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Aree edificabili: la storia infinita

Già il titolo esprime il senso di disagio che pervade chi si deve accingere accingere su un tema, quale quello delle aree edificabili, al centro di un’annosa querelle sia dottrinaria che giurisprudenziale.

Da ultimo si è pronunciata la Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 13817 del 18/09/2003, ha, per così dire, assegnato un punto all’Amministrazione Finanziaria.

Ma, andiamo con ordine: è necessario prima spiegare i termini della questione, che ruotano intorno al corretto significato da attribuire alla locuzione “terreno edificabile” e agli effetti scaturenti da tale qualificazione.

Ciò comporta delle conseguenze notevoli proprio nell’ambito dell’imposta di registro investendo, più specificatamente, le modalità di accertamento del valore dichiarato nell’atto di cessione, secondo quanto disposto dall’art. 52 D.P.R. n. 131/86.

Ciò perché non è certamente di poco conto qualificare, o meno, un terreno per il quale “gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria” (art. 52, comma 4, ultima parte, D.P.R. n. 131/86) [1].

Ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, infatti, la qualificazione di un terreno come edificabile legittima l’Amministrazione Finanziaria al controllo sulla congruità del prezzo dichiarato in atto con il valore del terreno in regime di comune commercio (valore venale), indipendentemente dalla conformità al reddito dominicale risultante in catasto moltiplicato per 75, come prescritto, invece, per i terreni agricoli o, comunque, non edificabili, relativamente ai quali è precluso, per la stessa Amministrazione, l’accertamento oltre quel valore risultante dalla elementare operazione matematica [2].

La dottrina e la giurisprudenza sono molto dibattute sul tema e l’adesione ad una piuttosto che ad un’altra prospettazione dipende dalla soluzione della querelle sul se un terreno ricompreso in area edificabile da un Piano Regolatore Generale – o altro strumento urbanistico – già adottato dal Comune, ma che non abbia ancora completato il suo iter formativo con la necessaria approvazione da parte della Regione, possa essere considerato edificabile a tutti gli effetti o, per lo meno, ai fini fiscali.

Certamente, oggi, il P.R.G. deve essere considerato un “atto complesso”, sia pure a complessità ineguale.

La necessaria approvazione da parte della Regione, se pure a prima vista evochi l’idea di un atto di controllo – ininfluente sull’efficacia del piano –, è invece momento costitutivo di una fattispecie complessa, nel corso del quale la Regione valuta la compatibilità del piano con gli interessi di sua competenza e, se del caso, richiede al Comune l’apporto di modifiche, con la possibilità di attivare, nell’eventualità di inottemperanza, un apposito procedimento surrogatorio.

Sulla pregnanza del significato costitutivo dell’approvazione regionale si fonda la tesi tradizionale, più risalente, cd. legalista, di cui le sentenze della Cassazione nn. 974/00 e 16202/01 rappresentano la fonte più autorevole.

Tale tesi, inoltre, è stata recentemente ribadita dalla Suprema Corte, sezione tributaria, con la sentenza n. 2416 del 21.06.2002/18.02.2003.

Principio cardine di tale orientamento, che è fortemente ispirato ai superiori principi di certezza e legalità, immanenti nell’ordinamento tributario, è che un terreno ricompreso in un P.R.G. per il quale non si sia ancora concluso il procedimento formativo con l’approvazione da parte della Regione non può ancora essere considerato edificabile.

Gli strumenti urbanistici rilevanti, cui farebbe riferimento l’art. 52, comma 4, ultima parte, del D.P.R. n. 131/1986, a parere di tale orientamento, sarebbero solo quelli “perfetti”: vale a dire solo quelli che abbiano completato il loro iter formativo.

L’iter formativo del Piano Regolatore Generale, a parere del Supremo Consesso, può considerarsi pienamente concluso solo con l’approvazione da parte del competente organo della Regione – a tal uopo previsto dalla singola legislazione regionale – successiva all’adozione da parte dell’organo consiliare comunale, e che dà vita ad un atto complesso ineguale.

