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Sommarietà ex articolo 702-ter, comma 3, del codice di procedura civile: un’ipotesi (inconsapevole) di frode delle etichette?

Sommarietà ex articolo 702-ter, comma 3, del codice di procedura civile: un’ipotesi (inconsapevole) di frode delle etichette?
Sommarietà ex articolo 702-ter, comma 3, del codice di procedura civile: un’ipotesi (inconsapevole) di frode delle etichette?

Abstract: l’articolo si propone di evidenziare l’intima essenza del procedimento sommario di cognizione (articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile), la cui fisionomia, al di là del nomen iuris impiegato dal Legislatore, ricalca quella dei modelli procedurali a cognizione piena di consolidata tradizione.

1. Profili generali

Tra le novità apportate dalla Legge n. 69 del 18 giugno 2009 merita segnalare l’introduzione del cosiddetto procedimento sommario di cognizione, la cui disciplina è contenuta negli articoli 702-bis, 702-ter e 702-quater del codice di procedura civile, inseriti all’interno del IV° Libro del codice processuale, dedicato - come noto - ai procedimenti speciali.

Balza evidente che il cuore pulsante del rito semplificato ora in esame si rinvenga proprio nella valutazione demandata al giudice circa l’opportunità di decidere l’instaurata controversia mediante istruzione sommaria.

Trattasi, a ben vedere, di un presupposto di stretta valutazione giudiziale in quanto il magistrato incaricato è chiamato a verificare se la causa richieda un’istruttoria approfondita o, invece, possa essere decisa in forme sommarie.

Qualora, infatti, il giudicante, esaminati gli atti di causa, si avveda che l’incardinata controversia, pur essendo in astratto sommariamente trattabile, richieda però l’espletamento di una puntuale ed approfondita attività istruttoria, dovrà, con ordinanza inoppugnabile, mutare il rito, ossia disporne la conversione alle forme ordinarie.

La suddetta prerogativa giudiziale costituisce la più chiara ed eloquente espressione dell’ampia discrezionalità riconosciuta ex lege al magistrato incaricato della trattazione del procedimento, autentico ago della bilancia, o meglio deus ex machina dell’intera vicenda processuale, la cui fisiologica evoluzione, dunque, appare inscindibilmente legata all’insindacabile sua valutazione.

2. Natura giuridica

Lungi dal volersi addentrare negli oscuri meandri del dibattito relativo alla nozione di sommarietà nell’ordinamento processuale vigente, può sin d’ora anticiparsi che gli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile abbiano di fatto codificato una figura inedita di sommarietà, una figura sui generis, come tale insuscettibile di essere ingabbiata all’interno degli schemi concettuali sino ad allora conosciuti.

Ciò posto, rimane allora da capire quale sia il significato attribuibile alla qualificazione del procedimento come sommario.

2.1 (segue): Sommario in senso tecnico?

A tale riguardo, peculiare può dirsi la posizione di chi tende a ricondurre il nuovo modello procedimentale nell’alveo delle tutele sommarie in senso ampio, osservando come il giudice debba procedere ad accertare in maniera superficiale i fatti di causa, fondandosi essenzialmente su valutazioni di probabilità, se non addirittura di verosimiglianza.

Si tratterebbe, pertanto, di un procedimento volto ad ottenere celermente, sulla base di un accertamento dei fatti superficiale, un provvedimento immediatamente esecutivo.

Ragionando in termini siffatti, la proposizione dell’appello di cui all’articolo 702-quater del codice di procedura civile consentirebbe alla parte interessata di recuperare quella cognizione piena ed esauriente in precedenza sacrificata sull’altare della sommarietà del giudizio di prime cure[1].

