Avvocati: esercizio abusivo della professione è configurabile per la redazione di un decreto ingiuntivo poi firmato da altro professionista?

Avvocati: esercizio abusivo della professione è configurabile per la redazione di un decreto ingiuntivo poi firmato da altro professionista?
L’art. 348, che punisce il reato di abusivo esercizio di una professione, ha natura di norma penale in bianco, in quanto presuppone l’esistenza di altre disposizioni, integrative del precetto penale, che definiscono l’area oltre la quale non è consentito l’esercizio di determinate professioni: l’errore su tali norme, costituendo errore parificabile a quello ricadente sulla norma penale, non ha valore scriminante in base all’art. 47 (Sez. 6, 6129/2019).
Esercizio abusivo della professione la norma:
L’articolo 348 codice penale “esercizio abusivo della professione” prevede: “Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 103 a euro 516”.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, sez. II, n. 1931/2021, un collega, sospeso dalla professione, ha coadiuvato la redazione di un ricorso per decreto ingiuntivo e intrattenuto contatti con i clienti. Il ricorso per decreto ingiuntivo recava la firma di altro professionista.
La Corte di appello di Venezia confermava la sentenza di condanna per l’art. 348 c.p. e nell’imputazione si evinceva la condotta di un singolo atto da parte del professionista sospeso.
La difesa ricorreva in cassazione e contestava la erronea applicazione della legge penale (artt. 348 cod. pen. e 2, commi 5 e 6, della legge n. 247 del 2012), poiché l'imputato non ha posto in essere alcun atto tipico della professione forense e, durante il periodo di sospensione, non ha esercitato attività professionale tipica in un contesto di continuità, sistematicità e organizzazione.
Secondo gli Ermellini la redazione del ricorso per decreto ingiuntivo è sufficiente per configurare il reato previsto dall’art. 348 c.p..
In riferimento alla sospensione dalla professione, una recentissima sentenza la n. 46963/2021 sez. VI stabilisce che: “L'esercizio della professione è abusivo se l'atto professionale è stato compiuto nonostante la sottoposizione alla sanzione disciplinare della sospensione dell'esercizio della professione (Sez. 6, n. 4456 del 16 ottobre 2018, dep. 2019, Falini, n. 274982) e deve ribadirsi che la data di entrata in vigore del Regolamento CNF 21 febbraio 2014 n. 2 è il 1° gennaio 2015 perché la regola transitoria dettata dall'art. 65, comma 1, della citata legge inibisce l'immediata applicazione delle disposizioni processuali sino al verificarsi dell'evento assunto dalla norma come rilevante, e cioè sino all'entrata in vigore dei previsti regolamenti (Cass. civ. Sez. U, n. 32360 del 13/12/2018, Sottocasa, Rv. 651821; Cass. civ. Sez. U, n. 19653 del 24/07/2018, Cricchio, Rv. 649977)”.
In merito alla condotta ascritta la sentenza della cassazione n. 1931/2021 motiva: “il ricorrente, dunque, ha compiuto un atto tipico ed esclusivo riservato alla professione forense, per nulla riconducibile ad un'attività di consulenza legale, che - in base anche alle disposizioni della legge n. 247 del 2012 - esula dagli atti tipici della professione se non svolta in modo continuativo”.
In proposito si enuncia il principio espresso dalla cassazione in una fattispecie analoga a quella di cui si tratta, secondo il quale costituisce esercizio abusivo della professione legale lo svolgimento dell'attività riservata al professionista iscritto nell'albo degli avvocati, anche nel caso in cui l'agente, abbia fatto firmare l'atto tipico, da lui predisposto, da un legale abilitato: diversamente opinando, risulterebbe vanificato “il principio della generale riserva riferita alla professione in quanto tale, con correlativo tradimento dell'affidamento dei terzi, laddove fosse ritenuto sufficiente un siffatto banale escamotage per consentire ad un soggetto non abilitato di operare in un settore attribuito in via esclusiva a una determinata professione” (così Sez. 6, n. 52888 del 07/10/2016, Ferrarini, Rv. 268581; da ultimo, nello stesso senso, v. Sez. 7, n. 29492 del 09/09/2020).
Nel contempo, prosegue la cassazione: “ i giudici di merito hanno correttamente ritenuto la rilevanza penale di quel solo atto, in quanto, secondo il diritto vivente, il delitto previsto dall'art. 348 cod. pen., avendo natura istantanea, non esige un'attività continuativa od organizzata, ma si perfeziona con il compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione abusivamente esercitata”.
Principio confermato dalle seguenti pronunce (Sez. 2, n. 26113 del 07/05/2019, Conoscenti, Rv. 276657; Sez. 5, n. 24283 del 26/02/2015, Bachetti; Rv. 263905; Sez. 6, n. 11493 del 21/10/2013, dep. 2014, Tosto, Rv. 259490; Sez. 6, n. 30068 del 02/07/2012, Pinori, Rv. 253272; Sez. 2, n. 43328 del 15/11/2011, Giorgini, Rv. 251376).
Tale pronuncia si discosta da un precedente orientamento che, con specifico riferimento alla professione forense, sottolineava: “occorre doverosamente tenere conto che la L. 247/2012, che detta la «Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense», differenzia le attività riservate con carattere di esclusività all’avvocato – che sono quelle elencate nell’art. 2, comma 5, della legge in questione, ossia, con salvezza dei casi espressamente previsti dalla legge, l’assistenza, la rappresentanza e la difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali – da quelle indicate nel successivo comma 6 dello stesso articolo, in cui, recependosi un principio già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, con l’autorità propria delle Sezioni unite (SU, 11545/2012), si legge testualmente che, «fuori dei casi in cui ricorrono competenze espressamente individuate relative a specifici settori del diritto e che sono previste dalla legge per gli esercenti altre professioni regolamentate, l’attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all’attività giurisdizionale, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, è di competenza degli avvocati»”.
Donde l’inevitabile conclusione che, in tale limitato ambito, è necessario che il soggetto agente faccia luogo all’esercizio, in forma continuativa, sistematica ed organizzata, di detta tipologia di attività, solo così creandosi l’oggettiva apparenza di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato, con conseguente irrilevanza, sul piano penale, del compimento di un singolo ed isolato atto di tal fatta (Sez. 6, 13222/2019).
Il contrasto giurisprudenziale è di tutta evidenza in tema di configurabilità del reato per il compimento di un singolo atto.
Qui una rassegna della giurisprudenza sull’articolo 348 c.p.: