti ad un quadruplice controllo: quello del Coreco (ex art.46 L.142/90); quello del Collegio dei Revisori (ex art. 57 L.142/90); quello della Corte dei Conti (ai sensi del DL 768/81) ed infine al nuovo controllo successivo della Corte dei Conti, con buona pace del prof. Cassese che aveva individuato come limite quello dell’eccessiva proliferazione dei controlli (cfr. op. cit. p.228), ma soprattutto delle autonomie che si troveranno addirittura "ingabbiate" nel nuovo sistema dei controlli.

Pare pertanto indispensabile, in sede di eventuale conversione del decreto, l’esplicita esclusione degli enti locali dal novero delle "amministrazioni pubbliche" di cui all’art.7 N.5.

In sostanza trattasi, come si può vedere, di disposizioni che solo in parte possono anche essere condivise sul piano dell’efficienza dei controlli ( specificatamente per quanto riguarda gli atti delle amministrazioni statali), ma dall’altra parte esse portano a compimento quel processo di accentramento del controllo negli organi statali centrali, con conseguente inevitabile compressione delle autonomie locali.

Detto processo iniziato con le richieste di informazioni ai Coreco da parte della Corte dei Conti, transitato attraverso la sentenza n.422 del 24/3/88 della Corte Costituzionale che ha riconosciuto la legittimità di tali richieste, arriva al suo culmine con il riferimento della Corte dei Conti non più e non solo al Parlamento, ma anche ai Consigli regionali!

In sostanza la Corte dei Conti, con il provvedimento in esame è oggi diventato un organo centrale, sia pur decentrato, abilitato al controllo successivo di efficacia e di efficienza per conto dei Consigli regionali, espropriando di tali funzioni il Coreco rinnovato secondo le disposizioni di cui alla L. 142/90.

Qui il contrasto con l’art. 130 della Costituzione è palese e solo l’insipienza e la scarsa attenzione al problema da parte delle Regioni può consentire una tale espropriazione che si tradurrà in una inevitabile limitazione dell’autonomia locale.

A questo proposito spiace peraltro constatare come la capacità di comprensione di tale problema sia del tutto assente presso i nostri deputati, forse pressati da altre esigenze, se è vero che la Commissione parlamentare per le riforme istituzionali ha proposto, con notevole lungimiranza, la seguente modifica dell’art.130 della Costituzione: " Sezioni decentrate della Corte dei Conti esercitano, nei limiti e con le modalità stabilite da leggi dello Stato il controllo di legittimità sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali."

E’ ormai da qualche anno che stiamo assistendo ad un vero e proprio sistematico attacco che viene sferrato da diverse parti, anche tra loro molto distanti, agli organi regionali di controllo.

Cominciò l’allora ministro della Sanità De Lorenzo il quale, nel suo primo disegno di legge concernente le misure di riordino delle USL, pretendeva che il controllo sulla gestione di queste ultime fosse effettuato dalle Regioni utilizzando "società specializzate".

Sull’efficacia di tale controllo basti pensare al gruppo Ferruzzi ed alle Società specializzate che ne rivedeva e certificava i bilanci.

Di gran moda poi, in questo momento, come si è visto, la tesi di chi invoca l’affidamento dei controlli alla Corte dei Conti, trasformata in sezione regionale (in questo senso: M.S. Giannini, "Riforma delle autonomie, il progetto Giannini" in Regione e Governo locale, 1989, n.4 p.41 e seg.).

Il paladino di tale tesi è soprattutto il prof. Cassese (op.cit.). che peraltro ha avuto recentemente l’autorevole conforto dell’On.le Alessandra Mussolini (che in un’intervista televisiva si è espressamente pronunziata per la soppressione di Regioni, Province e Comitati di controllo) e del Ministro dell’Interno Nicola Mancino ( Il Sole 24 Ore, 31/5/1993: "Mancino vuole super-controlli sugli enti locali").

Nessuna voce al momento si è levata per richiedere il ripristino della "tutela prefettizia", ma data la confusione esistente sul problema dei controlli, non ci meraviglieremmo se qualcuno proponesse tale soluzione.

In realtà la soluzione del problema c’è già, e non richiede nessuna modifica della Carta Costituzionale. Basta introdurre il controllo successivo sull’attività dell’ente locale non previsto, ma neppure escluso, dal legislatore costituzionale che forse non lo conosceva neppure.