Le norme tributarie, dunque, non possono che fare riferimento a strumenti urbanistici già perfezionati e la tipicità degli effetti prodromici derivanti dalla mera adozione del piano (quali, ad esempio, le cd. misure di salvaguardia o l’esclusione della prelazione agraria [3]), aventi una funzione meramente cautelare e conservativa dello status quo ante nelle more dell’approvazione degli strumenti urbanistici, non consentirebbero un’estensione analogica dell’anticipazione, ai fini fiscali, dell’applicazione di disposizioni dettate per la determinazione della base imponibile nei trasferimenti di terreni edificabili in relazione a suoli che non abbiano ancora assunto – e, in caso di mancata approvazione, potrebbero anche non assumere mai – una tale qualità [4].

Tale tesi esclude dunque, categoricamente, la possiblità di previsione di un tertium genus di suoli che si ponga fra i terreni agricoli e quelli edificabili e la cui disciplina sia assimilata a quella dei terreni edificabili a tutti gli effetti.

L’opinione a questa contrapposta, più recente, meno legalista e spiccatamente economistica, non ipotizza espressamente l’ammissibilità di una terza categoria giuridica di terreni, ma impernia le sue argomentazioni sulla considerazione che la ricomprensione di un terreno in area fabbricabile, ad opera di un strumento urbanistico soltanto adottato dal Comune, implica la nascita, nella generalità dei consociati, di un’aspettativa alla sua definitiva qualificazione all’esito della conclusione del procedimento formativo talmente pregnante da determinarne un notevole incremento di valore che impedisce di valutare ancora quel terreno come se fosse un fondo semplicemente agricolo e giustifica la generale convinzione che ormai si possa considerare edificabile a tutti gli effetti.

Tale tesi, che trova precedente autorevole nella sentenza delle SS.UU. n. 5900 del 01.07.1997, nonché nella sentenza n. 4381 del 27.03.2002 e nella recentissima pronuncia della sezione tributaria n. 2971 del 21.06.2002/27.02.2003, privilegia la ratio economica e sancisce il primato della “ragion economica”, ai fini della valutazione dei fondi non preclusi alla edificazione, sulla concreta edificabilità giuridica, facendo leva sull’ineludibile considerazione che un suolo, originariamente non edificabile, inserito in una zona di espansione edilizia da uno strumento urbanistico non ancora in vigore, ma legittimamente adottato dal Consiglio Comunale, verrebbe riconosciuto dalla generalità dei consociati come un «bene economicamente non omogeneo rispetto ad altri terreni non fabbricabili che, nello stesso strumento, abbiano conservato la destinazione originaria» [5].

Di tale avviso è, d’altronde, la stessa Amministrazione Finanziaria che si è pronunciata, al riguardo, in un primo tempo con la Circolare Ministeriale del 10 giugno 1986 n. 37 e, successivamente, con la Risoluzione Ministeriale n. 47/E del 27/05/1998.

Ai fini dell’applicazione della disciplina dettata per i terreni edificabili dall’art. 52, comma 4, del D.P.R. n. 131/1986 e dell’art. 34, comma 5, del D. Lgs. n. 346/1990 devono considerarsi validi anche gli strumenti strumenti urbanistici che sono adottati dai Comuni ma non ancora approvati dal competente organo di controllo, sulla base della considerazione che alla semplice adozione del piano si ricollegano effetti prodromici e anticipatori degli strumenti stessi.

Tali terreni, pertanto, sfuggirebbero alla valutazione automatica, perché non potrebbero essere considerati né edificabili né inedificabili, e nella determinazione del loro valore dovrebbe tenersi conto dell’incidenza dello strumento urbanistico in itinere [6].

A parere di chi scrive, anche se, come affermato da alcuni [7], non è giuridicamente prospettabile una distinzione, di fatto, tricotomia dei suoli, ostando la presenza di una norma dicotomica [8], è innegabile che, almeno attualmente, non si possa considerare alla stessa stregua di un fondo agricolo un terreno che, giuridicamente, sia ancora tale ma che, dalla generalità dei consociati – destinatari della norma giuridica –, sia avvertito come entità economica diversa e talmente simile ad un terreno edificabile ex lege da determinarne uno smisurato incremento di valore.

