x

x

Spunti di riflessione sul processo societario anche alla luce del disegno di legge Mastella sulla razionalizzazione e accelerazione del processo civile

Il processo societario

Il processo societario nasce nel 2003 con il decreto legislativo del 17 gennaio, n ° 5, in conformità all’articolo 12 della legge delega n ° 366 del 2001, di riforma del “diritto societario sostanziale”.

È un processo innovativo che nasce come palestra per una più ampia riforma del processo civile ordinario; riforma operata nel 2005 e tutt’ora in corso, ma che non ha seguito gli schemi del suddetto procedimento, relegando questo alla esclusiva specificità delle materie indicate all’articolo 1 del decreto legislativo in questione. Ad onor del vero occorre rilevare che il processo societario, in virtù dell’articolo 70 ter delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile (rubricato “notificazione della comparsa di risposta”) dà la possibilità all’attore, nell’atto di citazione ai sensi dell’articolo 163 del codice di procedura, di invitare il convenuto o i convenuti a notificare al difensore dell’attore la comparsa di risposta ai sensi dell’ articolo 4 del decreto legislativo n ° 5 del 2003. Se questo avviene, il processo segue nelle forme del rito societario.

Gli articoli più discussi del rito societario

La parte incriminata del rito societario è quella “preliminare”, nella quale il giudice non fa il suo ingresso in campo, a differenza del processo ordinario, perché questa fase è caratterizzata dallo scambio delle “memorie” tra le parti.

Sono proprio le parti che decidono se far continuare questo scambio, naturalmente non illimitato nel tempo, oppure fare istanza di fissazione dell’udienza e chiedere l’intervento del giudice. Oltre a questa macrodifferenza con il processo civile, ce n’è un’altra che caratterizza particolarmente il rito societario: questa prima fase è scandita da preclusioni e tempi precisi.

Per fare un esempio basta prendere in considerazione i primi quattro articoli del decreto legislativo: l’articolo 2, relativo all’atto di citazione dell’attore, è influenzato notevolmente dal rito ordinario, ad esempio notiamo al punto 1 un riferimento all’articolo 163 del codice di procedura che si occupa dell’atto di citazione, dal quale riprende i punti da 1 a 6, tranne il 7.

In particolare, l’atto di citazione del rito societario, deve contenere:

1) le generalità di attore e convenuto;

2) la denominazione della ditta se attore o convenuto o entrambi sono persone giuridiche;

3) la determinazione oggetto della domanda;

4) l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che sono a supporto della domanda attorea;

5) l’indicazione dei mezzi di prova;

6) il nome e cognome del procuratore e l’indicazione della procura, qualora questa sia stata già rilasciata;

Manca, rispetto al procedimento ordinario, l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione, questo perché saranno proprio le parti a stabilirlo,singolarmente o unilateralmente.

Rispetto all’atto di citazione ordinario, c’è qualcosa in più: l’indicazione del termine di 60 giorni al convenuto per la comparsa di risposta.

Anche per quanto riguarda la costituzione dell’attore, le somiglianze con il rito ordinario sono notevoli: sono riportati, in modo pressoché identico, i commi 1 e 2 dell’articolo 165 del codice di procedura civile, dove si dice che l’attore entro dieci giorni dalla notificazione della citazione al convenuto, ovvero entro cinque giorni nel caso di abbreviazione di termini a norma del secondo comma dell’articolo 163 bis, deve costituirsi in giudizio a mezzo di procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge.

Nel rito societario, all’articolo 3, manca la possibilità per quanto riguarda l’attore di poter stare in giudizio personalmente.

Per quanto riguarda le modalità di costituzione, all’articolo 165 del codice di procedura civile si presuppone che l’attore depositi in cancelleria:

1) la nota di iscrizione a ruolo;

2) l’originale della citazione;

3) la procura;

4) documenti che offre comunicazione.

Pressoché identico il discorso per quanto riguarda la costituzione dell’attore nel processo societario: a differenza del rito ordinario non è necessario che l’attore depositi nella cancelleria del tribunale l’originale dell’atto di citazione, basta la copia (n.d.a. qui l’esecutivo del 2003 sostanzialmente ha ripreso una prassi giurisprudenziale in voga nella maggior parte dei tribunali, là dove, per un risparmio di tempo, anziché depositare l’originale dell’atto di citazione, basta depositarne la copia).

