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I controlli sugli atti degli enti locali ed il confronto europeo

da "I CONTROLLI SUGLI ATTI DEGLI ENTI LOCALI E IL CONFRONTO EUROPEO"

edito da Associazione Italiana per il Consiglio dei Comuni delle Regioni d’Europa, 1992

"LA RIFORMA DEI CONTROLLI SUGLI ATTI DEGLI ENTI LOCALI"

1) Premessa - I limiti dell’attuale sistema dei controlli

L’esperienza ultradecennale ha evidenziato i limiti dell’attuale sistema dei controlli e, quindi, l’esigenza di profonfi aggiustamenti che superino l’assetto dettato dalla legge 10/2/1953 n. 62.

Quest’ultima, con una soluzione a prima vista semplice e lineare, ha attuato l’art. 130 della Costituzione, attribuendo sostanzialmente al nuovo Comitato ed alle sue sezioni, il controllo di legittimità prima attribuito al Prefetto ed il controllo di merito in precedenza esercitato dalla Giunta Provinciale amministrativa.

Senonchè il controllo prima svolto da organi dello Stato non era in funzione di "garanzia", ma in funzione di "indirizzo e di tutela" ed infatti il controllo di merito importava una codeterminazione delle decisioni maggiormente significative con un organo dello Stato, mentre il controllo di legittimità "si era venuto articolando, quantomeno, in funzione di tutela, cioè del riscontro che l’attività fosse conforme a parametri astratti di legittimità ma alla visione politico-amministrativa del controllante" (Merusi e Cheli, Le Regioni, 1973, p.908) cioè dello Stato.

Il controllo di legittimità rimane perciò tutt’ora ancorato alla funzione di vigilanza e di indirizzo, in netto contrasto con le potenzialità racchiuse, ma ancora inespresse, nella norma costituzionale.

Tende perciò a manifestarsi, con quotidiana frequenza, una contraddizione tra natura dell’organo regionale di controllo e funzioni ereditate; una contraddizione che non si supera con un rapporto formalmente democratico (ma sostanzialmente paternalistico) tra controllato e controllante, anche perché vi è il rischio che le conseguenza dell’inadeguato quadro legislativo nazionale si scarichino nel rapporto tra Regioni, Organi di controllo ed Enti Locali svilendolo al livello di una estenuante "querelle" priva di sbocchi riformatori di carattere generale.

Valga una succinta digressione storica.

Il controllo di legittimità veniva esercitato dal Prefetto ex art. 97 e 148 T.U.L.C.P. senza limitazioni di oggetto.

Sulla premessa che ogni atto deliberativo dell’ente potesse essere annullato dal Prefetto, il modo per tenere sotto "tutela" l’attività dell’ente locale oscillava fra due poli: l’invio di circolari agli enti controllati, di per sé non vincolanti, ma vincolanti nella sostanza perché anticipatrici di parametri di giudizio del controllante e la preventiva ricerca del consenso del controllante da parte del controllato o viceversa, nelle ipotesi in cui la soluzione da adottare apparisse problematica.

Il Comitato Regionale di Controllo, titolare in astratto, ex art. 130 della Costituzione, della funzione di garanzia, di riscontro oggettivo alla legge vigente, ma sfornito, giustamente, di "supremazia", è portato, invece, ad operare un controllo di tipo oggettivo sui singoli atti amministrativi.

Stretto in questa contraddizione, non superata dalle varie leggi regionali "sui controlli", il Comitato di controllo è, ogni giorno, costretto a causa delle norme che lo disciplinano, a riscoprire leggi ormai desuete e ad applicare nuove norme spesso poco comprensibili, pressato da ridottissimo tempi di esame imposti dalla legge, ed ha finito molte volte, come è noto, per prestare il fianco all’accusa di essere più "legalista" e "fiscale" del Prefetto e delle Giunte Provinciali Amministrative.

C’è da aggiungere che nel contempo, rispetto al controllo esercitato dal Prefetto, è mutato totalmente il quadro dell’attività soggetta a controllo, con l’espandersi delle funzioni attribuite agli enti locali e con il dilatarsi della legislazione che tali funzioni determina e regolamenta.

In effetti antecedentemente l’attività degli enti locali era sostanzialmente libera e discrezionale, e non vincolata da particolari procedure di legge (salvo ovviamente il contorllo sui bilanci, sulle OO.PP. e urbanistica). I limiti erano in sostanza determinati dalla disponibilità finanziaria.

A partire dal 1977 viene mutuato totalmente il sistema finanziario degli enti locali introducendo nella legge finanziaria annuale tutta la disciplina del personale.

Si sono poi dilatate (e ovviamente regolamentate) le funzioni degli enti locali (si pensi al D.P.R. 616, alla legge sul commercio, etc.).

In tal modo si è verificato un aumento notevole degli atti soggetti al controllo rispetto a quelli ereditati dal sistema prefettizio.

Si è allora posto in maniera sempre più pressante il problema dello snellimento delle procedure e della riforma dei controlli.

Quest’ultima potrà avere peraltro una sua concreta attuazione solo quando si sarà risolto con una legge organica di riforma il problema del ruolo delle autonomie locali nell’ambito dell’intero sistema dei pubblici poteri di cui i controlli costituiscono un aspetto essenziale.

Soprattutto negli anni ’80 si sono susseguiti i disegni di legge relativi all’ordinamento delle autonomie locali. Fra gli altri è opportuno ricordare il disegno di legge presentato dal Governo (cd. Rognoni) nel luglio 1982, il disegno di legge presentato dal Governo nel novembre 1983 (cd. Scalfaro) e il testo elaborato nell’aprile 1985 dalla Commissione affari costituzionali del Senato.

E’ stato però l’ultimo disegno di legge n. 2924 presentato il 28/6/88 a cura del Ministero dell’Interno (Gava). nel testo poi modificato dalla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati che , nella seduta del 8/2/1990, ha raggiunto con ulteriori modifiche il primo traguardo dell’approvazione da parte di una ramo del Parlamento.

Questo stesso testo è stato trasmesso dal presidente della Camera dei deputati alla Presidenza del Senato il 13/2/1990 ed è attualmente all’esame del Senato per divenire legge dello Stato.

2) L’assetto degli organi di controllo - composizione e funzionamento - Le autonomie nella gabbia delle terne

Il disegno di legge n. 2924 aveva riproposto, in primo luogo, il ruolo guida del Ministero dell’Interno, nell’ambito del procedimento del controllo, quale autorità deputata a garantire, attraverso i suoi organi e strutture, il regolare andamento dell’attività amministrativa.

Questa linea istituzionale era chiaramente desumibile dal combinato disposto degli art. 43 (deliberazioni soggette a controllo preventivo di legittimità, laddove si precisa che sono soggette al controllo di legittimità le deliberazione prive del visto del segretario comunale, dipendente dal Ministero dell’Interno), 39 e 40 (disposizioni in materia di composizione dell’organo di controllo, con palese prevalenza della componente di estrazione "statale", ed incompatibilità) e 47 (possibilità di impugnazione da parte del rappresentante del Governo di atti ritenuti illegittimi, istituto questo mutuato dal diritto francese).

In tal modo si veniva a delineare il seguente quadro normativo:

a) un preventivo filtro sul controllo da parte di un funzionario statale (segretario comunale) sulle delibere delle Giunte comunali e provinciali;

b) un controllo preventivo di legittimità del comitato con la presenza (anche ai fini dell’applicazione del punto c) del funzionario prefettizio;

c) un successivo riscontro sugli atti da parte del Prefetto attivabile a mezzo del ricorso in via giurisdizionale.

Le modifiche apportate in sede di approvazione del disegno di legge da parte della Camera dei Deputati hanno solo parzialmente attenuato questa discutibile linea istituzionale.

Infatti se è stato eliminato il controllo "interno" del segretario comunale, si è per contro ampliata ed enfatizzata la presenza del funzionario prefettizio che potrà anche diventare presidente dell’organo di controllo ed è rimasto anche (art. 49) il potere successivo di impugnativa del Prefetto in via giurisdizionale.