Certamente, nella valutazione del valore, si deve tenere conto che, il comune sentire di edificabilità è, giuridicamente, solo un’aspettativa che può andare delusa, adeguando quindi il valore del terreno de quo allo stato di incompletezza dello strumento urbanistico, il cui iter formativo è ancora in itinere.

L’ultima pronuncia in merito risale alla già citata sentenza n. 13817 del 18.09.2003, che si schiera dalla parte di chi ritiene che basti la semplice adozione dello strumento urbanistico comunale a imprimere al terreno in oggetto una qualità recepita dalla generalità dei consociati come compiutamente definita e difficilmente reversibile, e nonostante la considerazione che la delibera di approvazione da parte dell’organo regionale sicuramente perfezioni l’ter di formazione dello strumento urbanistico.

La questione, comunque, potrebbe trovare una soluzione solo in una definitiva pronuncia delle SS.UU. della Cassazione [9], considerato che le ultime due sentenze precedenti a quella di cui supra che sono state enunciate in merito [10] – in maniera, ovviamente, l’una opposta all’altra – provengono dalla stessa sezione della Corte di Cassazione, nella stessa composizione, nella stessa giornata di udienza, ma depositate con 9 giorni di differenza.

Ciò che sorprende ancora di più è che in una delle due pronunce [11] la Corte non ravvisi «l’oppotunità di rimettere la soluzione della questione alle Sezioni Unite», non rinvenendo contrasti giurisprudenziali in proposito: chiara cartina al tornasole dello stato di incertezza in cui brancola il mondo giuridico.

L’ultima pronuncia in proposito certamente non dirime i termini della questione che rimangono, allo stato e per i motivi sopra esposti, abbondantemente aperti.



[1] Sul piano letterale, di ampio respiro è il significato da assegnarsi al verbo “prevedere”, utilizzato dal D.P.R. n. 131/86, che potrebbe essere suscettibile di essere interpretato in maniera estensiva. Consultando, infatti, un qualsiasi Vocabolario della lingua italiana, vi si può leggere che ha il seguente significato: «Avere una nozione sufficientemente chiara (o addirittura esatta) di quanto avverrà in futuro» (G. Devoto, G. C. Oli - Nuovo Vocabolario Illustrato della Lingua Italiana).

Fermandoci dunque al dato letterale, sarebbe legittimo qualificare come edificabili ai fini dell’imposta di registro anche quei terreni ricompresi in strumenti urbanistici che non abbiano concluso il procedimento di formazione e che, in seguito al perfezionamento dell’iter formativo, potrebbero, oppure no, assumere definitivamente la qualificazione di terreni a utilizzazione edificatoria.

[2] L’art. 52, comma 4, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 (T.U. imposta di registro) così dispone:

Non sono sottoposti a rettifica il valore o il corrispettivo degli immobili, iscritti in catasto con attribuzione di rendita, dichiarato in misura non inferiore, per i terreni, a sessanta volte il reddito dominicale risultante in catasto (…) aggiornati con i coefficienti stabiliti per le imposte sul reddito (…). La disposizione del presente comma non si applica per i terreni per i quali gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria.

[3] In conseguenza della mera adozione degli strumenti urbanistici divengono operanti, ai sensi dell’art. 4 L. 01.06.1971 n. 291 le cd. misure di salvaguardia, le quali conferiscono ai Sindaci dei Comuni il potere-dovere di sospendere ogni decisione sulle domande di concessione e autorizzazione edilizie in contrasto con il piano o il programma adottato.

Ai sensi dell’art. 8, comma 2, della Legge 26.05.1965 n. 590, è esclusa la prelazione agraria per i terreni destinati, nello strumento adottato, ad utilizzazione edilizia, industriale o turistica.

[4] Cfr. Cass., sez. trib., sent. 18.02.2003 n. 2416, cit.

[5] Cass., SS.UU., 1 luglio 1997, n. 5900, cit.

