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Il difensore distrattario: figlio di un Dio minore?

Il difensore distrattario: figlio di un Dio minore?
Il difensore distrattario: figlio di un Dio minore?

Chiamata a pronunziarsi su quaestio juris impastata di vita e di morte su cui, quantomeno nella giurisprudenza di legittimità, non risulta che constino precedenti, la Corte d’Appello di Catania perviene a conclusioni - frutto, in verità, di più di un salto logico - che suscitano infine non poche perplessità.

I fatti si riassumono rapidamente: Tizio vede a suo tempo accolta dall’adito Tribunale la propria domanda risarcitoria (per danni patiti in seguito ad intervento chirurgico la cui esecuzione si riconosceva non essere rimasta immune da condotte colpose), Tribunale che regola le spese di giudizio secondo soccombenza e le liquida, ex articolo 93 del codice di procedura civile, in diretto favore del difensore distrattario dell’attore vittorioso. La Corte d’Appello adita dai soccombenti (i medici dell’equìpe che aveva operato, nonché la struttura ospedaliero-universitaria di cui la stessa equìpe faceva parte) riforma la sentenza di primo grado, rigetta la domanda risarcitoria originariamente formulata dall’appellato e, quanto alle spese di giudizio, ritiene (in applicazione del testo del secondo comma dell’articolo 92 del codice di procedura civile cui fare riferimento ratione temporis) che - sia di quelle di primo che di secondo grado - se ne giustifichi la compensazione per giusti motivi: ciò, tuttavia, mercè sentenza incontrovertibilmente nulla, essendo il difensore di detto appellato deceduto nelle more del giudizio di secondo grado senza che, prima che la causa fosse posta in decisione, venisse ritualmente dichiarata l’interruzione del processo, ex articolo 301 del codice di procedura civile, stante la mancata costituzione di un nuovo difensore.

La sentenza – che nulla dispone in punto di restituzione delle somme al tempo corrisposte alla parte già vittoriosa ed al suo difensore distrattario - essendo nelle more deceduto anche il cliente non viene impugnata. Il difensore degli appellanti vittoriosi conviene a tal punto in giudizio sia gli eredi di detto cliente che quelli del difensore distrattario per richiederne la condanna alla restituzione di tutto quanto era stato corrisposto, benché forzosamente, in esecuzione della sentenza di condanna di primo grado. Gli eredi del difensore distrattario, costituendosi in contraddittorio, eccepiscono che, benché avverso sentenza d’appello irrefutabilmente nulla non sia stato interposto ricorso per cassazione, tale nullità – bensì sanatasi nei confronti degli eredi del cliente ai sensi dell’articolo 161 del codice di procedura civile – nei loro confronti non si sia invece mai sanata non ricorrendo, invero, nel caso di specie l’eccezionale ipotesi in cui dottrina[1] e giurisprudenza[2] estendono al difensore distrattario la qualità di parte processuale: obiettano, cioè a dire, che – se il citato articolo 161 del codice di procedura civile statuisce che “La nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione” – nei confronti degli eredi di chi - non avendo mai assunto, come il difensore distrattario, la veste di parte processuale - non aveva titolo per proporre impugnazione non possa, affatto, ritenersi sanata la nullità affettante sentenza sul cui fondamento, tuttavia, anche nei loro medesimi confronti si pretenda di coltivare pretesa restitutoria.

Di diverso avviso sono i giudici di secondo grado etnei che - dopo aver bensì esattamente ribadito che “il difensore distrattario assume la qualità di parte, sia attivamente che passivamente, esclusivamente quando sorga controversia sulla distrazione”, che “il procuratore distrattario è parte “limitatamente al capo di pronuncia con il quale gli sono state attribuite le spese ed alle censure che tale capo specificamente e direttamente investono, e dunque è legittimato a partecipare in proprio al giudizio d'impugnazione soltanto se, con questa, sia investito il capo di pronuncia concernente la distrazione e nei limiti ed ai fini di tale censura” (così anche Cass. Sez. L. sent. n. 11919 del 9.6.2015)”, che “L'istanza di distrazione non introduce dunque una nuova domanda nel giudizio, perché non ha fondamento in un rapporto di diritto sostanziale connesso a quello da cui trae origine la domanda principale”, che ancora “Il procuratore distrattario dunque fisiologicamente subisce, ai fini restitutori, gli effetti della riforma in peius della sentenza di primo grado” – non altrettanto pertinentemente, tuttavia, richiamano di seguito l’arresto di Cass. III 14.12.2010 n. 25234: arresto con cui la Suprema Corte riconosce bensì la legittimazione della sola parte processuale colpita dall’evento interruttivo a far valere, in sede di impugnazione, la nullità di sentenza viziata dalla mancata interruzione del processo ex articolo 301 del codice di procedura civile in rapporto, tuttavia, solo ed esclusivamente al “rilievo d’ufficio da parte del giudice” ovvero alla “eccezione della controparte”, non anche in rapporto alla posizione del difensore distrattario (e per esso dei suoi eredi) della stessa parte colpita da detto evento.