Inoltre l’articolo 165 ci dice che laddove l’attore notifichi l’atto di citazione a più persone, l’originale della citazione deve essere inserito nel fascicolo entro dieci giorni dall’ultima notificazione.

Nel processo societario avviene più o meno la solita cosa, con l’aggiunta, che in caso di più convenuti e quindi in caso di notificazione della citazione a più soggetti, questi hanno 60 giorni per rispondere all’ attore con la loro memoria di replica, dal momento dell’ iscrizione a ruolo della causa.

Per quanto riguarda la costituzione del convenuto, articolo 166 del codice di procedura civile, (art 5 per il rito societario), la comparsa di risposta deve avvenire personalmente o a mezzo di procuratore (n.d.a. interessante è notare come il codice di procedura civile regoli per prima la costituzione del convenuto e poi la comparsa di risposta di questi, a differenza del rito societario. Ciò dimostra che nel rito societario è molto più importante la comparsa di risposta effettuata nei tempi previsti, che non la costituzione).

Analogo discorso lo possiamo fare per il rito societario, là dove però manca la possibilità per il convenuto di stare in giudizio personalmente.

Sempre nel rito ordinario il convenuto deve costituirsi almeno 20 giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione, o dieci giorni prima nel caso di abbreviazione dei termini a norma del secondo comma dell’articolo 163 bis.

Riferimenti questi che mancano assolutamente all’articolo 5 del decreto legislativo, in quanto la data dell’ udienza verrà fissata con decreto del giudice relatore una volta che le parti avranno fatta istanza di fissazione dell’udienza.

Ancora, ai sensi dell’articolo 166 del codice di procedura, il convenuto deve depositare in cancelleria il fascicolo d’ufficio contenente:

1) la comparsa di risposta di cui all’articolo 167, con la copia della citazione notificata;

2) la procura e i documenti che offre comunicazione.

Analogo discorso lo possiamo fare per il rito societario, dove è esplicitamente detto che il convenuto deve depositare in cancelleria:

1) la copia dell’atto di citazione notificata all’attore, la copia o l’originale della comparsa di risposta di cui all’articolo 4;

2) la procura e i documenti che offre in comunicazione.

Per quanto riguarda la comparsa di risposta, il convenuto ai sensi dell’articolo 167 del codice di procedura civile, (art 4 per il rito societario), deve:

1) proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda;

2) indicare i mezzi di prova di cui intende valersi;

3) i documenti che offre in comunicazione;

4) formulare le proprie conclusioni.

5) Inoltre, a pena di decadenza, deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali di merito che non siano rilevabili d’ufficio.

Su questo passaggio è bene ricordare che prima della legge 14 maggio 2005, n° 80, l’unica attività che il convenuto doveva fare nella comparsa di risposta, a pena di decadenza, era proporre le eventuali domande riconvenzionali, successivamente devono essere portate in processo le eccezioni processuali di merito che non siano rilevabili d’ufficio.

Per quanto riguarda la comparsa di risposta del convenuto nel processo societario, ci sono chiaramente delle analogie: il fatto che nella comparsa di risposta, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo numero 5 del 2003, il convenuto debba:

1) proporre le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’altra parte a fondamento della domanda

2) indicare i mezzi di prova di cui intende valersi;

3) i documenti che offre in comunicazione.

Qui mi permetto di dire che non c’è il riferimento alla pena di decadenza, però chiaramente non sapendo se ci sarà la possibilità, per il convenuto, di fare l’ulteriore memoria di replica all’attore, in quanto quest’ultimo potrebbe replicare a norma dell’articolo 6 ma anche chiedere l’intervento del giudice, precludendo ai sensi dell’articolo 10 comma 1 qualsiasi attività processuale, tali attività è bene che siano fatte con una certa accuratezza.

Gli atti che devono essere fatti a pena di decadenza, (fino a che non è intervenuto il decreto legislativo numero 37 del 6 febbraio 2004, correttivo della riforma delle società, tali attività non erano da considerarsi da fare a pene decadenza),

4) sono le eventuali domande riconvenzionali dipendenti dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione;

5) l’eventuale chiamata di terzi in causa, ai quali il convenuto ritiene comune la causa o dai quali pretende di essere garantito precisandone le ragioni; inoltre a pena di decadenza devono essere formulate le conclusioni, anche se queste ultime possono essere portate alla luce in un secondo momento.