A corroborare simili esiti interpretativi, non mancherebbero, si è ben evidenziato, talune argomentazioni adducibili a sostegno, quali, oltre all’inequivoco nomen iuris ed alla collocazione topografica di detto rito in seno al corpus codicistico, anche la pretesa assonanza dell’istruttoria sommaria con quella cautelare di cui all’articolo 669-sexies, comma 1, del codice di procedura civile.[2]

La consistenza delle predette argomentazioni, tuttavia, si sfalda dinanzi all’obiettiva constatazione che né la denominazione impressa ex lege, né la collocazione all’interno dell’impianto codicistico, potrebbero assumere valore dirimente ai fini della corretta ricostruzione dell’istituto in esame.

Non è tutto!

Anche a voler dare per scontato, inoltre, che la cognizione del giudice cautelare sia sempre superficiale e giammai piena, si rivelerebbe poco persuasivo pure l’aggancio operato all’articolo 669-sexies del codice di procedura civile e ciò in ragione delle ontologiche differenze esistenti tra le due tipologie di attività istruttoria, come tali insuscettibili di qualsivoglia assimilazione[3].

2.2 (segue): Mera sommarietà strutturale?

Secondo una diversa prospettazione teorica, pur autorevolmente sostenuta, di procedimento a cognizione sommaria avente funzione decisoria potrebbe senz’altro discutersi, sebbene in un’accezione differente da quella patrocinata dalla tesi supra delineata.

Muovendo, infatti, dalla superiore premessa che occorra distinguere tra cognizione quale modus procedendi e cognizione intesa come risultato dell’accertamento devoluto al giudice, i fautori dell’orientamento in parola giungono a ritenere che, nel rito speciale di cui si discute, la sommarietà attenga fondamentalmente alla struttura del procedimento, nel senso che la relativa decisione conseguirebbe allo svolgimento di un iter processuale in seno al quale manca del tutto la predeterminazione legislativa delle forme e dei termini.

Si tratterebbe, pertanto, di un processo tipicamente sommario, vuoi per la destrutturazione della fase di trattazione, vuoi per il fatto che la cognizione prodromica alla decisione non presenta i connotati propri di quella piena ed esauriente e ciò tanto sul piano della previsione delle forme, quanto sul versante dei termini processuali, senza che venga in alcun modo intaccata la pienezza dell’accertamento condotto ope iudicis.

Per dirla in breve, dunque, il modulo procedimentale di recente emersione, pur denotando una sommarietà di trattazione nel senso supra precisato, risulterebbe comunque funzionale ad un accertamento nient’affatto incompleto o superficiale[4].

La tesi in questione, a dire il vero, non convince appieno.

L’idea di un’intelaiatura procedimentale scarsamente predeterminata in via legislativa mal si attaglia al nuovo rito speciale, la cui fase introduttiva, invero, risulta minuziosamente codificata, essendosi preoccupato il riformatore di attenzionare specificamente i profili relativi alla proposizione della domanda ed alla costituzione delle parti[5].

2.3 (segue): Orientamento prevalente

Senz’altro più convincente appare l’indirizzo ermeneutico maggiormente seguito anche in giurisprudenza, secondo cui il nuovo rito sommario, a dispetto della vistosa etichetta impressagli, rientrerebbe a pieno titolo nell’ambito dei procedimenti a cognizione ordinaria, ossia piena ed esaustiva, idonea ex se a verificare la fondatezza delle allegazioni di parte in termini di verità processuale e non già di mera verosimiglianza o semplice probabilità.

In quest’ottica, la sommarietà a cui fa riferimento la novella del 2009 non atterrebbe all’estensione dell’accertamento, cioè al grado di approfondimento dei fatti da parte del giudice, bensì all’organizzazione del processo, o meglio alla semplificazione dell’iter procedimentale, il quale sfuggirebbe alle asperità formali ed alle rigide scansioni temporali del rito ordinario: una sommarietà, insomma, da declinare in termini di deformalizzazione del procedimento in ragione della ritenuta semplicità della controversia[6].

3. Istruzione sommaria, quale condizione negativa di esercizio del potere di mutamento del rito

L’aver inquadrato il nuovo procedimento sommario nell’alveo dei riti a cognizione ordinaria, seppure a struttura semplificata, consente, come detto, di delimitare la nozione di istruzione sommaria sulla quale poggia la prognosi demandata al giudice ai fini dell’eventuale esercizio del potere di mutamento del rito.