Problema centrale della normativa in esame è quello della composizione dell’organo di controllo.

L’attuale composizione è stata oggetto di rilievi critici, sia per quella che ne è la componente di espressione solo nominalmente, e non anche effettivamente, regionale, sia per quella che ne è la struttura decisionale interna.

Se la lettera della Costituzione, nell’art. 130, fa espresso riferimento alla natura regionale dell’organo di controllo, una simile caratteristica apparterrebbe solo nominalmente agli attuali Comitati di controllo, istituiti con la legge Scelba.

Ciò per ragioni afferenti anzitutto alla loro composizione: nei comitati sono inseriti membri non scelti dalla Regione, ma imposti ad essa (Buscema, Collettività e controllo sulla finanza pubblica, in Comune Democratico, 1981, 76), inoltre solo tre, dei cinque membri effettivi, che diventano sette nell’esame degli atti delle USL sono eletti dal Consiglio Regionale (Adducci, Considerazioni in tema di controllo sugli enti locali, I Comuni d’Italia, 1980, 895).

Numerosi rilievi critici ha suscitato la presenza nell’assetto attuale, del membro nominato dal commissario del Governo, da tempo al centro di diffusa contestazione sia, come è noto, nel dibattito politico, sia da parte di dottrina autorevole (si pensi alle posizioni a suo tempo espresse da A.M. Sandulli; cfr. anche Vandelli, I controlli sugli enti locali, Regione Emilia Romagna, 1986).

Ora il disegno di legge approvato dalla Camera peggiora nettamente, in senso non autonomistico, la composizione del CO.RE.CO.

E’ l’art. 41 (composizione del comitato), primo comma, in cui si manifesta tutta la capacità peggiorativa, rispetto al teso originario, delle aggiunte apportate.

Vengono infatti nuovamente modificate le categorie in cui possono essere scelti i componente, per cui il teso oggi recita così: "Composizione del comitato

1. Il comitato regionale di controllo e ogni sua eventuale sezione sono composti:

a) da quattro esperti eletti dal consiglio regionale di cui:

1) uno iscritto all’albo degli avvocati da almeno dieci anni, scelto in una terna proposta dal competente ordine professionale;

2) uno iscritto all’albo dei dottori commercialisti da almeno dieci anni, scelto in una terna proposta dal competente ordine professionale;

3) uno scelto tra chi abbia ricoperto complessivamente per almeno cinque anni la carica di sindaco, di assessore comunale provinciale, di presidente della provincia, di consigliere regionale o di parlamentare nazionale, ovvero tra i funzionari regionali o degli enti locali in quiescenza, con qualifica non inferiore a dirigente o equiparata;

4) uno scelto tra i magistrati in quiescenza o tra i docenti di ruolo di università in materie giuridiche ed amministrative o tra i segretari comunali e provinciali in quiescenza;

b) da un esperto designato dal commissario del Governo scelto fra funzionari dell’Amministrazione civile dell’interno in servizio nelle rispettive province".

Come si vede non solo si mantiene la categoria dei dottori commercialisti, categoria la cui adeguatezza professionale appare molto dubbia in sede di esame di legittimità dei provvedimenti, visto anche fra i dottori commercialisti (e non più all’interno del consiglio) deve essere scelto uno dei componenti del Collegio dei revisori di conti, (art. 50 - 58 nel nuovo testo - n. 2, questa sì funzione in cui appare ben scelta la professionalità in esame), ma soprattutto viene inserito (e non c’era né nel disegno di legge governativo, né nel testo approvato dalla Commissione camerale) l’istituto della "terna designata dal Consiglio dell’Ordine professionale" (dei commercialisti e degli avvocati).

Diciamo subito che tale impostazione non qualifica assolutamente la professionalità dei membri del futuro Comitato di Controllo ma si limita ad affidare alle corporazioni (in una linea di mussoliniana memoria) dei professionisti il controllo sugli enti locali.

In parole povere, grazie alla nuova norma potremmo avere tre esperti in incidenti stradali o tre professionisti della dichiarazione dei redditi designati dai rispettivi ordini professionali e solo tra questi la Regione potrà scegliere ben due (n. 1-2) componenti del futuro comitato che, uniti al magistrato in quiescenza (n.4) e all’ex assessore del Comune di Roccacannuccia o al funzionario regionale in quiescenza (n.3) formeranno un buon Comitati di Controllo che, ovviamente, sarà dominato dall’unico membro "veramente" esperto e precisamente (lett. b), il funzionario dell’amm.ne civile dell’interno designato dal Commissario del Governo il quale potrà anche essere nominato presidente e, di fatto, lo sarà per la specifica competenza professionale.

Non è chi non vede come in tal modo l’autonomia degli enti locali e lo stesso art. 130 della Costituzione vengono manifestatamente violati.

Infatti la Regione sarà costretta a designare dei componenti che altri enti, corporativi, o meno, in realtà scelgono, potendo manifestare le proprie reali preferenze solo per due membri (su 5) e anche questi due con limiti scriteriati di requisiti per cui l’assessore del Comune di Roccacannuccia può essere scelto rispetto, ad esempio, a chi per lo stesso periodo abbia fatto parte del Comitato di controllo e quindi sicuramente meglio conosce le problematiche da affrontare.

Quest’ultimo concetto corrisponde ad una realtà delle cose già esistente in quanto ora le Amministrazioni considerano esecutivi gli atti dal momento in cui sono stati esaminati senza rilievi dal Comitato; ma la disposizione è mal formulata perché fa discendere una conseguenza importante, quale quella dell’esecutività del provvedimento, non già dall’espressione di volontà dell’Organo bensì da un adempimento di tipo burocratico quale quello della comunicazione.

Tant’è vero che, stando alla norma, nel caso in cui l’atto sia stato favorevolmente esaminato dal Comitato il 10° giorno dal suo arrivo, ma non sia stata data comunicazione dell’esito del controllo, lo stesso può essere dichiarato esecutivo solo al 21° giorno della data di ricevimento.

Sembra che queste norme necessitino di una revisione terminologica e concettuale, nonché di coordinamento.

Degno di nota appare infine l’undicesimo comma dell’art. 45: con esso si inventa una nuova e diversa forma di controllo che potremmo definire "controllo impossibile".

Ci si domanda infatti come potrà il CO.RE.CO. controllare "la coerenza interna degli atti e la corrispondenza dei dati contabili con quelli delle deliberazioni, nonché con i documenti relativi", se poi, come previsto dall’articolo precedente, il Comitato non può disporre degli atti che vengono sottratti ex art. 44 al suo controllo?

Il problema non appare di facile risoluzione!

Con riferimento all’art. 46, si rileva invece un’imprecisazione terminologica, suscettibile di determinare difficoltà interpretative: l’art. 45, comma sesto, fa riferimento a deliberazioni dichiarate urgenti, mentre l’art. 46, comma 3 sancisce che "nel caso d’urgenza le deliberazioni del Consiglio o della Giunta possono essere dichiarate immediatamente eseguibili...".

Posto che l’ordinamento non contempla il genus delle deliberazioni “urgenti" devesi ritenere che la norma del 6° comma art. 45 vada riferita solo alle delibere dichiarate immediatamente eseguibili per ragioni d’urgenza.

Altrimenti potrebbero ricadere nella speciale disciplina anche le deliberazioni adottate in via d’urgenza dalla Giunta "pro-consilio", con la conseguenza che rientrerebbero nel novero degli atti soggetti all’esame da parte del CO.RE.CO. anche quelli non contemplati dall’art.44, comma 2°, e ciò in evidente contrasto con la ratio della forma.

Sotto un diverso profilo per l’accelerazione dell’attività amministrativa può risultare funzionale il disposto del comma 2° nell’art. 46: tuttavia il termine di giorni 10 non coincide con quello della pubblicazione per gg. 15 di cui a comma 1.