Chiaramente il rito societario afferma anche che nella comparsa di risposta il convenuto debba fissare all’attore un termine non inferiore a 30 giorni dalla notificazione della stessa comparsa per l’eventuale replica e che in caso di omessa o insufficiente indicazione, il termine è di 30 giorni.

Così come nel caso di cui all’articolo 2, l’attore dà al convenuto un termine non inferiore a 60 giorni per replicare e in caso di omessa o insufficiente indicazione, il termine è comunque stabilito ex lege: 60 giorni.

Il processo societario può considerasi simile a quello civile inglese!?

Il processo civile inglese ha subito nel 1999 una sostanziale trasformazione, grazie all’introduzione nel panorama legislativo del Codice Produced Rules, ideato da Lord Wolf. Questo evento segna una svolta epocale nel processo civile inglese e più specificatamente un cambiamento di mentalità nel rapportarsi a certi temi.

Chiunque può accorgersi che la creazione di un codice in paese di Common law è sicuramente un evento che non può passare in secondo piano e che avvicina la cultura giuridica inglese a quella di paesi come il nostro, improntati sul Civil law. Inoltre, l’introduzione di questa novità, segna anche una rivisitazione del ruolo della Corte, (n.d.a. l’equivalente del nostro giudice) dove questa viene messa al centro della scena, come figura di coordinamento del processo.

Andando per ordine e cercando di sintetizzare il concetto diciamo che il processo civile inglese è diviso in due parti: la fase “Trial” e “Pre trial”, (fase processuale e pre- processuale), proprio come il processo societario italiano, ed è per questo motivo che per molti, anche se io personalmente dissento, nasce l’accostamento fra i due riti.

Se è pur vero, infatti, che i due processi sono divisi in due parti, ciò che però non può farci propendere per l’accostamento, sta nelle attività e nei ruoli che le parti stesse compiono in questa fase, perché?

La differenza macroscopica è che il processo civile inglese è informato all’ attività della discovery , la quale non esiste nel processo italiano (n.d.a. esiste nel processo penale ma comunque con modalità diverse, dove nel processo penale italiano come quello civile non esiste l’obbligo di portare in giudizio prove contra se).

Vale la pena di dire che cosa è la discovery: una attività centrale nel processo inglese, importante ma troppo spesso aggirata abilmente dai difensori, che adoperavano questo momento per cercare di incanalare la controversia verso binari a loro più favorevoli, spesso anche tramite nascondimenti di prove che poco avevano a che fare con l’istituto.

La parola discovery significa “scoperta”, tradotto in termini processuali: “giocare a carte scoperte”, e questo più specificatamente indica che ogni parte ha l’obbligo di portare in giudizio nella fase pre-trial, ogni documento, testimonianza, etc che possa essere utile alla risoluzione della controversia.

Atti, aggiungo io, che possono essere anche contra se.

Come mai questa attività è venuta spesso, per opera degli avvocati inglesi, aggirata per scopi certamente poco ortodossi? Perché questa fase pre-processuale, era lasciata nelle mani delle parti e quindi dei loro difensori. Da qui, la necessità dell’introduzione del ruolo della Corte al centro dei “giochi”, come attività di coordinamento delle attività.

Per far questo nel 1999 è stato introdotto un codice di procedura che servisse per far rispettare questa attività processuale importantissima.

Ancor più decisiva è la modalità che è stata utilizzata come deterrente per far rispettare i precetti del codice: l’introduzione di sanzioni penali per la parte, o le parti, che dopo un richiamo alla correttezza perseverino nel loro atteggiamento; oltre alla chiusura del processo in senso sfavorevole a suddetta parte.

Il fatto che la fase pre-processuale, fosse lasciata in mano alle parti ci porta a dire che questa è “privatizzata”.

Ciò però non può essere accostato al processo societario italiano, in quanto le differenze sono macroscopiche: innanzitutto questa fase pre-processuale, dopo il 1999, vede la direzione del Giudice (Corte), cosa che non accade nel processo societario perché questo interviene solo una volta che le parti congiuntamente o unilateralmente, facciano istanza di fissazione dell’udienza; inoltre l’ attività della discovery non è presente nel procedimento creato con il decreto legislativo del 2003, anzi, questo è un punto chiave che va sottolineato, perché nel processo societario aver questa fase preliminare nelle mani delle parti, o meglio dei loro legali, fa si che, come dice un autorevole esponente della dottrina, Sergio Chiarloni critico più che mai verso l’intero rito societario, una parte possa approfittare della debolezza dell’atto dell’altra per chiudere la fase preliminare, fare entrare in campo il giudice e far scattare la preclusione micidiale dell’articolo 10, comma 1.” A seguito della notificazione dell’istanza i fissazione dell’udienza, le altre parti devono, nei 10 giorni successivi depositare in cancelleria una nota contenente la definitiva formulazione delle istanze istruttorie e delle conclusioni, di rito e di merito, già proposte, esclusa ogni loro modificazione, in mancanza si intendono formulate le istanze e le conclusioni di cui al primo atto difensivo”.

