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Avvocati epurati

Razza
Razza
difesa della razza

La storia del diritto in Italia ha numerosi esempi di ignominia, uno di questi è la cancellazione di 215 avvocati dall’albo dei cassazionisti nel silenzio di tutti i professionisti del settore. Nel periodo dal 1940 al 1943 furono cancellati, per questioni di razza, avvocati “colpevoli” di essere ebrei.

Una delle pagini più vili e taciute dell’avvocatura italiana, perché costruita con le parole e i concetti del diritto.

Il 14 luglio del 1938, il re Vittorio Emanuele III, promulgò il Regio Decreto n. 1728: Provvedimenti per la difesa della razza italiana.

Da quel momento per gli avvocati ebrei la strada si fece impraticabile.

Nel 1939 venne promulgata la legge n. 1054 che disciplinò l’esercizio della professione da parte dei cittadini di “razza ebrea”.

Così recitava l’articolo 6 della Legge 1054/39:

È fatto obbligo ai professionisti che si trovino nelle condizioni previste dagli articoli 1 e 2, primo comma, ed a quelli iscritti nei ruoli di cui all’articolo 23 di denunciare la propria appartenenza alla razza ebraica, entro il termine di venti giorni dalla entrata n vigore della presente legge, agli organi competenti per la tenuta degli albi e dei ruoli. I trasgressori sono puniti con l’arresto sino ad un mese e con l’ammenda sino a lire tremila. La denunzia deve essere fatta anche nel caso che sia pendente ricorso per l’accertamento della razza ai sensi dell’articolo 26 del regio decreto-legge 17 novembre 1938-XVII, n. 1728.

Il reato sarà dichiarato estinto se il ricorso di cui al terzo comma, sia deciso con la dichiarazione di non appartenenza del ricorrente alla razza ebraica.

Ove la denunzia non sia effettuata, gli organi competenti per la tenuta degli albi o dei ruoli provvederanno d’ufficio all’accertamento. La cancellazione dagli albi o dai ruoli viene deliberata dai predetti organi non oltre il febbraio 1940-XVIII, ma ha effetto alla scadenza di detto termine”.

Dal 1940 al 1943 furono 215 i cassazionisti cancellati per questioni di razza, che dovettero lasciare codici e toga e rinunciare a tutto, a volte anche alla vita. Il tutto nell’assoluto silenzio ed anzi con l’ausilio del sindacato fascista avvocati e procuratori che propose, immediatamente, che i professionisti ebrei non fossero più ammessi agli albi.

Ogni ordine territoriale provvide alla cancellazione degli iscritti di “razza ebrea”, l’esatto numero degli epurati non è stato mai ricostruito con certezza.

Alla difficoltà di accedere alla documentazione completa, si aggiunge il “vezzo” tutto italiano di creare la discriminazione dei discriminati.

Come scrive Antonella Meniconi nel libro “La maschia avvocatura-Istituzioni e professione forense in epoca fascista”, si “introduce la cosiddetta discriminazione (vale a dire la non applicazione delle norme restrittive)” a favore di alcune categorie giudicate meritevoli di tutela in quanto “benemerite alla patria”.

Gli avvocati furono divisi in due gruppi. I primi “i discriminati” erano iscritti “agli elenchi aggiunti” agli albi forensi e avrebbero potuto, se pur con alcune limitazioni, continuare a esercitare il proprio lavoro.

Lo status giuridico di “discriminato” veniva rilasciato, su istanza di parte, all’interessato con decreto del Ministero dell’Interno. La discriminazione consente al professionista ebreo di poter essere iscritto negli “elenchi aggiunti”. Poi vi erano tutti gli altri, gli avvocati “non discriminati”, costretti a iscriversi agli “elenchi speciali” e che avrebbero potuto lavorare solo per clienti “appartenenti alla razza ebraica”.

Il procedimento di richiesta di “discriminazione” si basava sulle acquisite benemerenze fasciste e lo spingere alcuni a differenziarsi dagli altri, costituì “l’apice della aberrazione da parte del regime” come sottolinea Guido Alpa nel suo libro “Le leggi razziali e gli avvocati italiani – Uno sguardo in provincia”.

Ancora oggi il Codice civile reca il marchio dell’infamia: sono i puntini di sospensione che al comma 3 dell’articolo 1 ricordano la prescrizione abrogata con cui si limitava la capacità giuridica, cioè la idoneità a essere titolari di diritti e di doveri, di coloro che appartenevano a «razze» diverse da quella ariana, che doveva essere geneticamente preservata.

Il comma venne abrogato dall’articolo 1, Regio Decreto 20 gennaio 1944, n. 25 e dall’articolo 3, Decreto Legislativo Luogotenenziale 14 settembre 1944, n. 287.

Questo breve estratto si basa su un lavoro che porto avanti, con notevole difficoltà ad accedere alla documentazione completa, per ricostruire una pagina ignobile della nostra categoria.

Recentemente l’ordine degli avvocati di Milano ha ricordato i 79 professionisti di “razza ebraica non discriminati”.

Si tratta di avvocati e procuratori ebrei che nei termini di legge denunciarono al Direttorio la propria appartenenza alla razza ebraica e che, a seguito di tale autodenuncia verranno cancellati dall’Albo meneghino. La ricerca si basa sull’esame dei verbali delle sedute del Direttorio e le delibere di reintegro nell’albo.

Tale lavoro risulta largamente parziale ma è un primo passo di un consiglio dell’ordine degli avvocati, per ricostruire nella nostra memoria il dovere di non dimenticare quella vergogna.