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Ritardi nella conclusione del procedimento amministrativo e responsabilità della P.A.

L’articolo 2 bis della Legge n. 1990/241 recita “1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

1-bis. Fatto salvo quanto previsto dal comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, l’istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite dalla legge o, sulla base della legge, da un regolamento emanato ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400. In tal caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento.”

L’articolo 28 del Decreto Legge n. 69/2013 (“Decreto del fare”) prevede che “la pubblica amministrazione procedente o, in caso di procedimenti in cui intervengono più amministrazioni, quella responsabile del ritardo e i soggetti di cui all’art. 1, comma 1-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento amministrativo iniziato a istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, con esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, corrispondono all’interessato, a titolo di indennizzo per il mero ritardo, una somma pari a 30 euro per ogni giorno di ritardo con decorrenza dalla data di scadenza del termine del procedimento, comunque complessivamente non superiore a 2.000 euro”.

La P.A. ha l’obbligo di concludere il procedimento amministrativo in attuazione dei principi di buon andamento, ragionevolezza e proporzionalità e, alla luce della novità introdotta dall’articolo 28 del Decreto Legge n. 69/2013, è tenuta ad indennizzare per il ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo.

È opportuno considerare e precisare, a tal proposito, come mentre l’indennizzo per il ritardo nella emanazione del provvedimento, abbia ad oggetto una somma forfetizzata e definita dal legislatore ed occorra provare solo il ritardo; il risarcimento del danno, invece, abbia ad oggetto il ristoro integrale del pregiudizio patito, inteso sia come danno emergente che come lucro cessante ed occorra anche la prova dell’elemento soggettivo e del nesso causale. Si consideri, pure, che nel caso di indennizzo diretto il danneggiato abbia la possibilità anche agire per ottenere la differenza tra quanto ottenuto in sede di indennizzo e il risarcimento ulteriore eventualmente spettante (in tema di danno differenziale).

L’articolo 2 bis della Legge n. 241/90, nello stabilire che “le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”, non deroga le ordinarie regole che disciplinano la responsabilità aquiliana (la responsabilità da danno ingiusto) in punto di onere della prova. (cfr. Consiglio di Stato, Sezione Quarta, 7 marzo 2013, n. 1406, sulla necessità di provare anche in questo caso tutti gli elementi costitutivi della pretesa risarcitoria).

Il Consiglio di Stato con Sentenza 7 marzo 2013, n. 1406, ha sul punto evidenziato che “La richiesta di accertamento del danno da ritardo ovvero del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento favorevole, se da un lato deve essere ricondotta al danno da lesione di interessi legittimi pretensivi, per l’ontologica natura delle posizioni fatte valere, dall’altro, in ossequio al principio dell’atipicità dell’illecito civile, costituisce una fattispecie sui generis, di natura del tutto specifica e peculiare, che deve essere ricondotta nell’alveo dell’articolo 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità. Di conseguenza, l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi "iuris tantum", in esclusiva relazione al ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo favorevole, ma il danneggiato deve, in ossequio dell’ex articolo 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda”.

Occorre verificare, infatti, la sussistenza tanto della prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale (presupposti di carattere oggettivo) quanto della prova del dolo o colpa del danneggiante (presupposti di carattere soggettivo).

Da tanto emerge come la piena prova del danno non sia data dal mero superamento del termine stabilito ex lege o per regolamento alla conclusione del procedimento. Il giudice deve, perciò, tenere conto della specifica complessità procedimentale, ma anche di eventuali condotte dilatorie. La domanda di risarcimento del danno da ritardo, ex articolo 2043 c.c., potrà essere accolta dal giudice soltanto se la parte dimostrerà che il provvedimento favorevole avrebbe potuto o dovuto essergli rilasciato già “ab origine”.(cfr. Tribunale Amministrativo Regionale Puglia, BARI, Sentenza 5 giugno 2013, n. 911 - Tribunale Amministrativo Regionale Abruzzo, L’Aquila, Sezione Prima, Sentenza 11 luglio 2013, n. 711.).

Il Giudice Amministrativo, poi, riconosce il risarcimento del danno causato al privato dal comportamento dell’Amministrazione inerte soltanto nel caso venga accertata la spettanza del cosiddetto bene della vita, non essendo risarcibile il danno da ritardo provvedimentale mero ed essendo necessario appurare se il bene della vita finale sotteso all’interesse legittimo azionato sia, o meno, dovuto.

Con la introduzione dell’articolo 2 bis, Legge n. 241/1990, dunque, si può ritenere che il ritardo dell’Amministrazione nella conclusione del procedimento costituisca bene della vita autonomamente risarcibile.

Si afferma e si conclude, perciò, sulla base della contemporanea giurisprudenza, che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento, qualora incida su interessi pretensivi agganciati a programmi di investimento di cittadini od imprese, è sempre un costo, poiché il fattore tempo costituisce una sostanziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica.

Da quanto affermato si può dedurre, pertanto, che sussiste il diritto al ristoro per danno da ritardo, ex articolo 2 bis della Legge n. 241/1990 e articolo 30 del Codice della Pubblica Amministrazione, in relazione all’intervenuta violazione dei termini del procedimento.