Ed ancor più rimarchevole appare il salto logico che affetta la successiva conclusione secondo cui “gli eredi del procuratore distrattario, obbligato alla restituzione delle somme incassate a titolo di spese legali in forza di una sentenza di primo grado successivamente riformata in appello, […..] subiscono gli effetti dell’eventuale riforma in sede di gravame senza avere diritto ad interloquire sul merito della controversia o sulle statuizioni concernenti le spese processuali, salvo che per ciò che concerne la distrazione concessa od omessa nonostante la richiesta”: essendo appena il caso di rilevare che, in realtà, altro è che detti eredi non abbiano titolo ad interloquire sul merito della controversia o sulle statuizioni concernenti le spese processuali, altra cosa è porre invece problema di nullità del titolo che abbia definito la controversia, ovvero invocare l’incontestabile diritto ad interloquire sulla possibilità di porre ad effetto titolo nullo anche nei confronti di chi – come il difensore distrattario ed i suoi eredi – non sia legittimato a far valere detta nullità e non possa, consecutivamente, ritenersi coinvolto da sanatoria fondata sulla circostanza della mancata opposizione, a mezzo di impugnazione del titolo, alla nullità medesima.

Gli stessi giudici giungono infine ad affermare che “Il passaggio in giudicato della sentenza che ha riformato la sentenza di primo grado in forza della quale il procuratore aveva direttamente riscosso, in quanto distrattario, le spese liquidate, pur quando sia affetta da un vizio (non riguardante l’unico profilo per il quale il distrattario è legittimato ad interloquire), rende non più modificabile anche il regime delle spese, travolgendo le difformi statuizioni adottate con la sentenza impugnata”, ed anche che “Nessuna lesione al diritto di difesa del procuratore è giuridicamente ipotizzabile quando, come nel caso di specie, questi non è parte del processo, non è legittimato ad interloquire sul merito della controversia, sull’esito della stessa, sulle conseguenti statuizioni concernenti le spese di lite, con l’unica limitata eccezione di quelle che dispongano, o non dispongano, la distrazione”: se non fosse, tuttavia, che non risulta affatto semplice comprendere come sentenza nulla possa passare in giudicato anche nei confronti di soggetto per il quale la nullità non si sia mai sanata né, tampoco, come si possa ammettere che anche chi non possa difendersi da una sentenza nulla debba nondimeno patirne gli effetti.

In definitiva, i giudici d’appello etnei avvalorano la singolare tesi (già fatta propria dal giudice di primo grado) che la nullità di sentenza rimanga sanata anche per gli eredi del difensore distrattario - che, nonostante ne derivino obblighi restitutori pure a loro carico, non abbiano tuttavia titolo ad impugnarla - sol che, per suo qualsivoglia insindacabile motivo, il cliente del de cuius abbia ritenuto di non interporre impugnazione: assunto mercè il quale, tuttavia, non soltanto si dà luogo ad una indebita ed erronea sovrapposizione tra validità della decisione e merito della decisione medesima, ma si giunge anche ad una paradossale – non si dica aberrante - applicazione del disposto del terzo comma dell’art. 157 c.p.c. secondo cui “La nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa” dacchè, invero, quanto sentenziato finisce per valere quanto dire – sembra uno scherzo, ma non lo è affatto ….. - che il difensore che, con la sua morte, abbia reso nulla la sentenza pronunziata all’esito di processo di cui avrebbe dovuto dichiararsi (senza che tanto si registrasse tuttavia) l’interruzione non possa, in persona dei suoi eredi, tale nullità far valere per essere – secondo quanto hanno evidentemente ritenuto i giudici di secondo grado etnei - lo stesso soggetto “che vi ha dato causa”.

La mente corre, solo per una volta, a Shakespeare, per esclamare con l’Antonio del “Giulio Cesare”:”O judgment! Thou art fled to brutish beasts, and men have lost their reason!”.

E poiché anche a Cesare va evangelicamente dato quel che è di Cesare, mette conto di rilevare che pure la giurisprudenza della Suprema Corte in materia non si rivela del tutto coerente.