[6] La C.M. 10 giugno 1986 n. 37 dispone: «si fa presente, comunque, che il suddetto sistema valutativo non potrà essere adottato per gli immobili che non sono iscritti in catasto, anche se l’iscrizione è già stata richiesta dagli interessati, né per i terreni per i quali gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria. Occorre richiamare l’attenzione dei dipendenti degli uffici su quali siano gli strumenti urbanistici che, prevedendo la destinazione edificatoria di un terreno, comportino la non applicabilità della disposizione di cui al quarto comma dell’art. 52. tali strumenti, dunque, secondo la normativa vigente, vanno individuati nei piani regolatori generali, in quelli particolari, che costituiscono la derivazione diretta dei primi e, in mancanza di tali piani, nei programmi comunali di fabbricazione. È peraltro da precisare che gli indicati strumenti urbanistici sono validi anche se adottati dai Comuni, ma non ancora approvati dal competente organo regionale di controllo: i Comuni, invero, fanno obbligatoriamente osservare i vincoli posti da tali provvedimenti».

[7] Vedi per tutti, L. Mariotti, La valutazione automatica subisce l’influenza degli strumenti urbanistici, in Corriere tributario, n. 17/2003, pagg. 1402 e ss.

[8] Sulla base di una norma che identifica due criteri di determinazione della base imponibile (1. valore gabellare per i terreni agricoli; 2. valore venale per i terreni edificabili) si dovrebbero dunque regolare tre diverse fattispecie: a) terreni agricoli; b) terreni “quasi” edificabili (inseriti in un P,R,G, solo adottato dal Comune); c) terreni giuridicamente edificabili (inseriti in un P.R.G. che ha concluso il suo iter formativo con l’approvazione da parte della Regione).

[9] Pare che, comunque, la questione stia, realmente, per approdare alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, vedi, a tal proposito, Cass., sez. trib. Ordinanza 21 gennaio 2003, n. 818.

[10] Si fa riferimento alle sentenze nn. 2416 del 21.06.2002/18.02.2003 e 2971 del 21.06.2002/27.02.2003, cit.

[11] Si è pronunciata in tal senso nella sentenza n. 2416 del 21.06.2002/18.02.2003, cit.

Già il titolo esprime il senso di disagio che pervade chi si deve accingere accingere su un tema, quale quello delle aree edificabili, al centro di un’annosa querelle sia dottrinaria che giurisprudenziale.

Da ultimo si è pronunciata la Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 13817 del 18/09/2003, ha, per così dire, assegnato un punto all’Amministrazione Finanziaria.

Ma, andiamo con ordine: è necessario prima spiegare i termini della questione, che ruotano intorno al corretto significato da attribuire alla locuzione “terreno edificabile” e agli effetti scaturenti da tale qualificazione.

Ciò comporta delle conseguenze notevoli proprio nell’ambito dell’imposta di registro investendo, più specificatamente, le modalità di accertamento del valore dichiarato nell’atto di cessione, secondo quanto disposto dall’art. 52 D.P.R. n. 131/86.

Ciò perché non è certamente di poco conto qualificare, o meno, un terreno per il quale “gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria” (art. 52, comma 4, ultima parte, D.P.R. n. 131/86) [1].

Ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, infatti, la qualificazione di un terreno come edificabile legittima l’Amministrazione Finanziaria al controllo sulla congruità del prezzo dichiarato in atto con il valore del terreno in regime di comune commercio (valore venale), indipendentemente dalla conformità al reddito dominicale risultante in catasto moltiplicato per 75, come prescritto, invece, per i terreni agricoli o, comunque, non edificabili, relativamente ai quali è precluso, per la stessa Amministrazione, l’accertamento oltre quel valore risultante dalla elementare operazione matematica [2].

La dottrina e la giurisprudenza sono molto dibattute sul tema e l’adesione ad una piuttosto che ad un’altra prospettazione dipende dalla soluzione della querelle sul se un terreno ricompreso in area edificabile da un Piano Regolatore Generale – o altro strumento urbanistico – già adottato dal Comune, ma che non abbia ancora completato il suo iter formativo con la necessaria approvazione da parte della Regione, possa essere considerato edificabile a tutti gli effetti o, per lo meno, ai fini fiscali.

