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Mancata promozione del procedimento disciplinare e responsabilità dirigenziale

figure apicali
figure apicali

Indice

1. Premessa

2. Le norme dedicate alle figure dirigenziali - evoluzione

3. Il procedimento disciplinare a carico dei dipendenti pubblici svolgenti funzioni dirigenziali

4. La circolare della presidenza del consiglio dei ministri n. 14 del 23.12.2010

5. Conclusioni

 

1. Premessa

A partire dal 2009, con il Decreto  Legislativo n. 150 del 27.10.2009, cosiddetto decreto “Brunetta”, e, quindi con ulteriori novelle (Decreto Legge n. 98/2011, Decreto Legge 179/2011, Decreto Legge n. 101/2013; Decreto Legge n.116/2016; Decreto Legge n. 118/2017, Decreto Legislativo n. 75/2017) in materia di responsabilità disciplinare dei dipendenti della P.A., sono  intervenuti molteplici provvedimenti normativi che, innestandosi sull’impianto originario del Decreto Legislativo n.165 del 30.03.2001, ne hanno modificato in maniera significativa la primitiva struttura.

Il legislatore nazionale ha così inteso dettagliare in modo maggiormente puntuale  le condotte violative degli obblighi gravanti sui dipendenti pubblici, ed inasprire le risposte sanzionatorie; quanto sopra, allo scopo di porre un argine alle marcate disfunzioni della macchina amministrativa pubblica, particolarmente vulnerata da condotte poco efficienti, improduttive e addirittura assenteistiche, che risultavano spesso impunite, e, per tale fatto,  particolarmente odiose e poco tollerabili anche in ragione del particolare contesto di crisi economico-sociale dell’ultimo decennio.

 

2. Le norme dedicate alle figure dirigenziali - evoluzione

A tale scopo, le norme hanno significativamente maggiorato la responsabilità dei dirigenti, rectius degli esercenti le funzioni dirigenziali, ponendo in capo ad essi, fra l’altro, l’obbligo di perseguire le condotte disciplinarmente rilevanti poste in essere dal personale; obbligo che, se disatteso, determina esso stesso una responsabilità disciplinare per tali figure apicali.

Rileva, ai fini delle presenti riflessioni, il testo dell’articolo 55 sexies, terzo comma del Decreto Legislativo n. 165/2001 nel testo introdotto dall’articolo 69 del Decreto Legislativo n. 150/2009 che sotto la rubrica “Responsabilità disciplinare per condotte pregiudizievoli per l’amministrazione e limitazione della responsabilità per l’esercizio dell’azione disciplinare” recitava:

“3. Il mancato esercizio o la decadenza dell’azione disciplinare, dovuti all’omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o a valutazioni sull’insussistenza dell’illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare, comporta, per i soggetti responsabili aventi qualifica dirigenziale, l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione alla gravità dell’infrazione non perseguita, fino ad un massimo di tre mesi in relazione alle infrazioni sanzionabili con il licenziamento, ed altresì la mancata attribuzione della retribuzione di risultato per un importo pari a quello spettante per il doppio del periodo della durata della sospensione. Ai soggetti non aventi qualifica dirigenziale si applica la predetta sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo”.

Dalla lettura di tale comma si evince come il legislatore del 2009 avesse chiaramente espresso la volontà di porre specifico accento sulle omissioni in materia di perseguimento degli illeciti disciplinari introducendo una particolare responsabilità in capo a coloro che incorressero in esse.

Le responsabilità e le sanzioni erano, però, distinte a seconda della qualifica dirigenziale o non  dirigenziale delle figure coinvolte; infatti, mentre per i dirigenti che si fossero resi colpevoli di tali condotte omissive o permissive, era prevista una sanzione sospensiva commisurata all’entità dell’altrui mancanza rimasta impunita, con conseguenze sul mancato raggiungimento degli obiettivi, per coloro che, pur onerati di responsabilità dirigenziali, non fossero inquadrati in tale qualifica, era addirittura ammesso ai CCNL di optare per una diversa risposta punitiva.