Se, infatti, deve riconoscersi che i supremi giudici non abbiano mai dubitato - facendo leva sul disposto dell’articolo 389 del codice di procedura civile, che prevede altresì che le domande di restituzione di quanto sia stato in precedenza pagato in esecuzione di sentenza infine annullata senza rinvio si propongono (con le forme previste dall’art. 144 disp.att.c.p.c.) “al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata” - della possibilità, sia per l’impugnante vittorioso in cassazione che per quello vittorioso in appello, di richiedere la restituzione di quanto abbia in precedenza pagato - oltre che mediante apposita istanza contestualmente rivolta, nell’ipotesi di appello, allo stesso giudice dell’impugnazione - anche mediante l’instaurazione di ulteriore ed autonomo giudizio, deve tuttavia constatarsi che a volte si è bensì ritenuto che la proposizione di autonoma domanda al riguardo sia regolata dagli ordinari criteri di competenza[3], altre volte che la domanda che pur venga veicolata in separato ed ulteriore giudizio debba essere, nondimeno, in tutti i casi indirizzata al giudice dotato di quella speciale competenza funzionale derivantegli dall’essersi occupato dell’impugnazione il cui accoglimento abbia fatto insorgere l’obbligo restitutorio in favore dell’impugnante vittorioso[4].

E se così è questa breve nota di commento la si vuol chiudere allora con un interrogativo, dopo aver voluto rimarcare che l’obbligo restitutorio che sorga in seguito a riforma in appello di sentenza di primo grado risulta, in realtà, privo nel diritto positivo di una sua disciplina processuale: non sarà forse arrivato il momento di ripensare l’estensiva applicazione di detto art. 389 c.p.c. alle sentenze d’appello? Il caso che si è preso in esame dimostra – irrefutabilmente, si consenta di dire – che onerare chi possa vantare il diritto alla restituzione di quanto abbia in precedenza pagato in esecuzione di sentenza di primo grado - che il giudice d’appello abbia riformato - della formulazione della relativa domanda nel corpo dello stesso atto di gravame preserva l’ordinamento processuale da corti circuiti logici e giuridici, quale quello in cui appare che siano tuttavia incorsi i giudici di secondo grado etnei: se, infatti, nell’accogliere l’impugnazione sottoposta al suo vaglio il giudice d’appello avesse reso pronuncia anche sulla domanda restitutoria accessoriamente rivoltagli (e se poi l’appellante tale domanda accessoria non avanzi, imputet sibi), tanto avrebbe fatto divenire parte processuale anche il difensore distrattario; ditalchè gli eredi di questi medesimo avrebbero a tal punto potuto impugnare anch’essi la sentenza venendo, in difetto di impugnazione, a subire allora legittimamente gli effetti sananti di cui al sullodato articolo 161 del codice di procedura civile.

 

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[1] De Stefano, La distrazione delle spese, Milano 1957; Giordano, Le spese del processo, Milano 2012.

[2] Si segnala, in particolare, la massima di Cass. III 03/05/2011 n. 9699, secondo cui “Resta preclusa al difensore distrattario l’impugnazione in proprio quanto alla pronunzia sulle spese, mentre solo nel caso in cui sorgesse contestazione non sull’entità o sulla compensazione delle spese ma sulla legittimità della disposta distrazione si instaurerebbe uno specifico rapporto processuale, in cui il difensore potrebbe assumere la qualità di parte e l’impugnazione sarebbe proponibile anche da quest’ultimo ovvero contro lo stesso”). In materia la giurisprudenza di legittimità appare pacifica e consolidata: tra le più risalenti Cass. I 17.4.72 n. 1204, Cass. III 18.9.79 n. 4802, Cass. III 17.11.79 n. 5988, Cass. I  22.12.81 n. 6761, Cass. L 12.2.82 n. 865, Cass. I 29.7.85 n. 4378; in tempi più recenti Cass. III 19/08/2003 n. 12104, Cass. III 13/05/2010 n. 11596, Cass. III 30.5.2017 n. 13516. E si consideri altresì che i confini entro cui al difensore distrattario si presta ad essere attribuita la qualità di parte processuale legittimata a proporre impugnazione sono stati ulteriormente ristretti dall’intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte, venute a fissare con Cass.SS.UU. 7.7.2010 n. 16037 l’innovativo principio secondo cui “L’omessa pronuncia da parte del Giudice adito sull’istanza di distrazione presentata dall’avvocato, onde ottenere gli onorari non riscossi e le spese anticipate al proprio cliente, costituisce una mancanza materiale piuttosto che un vizio di attività o un errore di giudizio da parte dell’organo giudicante e, pertanto, è emendabile con il rimedio impugnatorio specifico della correzione della sentenza di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c. Il ricorso al predetto rimedio impugnatorio, anziché a quelli ordinari è, infatti, giustificato dal fatto che la decisione sulla predetta istanza è essenzialmente obbligata e che la relativa declaratoria accede a quanto complessivamente sancito in merito alla controversia in esame, senza però assumere una propria autonomia formale. La mancata pronuncia sull’istanza di distrazione promossa dall’avvocato è, dunque, riconducibile ad una mera disattenzione da parte del Giudice, tenuto conto anche del fatto che la concessione della distrazione, ricorrendone le condizioni, quali la dichiarazione di anticipazione delle spese da parte dell’avvocato e la formale richiesta di distrazione in suo favore, non è soggetta ad alcuna forma di valutazione giudiziale, atteso che il Giudice è vincolato a quanto asserito dal professionista. Ne deriva che in siffatta ipotesi, in cui sussiste un errore materiale di natura omissiva che rende palese la divergenza tra quanto statuito dal Giudice e quanto egli avrebbe dovuto esprimere in forza di un obbligo normativo, il rimedio esperibile è quello del procedimento di correzione degli errori e delle omissioni materiali volto a ricostruire la volontà oggettiva dell’organo giudicante, quale elemento immanente nell’atto per dettato ordina mentale, e non un’impugnazione ordinaria che, invece, è finalizzata alla correzione ed eliminazione di errori di giudizio (In tal senso, nel caso concreto, è stato dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione promosso dall’avvocato avverso la sentenza in cui non vi era alcuna statuizione da parte dell’autorità giudicante sulla propria istanza di distrazione)”.