Si avrebbe, sia pure in forma non esplicitata, l’introduzione di un "vacatio legis" della durata di giorni 5 ulteriori rispetto alla data di esecutività delle deliberazioni non soggette al controllo.

Ragioni di chiarezza e di omogeneità normativa suggerirebbero di ridurre il periodo di pubblicazione da 15 a 10 gg (piuttosto che levare da 10 a 15 gg quello per l’esecutività dell’atto).

Così come articolata la norma non risolve, infatti, il problema delle garanzie a tutela degli amministratori dal momento che le opposizioni eventuali potrebbero essere esercitate solo entro i primi 10 gg di pubblicazione, e non più dall’11° al 15° giorno di affissione all’albo, posto che l’atto oggetto di reclamo è ormai divenuto esecutivo, salvo ovviamente i rimedi giurisprudenziali.

4) Il controllo sostitutivo - L’impugnazione degli atti illegittimi - La giurisdizionalizzazione del controllo

Il controllo sostitutivo è attualmente disciplinato dalla Legge 8 marzo 1949, n. 277, modificativa dell’art. 19 del T.U.L.C.P. 3/3/1934 n. 383, la quale dispone che il Prefetto "invia appositi commissari presso le amministrazioni degli enti locali territoriali ed istituzionali, per compiere, in caso di ritardo o di omissione da parte degli organi ordinari, previamente e tempestivamente invitati a provvedere, atti obbligatori per legge o per reggerle, per il periodo di tempo strettamente necessario, qualora non possano, per qualsiasi ragione, funzionare".

Esso spetta ora all’organo regionale di controllo ex art. 59, ultimo comma, della L. 62/1953, ma con il temperamento contenuto nella pronuncia della corte Costituzionale n. 164 del 1972, sulla cui base al CO.RE.CO. compete la sostituzione in caso di illegittimità della omessa emanazione di un atto obbligatorio per la legge, mentre nell’ipotesi che l’ente non possa funzionare per qualsiasi ragione la sostituzione compete al Prefetto, perché in tale ipotesi si versa nel campo del controllo repressivo sull’attività o meglio sugli organi comunali che integra una riserva di legge dello Stato, in quanto, come affermato dalla Corte, la "surroga dell’organo (comunale) è espressione di un potere politico di sovranità che non può rimanere di pertinenza dello Stato" (in tal senso è anche il parere del Consiglio di Stato, sez. I, in data 9/1/1976, n. 430/73).

Dalla disanima di detta norma e dalla elaborazione giurisprudenziale sono stati individuati i canoni del controllo sostitutivo sugli atti che integrano una surrogazione parziale degli organi ordinari del Comune, non direttamente, ma mediante apposito commissario ad acta nominato dal CO.RE.CO. non essendo detto organo titolare in proprio della sostituzione (per un esame dei presupposti e delle fattispecie cfr. F. Stola, Il controllo sostitutivo sugli atti degli enti locali, in La giustizia amministrativa i Emilia Romagna, 1988, n.3 p.111).

Il testo approvato dalla Camera condensa una specifica disposizione sul potere sostitutivo, l’art. 47, il controllo sostitutivo sugli atti di competenza del Comitato regionale di controllo, che viene pertanto non solo collocato in maggiore evidenza rispetto al sistema vigente, ma diviene strumento non più trascurabile soprattutto nella misura in cui viene drasticamente circoscritto il controllo preventivo di legittimità.

La maggiore novità della disposizione introdotta (presente peraltro, negli stessi termini, nel disegno di legge n. 2924) è costituita non solo dal criterio informatore di fissare canoni e metodologie uniformi in subjecta materia in armonia con i vari disegni di legge precedente, ma soprattutto dalla previsione della procedura del controllo sostitutivo formata per legge, e non anche per il tramite della elaborazione giurisprudenziale, quale quella ora vigente, dispersa in un ampio ventaglio di diverse disposizioni e sentenze.

Altro notevole elemento di novità è costituito dalla previsione dell’obbligo per le Regioni di disciplinare con legge regionale le modalità d’esercizio del controllo sostitutivo: in tal modo viene giustamente eliminata la possiblità del rinvio alle disposizioni vigenti di legge che si riscontra nelle attuali leggi regionali e che impone una defatigante ricerca a coloro che intendono invocare l’applicazione dle suddetto istituto.

E’ prevedibile quindi nel nuovo sistema introdotto dalla normativa in esame una espansione dell’attività di controllo sostitutivo da parte del CO.RE.CO., ora circoscritta al ristretto ambito degli addetti ai lavori, in dipendenza appunto della maggiore possibilità di conoscenza dell’istituto da parte di coloro che intendono avvalersene.

In buona sostanza la nuova disciplina di carattere organico sortirà l’effetto di richiamare l’attenzione dell’organo di controllo su determinati atti di amministrazione attiva dell’Ente locale e giocare quindi nella prassi un ruolo non più trascurabile.

Rimane ancora da esaminare la validità della normativa proposta che conferisce un nuovo strumento di controllo, sia pure in sede esclusivamente giurisdizionale, al potere centrale (art.49).

L’idea nasce dal diritto francese, in particolare dalla legge 2/3/1982 relativa ai diritti e alle libertà dei Comuni, dei Dipartimenti e delle Ragioni che da un lato ha affermato il principio che gli atti di queste amministrazioni sono esecutivi di pieno diritto, sopprimendo quindi tutti i controlli a carattere preventivo, dall’altra ha sottoposto detti atti all’unico controllo giurisdizionale che deve essere attivato dal rappresentante dello Stato nel Comune, Dipartimento o Regione (cfr. Pototschinig, Controlli e principi costituzionali sulla pubblica amministrazione, in Regione e Governo Locale, 1984, 516, p. 19 e segg.).

C’è da dire peraltro che detto istituto ha avuto scarsa applicazione pratica in Francia.

In pratica è servito soprattutto per ripristinare la tanto vituperata "tutela": il Prefetto ha preferito emanare circolari e istruzioni agli enti che, normalmente, si sono adeguati.

Solo per gli enti refrattari ad ogni "tutela" si è scelta la strada giurisdizionale.

A nostro sommesso avviso l’istituto proposto, pur avendo una certa sua dignità, pare difficilmente realizzabile soprattutto considerando lo stato attuale della giustizia amministrativa per cui se ne propone a tutti gli effetti, la soppressione.

Se si pensa infatti che i tempi di decisione di un ricorso giurisdizionale dinnanzi alla giustizia amministrativa ammontano ormai a svariati anni, si vede come questo istituto non solo non risolva il problema della tutela degli interessi della collettività, ma diventi solo una specie di "spada di Damocle" sulla testa delle autonomie da esercitare a pieno piacimento e discrezionalità del potere centrale.

Occorre infine osservare che il potere di impugnativa che nel progetto originario era limitato alla violazione di legge e solo a tutela di interessi diffusi, nel testo definitivo viene modificato con la precisazione "unicamente a tutela di interessi generali".

Facciamo rientrare nella trattazione di questo paragrafo un ulteriore accenno a un istituto già visto sopra (n.3) che la prassi ha creato e che l’esperienza dei controlli non può ignorare: ci riferiamo agli esposti inoltrati al Comitato regionale dai cittadini o dai dipendenti, quando si tratta di materia d’impiego che ritengono di aver subito un danno per effetto di un atto amministrativo.

Come è noto essi non sono previsti da alcuna norma di legge eppure svolgono un ruolo non secondario nell’esperienza amministrativa e consentono al cittadino di avere una risposta rapida (il Comitato di controllo si deve pronunciare entro 20 gg. sulla legittimità dell’atto gravato da esposto) che in qualche misura tende a coprire le lentezze e le carenze del procedimento giurisdizionale amministrativo (cfr. Cugurra, Giustizia amministrativa e riforma dei controlli, in Regione e Governo Locale, 1984, 5/6 per 108).