Si è già rilevato poc’anzi che l’istruibilità della controversia in via semplificata assurge a limite di esercizio della fondamentale prerogativa giudiziale di conversione del rito, operando alla stregua di un’autentica condizione negativa di applicabilità della relativa previsione normativa.

Muovendo dalla premessa che la naturale vocazione del modello processuale di recente conio sia la risoluzione di cause semplici, occorre verificare allora se il limite dell’istruzione sommaria si risolva o meno nella ritenuta semplicità della lite.

Ne consegue che l’interprete si trovi costretto suo malgrado a sciogliere un ulteriore ed ingarbugliato nodo esegetico, originato dalla presunta sovrapponibilità delle due figure concettuali .

Secondo un primo orientamento, emerso soprattutto in dottrina, la semplicità della controversia andrebbe apprezzata in senso meramente obiettivo, avuto riguardo cioè alle peculiarità dell’oggetto ad essa sotteso, dovendo il giudice farsi un’approssimativa idea sulla manifesta fondatezza/infondatezza della domanda, vale a dire sulla facile accertabilità del quid disputandum[7].

Stando, invece, all’opinione largamente prevalente, anche in sede giurisprudenziale, bisognerebbe valutarla sul piano dell’espletanda attività istruttoria, saggiando con opportuna ponderazione gli accertamenti fattuali demandati al giudice al fine di verificare la fondatezza delle ragioni addotte dalle rispettive parti processuali[8].

Alla luce di quanto appena riferito, nulla osta, pertanto, a che il procedimento sommario di cognizione sia attivato anche per decidere cause oggettivamente complesse sul piano stricto sensu giuridico, purché – si badi – gli elementi di fatto della specifica vicenda concreta risultino incontroversi, o comunque suscettibili di essere accertati mediante il compimento di un’istruttoria semplificata, ossia consistente in un numero limitato di attività, concentrabili, peraltro, in margini temporali ragionevolmente ristretti (si pensi, ad esempio, ad una causa puramente documentale ovvero bisognosa di un unico mezzo di prova)[9].

Appare innegabile, comunque, l’obiettiva difficoltà di individuare in via generale ed astratta la soglia massima di attività che sia compatibile con il carattere sommario (rectius: semplificato) dell’istruttoria, il che rende evidente l’ampia discrezionalità valutativa riconosciuta al giudicante, con l’enorme rischio di dar luogo ad irragionevoli applicazioni differenziate dell’istituto sul territorio nazionale: è agevolmente prevedibile, infatti, che l’orientamento sul punto dei diversi tribunali finirà con il variare in ragione della sensibilità personale del singolo magistrato o dell’ufficio giudiziario di appartenenza[10].

4. Note conclusive

Alla resa dei conti, dunque, può convenirsi che gli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile delineino un procedimento semplificato a cognizione piena, destinato naturaliter alla risoluzione e composizione di cause semplici, o meglio di controversie, le cui caratteristiche fattuali siano tali[11].

Sorge il sospetto, allora, che, nel confezionare la normativa in oggetto, il legislatore del 2009, forse sbadatamente, abbia confuso la sommarietà tradizionalmente intesa con la facilità dell’accertamento, o meglio con l’istanza di semplificazione, dando luogo ad una sorta di frode delle etichette, senz’altro censurabile sul terreno squisitamente dogmatico.

Ad ogni buon conto, la semplificazione operata dal riformatore investe i segmenti processuali successivi all’instaurazione della causa, concretando una tipologia procedimentale in seno alla quale la rigidità del modello, relegata alla fase propriamente introduttiva, ben si coniuga con l’istanza di deformalizzazione cui è improntato il prosieguo del giudizio, rimesso al potere direttivo del giudice e modulabile a sua discrezione.

Emerge, dunque, la realtà di un procedimento a cognizione piena, alternativo, atipico ed a struttura semplificata, che stenta a decollare in ambito processuale, malgrado denoti indubbie potenzialità operative non ancora del tutto pienamente sfruttate.