Successivamente, però, tale comma è stato riscritto dall’articolo 17, comma 1, lett. b) del Decreto Legislativo n. 75/2017 (cosiddetto “decreto Madia”); il testo oggi vigente, è il seguente:

Articolo 55 sexies, comma 3:  Il mancato esercizio o la decadenza dall’azione disciplinare, dovuti all’omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare, inclusa la segnalazione di cui all’articolo 55-bis, comma 4, ovvero a valutazioni manifestamente irragionevoli di insussistenza dell’illecito in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare, comporta, per i soggetti responsabili, l’applicazione della sospensione dal servizio fino a un massimo di tre mesi, salva la maggiore sanzione del licenziamento prevista nei casi di cui all’articolo 55-quater, comma 1, lettera f-ter), e comma 3-quinquies. Tale condotta, per il personale con qualifica dirigenziale o titolare di funzioni o incarichi dirigenziali, è valutata anche ai fini della responsabilità di cui all’articolo 21 del presente decreto. Ogni amministrazione individua preventivamente il titolare dell’azione disciplinare per le infrazioni di cui al presente comma commesse da soggetti responsabili dell’ufficio di cui all’articolo 55-bis, comma 4.

Dal raffronto delle norme, lette attraverso il prisma della successione di leggi nel tempo, si evince come il legislatore del 2017 abbia inteso eliminare la distinzione, presente nell’originaria formulazione, fra personale avente qualifica dirigenziale e personale non avente tale qualifica; infatti, i soggetti attivi della condotta stigmatizzata sono genericamente definiti “soggetti responsabili”, risultando eliminata la specificazione “aventi qualifica dirigenziale” presente nel testo del 2009;

le sanzioni sono inasprite, predeterminate ed uniformate; sono estese anche al personale non avente qualifica dirigenziale, purché ne svolga le funzioni, le conseguenze incidenti sulla valutazione in merito al raggiungimento degli obiettivi; è eliminata ogni possibilità, per i Contratti Collettivi di comparto, di normare la materia.

 

3. Il procedimento disciplinare a carico dei dipendenti pubblici svolgenti funzioni dirigenziali

Cosi declinata la responsabilità degli apicali che abbiano tenuto tali comportamenti, non sottoponendo a procedimento il personale che sia incorso in qualche colpa disciplinare, occorre chiedersi come il legislatore abbia voluto normare il procedimento per la comminazione della sanzione a tali dipendenti pubblici responsabili della mancata attivazione del procedimento disciplinare.

Soccorre la previsione dell’articolo 55, comma IV, del Decreto Legislativo n. 165/2001, introdotto nel 2009 dal decreto Brunetta e non più soggetto a modifiche. Esso recita “ Fermo quanto previsto nell’articolo 21, per le infrazioni disciplinari ascrivibili al dirigente ai sensi degli articoli 55-bis, comma 7, e 55-sexies, comma 3, si applicano, ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo, le disposizioni di cui al comma 4 del predetto articolo 55-bis, ma le determinazioni conclusive del procedimento sono adottate dal dirigente generale o titolare di incarico conferito ai sensi dell’articolo 19, comma 3.

La norma, quindi, prevede che, ferma restando la responsabilità dirigenziale di cui all’articolo 21 del medesimo decreto, in materia di perseguimento degli obiettivi,  per le infrazioni disciplinari ascrivibili al dirigente ai sensi dell’articolo 55 bis, comma 7 (cioè in caso di rifiuto a collaborare con l’UPD e in ipotesi di testimonianza falsa o reticente) e dell’articolo 55 sexies comma 3, oggetto delle presenti riflessioni, si applicano, ove non diversamente stabilito dal CCNL, le disposizioni dell’articolo 55 bis comma 4 (che disciplina le fasi e le scansioni del procedimento disciplinare) ma le determinazioni conclusive del procedimento sono adottate dal dirigente generale o titolare di incarico conferito ai sensi dell’articolo 19, comma 3 del predetto Decreto Legislativo n. 165/2001.

La lettura del quarto comma dell’articolo 55 statuisce, quindi, una divaricazione di competenze fra l’organo chiamato a svolgere l’istruttoria del procedimento disciplinare e il diverso organo cui è attribuita la potestà di comminazione della sanzione conseguente, e ciò tutte le volte che un incaricato di funzioni dirigenziali non abbia perseguito altrui illeciti aventi rilevanza disciplinare.