Certamente, oggi, il P.R.G. deve essere considerato un “atto complesso”, sia pure a complessità ineguale.

La necessaria approvazione da parte della Regione, se pure a prima vista evochi l’idea di un atto di controllo – ininfluente sull’efficacia del piano –, è invece momento costitutivo di una fattispecie complessa, nel corso del quale la Regione valuta la compatibilità del piano con gli interessi di sua competenza e, se del caso, richiede al Comune l’apporto di modifiche, con la possibilità di attivare, nell’eventualità di inottemperanza, un apposito procedimento surrogatorio.

Sulla pregnanza del significato costitutivo dell’approvazione regionale si fonda la tesi tradizionale, più risalente, cd. legalista, di cui le sentenze della Cassazione nn. 974/00 e 16202/01 rappresentano la fonte più autorevole.

Tale tesi, inoltre, è stata recentemente ribadita dalla Suprema Corte, sezione tributaria, con la sentenza n. 2416 del 21.06.2002/18.02.2003.

Principio cardine di tale orientamento, che è fortemente ispirato ai superiori principi di certezza e legalità, immanenti nell’ordinamento tributario, è che un terreno ricompreso in un P.R.G. per il quale non si sia ancora concluso il procedimento formativo con l’approvazione da parte della Regione non può ancora essere considerato edificabile.

Gli strumenti urbanistici rilevanti, cui farebbe riferimento l’art. 52, comma 4, ultima parte, del D.P.R. n. 131/1986, a parere di tale orientamento, sarebbero solo quelli “perfetti”: vale a dire solo quelli che abbiano completato il loro iter formativo.

L’iter formativo del Piano Regolatore Generale, a parere del Supremo Consesso, può considerarsi pienamente concluso solo con l’approvazione da parte del competente organo della Regione – a tal uopo previsto dalla singola legislazione regionale – successiva all’adozione da parte dell’organo consiliare comunale, e che dà vita ad un atto complesso ineguale.

Le norme tributarie, dunque, non possono che fare riferimento a strumenti urbanistici già perfezionati e la tipicità degli effetti prodromici derivanti dalla mera adozione del piano (quali, ad esempio, le cd. misure di salvaguardia o l’esclusione della prelazione agraria [3]), aventi una funzione meramente cautelare e conservativa dello status quo ante nelle more dell’approvazione degli strumenti urbanistici, non consentirebbero un’estensione analogica dell’anticipazione, ai fini fiscali, dell’applicazione di disposizioni dettate per la determinazione della base imponibile nei trasferimenti di terreni edificabili in relazione a suoli che non abbiano ancora assunto – e, in caso di mancata approvazione, potrebbero anche non assumere mai – una tale qualità [4].

Tale tesi esclude dunque, categoricamente, la possiblità di previsione di un tertium genus di suoli che si ponga fra i terreni agricoli e quelli edificabili e la cui disciplina sia assimilata a quella dei terreni edificabili a tutti gli effetti.

L’opinione a questa contrapposta, più recente, meno legalista e spiccatamente economistica, non ipotizza espressamente l’ammissibilità di una terza categoria giuridica di terreni, ma impernia le sue argomentazioni sulla considerazione che la ricomprensione di un terreno in area fabbricabile, ad opera di un strumento urbanistico soltanto adottato dal Comune, implica la nascita, nella generalità dei consociati, di un’aspettativa alla sua definitiva qualificazione all’esito della conclusione del procedimento formativo talmente pregnante da determinarne un notevole incremento di valore che impedisce di valutare ancora quel terreno come se fosse un fondo semplicemente agricolo e giustifica la generale convinzione che ormai si possa considerare edificabile a tutti gli effetti.