 

[1] Quella supra sintetizzata è l’opinione di MENCHINI, L’ultima “idea” del legislatore per accelerare i tempi della tutela dichiarativa dei diritti: il processo sommario di cognizione, in www.judicium.it, 7.

[2] Cfr. CHIARLONI, Le principali novità introdotte nel c.p.c. con la l. 69/2009, Bologna-Roma, 2009, 32 e ss.

[3] Per analoghi rilievi critici, si rinvia al contributo di BESSO, Il nuovo rito ex art. 702-bis c.p.c.: tra sommarietà del procedimento e pienezza della cognizione, in Giur. it., 2010, 723, la quale, tra l’altro, nell’insinuare il dubbio che la cognizione cautelare non rivesta sempre e comunque carattere sommario, richiama il pensiero di LOMBARDO, Natura e caratteri dell’istruzione probatoria nel processo cautelare, in Riv. dir., proc., 2001, 464 e ss.

[4] Se ho ben inteso, così può essere sintetizzato il pensiero di CARRATTA, Le “condizioni di ammissibilità” del nuovo procedimento sommario di cognizione, in Giur. it., 2010, 728.

[5] In tal senso, BOVE, Il procedimento sommario di cognizione di cui agli articoli 702-bis ss. c.p.c., in www.judicium.it, 3.

[6] In senso conforme, tra gli altri, ARIETA, Il rito “semplificato”, in www.apertacontrada.it, § 1; BALENA, Il procedimento sommario di cognizione, in Foro it., 2009, 329-330; BASILICO, Rapporti con il processo, in Giur. it., 2010, 734-735; BOVE, Il procedimento, cit., 17-18; CAPONI, Un modello ricettivo delle prassi migliori: il procedimento sommario di cognizione, in Foro it., 2009, V, 337; DITTRICH, Il nuovo procedimento sommario di cognizione, in www.judicium.it, § 1; LUPOI, Sommario (ma non troppo), in www.judicium.it, 9-10.

In giurisprudenza, si veda, in particolare, Trib. Varese, 18 novembre 2009, consultabile telematicamente in www.tribunale.varese.it, che propende per la configurazione del nuovo sommario come procedimento di plena cognitio.

[7] Così, almeno in un primo momento, LUISO, Il procedimento sommario di cognizione, in Giur. it., 2009, 1569; si veda anche BALENA, Il procedimento, cit., 330.

[8] Ad avviso di BOVE, cit., 10-11, occorre ‹‹valutare nel caso concreto se la causa appare semplice sul piano istruttorio. Insomma, il giudice deve chiedersi se la causa richieda o meno accertamenti di fatto complessi, numerosi o comunque di lunga indagine››.

[9] Giunge ad analoghe conclusioni, LUPOI, Sommario, cit., 10 e ss., ove ampi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali.

Senz’altro condivisibile può dirsi il rilievo operato dal Tribunale di Taranto secondo cui sarebbe del tutto arbitrario negare l’assunzione di prove diverse da quelle documentali dal momento che, ad opinare diversamente, infatti, risulterebbe priva di significato la disposizione di cui all’art. 702-ter, comma 5, c.p.c., la quale consente al giudice di procedere nel modo più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto: cfr. Trib. Taranto, 2 marzo 2010, ord., reperibile in www.ilcaso.it

[10] Opera un’interessante ricognizione delle diverse posizioni emerse in dottrina e giurisprudenza, LUPOI, Sommario, cit., 11-12.

[11] Molto chiaro, al riguardo, BOVE, Il procedimento, cit., 15, secondo cui ‹‹Ripeto la mia idea: il procedimento in parola non è sommario nel senso in cui viene utilizzata questa parola nell’ambito del procedimento cautelare o nel senso in cui la si poteva utilizzare a fronte dell’art. 19 del d. lgs. n. 5/2003, ma è sommario nel senso che esso è semplificato, cosa possibile per il modo in cui si presenta la causa››; ed ancora, ‹‹ma, ciò detto, poi l’accertamento del giudice si ha nello stesso modo, ossia con la stessa pienezza in cui si avrebbe nel rito ordinario››.