Come vediamo, insomma, una preclusione che per molti è apparsa anche contrastante con il diritto di difesa sancito a livello costituzionale dall’art 111.

Come si intuisce, l’obbligo della Discovery, in un processo societario come il nostro ma ancor di più nel processo civile in genere, non può trovare spazio.

In più, l’articolo 88 del codice di procedura civile, rubricato “dovere di lealtà e probità”, non fa menzione del dovere delle parti di portare in giudizio documenti anche contra se, ma dice soltanto che le parti devono comportarsi con lealtà e probità.

Mancando l’obbligo della discovery manca per forza anche la sanzione penale, vigente in Inghilterra.

Ergo possiamo affermare che la privatizzazione del processo inglese, dovuta al fatto che la fase pre-trial (preliminare al processo) sia lasciata nelle mani delle parti (n.d.a. le quali per altro non ne hanno nemmeno la piena disposizione, in quanto come abbiamo visto il giudice ha una funzione di coordinamento delle attività), non trova raffronto con il processo societario, perché anche se diviso in due parti, le attività in esse compiute sono sostanzialmente diverse.

Non resta che dire che chi afferma quanto sopra, cioè che il processo societario prenda le mosse dal processo civile inglese, ne dà, a mio avviso, una affrettata e sbrigativa interpretazione.

Recentemente….

Dall’attuale maggioranza di governo è stato adottato, su proposta del Ministro della Giustizia, On. Mastella, un disegno di legge di razionalizzazione e accelerazione del processo civile. Questo ci deve far riflettere su come la questione della razionalizzazione e accelerazione del processo civile sia un problema che né il processo societario, che ricordiamo nasce come palestra ad una più ampia riforma del processo civile italiano, né tanto meno la riforma di cui alla legge 28 dicembre 2005, n° 262 , sono riusciti a risolvere.

Chiaramente non è la sede per parlare di questo argomento ma due sono gli aspetti che mi preme mettere in luce.

Se questo disegno diventasse legge avremmo una modifica dell’attuale articolo 88 del codice di procedura civile, infatti, gli articoli 11 e 15 del disegno modificano rispettivamente gli articoli 88 e 115 codice di procedura civile. La prima disposizione obbliga le parti costituite a chiarire le circostanze di fatto in modo leale e veritiero. Il dovere di lealtà e probità viene quindi specificamente esteso alle allegazioni effettuate nonché alla contestazione delle stesse, prevedendosi un obbligo di veridicità. La violazione di tale obbligo assume rilevanza ai sensi dell’articolo 92, primo comma, ultima parte codice di procedura e pertanto la parte che lo disattende può essere condannata al rimborso delle spese che tale violazione ha recato alla controparte.

In senso complementare, l’articolo 15 del disegno introduce, modificando l’articolo 115 codice di procedura civile, un onere di contestazione specifica dei fatti allegati, in mancanza della quale tali fatti dovranno considerarsi provati.

Una disposizione analoga è contenuta nell’articolo 10, comma 2-bis del decreto legislativo 5/2003.

Occorre altresì rilevare che il disegno di legge, al suo articolo 48, modifica l’articolo 70-ter delle disposizioni di attuazione, introdotto dalle riforme del 2006, che consentiva alle parti di scegliere consensualmente il rito societario al posto del rito ordinario.

Specularmente, l’articolo 54 del disegno modifica l’articolo 1 del decreto legislativo 5/2003, facendo appunto salva l’applicazione del nuovo articolo 70-ter disposizioni di attuazione al codice di procedura civile.

Con le nuove disposizioni, occorrerà dunque il consenso di tutte le parti per utilizzare il rito societario anche per le controversie previste dall’articolo 1 del decreto legislativo 5/2003. In sostanza, il rito societario si applicherà solo se tutte le parti lo vorranno. Si tratta, com’è evidente, di una scelta radicalmente “politica”, tesa a dare soddisfazione a chi, in questi ultimi anni, ha considerato il rito societario come la fonte di tutti i mali del processo.

