x

x

Società Benefit: un nuovo modello di business - Parte II

Società Benefit: un nuovo modello di business - Parte II
Società Benefit: un nuovo modello di business - Parte II

1. Modificazioni statutarie e diritto di recesso
2. Il sistema dei controlli e certificazione B-Corpagina
3. Sanzione dell’AGCM in caso di violazioni
4. Conclusioni

 

1. Modificazioni statutarie e diritto di recesso

Un punto complesso e rilevante ai fini delle prospettive di applicazione delle nuove norme relative alla Società Benefit anche alla grande impresa è quello relativo al diritto di recesso del socio, ai sensi dell’articolo 2437 codice civile, in presenza di una modifica per adeguare l’oggetto sociale agli scopi benefit.

Ci si chiede se l’inclusione nello statuto della previsione del perseguimento della finalità di beneficio comune presupponga il riconoscimento del diritto di recesso in capo ai soci non consenzienti rispetto alla correlativa modificazione. La rilevanza pratica della questione consiste, come è chiaro, nel fatto che a seconda delle soluzioni fornite si potrà ipotizzare un più o meno significativo ricorso alla qualifica di "benefit" per le grandi realtà societarie, ad iniziare dalle società quotate.

Anzitutto, occorre notare che la Società Benefit non è pensata e disciplinata come autonomo tipo sociale, con la conseguenza che, in caso di successivo acquisto della qualifica di Società Benefit, non si pone un tema di recesso per "modificazione del tipo". Infatti, tutti i tipi di società di diritto italiano possono acquistare la qualificazione di Società Benefit.

Le migliori pubblicazioni disponibili sul tema delle Società Benefit, sottolineano con particolare rigore che molto dipende dalla specifico tenore della clausola e dunque della concreta modificazione statutaria (si veda Assonime, Circolare n. 19 del 20 giugno 2016, pagina 15 e seguenti, e S. Corso, Le Società Benefit nell'ordinamento italiano: una nuova "qualifica" tra profit e non-profit, in Nuove leggi civ. comm., 2016, 995 e seguenti, a 1013 e seguenti). Per valutare la sussistenza di un diritto di recesso dei soci, si tratterebbe in altre parole di valutare, caso da caso, la significatività del cambiamento.

Almeno per quanto riguarda le società azionarie, si dovrebbe determinare se l’introduzione dell’obbligo di perseguire anche il beneficio comune si concretizzi in un’alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento effettuato dai soci in quella specifica realtà societaria. Ed infatti in ciò si traduce la ratio sottostante al riconoscimento delle ipotesi legali di recesso e, conseguentemente, il parametro sul quale misurare la significatività della modificazione della clausola dell'oggetto sociale.

L’introduzione di una finalità di beneficio comune, a ben vedere, sembrerebbe porre tendenzialmente un problema di alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento effettuato dai soci. Invero, la circostanza che gli amministratori debbano, in esecuzione della loro funzione, contemperare ed equilibrare il perseguimento dell’interesse altruistico (stakeholders) con quello egoistico (shareholders) rappresenta una non certo insignificante modifica delle condizioni dell'investimento effettuato dai soci.

D’altra parte, per quanto riguarda le società per azioni, il riconoscimento del diritto di recesso, prima ancora che alla lett. a) dell'articolo 2437, comma 1, codice civile, potrebbe essere ricondotto ad una modificazione statutaria concernente “i diritti di partecipazione”. Infatti, per quanto la disposizione della lett. g) dell’articolo 2437 codice civile si caratterizzi soprattutto per la sua estrema ambiguità e sia dunque suscettibile di interpretazioni eterogenee, è più che plausibile che comunque rientrino nel contenuto della norma quelle modificazioni che, introducendo nuovi destinatari di benefici provenienti dalla società, finiscano per incidere sui diritti di partecipazione dei soci ai risultati dell’attività comune.