Tale tesi, che trova precedente autorevole nella sentenza delle SS.UU. n. 5900 del 01.07.1997, nonché nella sentenza n. 4381 del 27.03.2002 e nella recentissima pronuncia della sezione tributaria n. 2971 del 21.06.2002/27.02.2003, privilegia la ratio economica e sancisce il primato della “ragion economica”, ai fini della valutazione dei fondi non preclusi alla edificazione, sulla concreta edificabilità giuridica, facendo leva sull’ineludibile considerazione che un suolo, originariamente non edificabile, inserito in una zona di espansione edilizia da uno strumento urbanistico non ancora in vigore, ma legittimamente adottato dal Consiglio Comunale, verrebbe riconosciuto dalla generalità dei consociati come un «bene economicamente non omogeneo rispetto ad altri terreni non fabbricabili che, nello stesso strumento, abbiano conservato la destinazione originaria» [5].

Di tale avviso è, d’altronde, la stessa Amministrazione Finanziaria che si è pronunciata, al riguardo, in un primo tempo con la Circolare Ministeriale del 10 giugno 1986 n. 37 e, successivamente, con la Risoluzione Ministeriale n. 47/E del 27/05/1998.

Ai fini dell’applicazione della disciplina dettata per i terreni edificabili dall’art. 52, comma 4, del D.P.R. n. 131/1986 e dell’art. 34, comma 5, del D. Lgs. n. 346/1990 devono considerarsi validi anche gli strumenti strumenti urbanistici che sono adottati dai Comuni ma non ancora approvati dal competente organo di controllo, sulla base della considerazione che alla semplice adozione del piano si ricollegano effetti prodromici e anticipatori degli strumenti stessi.

Tali terreni, pertanto, sfuggirebbero alla valutazione automatica, perché non potrebbero essere considerati né edificabili né inedificabili, e nella determinazione del loro valore dovrebbe tenersi conto dell’incidenza dello strumento urbanistico in itinere [6].

A parere di chi scrive, anche se, come affermato da alcuni [7], non è giuridicamente prospettabile una distinzione, di fatto, tricotomia dei suoli, ostando la presenza di una norma dicotomica [8], è innegabile che, almeno attualmente, non si possa considerare alla stessa stregua di un fondo agricolo un terreno che, giuridicamente, sia ancora tale ma che, dalla generalità dei consociati – destinatari della norma giuridica –, sia avvertito come entità economica diversa e talmente simile ad un terreno edificabile ex lege da determinarne uno smisurato incremento di valore.

Certamente, nella valutazione del valore, si deve tenere conto che, il comune sentire di edificabilità è, giuridicamente, solo un’aspettativa che può andare delusa, adeguando quindi il valore del terreno de quo allo stato di incompletezza dello strumento urbanistico, il cui iter formativo è ancora in itinere.

L’ultima pronuncia in merito risale alla già citata sentenza n. 13817 del 18.09.2003, che si schiera dalla parte di chi ritiene che basti la semplice adozione dello strumento urbanistico comunale a imprimere al terreno in oggetto una qualità recepita dalla generalità dei consociati come compiutamente definita e difficilmente reversibile, e nonostante la considerazione che la delibera di approvazione da parte dell’organo regionale sicuramente perfezioni l’ter di formazione dello strumento urbanistico.

La questione, comunque, potrebbe trovare una soluzione solo in una definitiva pronuncia delle SS.UU. della Cassazione [9], considerato che le ultime due sentenze precedenti a quella di cui supra che sono state enunciate in merito [10] – in maniera, ovviamente, l’una opposta all’altra – provengono dalla stessa sezione della Corte di Cassazione, nella stessa composizione, nella stessa giornata di udienza, ma depositate con 9 giorni di differenza.

Ciò che sorprende ancora di più è che in una delle due pronunce [11] la Corte non ravvisi «l’oppotunità di rimettere la soluzione della questione alle Sezioni Unite», non rinvenendo contrasti giurisprudenziali in proposito: chiara cartina al tornasole dello stato di incertezza in cui brancola il mondo giuridico.

L’ultima pronuncia in proposito certamente non dirime i termini della questione che rimangono, allo stato e per i motivi sopra esposti, abbondantemente aperti.



[1] Sul piano letterale, di ampio respiro è il significato da assegnarsi al verbo “prevedere”, utilizzato dal D.P.R. n. 131/86, che potrebbe essere suscettibile di essere interpretato in maniera estensiva. Consultando, infatti, un qualsiasi Vocabolario della lingua italiana, vi si può leggere che ha il seguente significato: «Avere una nozione sufficientemente chiara (o addirittura esatta) di quanto avverrà in futuro» (G. Devoto, G. C. Oli - Nuovo Vocabolario Illustrato della Lingua Italiana).

