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Art. 348 - Abusivo esercizio di una professione

1. Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 103 a euro 516 (1).

(1) La multa risulta così aumentata ai sensi dell’art. 113, L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

Profili generali

L’art. 348, che punisce il reato di abusivo esercizio di una professione, ha natura di norma penale in bianco, in quanto presuppone l’esistenza di altre disposizioni, integrative del precetto penale, che definiscono l’area oltre la quale non è consentito l’esercizio di determinate professioni: l’errore su tali norme, costituendo errore parificabile a quello ricadente sulla norma penale, non ha valore scriminante in base all’art. 47 (Sez. 6, 6129/2019).

Integra il reato di esercizio abusivo di una professione il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché l’attività venga svolta con modalità tali, per continuatività, onerosità ed organizzazione, da creare l’oggettiva apparenza di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato (SU, 11545/2012, richiamata da Sez. 6, 33464/2018).

L’esercizio abusivo di una professione è un reato eventualmente abituale sicché la reiterazione degli atti tipici dà luogo ad un unico reato se l’attività dell’agente, sorretta da unico elemento soggettivo, è diretta all’esercizio della medesima professione, dovendosi, invece, ravvisare una pluralità di reati in presenza di una molteplicità di professioni esercitate. In questo caso, l’azione lede in modo unitario il medesimo bene giuridico e il momento consumativo dell’unico reato coincide con l’ultimo atto della serie, vale a dire con la cessazione della condotta (Sez. 1, 48862/2018).

Benché il bene tutelato dall’art. 348 sia costituito dall’interesse generale a che determinate professioni, richiedenti, tra l’altro, particolari competenze tecniche, vengano esercitate soltanto da soggetti che abbiano conseguito una speciale abilitazione amministrativa, e debba quindi ritenersi che l’eventuale lesione del bene anzidetto riguardi in via diretta ed immediata la pubblica amministrazione, ciò non toglie che possano assumere veste di danneggiati quei soggetti che, in via mediata e di riflesso, abbiano subito un pregiudizio dalla violazione della norma penale in questione (Sez. 6, 23527/2018).

L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis non può essere dichiarata con riferimento al reato di abusivo esercizio di una professione, in quanto tale delitto presuppone una condotta che, in quanto connotata da ripetitività, continuità o, comunque, dalla pluralità degli atti tipici, è di per sé ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità (Sez. 6, 6664/2017).

 

Avvocati

L’esercizio abusivo di una professione è reato istantaneo, che si perfeziona anche con il compimento di uno solo degli atti tipici (Sez. 6, 11493/2014), fermo restando che, ove si sia in presenza di una pluralità di atti di siffatta natura, gli stessi danno vita ad un’unica fattispecie criminosa, il cui momento consumativo coincide con la cessazione della condotta, in tal caso il reato medesimo configurandosi come eventualmente abituale (Sez. 6, 20099/2016).

Nondimeno, con specifico riferimento alla professione forense, occorre doverosamente tenere conto che la L. 247/2012, che detta la «Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense», differenzia le attività riservate con carattere di esclusività all’avvocato  che sono quelle elencate nell’art. 2, comma 5, della legge in questione, ossia, con salvezza dei casi espressamente previsti dalla legge, l’assistenza, la rappresentanza e la difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali  da quelle indicate nel successivo comma 6 dello stesso articolo, in cui, recependosi un principio già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, con l’autorità propria delle Sezioni unite (SU, 11545/2012), si legge testualmente che, «fuori dei casi in cui ricorrono competenze espressamente individuate relative a specifici settori del diritto e che sono previste dalla legge per gli esercenti altre professioni regolamentate, l’attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all’attività giurisdizionale, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, è di competenza degli avvocati».

Donde l’inevitabile conclusione che, in tale limitato ambito, è necessario che il soggetto agente faccia luogo all’esercizio, in forma continuativa, sistematica ed organizzata, di detta tipologia di attività, solo così creandosi l’oggettiva apparenza di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato, con conseguente irrilevanza, sul piano penale, del compimento di un singolo ed isolato atto di tal fatta (Sez. 6, 13222/2019).

L’esercizio abusivo della professione legale, ancorché riferito allo svolgimento dell’attività riservata al professionista iscritto nell’albo degli avvocati, non implica necessariamente la spendita al cospetto del giudice o di altro pubblico ufficiale della qualità indebitamente assunta, sicché il reato si perfeziona per il solo fatto che l’agente curi pratiche legali dei clienti o predisponga ricorsi anche senza comparire in udienza qualificandosi come avvocato (Sez. 5, 646/2014).