Con riguardo a questa forma di sindacato, si parla appunto di controllo di gestione, per indicare che il suo oggetto non è più l’atto amministrativo singolarmente considerato, ma tutta la gestione globalmente intesa, caratterizzata non solo dagli atti emanati ma anche dagli omessi, e soprattutto, dai risultati raggiunti. Dell’attività amministrativa si tratta di valutare l’efficacia e l’efficienza: la prima esprime l’idoneità a raggiungere gli obiettivi prefissati, la seconda attiene al rapporto tra risorse impiegate e risultati conseguiti.

Tale sistema potrebbe ben essere affiancato ai tradizionali controlli di legittimità, che in forma maggiormente ridotta e razionalizzata anche rispetto a quella prevista dalla legge 152/90 (si pensi al sistema di controllo eventuale già previsto in lacune legislazioni regionali prima della legge 142/90; legge 12/12/85 n.28 dell’Emilia-Romagna, e legge 8/2/82 del n.2 della Lombardia) possano ancora svolgere un’utile funzione.

Ad avviso di chi scrive, non pare che questo organo formato da magistrati di carriera, cioè inamovibili e di nomina governativa, potrebbe risolvere il problema in esame: sicuramente non sarebbe risolto il problema dello svincolo dei controlli della politica, come dimostrano le recenti polemiche interne alla Corte dei Conti seguite dalla stampa nazionale.

Del resto anche sotto il profilo dell’efficienza vi sarebbe molto da ridire in proposito. Senza andare al problema delle pensioni di guerra e dei relativi danni che ancora aspettano di essere liquidati, e che il governo, con una norma degna della Repubblica di Vichy, risolve con una generale declaratoria di estinzione del giudizio (art.6 n.2 del DL 453/93) in mancanza di istanza per la prosecuzione del medesimo da depositarsi entro un anno dalla data dell’insediamento della sezione competente, basti qui osservare alla fine di luglio di quest’anno risultavano ancora da esaminare 192 mila rendiconti e 792 mila titoli di pagamento (Roberto Turno: "Su procura e pensioni pesano 250mila pensioni di guerra" Il Sole 24 Ore, 24/10/93).

Sembra a chi scrive che è più che sufficiente per la Corte dei Conti il controllo sulle amministrazioni dello Stato che peraltro, almeno dalle note vicende giudiziarie che sono sui giornali, non pare particolarmente efficace (vedasi, ad es., appalti ANAS e quant’altro). Del resto per quanto riguarda l’Europa, solo nel sistema inglese e francese il controllo degli enti locali viene affidato a funzionari o magistrati di carriera e ciò si spiega ampiamente con le tradizioni centraliste di questi stati.

Entrambi ovviamente devono essere affidati al Coreco quale organo costituzionalmente previsto ed a ciò deputato dall’art.130 della Costituzione.

Del resto un’embrionale forma di controllo di gestione è già affidata al Coreco dall’art. 46 N.11 della L. 142/90 (che peraltro all’art.57 affida al collegio dei revisori la revisione economico-finanziaria dell’ente, che può essere un utile supporto al futuro controllo di efficacia e di efficienza affidato al Coreco).

Ovviamente però, per svolgere tali compiti (ex art.44 N.4 L.142/90), il Coreco deve essere dotato di adeguate strutture serventi, essendo allo stato indispensabile di poter effettuare un serio controllo di gestione con le strutture attualmente esistenti.

Si potrebbe pensare anche ad un controllo di gestione impostato dapprima su tematiche (ad es. personale, contratti, servizi...) preventivamente scelte dall’organo di controllo per poter svolgere un esame approfondito sulla gestione in materia dell’ente locale.

Tale attività sarebbe di grande rilievo pratico e politico in quanto consentirebbe ai cittadini di avere un immediato rapporto sull’attività dell’ente locale (i Coreco nel nostro sistema istituzionale sono ormai i soli organi che si pronunciano in tempi brevissimi) e verrebbero a configurare il Coreco come una vera e propria banca dati della autonomie, con evidenti benefici per l’efficacia e l’efficienza dell’attività di queste ultime e della stessa Regione.

La soluzione da noi proposta potrebbe anche essere letta come un indispensabile adeguamento a livelli "europei" della nostra normativa in materia di controlli.

Si noti che oltre ad avvicinarci all’Europa, essa consentirebbe una notevole moralizzazione della nostra vita politica ed un vero controllo più imparziale e più efficace dell’azione amministrativa, nel totale rispetto peraltro delle autonomie locali e della carta costituzionale.

Non nutriamo peraltro soverchie illusioni sull’accoglimento nelle sedi competenti della nostra linea "europea" Pare infatti sempre attuale quanto affermato dal De Sanctis nella sua "Storia della letterature italiana"; "in Italia prevalse la Rettorica, la cui prima regola è l’orrore del particolare e la vaga generalità".