Il processo societario

Il processo societario nasce nel 2003 con il decreto legislativo del 17 gennaio, n ° 5, in conformità all’articolo 12 della legge delega n ° 366 del 2001, di riforma del “diritto societario sostanziale”.

È un processo innovativo che nasce come palestra per una più ampia riforma del processo civile ordinario; riforma operata nel 2005 e tutt’ora in corso, ma che non ha seguito gli schemi del suddetto procedimento, relegando questo alla esclusiva specificità delle materie indicate all’articolo 1 del decreto legislativo in questione. Ad onor del vero occorre rilevare che il processo societario, in virtù dell’articolo 70 ter delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile (rubricato “notificazione della comparsa di risposta”) dà la possibilità all’attore, nell’atto di citazione ai sensi dell’articolo 163 del codice di procedura, di invitare il convenuto o i convenuti a notificare al difensore dell’attore la comparsa di risposta ai sensi dell’ articolo 4 del decreto legislativo n ° 5 del 2003. Se questo avviene, il processo segue nelle forme del rito societario.

Gli articoli più discussi del rito societario

La parte incriminata del rito societario è quella “preliminare”, nella quale il giudice non fa il suo ingresso in campo, a differenza del processo ordinario, perché questa fase è caratterizzata dallo scambio delle “memorie” tra le parti.

Sono proprio le parti che decidono se far continuare questo scambio, naturalmente non illimitato nel tempo, oppure fare istanza di fissazione dell’udienza e chiedere l’intervento del giudice. Oltre a questa macrodifferenza con il processo civile, ce n’è un’altra che caratterizza particolarmente il rito societario: questa prima fase è scandita da preclusioni e tempi precisi.

Per fare un esempio basta prendere in considerazione i primi quattro articoli del decreto legislativo: l’articolo 2, relativo all’atto di citazione dell’attore, è influenzato notevolmente dal rito ordinario, ad esempio notiamo al punto 1 un riferimento all’articolo 163 del codice di procedura che si occupa dell’atto di citazione, dal quale riprende i punti da 1 a 6, tranne il 7.

In particolare, l’atto di citazione del rito societario, deve contenere:

1) le generalità di attore e convenuto;

2) la denominazione della ditta se attore o convenuto o entrambi sono persone giuridiche;

3) la determinazione oggetto della domanda;

4) l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che sono a supporto della domanda attorea;

5) l’indicazione dei mezzi di prova;

6) il nome e cognome del procuratore e l’indicazione della procura, qualora questa sia stata già rilasciata;

Manca, rispetto al procedimento ordinario, l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione, questo perché saranno proprio le parti a stabilirlo,singolarmente o unilateralmente.

Rispetto all’atto di citazione ordinario, c’è qualcosa in più: l’indicazione del termine di 60 giorni al convenuto per la comparsa di risposta.

Anche per quanto riguarda la costituzione dell’attore, le somiglianze con il rito ordinario sono notevoli: sono riportati, in modo pressoché identico, i commi 1 e 2 dell’articolo 165 del codice di procedura civile, dove si dice che l’attore entro dieci giorni dalla notificazione della citazione al convenuto, ovvero entro cinque giorni nel caso di abbreviazione di termini a norma del secondo comma dell’articolo 163 bis, deve costituirsi in giudizio a mezzo di procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge.

Nel rito societario, all’articolo 3, manca la possibilità per quanto riguarda l’attore di poter stare in giudizio personalmente.

Per quanto riguarda le modalità di costituzione, all’articolo 165 del codice di procedura civile si presuppone che l’attore depositi in cancelleria:

1) la nota di iscrizione a ruolo;

2) l’originale della citazione;

3) la procura;

4) documenti che offre comunicazione.

Pressoché identico il discorso per quanto riguarda la costituzione dell’attore nel processo societario: a differenza del rito ordinario non è necessario che l’attore depositi nella cancelleria del tribunale l’originale dell’atto di citazione, basta la copia (n.d.a. qui l’esecutivo del 2003 sostanzialmente ha ripreso una prassi giurisprudenziale in voga nella maggior parte dei tribunali, là dove, per un risparmio di tempo, anziché depositare l’originale dell’atto di citazione, basta depositarne la copia).

Inoltre l’articolo 165 ci dice che laddove l’attore notifichi l’atto di citazione a più persone, l’originale della citazione deve essere inserito nel fascicolo entro dieci giorni dall’ultima notificazione.