Orbene tutti i disegni di legge hanno ignorato questo fenomeno che invece sta assumendo, nelle prassi, considerevoli proposizioni ed è divenuto, di fatto, una forma impropria di ricorso amministrativo.

5) Responsabilità e presunte riforme

L’art. 59 terzo comma individua la responsabilità personale e solidale dei componenti dei Comitati regionali di controllo "nei confronti degli enti locali per i danni a questi arrecati con dolo o colpa grave nell’esercizio delle loro funzioni".

La norma era già presente nell’art. 96 del disegno di legge c.d. Rognoni del 1982, che attribuiva peraltro al Procuratore generale della Corte dei Conti il potere di promuovere l’azione, ed anche in tale veste nell’art. 62 del disegno di legge c.d. Scalfaro del 1983.

L’art. 102 del testo elaborato nell’aprile 1985 dalla Commissione affari costituzionali del Senato manteneva tale responsabilità ma attribuiva all’Ente la titolarità dell’azione. L’ultimo disegno di legge in esame ha preferito risolvere il problema della titolarità dell’azione ignorandolo, e non qualificando addirittura il tipo di responsabilità che si vuole addossare al cattivo componente del Comitato di Controllo.

La nuova normativa si propone di escludere (pari alla stregua di principi analoghi a quelli posti a base della recente disciplina sulla responsabilità dei giudici) la possibilità, per il terzo danneggiato, di agire direttamente nei confronti dei componenti dell’organo di controllo, ove a questi ultimi debba farsi risalire (in esclusiva o in concorso con l’Ente controllato) il danno che si è prodotto.

E’ prevista, infatti, la responsabilità dei componenti dell’organo di controllo - condizione che sussista dolo o colpa grave - solo nei riguardi dell’Ente.

L’Ente è, pertanto, il solo soggetto abilitato a richiedere ai componenti del Collegio il ristoro del danno patito (si tratti di un danno provocato, in via diretta, all’Ente o risentito da quest’ultimo in conseguenza dell’azione promossa dal terzo danneggiato).

Il fatto che solo per i dipendenti e gli amministratori valga il richiamo delle norme dettate per gli impiegati civili dello Stato e la specialità della disciplina operante per i componenti dell’organo di controllo parrebbe escludere la giurisdizione della Corte dei Conti nei confronti di questi ultimi (e, ovviamente, la riduzione equitativa del danno). La norma comunque non mancherà di provocare un guazzabuglio di problemi di giurisdizione e competenza, e pare francamente inutile, essendo più che sufficienti i vigenti principi generali in materia di responsabilità degli amministratori.

Vogliamo inserire a questo punto, anche se a stretto rigore l’istituto è sostanzialmente diverso e l’avremmo dovuto trattare sub. 3, alcune considerazioni sul c.d. disegno di legge concernente le misure di riordino delle U.S.L. concepito dall’imprevedibile ministro De Lorenzo.

Il collegamento alla problematica trattata nel presente paragrafo viene infatti abbastanza logico in relazione alle ben note dichiarazioni alla stampa del Ministro dei "bliz" sulle gravi responsabilità, appunto dei Comitati regionali di controllo per quanto riguarda i controlli sulle sanità.

L’art. 2 di tale disegno recita testualmente:

1) Le Regioni o le Province autonome determinano, attraverso gli organi statutariamente competenti, gli indirizzi di natura politica in materia di assistenza sanitaria ospedaliera.

Per l’attuazione di tali indirizzi, le Regioni e le Province autonome istituiscono un apposito organismo con il compito di provvedere, sulla base delle indicazioni delle regioni e delle province autonome, alla ripartizione ed erogazione delle risorse alle Unità Sanitarie Locali e agli altri soggetti interessati, nonché alla gestione del patrimonio immobiliare di cui all’art. 11 esercitando funzioni di supporto e di coordinamento tecnico, di vigilanza e di controllo di gestione sulle Unità Sanitarie Locali e sulle aziende ospedaliere con il compito altresì di consolidare i bilanci a livello regionale.

All’art. 10 di tale disegno poi leggiamo:

2) Il controllo sugli atti dei comitati di indirizzo e degli amministratori unici delle Unità Sanitarie Locali è esercitato dalla regioni o province autonome.

3) le regioni, le province autonome, tramite l’organismo di cui all’art. 2 comma 1, effettuano il controllo di gestione sulle Unità Sanitarie Locali e sulle aziende ospedaliere, per lo svolgimento del controllo di gestione possono essere utilizzate società specializzate.

Ecco quindi la grande riforma. Si istituirà "un organismo regionale" (come lo chiameremo: organismo regionale di controllo?) mentre il controllo sugli atti sarà affidato alle regioni.

A questo punto appaiono opportune alcune considerazioni che discendono dall’esperienza vissuta, con riferimento alla Regione Emilia Romagna, che peraltro, come è noto, detiene uno dei più altri livelli di efficienza nella gestione sanitaria.

L’art. 28 della L.R. 14 del 18/5/79 disponeva testualmente:

"Fino alla costituzione delle Unità Sanitarie Locali di cui al secondo comma dell’art. 61 della L. 23/12/78, n. 883 a norma dell’art. 29 del Decreto del Presidente della Repubblica 25/7/77 n. 616 i seguenti provvedimenti degli enti ospedalieri sono sottratti alla disciplina dell’art. 16 della L. 12 febbraio 1968, n. 132 e sono sottoposti al controllo della Giunta Regionale sentita la competente commissione del Consiglio Regionale:

a) previsione d’organico e assunzioni di personale;

b) acquisto di attrezzature scientifiche, per le quali è richiesto il parere del consiglio dei sanitari o del consiglio sanitario centrali ai sensi dell’art. 14 lett. A) della L. 12/2/68 n. 132;

c) istituzione, soppressione o modificazione dei servizi igienico-organizzativi di diagnosi e cura, di divisione e di trasformazione.

Il controllo della Giunta regionale è anche di merito ancorché trattasi di provvedimenti non elencati nel terzo comma dell’art. 16 della L. 12/2/68 n. 132.

Gli atti degli enti ospedalieri soggetti al controllo sono inviati alla Giunta regionale entro dieci giorni dalla loro adozione. La Giunta regionale può chiedere su di essi chiarimenti ed elementi integrativi di giudizio e si pronuncia, di norma, entro trenta giorni dalla data del loro ricevimento. I provvedimenti degli enti ospedalieri diventano esecutivi dopo l’approvazione della Giunta regionale.

Ai fini del coordinato svolgimento della funzione di vigilanza e di tutela sugli atti degli enti ospedalieri, i provvedimenti di cui al presente articolo e l’esito del controllo su di essi esercitato, sono inviati al Comitato regionale di controllo o alle sue sezioni autonome, secondo le rispettive competenze.

Se si ripensa a questa esperienza, le amministrazioni sanitarie dell’Emilia Romagna sono pervase da un sottile brivido. Infatti l’Assessore regionale alla sanità non avendo le strutture e soprattutto la mentalità. e essendo del tutto carente ogni esperienza alla logica dei controlli, lavorava in maniera totalmente confusionaria senza alcun rispetto delle forme imposte dalla legge e in modo del tutto slegato rispetto agli organi normali di controllo che esaminavano tutti i restanti provvedimenti. Da qui una situazione totalmente caotica che venne risolta solo con il riaffidamento dei controlli agli organi stabiliti della Costituzione, e, lo ripetiamo, stiamo parlando di una Regione che è spesso citata ad esempio in materia di gestione della sanità.

Un’ultima osservazione: non c’è alcun bisogno delle "società specializzate" nello svolgimento del controllo di gestione. Ci sono già i revisori dei conti! O forse anche questi sono corrotti secondo il Ministro?

L’unico effetto della brillante proposta sarà quello di incrementare la spesa per... il controllo.