Abstract: l’articolo si propone di evidenziare l’intima essenza del procedimento sommario di cognizione (articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile), la cui fisionomia, al di là del nomen iuris impiegato dal Legislatore, ricalca quella dei modelli procedurali a cognizione piena di consolidata tradizione.

1. Profili generali

Tra le novità apportate dalla Legge n. 69 del 18 giugno 2009 merita segnalare l’introduzione del cosiddetto procedimento sommario di cognizione, la cui disciplina è contenuta negli articoli 702-bis, 702-ter e 702-quater del codice di procedura civile, inseriti all’interno del IV° Libro del codice processuale, dedicato - come noto - ai procedimenti speciali.

Balza evidente che il cuore pulsante del rito semplificato ora in esame si rinvenga proprio nella valutazione demandata al giudice circa l’opportunità di decidere l’instaurata controversia mediante istruzione sommaria.

Trattasi, a ben vedere, di un presupposto di stretta valutazione giudiziale in quanto il magistrato incaricato è chiamato a verificare se la causa richieda un’istruttoria approfondita o, invece, possa essere decisa in forme sommarie.

Qualora, infatti, il giudicante, esaminati gli atti di causa, si avveda che l’incardinata controversia, pur essendo in astratto sommariamente trattabile, richieda però l’espletamento di una puntuale ed approfondita attività istruttoria, dovrà, con ordinanza inoppugnabile, mutare il rito, ossia disporne la conversione alle forme ordinarie.

La suddetta prerogativa giudiziale costituisce la più chiara ed eloquente espressione dell’ampia discrezionalità riconosciuta ex lege al magistrato incaricato della trattazione del procedimento, autentico ago della bilancia, o meglio deus ex machina dell’intera vicenda processuale, la cui fisiologica evoluzione, dunque, appare inscindibilmente legata all’insindacabile sua valutazione.

2. Natura giuridica

Lungi dal volersi addentrare negli oscuri meandri del dibattito relativo alla nozione di sommarietà nell’ordinamento processuale vigente, può sin d’ora anticiparsi che gli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile abbiano di fatto codificato una figura inedita di sommarietà, una figura sui generis, come tale insuscettibile di essere ingabbiata all’interno degli schemi concettuali sino ad allora conosciuti.

Ciò posto, rimane allora da capire quale sia il significato attribuibile alla qualificazione del procedimento come sommario.

2.1 (segue): Sommario in senso tecnico?

A tale riguardo, peculiare può dirsi la posizione di chi tende a ricondurre il nuovo modello procedimentale nell’alveo delle tutele sommarie in senso ampio, osservando come il giudice debba procedere ad accertare in maniera superficiale i fatti di causa, fondandosi essenzialmente su valutazioni di probabilità, se non addirittura di verosimiglianza.

Si tratterebbe, pertanto, di un procedimento volto ad ottenere celermente, sulla base di un accertamento dei fatti superficiale, un provvedimento immediatamente esecutivo.

Ragionando in termini siffatti, la proposizione dell’appello di cui all’articolo 702-quater del codice di procedura civile consentirebbe alla parte interessata di recuperare quella cognizione piena ed esauriente in precedenza sacrificata sull’altare della sommarietà del giudizio di prime cure[1].

A corroborare simili esiti interpretativi, non mancherebbero, si è ben evidenziato, talune argomentazioni adducibili a sostegno, quali, oltre all’inequivoco nomen iuris ed alla collocazione topografica di detto rito in seno al corpus codicistico, anche la pretesa assonanza dell’istruttoria sommaria con quella cautelare di cui all’articolo 669-sexies, comma 1, del codice di procedura civile.[2]

La consistenza delle predette argomentazioni, tuttavia, si sfalda dinanzi all’obiettiva constatazione che né la denominazione impressa ex lege, né la collocazione all’interno dell’impianto codicistico, potrebbero assumere valore dirimente ai fini della corretta ricostruzione dell’istituto in esame.