Nel processo societario avviene più o meno la solita cosa, con l’aggiunta, che in caso di più convenuti e quindi in caso di notificazione della citazione a più soggetti, questi hanno 60 giorni per rispondere all’ attore con la loro memoria di replica, dal momento dell’ iscrizione a ruolo della causa.

Per quanto riguarda la costituzione del convenuto, articolo 166 del codice di procedura civile, (art 5 per il rito societario), la comparsa di risposta deve avvenire personalmente o a mezzo di procuratore (n.d.a. interessante è notare come il codice di procedura civile regoli per prima la costituzione del convenuto e poi la comparsa di risposta di questi, a differenza del rito societario. Ciò dimostra che nel rito societario è molto più importante la comparsa di risposta effettuata nei tempi previsti, che non la costituzione).

Analogo discorso lo possiamo fare per il rito societario, là dove però manca la possibilità per il convenuto di stare in giudizio personalmente.

Sempre nel rito ordinario il convenuto deve costituirsi almeno 20 giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione, o dieci giorni prima nel caso di abbreviazione dei termini a norma del secondo comma dell’articolo 163 bis.

Riferimenti questi che mancano assolutamente all’articolo 5 del decreto legislativo, in quanto la data dell’ udienza verrà fissata con decreto del giudice relatore una volta che le parti avranno fatta istanza di fissazione dell’udienza.

Ancora, ai sensi dell’articolo 166 del codice di procedura, il convenuto deve depositare in cancelleria il fascicolo d’ufficio contenente:

1) la comparsa di risposta di cui all’articolo 167, con la copia della citazione notificata;

2) la procura e i documenti che offre comunicazione.

Analogo discorso lo possiamo fare per il rito societario, dove è esplicitamente detto che il convenuto deve depositare in cancelleria:

1) la copia dell’atto di citazione notificata all’attore, la copia o l’originale della comparsa di risposta di cui all’articolo 4;

2) la procura e i documenti che offre in comunicazione.

Per quanto riguarda la comparsa di risposta, il convenuto ai sensi dell’articolo 167 del codice di procedura civile, (art 4 per il rito societario), deve:

1) proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda;

2) indicare i mezzi di prova di cui intende valersi;

3) i documenti che offre in comunicazione;

4) formulare le proprie conclusioni.

5) Inoltre, a pena di decadenza, deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali di merito che non siano rilevabili d’ufficio.

Su questo passaggio è bene ricordare che prima della legge 14 maggio 2005, n° 80, l’unica attività che il convenuto doveva fare nella comparsa di risposta, a pena di decadenza, era proporre le eventuali domande riconvenzionali, successivamente devono essere portate in processo le eccezioni processuali di merito che non siano rilevabili d’ufficio.

Per quanto riguarda la comparsa di risposta del convenuto nel processo societario, ci sono chiaramente delle analogie: il fatto che nella comparsa di risposta, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo numero 5 del 2003, il convenuto debba:

1) proporre le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’altra parte a fondamento della domanda

2) indicare i mezzi di prova di cui intende valersi;

3) i documenti che offre in comunicazione.

Qui mi permetto di dire che non c’è il riferimento alla pena di decadenza, però chiaramente non sapendo se ci sarà la possibilità, per il convenuto, di fare l’ulteriore memoria di replica all’attore, in quanto quest’ultimo potrebbe replicare a norma dell’articolo 6 ma anche chiedere l’intervento del giudice, precludendo ai sensi dell’articolo 10 comma 1 qualsiasi attività processuale, tali attività è bene che siano fatte con una certa accuratezza.

Gli atti che devono essere fatti a pena di decadenza, (fino a che non è intervenuto il decreto legislativo numero 37 del 6 febbraio 2004, correttivo della riforma delle società, tali attività non erano da considerarsi da fare a pene decadenza),

4) sono le eventuali domande riconvenzionali dipendenti dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione;

5) l’eventuale chiamata di terzi in causa, ai quali il convenuto ritiene comune la causa o dai quali pretende di essere garantito precisandone le ragioni; inoltre a pena di decadenza devono essere formulate le conclusioni, anche se queste ultime possono essere portate alla luce in un secondo momento.

Chiaramente il rito societario afferma anche che nella comparsa di risposta il convenuto debba fissare all’attore un termine non inferiore a 30 giorni dalla notificazione della stessa comparsa per l’eventuale replica e che in caso di omessa o insufficiente indicazione, il termine è di 30 giorni.