E’ noto infatti che le società specializzate (si pensi ad es. alla Arghur Andersen 6 C.) sono molto più esigenti e "costose" dei poveri Comitati di controllo e dei Revisori dei conti.

da "I CONTROLLI SUGLI ATTI DEGLI ENTI LOCALI E IL CONFRONTO EUROPEO"

edito da Associazione Italiana per il Consiglio dei Comuni delle Regioni d’Europa, 1992

"LA RIFORMA DEI CONTROLLI SUGLI ATTI DEGLI ENTI LOCALI"

1) Premessa - I limiti dell’attuale sistema dei controlli

L’esperienza ultradecennale ha evidenziato i limiti dell’attuale sistema dei controlli e, quindi, l’esigenza di profonfi aggiustamenti che superino l’assetto dettato dalla legge 10/2/1953 n. 62.

Quest’ultima, con una soluzione a prima vista semplice e lineare, ha attuato l’art. 130 della Costituzione, attribuendo sostanzialmente al nuovo Comitato ed alle sue sezioni, il controllo di legittimità prima attribuito al Prefetto ed il controllo di merito in precedenza esercitato dalla Giunta Provinciale amministrativa.

Senonchè il controllo prima svolto da organi dello Stato non era in funzione di "garanzia", ma in funzione di "indirizzo e di tutela" ed infatti il controllo di merito importava una codeterminazione delle decisioni maggiormente significative con un organo dello Stato, mentre il controllo di legittimità "si era venuto articolando, quantomeno, in funzione di tutela, cioè del riscontro che l’attività fosse conforme a parametri astratti di legittimità ma alla visione politico-amministrativa del controllante" (Merusi e Cheli, Le Regioni, 1973, p.908) cioè dello Stato.

Il controllo di legittimità rimane perciò tutt’ora ancorato alla funzione di vigilanza e di indirizzo, in netto contrasto con le potenzialità racchiuse, ma ancora inespresse, nella norma costituzionale.

Tende perciò a manifestarsi, con quotidiana frequenza, una contraddizione tra natura dell’organo regionale di controllo e funzioni ereditate; una contraddizione che non si supera con un rapporto formalmente democratico (ma sostanzialmente paternalistico) tra controllato e controllante, anche perché vi è il rischio che le conseguenza dell’inadeguato quadro legislativo nazionale si scarichino nel rapporto tra Regioni, Organi di controllo ed Enti Locali svilendolo al livello di una estenuante "querelle" priva di sbocchi riformatori di carattere generale.

Valga una succinta digressione storica.

Il controllo di legittimità veniva esercitato dal Prefetto ex art. 97 e 148 T.U.L.C.P. senza limitazioni di oggetto.

Sulla premessa che ogni atto deliberativo dell’ente potesse essere annullato dal Prefetto, il modo per tenere sotto "tutela" l’attività dell’ente locale oscillava fra due poli: l’invio di circolari agli enti controllati, di per sé non vincolanti, ma vincolanti nella sostanza perché anticipatrici di parametri di giudizio del controllante e la preventiva ricerca del consenso del controllante da parte del controllato o viceversa, nelle ipotesi in cui la soluzione da adottare apparisse problematica.

Il Comitato Regionale di Controllo, titolare in astratto, ex art. 130 della Costituzione, della funzione di garanzia, di riscontro oggettivo alla legge vigente, ma sfornito, giustamente, di "supremazia", è portato, invece, ad operare un controllo di tipo oggettivo sui singoli atti amministrativi.

Stretto in questa contraddizione, non superata dalle varie leggi regionali "sui controlli", il Comitato di controllo è, ogni giorno, costretto a causa delle norme che lo disciplinano, a riscoprire leggi ormai desuete e ad applicare nuove norme spesso poco comprensibili, pressato da ridottissimo tempi di esame imposti dalla legge, ed ha finito molte volte, come è noto, per prestare il fianco all’accusa di essere più "legalista" e "fiscale" del Prefetto e delle Giunte Provinciali Amministrative.

C’è da aggiungere che nel contempo, rispetto al controllo esercitato dal Prefetto, è mutato totalmente il quadro dell’attività soggetta a controllo, con l’espandersi delle funzioni attribuite agli enti locali e con il dilatarsi della legislazione che tali funzioni determina e regolamenta.

In effetti antecedentemente l’attività degli enti locali era sostanzialmente libera e discrezionale, e non vincolata da particolari procedure di legge (salvo ovviamente il contorllo sui bilanci, sulle OO.PP. e urbanistica). I limiti erano in sostanza determinati dalla disponibilità finanziaria.

A partire dal 1977 viene mutuato totalmente il sistema finanziario degli enti locali introducendo nella legge finanziaria annuale tutta la disciplina del personale.

Si sono poi dilatate (e ovviamente regolamentate) le funzioni degli enti locali (si pensi al D.P.R. 616, alla legge sul commercio, etc.).

In tal modo si è verificato un aumento notevole degli atti soggetti al controllo rispetto a quelli ereditati dal sistema prefettizio.

Si è allora posto in maniera sempre più pressante il problema dello snellimento delle procedure e della riforma dei controlli.

Quest’ultima potrà avere peraltro una sua concreta attuazione solo quando si sarà risolto con una legge organica di riforma il problema del ruolo delle autonomie locali nell’ambito dell’intero sistema dei pubblici poteri di cui i controlli costituiscono un aspetto essenziale.

Soprattutto negli anni ’80 si sono susseguiti i disegni di legge relativi all’ordinamento delle autonomie locali. Fra gli altri è opportuno ricordare il disegno di legge presentato dal Governo (cd. Rognoni) nel luglio 1982, il disegno di legge presentato dal Governo nel novembre 1983 (cd. Scalfaro) e il testo elaborato nell’aprile 1985 dalla Commissione affari costituzionali del Senato.

E’ stato però l’ultimo disegno di legge n. 2924 presentato il 28/6/88 a cura del Ministero dell’Interno (Gava). nel testo poi modificato dalla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati che , nella seduta del 8/2/1990, ha raggiunto con ulteriori modifiche il primo traguardo dell’approvazione da parte di una ramo del Parlamento.

Questo stesso testo è stato trasmesso dal presidente della Camera dei deputati alla Presidenza del Senato il 13/2/1990 ed è attualmente all’esame del Senato per divenire legge dello Stato.

2) L’assetto degli organi di controllo - composizione e funzionamento - Le autonomie nella gabbia delle terne

Il disegno di legge n. 2924 aveva riproposto, in primo luogo, il ruolo guida del Ministero dell’Interno, nell’ambito del procedimento del controllo, quale autorità deputata a garantire, attraverso i suoi organi e strutture, il regolare andamento dell’attività amministrativa.

Questa linea istituzionale era chiaramente desumibile dal combinato disposto degli art. 43 (deliberazioni soggette a controllo preventivo di legittimità, laddove si precisa che sono soggette al controllo di legittimità le deliberazione prive del visto del segretario comunale, dipendente dal Ministero dell’Interno), 39 e 40 (disposizioni in materia di composizione dell’organo di controllo, con palese prevalenza della componente di estrazione "statale", ed incompatibilità) e 47 (possibilità di impugnazione da parte del rappresentante del Governo di atti ritenuti illegittimi, istituto questo mutuato dal diritto francese).

In tal modo si veniva a delineare il seguente quadro normativo:

a) un preventivo filtro sul controllo da parte di un funzionario statale (segretario comunale) sulle delibere delle Giunte comunali e provinciali;

b) un controllo preventivo di legittimità del comitato con la presenza (anche ai fini dell’applicazione del punto c) del funzionario prefettizio;

c) un successivo riscontro sugli atti da parte del Prefetto attivabile a mezzo del ricorso in via giurisdizionale.

Le modifiche apportate in sede di approvazione del disegno di legge da parte della Camera dei Deputati hanno solo parzialmente attenuato questa discutibile linea istituzionale.

Infatti se è stato eliminato il controllo "interno" del segretario comunale, si è per contro ampliata ed enfatizzata la presenza del funzionario prefettizio che potrà anche diventare presidente dell’organo di controllo ed è rimasto anche (art. 49) il potere successivo di impugnativa del Prefetto in via giurisdizionale.