 

Farmacisti

Tra il reato di cui all’art. 9, comma settimo, l. 376/2000 e quelli di cui agli art. 348 (esercizio abusivo della professione di farmacista) e 445 (somministrazione di medicinali in totale difformità dalle indicazioni terapeutiche previste ed autorizzate) sussiste un rapporto di specialità, atteso che colui che, senza essere in possesso della prescritta abilitazione professionale, commercia farmaci e sostanze dopanti esercita abusivamente, attraverso la medesima condotta, la professione di farmacista, e, qualora le sostanze medicinali vengano commerciate in specie, qualità o quantità non corrispondenti alle ordinazioni mediche, pone in essere il medesimo comportamento sanzionato dal citato art. 445 (SU, 3087/2006).

 

Consulenti del lavoro

Integra il reato di esercizio abusivo della professione l’attività di colui che curi la gestione dei servizi e degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale, occupandosi, in particolare, della compilazione della busta paga per conto di numerose aziende, in mancanza del titolo di consulente del lavoro e dell’iscrizione al relativo albo professionale. Si è chiarito, in particolare, come integri il reato previsto dall’art. 348 l’attività di colui che, non munito di abilitazione professionale, provveda, con autonomia decisionale, alla compilazione dei modelli per l’INPS e alla gestione dei rapporti lavorativi con i dipendenti di una ditta (Sez. 6, 56971/2018).

 

Tenuta della contabilità aziendale

Le condotte di tenuta della contabilità aziendale, redazione delle dichiarazioni fiscali ed effettuazione dei relativi pagamenti, non integrano il reato di esercizio abusivo delle professioni di dottore commercialista o di ragioniere e perito commerciale  quali disciplinate, rispettivamente, dai DPR 1067 e 1068/1953  anche se svolte da chi non sia iscritto ai relativi albi professionali, in modo continuativo, organizzato e retribuito, tale da creare, in assenza di indicazioni diverse, le apparenze di una tale iscrizione sempre che le condotte in questione non siano state poste in essere nel vigore del nuovo DLGS 139/2005 (SU, 11545/2012, richiamata da Sez. 2, 57780/2018).

 

Professioni sanitarie

…Medici e chirurghi

Integra i reati di falsità ideologica in certificazioni amministrative (art. 480) e di abusivo esercizio della professione medica la condotta consistente nell’operazione di integrale riempimento, da parte del titolare di una farmacia, dei dati relativi a ricettari di prescrizioni mediche intestati ad un medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale, e da quest’ultimo già sottoscritti e timbrati in ogni foglio lasciato in bianco (Sez. 6, 13315/2011).

La responsabilità di chi dirige lo studio medico non certo esclude quella dell’esercente abusivo della professione sanitaria, bensì si cumula ad essa, ove il primo sia a conoscenza della mancanza del titolo del suo operatore (nel senso che risponde di concorso nel reato di cui all’art. 348 ed eventualmente anche di quello di lesioni colpose, prevedibilmente collegate all’attività abusiva) (Sez. 6, 21220/2013).

 

…Odontoiatri

L’abilitazione all’esercizio della professione è elemento che, segnando la distinzione tra professioni ‘protette e ‘non protette, attribuisce fondamento costituzionale solo alle prime in quanto rette da ordini professionali (art. 33, quinto comma, Cost.) per attività che, rimesse nella loro determinazione alla legge, restano subordinate nel loro esercizio all’iscrizione in appositi albi o elenchi.

L’obbligatoria iscrizione ad appositi albi e l’appartenenza necessaria ad ordini o collegi assolvono, come osservato in dottrina, ad una duplice funzione che è da una parte quella di assoggettare il professionista alle regole deontologiche, al controllo e al potere disciplinare dell’ordine, in cui si inserisce la funzione di rendere pubblico il derivato status, in tal modo garantendo l’interesse generale al corretto esercizio della professione e l’affidamento della collettività.