Pertanto, ciò che sembra ad oggi sostenibile è che le prospettive di un ricorso allargato alla forma della benefit da parte di società, soprattutto di grandi dimensioni, nate prive di tale qualifica, appare certamente ostacolato dalla possibile operatività del diritto di recesso. Infatti, basti osservare che nessuna società con azioni quotate in un mercato regolamentato, pur essendocene molte che all'atto pratico perseguono politiche aziendali socialmente responsabili, non solo non sia divenuta benefit ma non abbia neanche provato a intraprendere il percorso per acquisire tale qualificazione.

 

2. Il sistema dei controlli e certificazione B-Corpagina

La legge non si limita a tracciare la disciplina delle Società Benefit, bensì ne prevede anche un sistema di controlli, nonché un apposito sistema sanzionatorio nel caso in cui il fine altruistico non dovesse essere perseguito.

Le Società Benefit devono infatti sottoporsi ad un attento sistema di autovalutazione delle perfomance sociali ed ambientali; in particolare, l’attività sociale deve essere parametrata ad uno standard di valutazione esterno, ossia sviluppato da un ente che non sia controllato dalla Società Benefit o collegato con la stessa.

Tale standard deve essere esauriente ed articolato nel valutare l’impatto della società e delle sue azioni nel perseguire la finalità del beneficio comune, credibile, in quanto sviluppato da un ente che abbia le competenze per strutturare uno standard di valutazione secondo un criterio scientifico e multidisciplinare, e trasparente.

La legge definisce altresì le aree cui la valutazione deve essere orientata:

1) il governo d’impresa al fine di valutare il grado di trasparenza e di responsabilità della società nel perseguimento del beneficio comune;

2) i lavoratori, per valutare le relazioni della società con i dipendenti e i collaboratori in termini di retribuzioni e benefit, formazione e crescita personale, qualità dell’ambiente di lavoro etc.;

3) gli altri portatori d’interesse al fine di valutare le relazioni della società con con i propri fornitori, con il territorio e la comunità locale in cui opera;

4) l’ambiente, al fine di valutare l’impatto della società con una prospettiva di ciclo di vita dei prodotti e dei servizi, in termini di utilizzo di risorse, energia, materie prime, processi produttivi processi logistici e di distribuzione, uso e consumo e fine vita.

Ad oggi, non esiste un solo ed unico standard di valutazione esternoil che può evidentemente comportare una forte elasticità dei parametri di valutazione, nonché, conseguentemente, una incisiva discrezionalità da parte della società nella scelta del parametro di riferimento; tra questi, in particolare, possiede i requisiti richiesti a livello internazionale il Benefit Impact Assessment (c.d. BIA), elaborato dall’ente americano non-profit B-Lab. Il superamento di un determinato punteggio nel BIA consente alla Società Benefit di ottenere l’ulteriore certificazione “B-Corp”, attestante l’impegno della stessa al perseguimento dei più elevati standard di trasparenza e perfomance possibili.

Per ottenere e mantenere la citata certificazione, le aziende devono raggiungere un punteggio minimo sul BIA (ovvero un questionario di analisi delle proprie performance ambientali e sociali) ed integrare nei documenti statutari il proprio impegno verso gli Stakeholder. Ad ottobre 2017, esistevano già 2263 B Corp certificate in 130 settori ed in oltre 50 paesi diversi. Peraltro, in Italia, dopo l’introduzione della forma giuridica Società Benefit, le B Corp certificate, al fine di mantenere la certificazione, sono tenute a modificare il proprio statuto e trasformarsi in Società Benefit entro due o quattro anni dalla loro certificazione.

Tra i principali vantaggi di aderire a questa tipologia di certificazione, che può ovviamente essere apposta su tutti i prodotti della Società Benefit, vi è certamente “l’effetto-novità” che B Corp porta con sé, anche in ragione del fatto che la sua moltiplicazione nel mondo anglosassone è stata ed è assai rapida. 

Oltre a questo aspetto scarsamente tecnico, se ne affianca uno assai pragmatico: la piattaforma per l’autovalutazione iniziale messa a disposizione online a tutte le imprese che vogliano mettersi per qualche ora ad inserire i propri dati all’interno del portale, rappresenta un efficace strumento di benchmarking sufficientemente preciso rispetto ad almeno un migliaio di imprese da tutto il mondo, su aspetti economici, sociali e ambientali abbastanza dettagliati. 