Problema centrale della normativa in esame è quello della composizione dell’organo di controllo.

L’attuale composizione è stata oggetto di rilievi critici, sia per quella che ne è la componente di espressione solo nominalmente, e non anche effettivamente, regionale, sia per quella che ne è la struttura decisionale interna.

Se la lettera della Costituzione, nell’art. 130, fa espresso riferimento alla natura regionale dell’organo di controllo, una simile caratteristica apparterrebbe solo nominalmente agli attuali Comitati di controllo, istituiti con la legge Scelba.

Ciò per ragioni afferenti anzitutto alla loro composizione: nei comitati sono inseriti membri non scelti dalla Regione, ma imposti ad essa (Buscema, Collettività e controllo sulla finanza pubblica, in Comune Democratico, 1981, 76), inoltre solo tre, dei cinque membri effettivi, che diventano sette nell’esame degli atti delle USL sono eletti dal Consiglio Regionale (Adducci, Considerazioni in tema di controllo sugli enti locali, I Comuni d’Italia, 1980, 895).

Numerosi rilievi critici ha suscitato la presenza nell’assetto attuale, del membro nominato dal commissario del Governo, da tempo al centro di diffusa contestazione sia, come è noto, nel dibattito politico, sia da parte di dottrina autorevole (si pensi alle posizioni a suo tempo espresse da A.M. Sandulli; cfr. anche Vandelli, I controlli sugli enti locali, Regione Emilia Romagna, 1986).

Ora il disegno di legge approvato dalla Camera peggiora nettamente, in senso non autonomistico, la composizione del CO.RE.CO.

E’ l’art. 41 (composizione del comitato), primo comma, in cui si manifesta tutta la capacità peggiorativa, rispetto al teso originario, delle aggiunte apportate.

Vengono infatti nuovamente modificate le categorie in cui possono essere scelti i componente, per cui il teso oggi recita così: "Composizione del comitato

1. Il comitato regionale di controllo e ogni sua eventuale sezione sono composti:

a) da quattro esperti eletti dal consiglio regionale di cui:

1) uno iscritto all’albo degli avvocati da almeno dieci anni, scelto in una terna proposta dal competente ordine professionale;

2) uno iscritto all’albo dei dottori commercialisti da almeno dieci anni, scelto in una terna proposta dal competente ordine professionale;

3) uno scelto tra chi abbia ricoperto complessivamente per almeno cinque anni la carica di sindaco, di assessore comunale provinciale, di presidente della provincia, di consigliere regionale o di parlamentare nazionale, ovvero tra i funzionari regionali o degli enti locali in quiescenza, con qualifica non inferiore a dirigente o equiparata;

4) uno scelto tra i magistrati in quiescenza o tra i docenti di ruolo di università in materie giuridiche ed amministrative o tra i segretari comunali e provinciali in quiescenza;

b) da un esperto designato dal commissario del Governo scelto fra funzionari dell’Amministrazione civile dell’interno in servizio nelle rispettive province".

Come si vede non solo si mantiene la categoria dei dottori commercialisti, categoria la cui adeguatezza professionale appare molto dubbia in sede di esame di legittimità dei provvedimenti, visto anche fra i dottori commercialisti (e non più all’interno del consiglio) deve essere scelto uno dei componenti del Collegio dei revisori di conti, (art. 50 - 58 nel nuovo testo - n. 2, questa sì funzione in cui appare ben scelta la professionalità in esame), ma soprattutto viene inserito (e non c’era né nel disegno di legge governativo, né nel testo approvato dalla Commissione camerale) l’istituto della "terna designata dal Consiglio dell’Ordine professionale" (dei commercialisti e degli avvocati).

Diciamo subito che tale impostazione non qualifica assolutamente la professionalità dei membri del futuro Comitato di Controllo ma si limita ad affidare alle corporazioni (in una linea di mussoliniana memoria) dei professionisti il controllo sugli enti locali.

In parole povere, grazie alla nuova norma potremmo avere tre esperti in incidenti stradali o tre professionisti della dichiarazione dei redditi designati dai rispettivi ordini professionali e solo tra questi la Regione potrà scegliere ben due (n. 1-2) componenti del futuro comitato che, uniti al magistrato in quiescenza (n.4) e all’ex assessore del Comune di Roccacannuccia o al funzionario regionale in quiescenza (n.3) formeranno un buon Comitati di Controllo che, ovviamente, sarà dominato dall’unico membro "veramente" esperto e precisamente (lett. b), il funzionario dell’amm.ne civile dell’interno designato dal Commissario del Governo il quale potrà anche essere nominato presidente e, di fatto, lo sarà per la specifica competenza professionale.

Non è chi non vede come in tal modo l’autonomia degli enti locali e lo stesso art. 130 della Costituzione vengono manifestatamente violati.

Infatti la Regione sarà costretta a designare dei componenti che altri enti, corporativi, o meno, in realtà scelgono, potendo manifestare le proprie reali preferenze solo per due membri (su 5) e anche questi due con limiti scriteriati di requisiti per cui l’assessore del Comune di Roccacannuccia può essere scelto rispetto, ad esempio, a chi per lo stesso periodo abbia fatto parte del Comitato di controllo e quindi sicuramente meglio conosce le problematiche da affrontare.

Quest’ultimo concetto corrisponde ad una realtà delle cose già esistente in quanto ora le Amministrazioni considerano esecutivi gli atti dal momento in cui sono stati esaminati senza rilievi dal Comitato; ma la disposizione è mal formulata perché fa discendere una conseguenza importante, quale quella dell’esecutività del provvedimento, non già dall’espressione di volontà dell’Organo bensì da un adempimento di tipo burocratico quale quello della comunicazione.

Tant’è vero che, stando alla norma, nel caso in cui l’atto sia stato favorevolmente esaminato dal Comitato il 10° giorno dal suo arrivo, ma non sia stata data comunicazione dell’esito del controllo, lo stesso può essere dichiarato esecutivo solo al 21° giorno della data di ricevimento.

Sembra che queste norme necessitino di una revisione terminologica e concettuale, nonché di coordinamento.

Degno di nota appare infine l’undicesimo comma dell’art. 45: con esso si inventa una nuova e diversa forma di controllo che potremmo definire "controllo impossibile".

Ci si domanda infatti come potrà il CO.RE.CO. controllare "la coerenza interna degli atti e la corrispondenza dei dati contabili con quelli delle deliberazioni, nonché con i documenti relativi", se poi, come previsto dall’articolo precedente, il Comitato non può disporre degli atti che vengono sottratti ex art. 44 al suo controllo?

Il problema non appare di facile risoluzione!

Con riferimento all’art. 46, si rileva invece un’imprecisazione terminologica, suscettibile di determinare difficoltà interpretative: l’art. 45, comma sesto, fa riferimento a deliberazioni dichiarate urgenti, mentre l’art. 46, comma 3 sancisce che "nel caso d’urgenza le deliberazioni del Consiglio o della Giunta possono essere dichiarate immediatamente eseguibili...".

Posto che l’ordinamento non contempla il genus delle deliberazioni “urgenti" devesi ritenere che la norma del 6° comma art. 45 vada riferita solo alle delibere dichiarate immediatamente eseguibili per ragioni d’urgenza.

Altrimenti potrebbero ricadere nella speciale disciplina anche le deliberazioni adottate in via d’urgenza dalla Giunta "pro-consilio", con la conseguenza che rientrerebbero nel novero degli atti soggetti all’esame da parte del CO.RE.CO. anche quelli non contemplati dall’art.44, comma 2°, e ciò in evidente contrasto con la ratio della forma.

Sotto un diverso profilo per l’accelerazione dell’attività amministrativa può risultare funzionale il disposto del comma 2° nell’art. 46: tuttavia il termine di giorni 10 non coincide con quello della pubblicazione per gg. 15 di cui a comma 1.