La nozione costituzionale della professione muove dal dichiarato intento di dare conto della previsione di cui all’art. 33, quinto comma, Cost. che impone l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio di quelle professioni che, in quanto destinate ad incidere, come avviene per quelle tradizionali ‘protette, su interessi e beni che rinvengano specifica tutela in Costituzione, ricevono garanzia di competenza professionale dal superamento dell’esame di Stato. La giurisprudenza di legittimità, in applicazione degli indicati principi, ha dato dell’esercizio della professione, integrativo del reato di cui all’art. 348, una lettura espressiva del rispetto dei livelli di competenza necessari a garantire tutela ad interessi pubblici a protezione costituzionale.

Per il meccanismo del rinvio alla disposizione extrapenale, l’art. 348 diviene una norma penale in bianco in quanto presuppone l’esistenza di altre norme volte ad individuare le professioni per le quali è richiesta la speciale abilitazione dello Stato e, con l’indicato titolo, le condizioni, soggettive e oggettive, tra le quali l’iscrizione in un apposito albo, in mancanza delle quali l’esercizio della professione risulta abusivo.

L’esercizio della professione di cui all’art. 348 si connota allora per la mancanza dei provvedimenti abilitativi sia perché mai conseguiti, sia perché venuti meno in esito a provvedimenti di radiazione e sospensione, sia per inadempiuta iscrizione all’albo professionale.

L’indicato indirizzo ha trovato conferma nella definizione dell’esercizio abusivo della professione sanitaria. Per risalente e non superato orientamento, la natura abusiva dell’esercizio della professione sanitaria viene individuata nella obiettiva mancanza del titolo e dell’abilitazione, che quindi diviene presupposto di fatto, anche se giuridicamente qualificato, della condotta tipica del reato, in capo a chi assuma la veste del medico, con la conseguente irrilevanza, tanto della perizia, capacità e abilità del soggetto, quanto della esattezza dei giudizi tecnici espressi e dell’esito positivo delle cure praticate.

In mancanza di una legge di definizione in termini positivi ed univoci del ‘contenuto tipico’ dell’attività di medico chirurgo, la giurisprudenza di legittimità ha individuato il principale criterio guida in quello sostanzialistico che, relativo alla connaturata specificità, esclusività e delicatezza dell’attività professionale sanitaria, ha stabilmente attribuito la legittimazione all’esercizio della professione di medico chirurgo al superamento del relativo esame di Stato ed alla conseguente iscrizione all’albo.

Nella funzione di diagnosi e cura propria dell’attività sanitaria la soddisfazione delle indicate condizioni ne consente l’esercizio in tutte le branche della medicina, con la sola esclusione di quelle riservate per legge a coloro che abbiano conseguito un apposito diploma o specializzazione, rimanendo, nel resto, le specializzazioni post laurea percorsi di formazione integrativi di una medesima professionalità e rispettosi della sostanziale, indistinta ed onnicomprensiva competenza propria dell’arte medica.

L’iscrizione all’albo dei medici abilita di per sé allo svolgimento dell’attività chirurgica non essendo richiesto anche il possesso del diploma di specializzazione nei diversi settori della chirurgia e quindi non integra il reato di cui all’art. 348 la condotta del medico che esegua interventi di chirurgia plastica pur non avendo conseguito la specializzazione in chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica. Il superamento dell’esame di Stato per il conseguimento dell’abilitazione all’esercizio della professione di medico-chirurgo lascia in tal caso soddisfatta, per una scelta operata dal legislatore ordinario, la formazione richiesta a tutela del diritto alla salute senza che sia necessario, nella natura interdisciplinare delle stesse, per l’esercizio di quelle branche della medicina che corrispondono alle varie specializzazioni in chirurgia, un ulteriore titolo abilitativo là dove la previsione di una pluralità di specializzazioni nel settore risponde alla diversa finalità di attuazione di direttive comunitarie di orientamento.

La prospettiva è destinata a mutare dove sia la legge ordinaria a subordinare l’esercizio della professione medica a corsi di laurea distinti da quello in Medicina e Chirurgia che, partitamente disciplinati in via amministrativa per previsione di distinte abilitazioni e forme di pubblicità e controllo derivanti dall’iscrizione a distinti albi professionali, valgono ad individuare altrettanti e diversi profili professionali, segnati, ciascuno, da competenza tipica o riservata. Tanto avviene per l’esercizio professionale-specialistico della radiodiagnostica, della radioterapia e della medicina nucleare, per l’attività del medico competente ai sensi della normativa per la tutela dei lavoratori; per l’attività dello psicoterapeuta. In siffatto scrutinato ambito si colloca la disciplina della professione sanitaria di odontoiatra.