La certificazione inoltre, dal punto di vista dei costi complessivi, in termini di denaro e di tempo dedicato, risulta assai competitiva rispetto ad altri tipi di standard appartenenti al mondo della RSI diffusi in Italia (dalle certificazioni ambientali EMAS ai marchi Ecolabel). Dal punto di vista dell’impegno in termini di tempo, come dettagliato all’interno del sito B-Corp, il percorso globale occupa uno spazio nell’ordine di poche giornate/uomo; sul fronte economico, invece, i costi sono proporzionali alla dimensione dell’impresa e al settore di appartenenza. Per una tipica piccola-media impresa italiana, si può andare dai 500 ai 1.000 euro all’anno, che possono diventare 2.500 per una grande impresa.

3. Sanzione dell’AGCM in caso di violazioni

Veniamo ora alle sanzioni che l’AGCM è tenuta a comminare nel caso in cui la società non persegua lo scopo del beneficio comune.

Nel primo periodo del comma 384, la legge italiana assoggetta le Società Benefit che non perseguono le finalità di beneficio comune alle disposizioni in materia di pubblicità ingannevole (D.lgs. 145/2007), e alle disposizioni del codice di consumo (D.lgs. 206/2005), ferme altresì le sanzioni previste dal codice civile per gli amministratori delle Società Benefit, per l’inadempimento degli obblighi di cui al comma 380.

Il secondo ed ultimo periodo del comma in esame prevede che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato svolge i relativi compiti e attività, nei limiti delle risorse disponibili e senza nuovi o maggiori oneri a  carico dei soggetti vigilati”.

L’AGCM, qualora dovesse ritenere ricorrano gli estremi della pubblicità ingannevole da parte di una Società Benefit, potrà dunque avviare un procedimento, avvalendosi di ampi poteri investigativi e, una volta accertata la violazione, far in modo che tale comportamento lesivo cessi, inibendolo e disponendo la pubblicazione di dichiarazioni tese a rettificare, a spese ovviamente dell’impresa responsabile, e irrogando, qualora ne ricorra il bisogno, sanzioni pecuniarie che vanno dai 5.000 Euro ai 500.000 Euro ed in caso di inottemperanza ai provvedimenti, irrogare ulteriori sanzioni che vanno dai 10.000 Euro ai 150.000 Euro.

 

4. Conclusioni

Per quanto concerne l’evoluzione e la sorte delle Società Benefit, è lecito ravvisare che, da un lato, la mancanza di agevolazione e sgravi fiscali si pone certamente come limite alla diffusione di tale forma di impresa in Italia, in quanto la possibilità di agevolazioni avrebbe certamente favorito maggiormente l’adozione della forma di Società Benefit. Dall’altro, tuttavia, tale modello ha ampie possibilità di successo laddove si tenga conto dei recenti trend socio-economici ed in particolare di quelli generazionali, che sottolineano il forte impegno dei consumatori per la tutela dell’ambiente e l’emersione di un maggiore interesse per il settore sociale.

Sono sempre più numerosi, infatti, i consumatori disposti a pagare prodotti e servizi ad un prezzo leggermente più elevato, qualora questi provengano da realtà imprenditoriali socialmente ed ambientalmente responsabili. Anche all’estero è dato rinvenire l’aumento di tale tendenza e la valorizzazione dell’appeal che suscitano società con fini non esclusivamente egoistici.

Tale connotato sociale delle Società Benefit, evidenziato nella denominazione stessa della società e nella eventuale certificazione B-Corp, potrebbe ben rivelarsi una sorta di marchio “doc” in grado di far divenire le Società Benefit delle vere eccellenze del mercato dell’impresa, in quanto aziende orientate alla creazione di valore collettivo, favorendo anche l’attrazione di nuovi investimenti.

 

Parte I