L’articolo 2 bis della Legge n. 1990/241 recita “1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

1-bis. Fatto salvo quanto previsto dal comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, l’istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite dalla legge o, sulla base della legge, da un regolamento emanato ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400. In tal caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento.”

L’articolo 28 del Decreto Legge n. 69/2013 (“Decreto del fare”) prevede che “la pubblica amministrazione procedente o, in caso di procedimenti in cui intervengono più amministrazioni, quella responsabile del ritardo e i soggetti di cui all’art. 1, comma 1-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento amministrativo iniziato a istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, con esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, corrispondono all’interessato, a titolo di indennizzo per il mero ritardo, una somma pari a 30 euro per ogni giorno di ritardo con decorrenza dalla data di scadenza del termine del procedimento, comunque complessivamente non superiore a 2.000 euro”.

La P.A. ha l’obbligo di concludere il procedimento amministrativo in attuazione dei principi di buon andamento, ragionevolezza e proporzionalità e, alla luce della novità introdotta dall’articolo 28 del Decreto Legge n. 69/2013, è tenuta ad indennizzare per il ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo.

È opportuno considerare e precisare, a tal proposito, come mentre l’indennizzo per il ritardo nella emanazione del provvedimento, abbia ad oggetto una somma forfetizzata e definita dal legislatore ed occorra provare solo il ritardo; il risarcimento del danno, invece, abbia ad oggetto il ristoro integrale del pregiudizio patito, inteso sia come danno emergente che come lucro cessante ed occorra anche la prova dell’elemento soggettivo e del nesso causale. Si consideri, pure, che nel caso di indennizzo diretto il danneggiato abbia la possibilità anche agire per ottenere la differenza tra quanto ottenuto in sede di indennizzo e il risarcimento ulteriore eventualmente spettante (in tema di danno differenziale).

L’articolo 2 bis della Legge n. 241/90, nello stabilire che “le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”, non deroga le ordinarie regole che disciplinano la responsabilità aquiliana (la responsabilità da danno ingiusto) in punto di onere della prova. (cfr. Consiglio di Stato, Sezione Quarta, 7 marzo 2013, n. 1406, sulla necessità di provare anche in questo caso tutti gli elementi costitutivi della pretesa risarcitoria).

Il Consiglio di Stato con Sentenza 7 marzo 2013, n. 1406, ha sul punto evidenziato che “La richiesta di accertamento del danno da ritardo ovvero del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento favorevole, se da un lato deve essere ricondotta al danno da lesione di interessi legittimi pretensivi, per l’ontologica natura delle posizioni fatte valere, dall’altro, in ossequio al principio dell’atipicità dell’illecito civile, costituisce una fattispecie sui generis, di natura del tutto specifica e peculiare, che deve essere ricondotta nell’alveo dell’articolo 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità. Di conseguenza, l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi "iuris tantum", in esclusiva relazione al ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo favorevole, ma il danneggiato deve, in ossequio dell’ex articolo 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda”.

Occorre verificare, infatti, la sussistenza tanto della prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale (presupposti di carattere oggettivo) quanto della prova del dolo o colpa del danneggiante (presupposti di carattere soggettivo).

Da tanto emerge come la piena prova del danno non sia data dal mero superamento del termine stabilito ex lege o per regolamento alla conclusione del procedimento. Il giudice deve, perciò, tenere conto della specifica complessità procedimentale, ma anche di eventuali condotte dilatorie. La domanda di risarcimento del danno da ritardo, ex articolo 2043 c.c., potrà essere accolta dal giudice soltanto se la parte dimostrerà che il provvedimento favorevole avrebbe potuto o dovuto essergli rilasciato già “ab origine”.(cfr. Tribunale Amministrativo Regionale Puglia, BARI, Sentenza 5 giugno 2013, n. 911 - Tribunale Amministrativo Regionale Abruzzo, L’Aquila, Sezione Prima, Sentenza 11 luglio 2013, n. 711.).

Il Giudice Amministrativo, poi, riconosce il risarcimento del danno causato al privato dal comportamento dell’Amministrazione inerte soltanto nel caso venga accertata la spettanza del cosiddetto bene della vita, non essendo risarcibile il danno da ritardo provvedimentale mero ed essendo necessario appurare se il bene della vita finale sotteso all’interesse legittimo azionato sia, o meno, dovuto.

Con la introduzione dell’articolo 2 bis, Legge n. 241/1990, dunque, si può ritenere che il ritardo dell’Amministrazione nella conclusione del procedimento costituisca bene della vita autonomamente risarcibile.

Si afferma e si conclude, perciò, sulla base della contemporanea giurisprudenza, che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento, qualora incida su interessi pretensivi agganciati a programmi di investimento di cittadini od imprese, è sempre un costo, poiché il fattore tempo costituisce una sostanziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica.

Da quanto affermato si può dedurre, pertanto, che sussiste il diritto al ristoro per danno da ritardo, ex articolo 2 bis della Legge n. 241/1990 e articolo 30 del Codice della Pubblica Amministrazione, in relazione all’intervenuta violazione dei termini del procedimento.