A seguito dell’approvazione delle direttive del Consiglio delle Comunità Europee del 27 luglio 1978, direttiva 78/686/CEE – concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di dentista e comportante misure destinate ad agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi  e direttiva 78/687/CEE  concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative per le attività di dentista-, con il DPR 315/1980 ha trovato istituzione il corso di laurea in odontoiatria e protesi dentaria.

Con la L. 409/1985, titolata ‘Istituzione della professione sanitaria di odontoiatra e disposizioni relative al diritto di stabilimento ed alla libera circolazione di servizi da parte dei dentisti cittadini di Stati membri delle Comunità europee ed i successivi provvedimenti  la L. 471/1988 ed il DLGS 386/1998 , in organica attuazione della normativa comunitaria, si stabilisce che la professione di odontoiatra venga esercitata «da coloro che sono in possesso del diploma di laurea in odontoiatria e protesi dentaria e della relativa abilitazione all’esercizio professionale, conseguita a seguito del superamento di apposito esame di Stato» (art. 1 come modificato dall’art. 13 della L. 14/2003; artt. 2, comma 1, e 3) e viene definita la materia di competenza della nuova figura sanitaria come comprensiva delle «attività inerenti alla diagnosi ed alla terapia delle malattie ed anomalie congenite ed acquisite dei denti, della bocca, delle mascelle e dei relativi tessuti, nonché alla prevenzione ed alla riabilitazione odontoiatriche» (art. 2, comma 1, L. 409).

Vige un generale regime di incompatibilità tra iscrizione all’albo degli odontoiatri e l’iscrizione ad altri albi professionali (art. 4, comma 3) e si riconosce facoltà di iscrizione a peculiari categorie di medici (art. 4, comma 2; art. 20, comma 1) tra i quali rientrano i laureati in medicina e chirurgia abilitati all’esercizio professionale che abbiano iniziato la formazione universitaria prima del 28 gennaio 1980 o dopo detta data ed entro quella del 31 dicembre 1984, avendo superato la prova attitudinale prevista dal DLGS 386/1998 o trovandosi in possesso dei diplomi di specializzazione indicati nell’art. 19, comma 3, e nell’art. 20, comma 1, lett. b) (odontoiatria e protesi dentaria, chirurgia odontostomatologica, odontostomatologia, ortognatodonzia).

L’esercizio della professione è quindi, in via ordinaria consentito, ferme le deroghe individuate dalla disciplina transitoria dovuta dalla necessità di disciplinare con i dovuti distinguo di posizioni peculiarmente connotate dalle diverse discipline determinate dal susseguirsi delle fonti, a colui che, conseguita la laurea in odontoiatria e protesi dentaria, abbia superato l’esame di Stato e sia iscritto al relativo albo. Il tema del carattere comune e non specialistico della formazione, espressivo del canone che attribuisce alla medicina generale, conoscenza e competenza su tutto il corpo umano, si rivela come tale superato ed estraneo sia alla prospettiva comunitaria, ed alle sottese sue esigenze, che alla normativa nazionale di settore.

Quest’ultima, infatti, nel riconoscere all’esame di abilitazione ed all’iscrizione all’albo istituito presso il competente ordine professionale i momenti cardine della formazione e della organizzazione della professione sanitaria, risponde alla generale esigenza che ogni attività medica si svolga secondo tracciati che, puntualmente disciplinati dalla norma primaria anche per i profili sanzionatori, della prima consentano il controllo di competenza e deontologico o etico, nel rilievo sociale della professione medica destinata ad incidere su diritti a protezione costituzionale, quale è quello alla salute (art. 32 Cost.).

Le prassi, anche ove stabilmente affermatesi all’interno delle strutture sanitarie e per le quali, laureati in Medicina e Chirurgia con specializzazione in branche riconducibili all’odontoiatria, al di fuori del sistema transitorio, svolgono attività di diagnosi e terapia delle malattie ed anomalie congenite ed acquisite dei denti, della bocca, delle mascelle e dei relativi tessuti, nonché di prevenzione e riabilitazione odontoiatriche, per quelli che sono i contenuti tipici dell’attività del medico odontoiatra (art. 2, comma 1, L. 409/1985), non valgono ad incrinare il sistema del tutto diversamente connotato e neppure sostengono un modello alternativo di competenza, in difetto di fonti primarie di disciplina.