Non è tutto!

Anche a voler dare per scontato, inoltre, che la cognizione del giudice cautelare sia sempre superficiale e giammai piena, si rivelerebbe poco persuasivo pure l’aggancio operato all’articolo 669-sexies del codice di procedura civile e ciò in ragione delle ontologiche differenze esistenti tra le due tipologie di attività istruttoria, come tali insuscettibili di qualsivoglia assimilazione[3].

2.2 (segue): Mera sommarietà strutturale?

Secondo una diversa prospettazione teorica, pur autorevolmente sostenuta, di procedimento a cognizione sommaria avente funzione decisoria potrebbe senz’altro discutersi, sebbene in un’accezione differente da quella patrocinata dalla tesi supra delineata.

Muovendo, infatti, dalla superiore premessa che occorra distinguere tra cognizione quale modus procedendi e cognizione intesa come risultato dell’accertamento devoluto al giudice, i fautori dell’orientamento in parola giungono a ritenere che, nel rito speciale di cui si discute, la sommarietà attenga fondamentalmente alla struttura del procedimento, nel senso che la relativa decisione conseguirebbe allo svolgimento di un iter processuale in seno al quale manca del tutto la predeterminazione legislativa delle forme e dei termini.

Si tratterebbe, pertanto, di un processo tipicamente sommario, vuoi per la destrutturazione della fase di trattazione, vuoi per il fatto che la cognizione prodromica alla decisione non presenta i connotati propri di quella piena ed esauriente e ciò tanto sul piano della previsione delle forme, quanto sul versante dei termini processuali, senza che venga in alcun modo intaccata la pienezza dell’accertamento condotto ope iudicis.

Per dirla in breve, dunque, il modulo procedimentale di recente emersione, pur denotando una sommarietà di trattazione nel senso supra precisato, risulterebbe comunque funzionale ad un accertamento nient’affatto incompleto o superficiale[4].

La tesi in questione, a dire il vero, non convince appieno.

L’idea di un’intelaiatura procedimentale scarsamente predeterminata in via legislativa mal si attaglia al nuovo rito speciale, la cui fase introduttiva, invero, risulta minuziosamente codificata, essendosi preoccupato il riformatore di attenzionare specificamente i profili relativi alla proposizione della domanda ed alla costituzione delle parti[5].

2.3 (segue): Orientamento prevalente

Senz’altro più convincente appare l’indirizzo ermeneutico maggiormente seguito anche in giurisprudenza, secondo cui il nuovo rito sommario, a dispetto della vistosa etichetta impressagli, rientrerebbe a pieno titolo nell’ambito dei procedimenti a cognizione ordinaria, ossia piena ed esaustiva, idonea ex se a verificare la fondatezza delle allegazioni di parte in termini di verità processuale e non già di mera verosimiglianza o semplice probabilità.

In quest’ottica, la sommarietà a cui fa riferimento la novella del 2009 non atterrebbe all’estensione dell’accertamento, cioè al grado di approfondimento dei fatti da parte del giudice, bensì all’organizzazione del processo, o meglio alla semplificazione dell’iter procedimentale, il quale sfuggirebbe alle asperità formali ed alle rigide scansioni temporali del rito ordinario: una sommarietà, insomma, da declinare in termini di deformalizzazione del procedimento in ragione della ritenuta semplicità della controversia[6].

3. Istruzione sommaria, quale condizione negativa di esercizio del potere di mutamento del rito

L’aver inquadrato il nuovo procedimento sommario nell’alveo dei riti a cognizione ordinaria, seppure a struttura semplificata, consente, come detto, di delimitare la nozione di istruzione sommaria sulla quale poggia la prognosi demandata al giudice ai fini dell’eventuale esercizio del potere di mutamento del rito.