Così come nel caso di cui all’articolo 2, l’attore dà al convenuto un termine non inferiore a 60 giorni per replicare e in caso di omessa o insufficiente indicazione, il termine è comunque stabilito ex lege: 60 giorni.

Il processo societario può considerasi simile a quello civile inglese!?

Il processo civile inglese ha subito nel 1999 una sostanziale trasformazione, grazie all’introduzione nel panorama legislativo del Codice Produced Rules, ideato da Lord Wolf. Questo evento segna una svolta epocale nel processo civile inglese e più specificatamente un cambiamento di mentalità nel rapportarsi a certi temi.

Chiunque può accorgersi che la creazione di un codice in paese di Common law è sicuramente un evento che non può passare in secondo piano e che avvicina la cultura giuridica inglese a quella di paesi come il nostro, improntati sul Civil law. Inoltre, l’introduzione di questa novità, segna anche una rivisitazione del ruolo della Corte, (n.d.a. l’equivalente del nostro giudice) dove questa viene messa al centro della scena, come figura di coordinamento del processo.

Andando per ordine e cercando di sintetizzare il concetto diciamo che il processo civile inglese è diviso in due parti: la fase “Trial” e “Pre trial”, (fase processuale e pre- processuale), proprio come il processo societario italiano, ed è per questo motivo che per molti, anche se io personalmente dissento, nasce l’accostamento fra i due riti.

Se è pur vero, infatti, che i due processi sono divisi in due parti, ciò che però non può farci propendere per l’accostamento, sta nelle attività e nei ruoli che le parti stesse compiono in questa fase, perché?

La differenza macroscopica è che il processo civile inglese è informato all’ attività della discovery , la quale non esiste nel processo italiano (n.d.a. esiste nel processo penale ma comunque con modalità diverse, dove nel processo penale italiano come quello civile non esiste l’obbligo di portare in giudizio prove contra se).

Vale la pena di dire che cosa è la discovery: una attività centrale nel processo inglese, importante ma troppo spesso aggirata abilmente dai difensori, che adoperavano questo momento per cercare di incanalare la controversia verso binari a loro più favorevoli, spesso anche tramite nascondimenti di prove che poco avevano a che fare con l’istituto.

La parola discovery significa “scoperta”, tradotto in termini processuali: “giocare a carte scoperte”, e questo più specificatamente indica che ogni parte ha l’obbligo di portare in giudizio nella fase pre-trial, ogni documento, testimonianza, etc che possa essere utile alla risoluzione della controversia.

Atti, aggiungo io, che possono essere anche contra se.

Come mai questa attività è venuta spesso, per opera degli avvocati inglesi, aggirata per scopi certamente poco ortodossi? Perché questa fase pre-processuale, era lasciata nelle mani delle parti e quindi dei loro difensori. Da qui, la necessità dell’introduzione del ruolo della Corte al centro dei “giochi”, come attività di coordinamento delle attività.

Per far questo nel 1999 è stato introdotto un codice di procedura che servisse per far rispettare questa attività processuale importantissima.

Ancor più decisiva è la modalità che è stata utilizzata come deterrente per far rispettare i precetti del codice: l’introduzione di sanzioni penali per la parte, o le parti, che dopo un richiamo alla correttezza perseverino nel loro atteggiamento; oltre alla chiusura del processo in senso sfavorevole a suddetta parte.

Il fatto che la fase pre-processuale, fosse lasciata in mano alle parti ci porta a dire che questa è “privatizzata”.

Ciò però non può essere accostato al processo societario italiano, in quanto le differenze sono macroscopiche: innanzitutto questa fase pre-processuale, dopo il 1999, vede la direzione del Giudice (Corte), cosa che non accade nel processo societario perché questo interviene solo una volta che le parti congiuntamente o unilateralmente, facciano istanza di fissazione dell’udienza; inoltre l’ attività della discovery non è presente nel procedimento creato con il decreto legislativo del 2003, anzi, questo è un punto chiave che va sottolineato, perché nel processo societario aver questa fase preliminare nelle mani delle parti, o meglio dei loro legali, fa si che, come dice un autorevole esponente della dottrina, Sergio Chiarloni critico più che mai verso l’intero rito societario, una parte possa approfittare della debolezza dell’atto dell’altra per chiudere la fase preliminare, fare entrare in campo il giudice e far scattare la preclusione micidiale dell’articolo 10, comma 1.” A seguito della notificazione dell’istanza i fissazione dell’udienza, le altre parti devono, nei 10 giorni successivi depositare in cancelleria una nota contenente la definitiva formulazione delle istanze istruttorie e delle conclusioni, di rito e di merito, già proposte, esclusa ogni loro modificazione, in mancanza si intendono formulate le istanze e le conclusioni di cui al primo atto difensivo”.