Fermandoci dunque al dato letterale, sarebbe legittimo qualificare come edificabili ai fini dell’imposta di registro anche quei terreni ricompresi in strumenti urbanistici che non abbiano concluso il procedimento di formazione e che, in seguito al perfezionamento dell’iter formativo, potrebbero, oppure no, assumere definitivamente la qualificazione di terreni a utilizzazione edificatoria.

[2] L’art. 52, comma 4, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 (T.U. imposta di registro) così dispone:

Non sono sottoposti a rettifica il valore o il corrispettivo degli immobili, iscritti in catasto con attribuzione di rendita, dichiarato in misura non inferiore, per i terreni, a sessanta volte il reddito dominicale risultante in catasto (…) aggiornati con i coefficienti stabiliti per le imposte sul reddito (…). La disposizione del presente comma non si applica per i terreni per i quali gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria.

[3] In conseguenza della mera adozione degli strumenti urbanistici divengono operanti, ai sensi dell’art. 4 L. 01.06.1971 n. 291 le cd. misure di salvaguardia, le quali conferiscono ai Sindaci dei Comuni il potere-dovere di sospendere ogni decisione sulle domande di concessione e autorizzazione edilizie in contrasto con il piano o il programma adottato.

Ai sensi dell’art. 8, comma 2, della Legge 26.05.1965 n. 590, è esclusa la prelazione agraria per i terreni destinati, nello strumento adottato, ad utilizzazione edilizia, industriale o turistica.

[4] Cfr. Cass., sez. trib., sent. 18.02.2003 n. 2416, cit.

[5] Cass., SS.UU., 1 luglio 1997, n. 5900, cit.

[6] La C.M. 10 giugno 1986 n. 37 dispone: «si fa presente, comunque, che il suddetto sistema valutativo non potrà essere adottato per gli immobili che non sono iscritti in catasto, anche se l’iscrizione è già stata richiesta dagli interessati, né per i terreni per i quali gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria. Occorre richiamare l’attenzione dei dipendenti degli uffici su quali siano gli strumenti urbanistici che, prevedendo la destinazione edificatoria di un terreno, comportino la non applicabilità della disposizione di cui al quarto comma dell’art. 52. tali strumenti, dunque, secondo la normativa vigente, vanno individuati nei piani regolatori generali, in quelli particolari, che costituiscono la derivazione diretta dei primi e, in mancanza di tali piani, nei programmi comunali di fabbricazione. È peraltro da precisare che gli indicati strumenti urbanistici sono validi anche se adottati dai Comuni, ma non ancora approvati dal competente organo regionale di controllo: i Comuni, invero, fanno obbligatoriamente osservare i vincoli posti da tali provvedimenti».

[7] Vedi per tutti, L. Mariotti, La valutazione automatica subisce l’influenza degli strumenti urbanistici, in Corriere tributario, n. 17/2003, pagg. 1402 e ss.

[8] Sulla base di una norma che identifica due criteri di determinazione della base imponibile (1. valore gabellare per i terreni agricoli; 2. valore venale per i terreni edificabili) si dovrebbero dunque regolare tre diverse fattispecie: a) terreni agricoli; b) terreni “quasi” edificabili (inseriti in un P,R,G, solo adottato dal Comune); c) terreni giuridicamente edificabili (inseriti in un P.R.G. che ha concluso il suo iter formativo con l’approvazione da parte della Regione).

[9] Pare che, comunque, la questione stia, realmente, per approdare alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, vedi, a tal proposito, Cass., sez. trib. Ordinanza 21 gennaio 2003, n. 818.

[10] Si fa riferimento alle sentenze nn. 2416 del 21.06.2002/18.02.2003 e 2971 del 21.06.2002/27.02.2003, cit.

[11] Si è pronunciata in tal senso nella sentenza n. 2416 del 21.06.2002/18.02.2003, cit.