Si è già rilevato poc’anzi che l’istruibilità della controversia in via semplificata assurge a limite di esercizio della fondamentale prerogativa giudiziale di conversione del rito, operando alla stregua di un’autentica condizione negativa di applicabilità della relativa previsione normativa.

Muovendo dalla premessa che la naturale vocazione del modello processuale di recente conio sia la risoluzione di cause semplici, occorre verificare allora se il limite dell’istruzione sommaria si risolva o meno nella ritenuta semplicità della lite.

Ne consegue che l’interprete si trovi costretto suo malgrado a sciogliere un ulteriore ed ingarbugliato nodo esegetico, originato dalla presunta sovrapponibilità delle due figure concettuali .

Secondo un primo orientamento, emerso soprattutto in dottrina, la semplicità della controversia andrebbe apprezzata in senso meramente obiettivo, avuto riguardo cioè alle peculiarità dell’oggetto ad essa sotteso, dovendo il giudice farsi un’approssimativa idea sulla manifesta fondatezza/infondatezza della domanda, vale a dire sulla facile accertabilità del quid disputandum[7].

Stando, invece, all’opinione largamente prevalente, anche in sede giurisprudenziale, bisognerebbe valutarla sul piano dell’espletanda attività istruttoria, saggiando con opportuna ponderazione gli accertamenti fattuali demandati al giudice al fine di verificare la fondatezza delle ragioni addotte dalle rispettive parti processuali[8].

Alla luce di quanto appena riferito, nulla osta, pertanto, a che il procedimento sommario di cognizione sia attivato anche per decidere cause oggettivamente complesse sul piano stricto sensu giuridico, purché – si badi – gli elementi di fatto della specifica vicenda concreta risultino incontroversi, o comunque suscettibili di essere accertati mediante il compimento di un’istruttoria semplificata, ossia consistente in un numero limitato di attività, concentrabili, peraltro, in margini temporali ragionevolmente ristretti (si pensi, ad esempio, ad una causa puramente documentale ovvero bisognosa di un unico mezzo di prova)[9].

Appare innegabile, comunque, l’obiettiva difficoltà di individuare in via generale ed astratta la soglia massima di attività che sia compatibile con il carattere sommario (rectius: semplificato) dell’istruttoria, il che rende evidente l’ampia discrezionalità valutativa riconosciuta al giudicante, con l’enorme rischio di dar luogo ad irragionevoli applicazioni differenziate dell’istituto sul territorio nazionale: è agevolmente prevedibile, infatti, che l’orientamento sul punto dei diversi tribunali finirà con il variare in ragione della sensibilità personale del singolo magistrato o dell’ufficio giudiziario di appartenenza[10].

4. Note conclusive

Alla resa dei conti, dunque, può convenirsi che gli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile delineino un procedimento semplificato a cognizione piena, destinato naturaliter alla risoluzione e composizione di cause semplici, o meglio di controversie, le cui caratteristiche fattuali siano tali[11].

Sorge il sospetto, allora, che, nel confezionare la normativa in oggetto, il legislatore del 2009, forse sbadatamente, abbia confuso la sommarietà tradizionalmente intesa con la facilità dell’accertamento, o meglio con l’istanza di semplificazione, dando luogo ad una sorta di frode delle etichette, senz’altro censurabile sul terreno squisitamente dogmatico.

Ad ogni buon conto, la semplificazione operata dal riformatore investe i segmenti processuali successivi all’instaurazione della causa, concretando una tipologia procedimentale in seno alla quale la rigidità del modello, relegata alla fase propriamente introduttiva, ben si coniuga con l’istanza di deformalizzazione cui è improntato il prosieguo del giudizio, rimesso al potere direttivo del giudice e modulabile a sua discrezione.

Emerge, dunque, la realtà di un procedimento a cognizione piena, alternativo, atipico ed a struttura semplificata, che stenta a decollare in ambito processuale, malgrado denoti indubbie potenzialità operative non ancora del tutto pienamente sfruttate.