La formulazione della norma, che richiama espressamente alcuni articoli del Decreto Legislativo n. 165/2001 dedicati ai dirigenti dello Stato (articoli 21 e 19), evoca figure tipiche dell’articolazione amministrativa centrale (dirigenti generali) e parla di “infrazioni ascrivibili al dirigente”, ha fatto sorgere in alcuni il dubbio che essa non sia dettata anche per gli Enti locali e, soprattutto, non possa applicarsi in quelle realtà amministrative che, per le ridotte dimensioni demografiche, siano prive di dirigenti.

Tali perplessità, pure comprensibili per la evidente difficoltà di lettura dell’intero capo dedicato alle responsabilità disciplinari, soggetto a sovrapposizioni normative stratificate nel tempo con l’introduzione di norme sovente non pienamente coordinate fra loro e infarcite di reciproci richiami, in realtà non possono essere condivise ove si sottopongano le disposizioni ad una lettura sistematica.

Va rammentato, al riguardo, che l’articolo 1, comma 2, del Decreto Legislativo n. 165/2001, individua fra le Amministrazioni Pubbliche destinatarie della sua intera disciplina anche gli EE.LL., statuendo altresì che le disposizioni del decreto costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione.

Inoltre, va ricordato che le norme degli articoli 55 e seguenti del Decreto Legislativo n. 165/2001 sono definite norme imperative dall’articolo 55, comma 1, con espressa comminatoria di nullità delle disposizioni che dovessero essere emanate in contrasto con quanto in esse previsto, e con sostituzione automatica delle clausole difformi da esse (articolo 1419, secondo comma, e articolo 1339 del Codice Civile).

Va ancora sottolineato come l’articolo 27 del Decreto Legislativo n. 165/2001, con cui si chiude il capo II del titolo I (articolo 15-27), dedicato ai dirigenti dello Stato, pone in capo a tutte le realtà amministrative l’obbligo di adeguare i principi in esso contenuti ai loro ordinamenti. 

Ne consegue che, ove in altri articoli del medesimo decreto siano richiamati gli articoli specificatamente dedicati ai dirigenti statali, il rinvio deve considerarsi “mobile”, nel senso che la lettura delle norme deve essere adeguata alla disciplina organizzative adottata dalle P.A. coinvolte, che non possono esonerarsi dal calare nei loro ordinamenti ed adeguarne le statuizioni alle disposizioni di principio del decreto, anche con riferimento alle posizioni e alle funzioni dirigenziali.

Tali brevi considerazioni, e soprattutto il richiamo a tali principi generali che fondano la particolare natura del Decreto Legislativo n. 165/2001, appaiono già sufficienti a confutare una lettura dell’articolo 55, 4 comma di tipo restrittivo, che lo ritenga applicabile solo alle amministrazioni centrali o, a più voler concedere, agli Enti locali di maggiori dimensioni provvisti di dirigenza.

 

4. La circolare della presidenza del consiglio dei ministri n. 14 del 23.12.2010

A rafforzarne l’interpretazione che la vuole riferita a tutte le P.A., compresi gli Enti locali privi di dirigenti, soccorre anche la Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 14 del 23.12.2010, emanata a seguito del Decreto Legislativo n. 150/2009, che ha dedicato specifica attenzione alla disciplina dell’articolo 55 comma 4 da esso introdotta.

Tale Circolare ribadisce dapprima l’applicabilità delle norme, siccome modificate dall’intervenuta novella, a tutte le amministrazioni di cui all’articolo 2, comma 2 del Decreto Legislativo n. 165/2001, quindi a tutti i rapporti di lavoro contrattualizzato, e, pertanto, anche a tutti i dipendenti degli Enti locali.

La Circolare ne sottolinea la natura di norme imperative ai sensi degli articoli 1139 e 1419, secondo comma, del Codice Civile, rimarcando la prevalenza della disciplina legale in parola rispetto alle norme contrattuali che dovessero essere emanate in contrasto con le sue previsioni.

Nel paragrafo 4), espressamente dedicato all’articolo 55, comma 4, la circolare illustra le modalità applicative degli illeciti riferiti alla mancata collaborazione con l’autorità disciplinare procedente e del mancato esercizio o della decorrenza dell’azione disciplinare, delineando alcune possibili soluzioni pratiche.