Si avrebbe, sia pure in forma non esplicitata, l’introduzione di un "vacatio legis" della durata di giorni 5 ulteriori rispetto alla data di esecutività delle deliberazioni non soggette al controllo.

Ragioni di chiarezza e di omogeneità normativa suggerirebbero di ridurre il periodo di pubblicazione da 15 a 10 gg (piuttosto che levare da 10 a 15 gg quello per l’esecutività dell’atto).

Così come articolata la norma non risolve, infatti, il problema delle garanzie a tutela degli amministratori dal momento che le opposizioni eventuali potrebbero essere esercitate solo entro i primi 10 gg di pubblicazione, e non più dall’11° al 15° giorno di affissione all’albo, posto che l’atto oggetto di reclamo è ormai divenuto esecutivo, salvo ovviamente i rimedi giurisprudenziali.

4) Il controllo sostitutivo - L’impugnazione degli atti illegittimi - La giurisdizionalizzazione del controllo

Il controllo sostitutivo è attualmente disciplinato dalla Legge 8 marzo 1949, n. 277, modificativa dell’art. 19 del T.U.L.C.P. 3/3/1934 n. 383, la quale dispone che il Prefetto "invia appositi commissari presso le amministrazioni degli enti locali territoriali ed istituzionali, per compiere, in caso di ritardo o di omissione da parte degli organi ordinari, previamente e tempestivamente invitati a provvedere, atti obbligatori per legge o per reggerle, per il periodo di tempo strettamente necessario, qualora non possano, per qualsiasi ragione, funzionare".

Esso spetta ora all’organo regionale di controllo ex art. 59, ultimo comma, della L. 62/1953, ma con il temperamento contenuto nella pronuncia della corte Costituzionale n. 164 del 1972, sulla cui base al CO.RE.CO. compete la sostituzione in caso di illegittimità della omessa emanazione di un atto obbligatorio per la legge, mentre nell’ipotesi che l’ente non possa funzionare per qualsiasi ragione la sostituzione compete al Prefetto, perché in tale ipotesi si versa nel campo del controllo repressivo sull’attività o meglio sugli organi comunali che integra una riserva di legge dello Stato, in quanto, come affermato dalla Corte, la "surroga dell’organo (comunale) è espressione di un potere politico di sovranità che non può rimanere di pertinenza dello Stato" (in tal senso è anche il parere del Consiglio di Stato, sez. I, in data 9/1/1976, n. 430/73).

Dalla disanima di detta norma e dalla elaborazione giurisprudenziale sono stati individuati i canoni del controllo sostitutivo sugli atti che integrano una surrogazione parziale degli organi ordinari del Comune, non direttamente, ma mediante apposito commissario ad acta nominato dal CO.RE.CO. non essendo detto organo titolare in proprio della sostituzione (per un esame dei presupposti e delle fattispecie cfr. F. Stola, Il controllo sostitutivo sugli atti degli enti locali, in La giustizia amministrativa i Emilia Romagna, 1988, n.3 p.111).

Il testo approvato dalla Camera condensa una specifica disposizione sul potere sostitutivo, l’art. 47, il controllo sostitutivo sugli atti di competenza del Comitato regionale di controllo, che viene pertanto non solo collocato in maggiore evidenza rispetto al sistema vigente, ma diviene strumento non più trascurabile soprattutto nella misura in cui viene drasticamente circoscritto il controllo preventivo di legittimità.

La maggiore novità della disposizione introdotta (presente peraltro, negli stessi termini, nel disegno di legge n. 2924) è costituita non solo dal criterio informatore di fissare canoni e metodologie uniformi in subjecta materia in armonia con i vari disegni di legge precedente, ma soprattutto dalla previsione della procedura del controllo sostitutivo formata per legge, e non anche per il tramite della elaborazione giurisprudenziale, quale quella ora vigente, dispersa in un ampio ventaglio di diverse disposizioni e sentenze.

Altro notevole elemento di novità è costituito dalla previsione dell’obbligo per le Regioni di disciplinare con legge regionale le modalità d’esercizio del controllo sostitutivo: in tal modo viene giustamente eliminata la possiblità del rinvio alle disposizioni vigenti di legge che si riscontra nelle attuali leggi regionali e che impone una defatigante ricerca a coloro che intendono invocare l’applicazione dle suddetto istituto.

E’ prevedibile quindi nel nuovo sistema introdotto dalla normativa in esame una espansione dell’attività di controllo sostitutivo da parte del CO.RE.CO., ora circoscritta al ristretto ambito degli addetti ai lavori, in dipendenza appunto della maggiore possibilità di conoscenza dell’istituto da parte di coloro che intendono avvalersene.

In buona sostanza la nuova disciplina di carattere organico sortirà l’effetto di richiamare l’attenzione dell’organo di controllo su determinati atti di amministrazione attiva dell’Ente locale e giocare quindi nella prassi un ruolo non più trascurabile.

Rimane ancora da esaminare la validità della normativa proposta che conferisce un nuovo strumento di controllo, sia pure in sede esclusivamente giurisdizionale, al potere centrale (art.49).

L’idea nasce dal diritto francese, in particolare dalla legge 2/3/1982 relativa ai diritti e alle libertà dei Comuni, dei Dipartimenti e delle Ragioni che da un lato ha affermato il principio che gli atti di queste amministrazioni sono esecutivi di pieno diritto, sopprimendo quindi tutti i controlli a carattere preventivo, dall’altra ha sottoposto detti atti all’unico controllo giurisdizionale che deve essere attivato dal rappresentante dello Stato nel Comune, Dipartimento o Regione (cfr. Pototschinig, Controlli e principi costituzionali sulla pubblica amministrazione, in Regione e Governo Locale, 1984, 516, p. 19 e segg.).

C’è da dire peraltro che detto istituto ha avuto scarsa applicazione pratica in Francia.

In pratica è servito soprattutto per ripristinare la tanto vituperata "tutela": il Prefetto ha preferito emanare circolari e istruzioni agli enti che, normalmente, si sono adeguati.

Solo per gli enti refrattari ad ogni "tutela" si è scelta la strada giurisdizionale.

A nostro sommesso avviso l’istituto proposto, pur avendo una certa sua dignità, pare difficilmente realizzabile soprattutto considerando lo stato attuale della giustizia amministrativa per cui se ne propone a tutti gli effetti, la soppressione.

Se si pensa infatti che i tempi di decisione di un ricorso giurisdizionale dinnanzi alla giustizia amministrativa ammontano ormai a svariati anni, si vede come questo istituto non solo non risolva il problema della tutela degli interessi della collettività, ma diventi solo una specie di "spada di Damocle" sulla testa delle autonomie da esercitare a pieno piacimento e discrezionalità del potere centrale.

Occorre infine osservare che il potere di impugnativa che nel progetto originario era limitato alla violazione di legge e solo a tutela di interessi diffusi, nel testo definitivo viene modificato con la precisazione "unicamente a tutela di interessi generali".

Facciamo rientrare nella trattazione di questo paragrafo un ulteriore accenno a un istituto già visto sopra (n.3) che la prassi ha creato e che l’esperienza dei controlli non può ignorare: ci riferiamo agli esposti inoltrati al Comitato regionale dai cittadini o dai dipendenti, quando si tratta di materia d’impiego che ritengono di aver subito un danno per effetto di un atto amministrativo.

Come è noto essi non sono previsti da alcuna norma di legge eppure svolgono un ruolo non secondario nell’esperienza amministrativa e consentono al cittadino di avere una risposta rapida (il Comitato di controllo si deve pronunciare entro 20 gg. sulla legittimità dell’atto gravato da esposto) che in qualche misura tende a coprire le lentezze e le carenze del procedimento giurisdizionale amministrativo (cfr. Cugurra, Giustizia amministrativa e riforma dei controlli, in Regione e Governo Locale, 1984, 5/6 per 108).