 

[1] Quella supra sintetizzata è l’opinione di MENCHINI, L’ultima “idea” del legislatore per accelerare i tempi della tutela dichiarativa dei diritti: il processo sommario di cognizione, in www.judicium.it, 7.

[2] Cfr. CHIARLONI, Le principali novità introdotte nel c.p.c. con la l. 69/2009, Bologna-Roma, 2009, 32 e ss.

[3] Per analoghi rilievi critici, si rinvia al contributo di BESSO, Il nuovo rito ex art. 702-bis c.p.c.: tra sommarietà del procedimento e pienezza della cognizione, in Giur. it., 2010, 723, la quale, tra l’altro, nell’insinuare il dubbio che la cognizione cautelare non rivesta sempre e comunque carattere sommario, richiama il pensiero di LOMBARDO, Natura e caratteri dell’istruzione probatoria nel processo cautelare, in Riv. dir., proc., 2001, 464 e ss.

[4] Se ho ben inteso, così può essere sintetizzato il pensiero di CARRATTA, Le “condizioni di ammissibilità” del nuovo procedimento sommario di cognizione, in Giur. it., 2010, 728.

[5] In tal senso, BOVE, Il procedimento sommario di cognizione di cui agli articoli 702-bis ss. c.p.c., in www.judicium.it, 3.

[6] In senso conforme, tra gli altri, ARIETA, Il rito “semplificato”, in www.apertacontrada.it, § 1; BALENA, Il procedimento sommario di cognizione, in Foro it., 2009, 329-330; BASILICO, Rapporti con il processo, in Giur. it., 2010, 734-735; BOVE, Il procedimento, cit., 17-18; CAPONI, Un modello ricettivo delle prassi migliori: il procedimento sommario di cognizione, in Foro it., 2009, V, 337; DITTRICH, Il nuovo procedimento sommario di cognizione, in www.judicium.it, § 1; LUPOI, Sommario (ma non troppo), in www.judicium.it, 9-10.

In giurisprudenza, si veda, in particolare, Trib. Varese, 18 novembre 2009, consultabile telematicamente in www.tribunale.varese.it, che propende per la configurazione del nuovo sommario come procedimento di plena cognitio.

[7] Così, almeno in un primo momento, LUISO, Il procedimento sommario di cognizione, in Giur. it., 2009, 1569; si veda anche BALENA, Il procedimento, cit., 330.

[8] Ad avviso di BOVE, cit., 10-11, occorre ‹‹valutare nel caso concreto se la causa appare semplice sul piano istruttorio. Insomma, il giudice deve chiedersi se la causa richieda o meno accertamenti di fatto complessi, numerosi o comunque di lunga indagine››.

[9] Giunge ad analoghe conclusioni, LUPOI, Sommario, cit., 10 e ss., ove ampi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali.

Senz’altro condivisibile può dirsi il rilievo operato dal Tribunale di Taranto secondo cui sarebbe del tutto arbitrario negare l’assunzione di prove diverse da quelle documentali dal momento che, ad opinare diversamente, infatti, risulterebbe priva di significato la disposizione di cui all’art. 702-ter, comma 5, c.p.c., la quale consente al giudice di procedere nel modo più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto: cfr. Trib. Taranto, 2 marzo 2010, ord., reperibile in www.ilcaso.it

[10] Opera un’interessante ricognizione delle diverse posizioni emerse in dottrina e giurisprudenza, LUPOI, Sommario, cit., 11-12.

[11] Molto chiaro, al riguardo, BOVE, Il procedimento, cit., 15, secondo cui ‹‹Ripeto la mia idea: il procedimento in parola non è sommario nel senso in cui viene utilizzata questa parola nell’ambito del procedimento cautelare o nel senso in cui la si poteva utilizzare a fronte dell’art. 19 del d. lgs. n. 5/2003, ma è sommario nel senso che esso è semplificato, cosa possibile per il modo in cui si presenta la causa››; ed ancora, ‹‹ma, ciò detto, poi l’accertamento del giudice si ha nello stesso modo, ossia con la stessa pienezza in cui si avrebbe nel rito ordinario››.