Appare dirimente evidenziare, come tale disciplina, ritenuta speciale e derogatoria rispetto a quella generale in merito alla competenza all’irrogazione delle sanzioni, sia considerata dalla circolare applicabile anche al personale non dirigente, quando rivesta posizioni apicali, confermandosi in tal modo la correttezza di un’interpretazione amplia della norma e l’impossibilità di sottrarre alle sue previsioni  i responsabili che non rivestano la qualifica dirigenziale:La prima fattispecie, quella della mancata collaborazione con l’autorità disciplinare procedente, è riferita sia ai dirigenti sia ai dipendenti non dirigenti; la seconda, quella del mancato esercizio o della decadenza dall’azione disciplinare, è un illecito proprio del responsabile della struttura di appartenenza del dipendente incolpato o dell’U.P.D., sia esso dirigente o non dirigente”.

Con riferimento agli Enti Locali, premesso che l’individuazione dell’organo cui debba essere attribuita la competenza a comminare la sanzione è rimessa ai poteri normativi ed organizzativi tenuto conto della strutturazione di ciascun Ente, la Circolare si limita a suggerire che essa  “….potrebbe essere compiuta a favore del segretario comunale o provinciale, opportunamente investito ai sensi dell’articolo 97, comma 4, lett, d) del medesimo decreto”; ma, al di là di tale spunto, ciò che essa vuole evidenziare, e che non può essere revocato in dubbio, è che, anche in base all’interpretazione ministeriale, l’organo sul cui capo grava l’assunzione del provvedimento sanzionatorio è altro e diverso da quello cui compete l’istruttoria.

 

5. Conclusioni

Deve quindi concludersi che il  mancato avvio del procedimento disciplinare a carico di un dipendente inserito nella propria area di competenza esponga il responsabile, cioè l’apicale svolgente funzioni dirigenziali, a qualsiasi amministrazione esso appartenga e qualunque sia il suo inquadramento contrattuale, alla responsabilità delineata dall’articolo 55 sexies comma 3 ed alla comminazione delle sanzioni ivi previste, con l’esperimento dell’istruttoria  da parte dell’ufficio individuato dalle singole amministrazioni ai sensi dell’articolo 55 bis, ma con determinazione della sanzione da parte del dirigente generale, in qualunque modo si voglia individuare tale figura all’interno di ogni realtà amministrativa.

Né appare inutile evidenziare come la mancata applicazione della norma dell’articolo 55 comma 4, con determinazione della sanzione da parte di un soggetto diverso da quello indicato dalla norma, determina la nullità della sanzione erogata, che risulterebbe insanabilmente viziata da incompetenza. Infatti, va rammentato, come sottolinea anche il Ministero dell’Interno nella ricordata Circolare, che è inammissibile ogni deroga concernente “la materia dell’organo competente…all’irrogazione della sanzione”.

Tale disciplina è infatti coperta da riserva legale constando di attribuzione di competenza, con conseguente comminatoria di nullità delle sanzioni ove le stesse siano adottate da un organo incompetente anche nel caso in cui sia assente la preventiva individuazione di tale soggetto (ex multis Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 21-03-2017, n. 7177).

In definitiva, pensare di poter sottrarre la disciplina dell’articolo 55, comma IV, del Decreto Legislativo n. 165/2001 ad un’applicazione omogenea ed estensiva, relegandola a norma valida per le sole amministrazioni centrali, appare cozzare, oltre che con il dettato normativo, proprio con la volontà del legislatore, che ha inteso uniformare le posizioni, le responsabilità e le sanzioni per tutti i dipendenti pubblici, indipendentemente dall’Amministrazione di appartenenza, tanto da sottrarre ai CCNL ambiti discrezionali che, invece, in precedenza erano ad essi riservati.

Tali letture riduttive della disposizione privilegiano un approccio ermeneutico di stampo formalistico che non può essere condiviso, dovendo invece optarsi per un’interpretazione che si ispiri a canoni sistematici e sostanzialistici rispettosi non solo al “significato proprio delle parole” ma anche e soprattutto della ratio legis, che verrebbe vanificata se si riconducesse la norma ad un ambito di operatività limitato, con la conseguente creazione di sacche di impunità estese, stante l’elevato numero di  comuni c.d. “polvere”, nei quali si determinerebbe la sottrazione di condotte violative dei doveri dei dipendenti pubblici alla reazione punitiva, che invece il legislatore ha voluto espressamente stigmatizzare e perseguire, sottrazione che potrebbe derivare anche  da pronunce giudiziali di annullamento di sanzioni viziate da incompetenza.