Come vediamo, insomma, una preclusione che per molti è apparsa anche contrastante con il diritto di difesa sancito a livello costituzionale dall’art 111.

Come si intuisce, l’obbligo della Discovery, in un processo societario come il nostro ma ancor di più nel processo civile in genere, non può trovare spazio.

In più, l’articolo 88 del codice di procedura civile, rubricato “dovere di lealtà e probità”, non fa menzione del dovere delle parti di portare in giudizio documenti anche contra se, ma dice soltanto che le parti devono comportarsi con lealtà e probità.

Mancando l’obbligo della discovery manca per forza anche la sanzione penale, vigente in Inghilterra.

Ergo possiamo affermare che la privatizzazione del processo inglese, dovuta al fatto che la fase pre-trial (preliminare al processo) sia lasciata nelle mani delle parti (n.d.a. le quali per altro non ne hanno nemmeno la piena disposizione, in quanto come abbiamo visto il giudice ha una funzione di coordinamento delle attività), non trova raffronto con il processo societario, perché anche se diviso in due parti, le attività in esse compiute sono sostanzialmente diverse.

Non resta che dire che chi afferma quanto sopra, cioè che il processo societario prenda le mosse dal processo civile inglese, ne dà, a mio avviso, una affrettata e sbrigativa interpretazione.

Recentemente….

Dall’attuale maggioranza di governo è stato adottato, su proposta del Ministro della Giustizia, On. Mastella, un disegno di legge di razionalizzazione e accelerazione del processo civile. Questo ci deve far riflettere su come la questione della razionalizzazione e accelerazione del processo civile sia un problema che né il processo societario, che ricordiamo nasce come palestra ad una più ampia riforma del processo civile italiano, né tanto meno la riforma di cui alla legge 28 dicembre 2005, n° 262 , sono riusciti a risolvere.

Chiaramente non è la sede per parlare di questo argomento ma due sono gli aspetti che mi preme mettere in luce.

Se questo disegno diventasse legge avremmo una modifica dell’attuale articolo 88 del codice di procedura civile, infatti, gli articoli 11 e 15 del disegno modificano rispettivamente gli articoli 88 e 115 codice di procedura civile. La prima disposizione obbliga le parti costituite a chiarire le circostanze di fatto in modo leale e veritiero. Il dovere di lealtà e probità viene quindi specificamente esteso alle allegazioni effettuate nonché alla contestazione delle stesse, prevedendosi un obbligo di veridicità. La violazione di tale obbligo assume rilevanza ai sensi dell’articolo 92, primo comma, ultima parte codice di procedura e pertanto la parte che lo disattende può essere condannata al rimborso delle spese che tale violazione ha recato alla controparte.

In senso complementare, l’articolo 15 del disegno introduce, modificando l’articolo 115 codice di procedura civile, un onere di contestazione specifica dei fatti allegati, in mancanza della quale tali fatti dovranno considerarsi provati.

Una disposizione analoga è contenuta nell’articolo 10, comma 2-bis del decreto legislativo 5/2003.

Occorre altresì rilevare che il disegno di legge, al suo articolo 48, modifica l’articolo 70-ter delle disposizioni di attuazione, introdotto dalle riforme del 2006, che consentiva alle parti di scegliere consensualmente il rito societario al posto del rito ordinario.

Specularmente, l’articolo 54 del disegno modifica l’articolo 1 del decreto legislativo 5/2003, facendo appunto salva l’applicazione del nuovo articolo 70-ter disposizioni di attuazione al codice di procedura civile.

Con le nuove disposizioni, occorrerà dunque il consenso di tutte le parti per utilizzare il rito societario anche per le controversie previste dall’articolo 1 del decreto legislativo 5/2003. In sostanza, il rito societario si applicherà solo se tutte le parti lo vorranno. Si tratta, com’è evidente, di una scelta radicalmente “politica”, tesa a dare soddisfazione a chi, in questi ultimi anni, ha considerato il rito societario come la fonte di tutti i mali del processo.