[3] In tal senso, tra le più recenti, Cass.SS.UU. ord. 2.7.2004 n. 12190, secondo cui “E’ orientamento giurisprudenziale che la domanda di restituzione, oltre a essere senz’altro esperibile davanti al giudice di rinvio, congiuntamente o disgiuntamente a quella oggetto della lite principale, e, in caso di cassazione senza rinvio, davanti al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata, può essere proposta anche in via autonoma (come nel caso specifico), cioè al di fuori del giudizio di rinvio concernente la causa principale, in un ordinario giudizio di cognizione, rispettando le normali regole di competenza in tema di proposizione della domanda. Si è, infatti, osservato che, se il giudizio di rinvio è estinto o non è più proponibile, viene meno la competenza funzionale del giudice del rinvio e l’azione restitutoria va proposta secondo le regole ordinarie e al giudice in base ad esse competente (v. fra tante: Cass. 19.2.2003, n. 2480; 28.8. 2000, n. 11261; 21.4.1994, n. 3795)”; e Cass. L 28.8.2000 n. 11261, “La proposizione davanti al giudice di rinvio delle domande conseguenti alla sentenza di cassazione è prevista dall’art. 389 c.p.c. soltanto per il caso in cui il giudizio di rinvio sia stato validamente instaurato. La predetta norma non ha, peraltro, carattere cogente, potendo la parte interessata proporre le relative istanze in via autonoma dinanzi al giudice competente in sede ordinaria, con le modalità di introduzione del giudizio previste dall’art. 144 disp. att. c.p.c.”.

[4] In tal senso, tra le più recenti, Cass. III 10.5.2002 n. 6731, nella cui motivazione si legge che “L’attuale ricorrente, precisando le conclusioni in appello, aveva chiesto che, in caso di riforma della sentenza, le altre parti fossero condannate a restituirgli la somma di £ …, aumentata di interessi e rivalutazione, che aveva loro pagato a titolo di rimborso delle spese processuali liquidate nella stessa sentenza - ciò risulta dalle conclusioni riportate nell’epigrafe della sentenza d’appello. Una domanda di questo tipo può essere proposta in appello, perché il diritto alla restituzione di quanto è stato pagato in esecuzione della sentenza riformata, sebbene possa essere fatto valere in un giudizio autonomo (arg. ex art. 389 cod. proc. civ.), ha il suo proprio giudice in quello investito della impugnazione della sentenza, dalla cui riforma o cassazione il diritto deriva (art. 336 cod. proc. civ.), come dimostra il fatto che, trattandosi di cassazione con rinvio, la domanda può essere proposta al giudice di rinvio. Ancora, se l’esecuzione della sentenza è chiesta ed eseguita dopo che l’appello è stato proposto, la domanda può essere proposta sino alla precisazione delle conclusioni”; e Cass. III Ord. 29.8.2008 n. 21901, “La domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza, successivamente cassata in sede di legittimità, va proposta esclusivamente dinanzi al giudice competente per effetto del rinvio, e non dinanzi al giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie, anche nel caso in cui il giudizio di rinvio non sia stato mai introdotto ovvero si sia estinto”.