Orbene tutti i disegni di legge hanno ignorato questo fenomeno che invece sta assumendo, nelle prassi, considerevoli proposizioni ed è divenuto, di fatto, una forma impropria di ricorso amministrativo.

5) Responsabilità e presunte riforme

L’art. 59 terzo comma individua la responsabilità personale e solidale dei componenti dei Comitati regionali di controllo "nei confronti degli enti locali per i danni a questi arrecati con dolo o colpa grave nell’esercizio delle loro funzioni".

La norma era già presente nell’art. 96 del disegno di legge c.d. Rognoni del 1982, che attribuiva peraltro al Procuratore generale della Corte dei Conti il potere di promuovere l’azione, ed anche in tale veste nell’art. 62 del disegno di legge c.d. Scalfaro del 1983.

L’art. 102 del testo elaborato nell’aprile 1985 dalla Commissione affari costituzionali del Senato manteneva tale responsabilità ma attribuiva all’Ente la titolarità dell’azione. L’ultimo disegno di legge in esame ha preferito risolvere il problema della titolarità dell’azione ignorandolo, e non qualificando addirittura il tipo di responsabilità che si vuole addossare al cattivo componente del Comitato di Controllo.

La nuova normativa si propone di escludere (pari alla stregua di principi analoghi a quelli posti a base della recente disciplina sulla responsabilità dei giudici) la possibilità, per il terzo danneggiato, di agire direttamente nei confronti dei componenti dell’organo di controllo, ove a questi ultimi debba farsi risalire (in esclusiva o in concorso con l’Ente controllato) il danno che si è prodotto.

E’ prevista, infatti, la responsabilità dei componenti dell’organo di controllo - condizione che sussista dolo o colpa grave - solo nei riguardi dell’Ente.

L’Ente è, pertanto, il solo soggetto abilitato a richiedere ai componenti del Collegio il ristoro del danno patito (si tratti di un danno provocato, in via diretta, all’Ente o risentito da quest’ultimo in conseguenza dell’azione promossa dal terzo danneggiato).

Il fatto che solo per i dipendenti e gli amministratori valga il richiamo delle norme dettate per gli impiegati civili dello Stato e la specialità della disciplina operante per i componenti dell’organo di controllo parrebbe escludere la giurisdizione della Corte dei Conti nei confronti di questi ultimi (e, ovviamente, la riduzione equitativa del danno). La norma comunque non mancherà di provocare un guazzabuglio di problemi di giurisdizione e competenza, e pare francamente inutile, essendo più che sufficienti i vigenti principi generali in materia di responsabilità degli amministratori.

Vogliamo inserire a questo punto, anche se a stretto rigore l’istituto è sostanzialmente diverso e l’avremmo dovuto trattare sub. 3, alcune considerazioni sul c.d. disegno di legge concernente le misure di riordino delle U.S.L. concepito dall’imprevedibile ministro De Lorenzo.

Il collegamento alla problematica trattata nel presente paragrafo viene infatti abbastanza logico in relazione alle ben note dichiarazioni alla stampa del Ministro dei "bliz" sulle gravi responsabilità, appunto dei Comitati regionali di controllo per quanto riguarda i controlli sulle sanità.

L’art. 2 di tale disegno recita testualmente:

1) Le Regioni o le Province autonome determinano, attraverso gli organi statutariamente competenti, gli indirizzi di natura politica in materia di assistenza sanitaria ospedaliera.

Per l’attuazione di tali indirizzi, le Regioni e le Province autonome istituiscono un apposito organismo con il compito di provvedere, sulla base delle indicazioni delle regioni e delle province autonome, alla ripartizione ed erogazione delle risorse alle Unità Sanitarie Locali e agli altri soggetti interessati, nonché alla gestione del patrimonio immobiliare di cui all’art. 11 esercitando funzioni di supporto e di coordinamento tecnico, di vigilanza e di controllo di gestione sulle Unità Sanitarie Locali e sulle aziende ospedaliere con il compito altresì di consolidare i bilanci a livello regionale.

All’art. 10 di tale disegno poi leggiamo:

2) Il controllo sugli atti dei comitati di indirizzo e degli amministratori unici delle Unità Sanitarie Locali è esercitato dalla regioni o province autonome.

3) le regioni, le province autonome, tramite l’organismo di cui all’art. 2 comma 1, effettuano il controllo di gestione sulle Unità Sanitarie Locali e sulle aziende ospedaliere, per lo svolgimento del controllo di gestione possono essere utilizzate società specializzate.

Ecco quindi la grande riforma. Si istituirà "un organismo regionale" (come lo chiameremo: organismo regionale di controllo?) mentre il controllo sugli atti sarà affidato alle regioni.

A questo punto appaiono opportune alcune considerazioni che discendono dall’esperienza vissuta, con riferimento alla Regione Emilia Romagna, che peraltro, come è noto, detiene uno dei più altri livelli di efficienza nella gestione sanitaria.

L’art. 28 della L.R. 14 del 18/5/79 disponeva testualmente:

"Fino alla costituzione delle Unità Sanitarie Locali di cui al secondo comma dell’art. 61 della L. 23/12/78, n. 883 a norma dell’art. 29 del Decreto del Presidente della Repubblica 25/7/77 n. 616 i seguenti provvedimenti degli enti ospedalieri sono sottratti alla disciplina dell’art. 16 della L. 12 febbraio 1968, n. 132 e sono sottoposti al controllo della Giunta Regionale sentita la competente commissione del Consiglio Regionale:

a) previsione d’organico e assunzioni di personale;

b) acquisto di attrezzature scientifiche, per le quali è richiesto il parere del consiglio dei sanitari o del consiglio sanitario centrali ai sensi dell’art. 14 lett. A) della L. 12/2/68 n. 132;

c) istituzione, soppressione o modificazione dei servizi igienico-organizzativi di diagnosi e cura, di divisione e di trasformazione.

Il controllo della Giunta regionale è anche di merito ancorché trattasi di provvedimenti non elencati nel terzo comma dell’art. 16 della L. 12/2/68 n. 132.

Gli atti degli enti ospedalieri soggetti al controllo sono inviati alla Giunta regionale entro dieci giorni dalla loro adozione. La Giunta regionale può chiedere su di essi chiarimenti ed elementi integrativi di giudizio e si pronuncia, di norma, entro trenta giorni dalla data del loro ricevimento. I provvedimenti degli enti ospedalieri diventano esecutivi dopo l’approvazione della Giunta regionale.

Ai fini del coordinato svolgimento della funzione di vigilanza e di tutela sugli atti degli enti ospedalieri, i provvedimenti di cui al presente articolo e l’esito del controllo su di essi esercitato, sono inviati al Comitato regionale di controllo o alle sue sezioni autonome, secondo le rispettive competenze.

Se si ripensa a questa esperienza, le amministrazioni sanitarie dell’Emilia Romagna sono pervase da un sottile brivido. Infatti l’Assessore regionale alla sanità non avendo le strutture e soprattutto la mentalità. e essendo del tutto carente ogni esperienza alla logica dei controlli, lavorava in maniera totalmente confusionaria senza alcun rispetto delle forme imposte dalla legge e in modo del tutto slegato rispetto agli organi normali di controllo che esaminavano tutti i restanti provvedimenti. Da qui una situazione totalmente caotica che venne risolta solo con il riaffidamento dei controlli agli organi stabiliti della Costituzione, e, lo ripetiamo, stiamo parlando di una Regione che è spesso citata ad esempio in materia di gestione della sanità.

Un’ultima osservazione: non c’è alcun bisogno delle "società specializzate" nello svolgimento del controllo di gestione. Ci sono già i revisori dei conti! O forse anche questi sono corrotti secondo il Ministro?

L’unico effetto della brillante proposta sarà quello di incrementare la spesa per... il controllo.

E’ noto infatti che le società specializzate (si pensi ad es. alla Arghur Andersen 6 C.) sono molto più esigenti e "costose" dei poveri Comitati di controllo e dei Revisori dei conti.