Il carattere interdisciplinare delle competenze proprie dell’odontoiatra che si vorrebbero come tali condivise anche dalla formazione del laureato in Medicina e chirurgia che abbia sostenuto esami specialistici in odontostomatologia o che sia specializzato in chirurgia maxillo-facciale, se vale a registrare aree di pertinenza comuni, o di sovrapposizione, rispetto ai due percorsi professionali non può comunque spingersi ad affermare l’esistenza di un complessivo sistema che, diretto ad esautorare quello delineato, funzionale al riconoscimento di una identità di effetti (Sez. 6, 2691/2018).

L’imputato aveva esercitato in modo stabile la professione di odontoiatra non essendo iscritto all’Ordine professionale dei medici e odontoiatri. Tale iscrizione è richiesta dallo Stato italiano, indipendentemente dal luogo di conseguimento del titolo di formazione e dalla cittadinanza del professionista, per esercitare la professione di odontoiatria sul territorio nazionale, trattandosi di professione regolamentata. Il DLGS 206/2007, anche al fine di dare attuazione alla normativa comunitaria in materia di reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali tra gli Stati membri, ha dettato la normativa nazionale per l’accesso alle “professioni regolamentate” (ovvero quelle il cui esercizio è consentito nello Stato solo a seguito di iscrizione in Ordini, Collegi, Registri o Albi, subordinata al possesso di qualifiche professionali o all’accertamento di specifiche professionalità), stabilendo i presupposti necessari per conseguire l’iscrizione richiesta, che resta pur sempre condizione essenziale per l’esercizio delle suddette professioni.

La previsione della necessità della suddetta iscrizione non si pone affatto in contrasto con la normativa dell’Unione europea. In particolare, la Direttiva 2005/36/CE in tema di riconoscimento delle qualifiche professionali, ha previsto la “libera prestazione di servizi” da parte dei cittadini degli Stati membri UE, ma deve trattarsi di attività temporanea ed occasionale e che in ogni caso deve garantire la stretta osservanza della salute. Pertanto, anche in tale circoscritta ipotesi, la normativa europea ha richiesto agli Stati membri la previsione di disposizioni specifiche per le professioni regolamentate aventi implicazioni in materia di sanità pubblica.

Solo in presenza di servizi occasionali e temporanei, la normativa UE ha previsto la “esenzione” dei prestatori di servizi dalle iscrizioni ad organizzazioni o organismi professionali, imposte ai professionisti stabili sul territorio dello Stato membro, consentendo comunque agli Stati di prevedere forme semplificate di iscrizione o adesione, volte in particolare a salvaguardare il settore della sanità pubblica. Ciò premesso, anche a voler tacere della genericità delle censure formulate dal ricorrente quanto alle direttive violate, è pertanto evidente che la tesi sostenuta nel ricorso è del tutto infondata.

Anche la sentenza evocata (tra l’altro sempre genericamente) dal ricorrente (CGUE, Sez. 5, 202/2011) non ha alcuna pertinenza con il tema in esame. In tale arresto è stato affermato che la Repubblica italiana, avendo previsto un secondo “sistema di formazione” per l’accesso alla professione di odontoiatra non conforme dalla Direttiva del Consiglio 25 luglio 1978 n. 78/687/CE, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative per le attività di dentista, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza della suddetta direttiva.

Quindi con tale pronuncia non è stata messa in discussione la competenza degli Stati membri in materia di istituzione e di tenuta degli albi professionali, come espressamente si afferma per inciso al § 44 e come tra l’altro espressamente dimostrato dalla sopra richiamata normativa europea dettata successivamente per la prestazione di servizi (Sez. 6, 6129/2019).

Lo svolgimento dell’attività di odontoiatra da parte dei cittadini dell’Unione europea in possesso del diploma rilasciato da uno Stato dell’Unione non configura gli estremi del reato previsto dall’art. 348 solo se l’interessato abbia presentato domanda al Ministero della Sanità e questo, dopo aver accertato la regolarità dell’istanza e della relativa documentazione, abbia trasmesso la stessa all’ordine professionale competente per l’iscrizione (Sez. 6, 47532/2013).

 

…Nutrizionisti

Il reato di cui all’art. 348 è integrato anche dalla sola fornitura, da parte di soggetti privi di specifiche competenze (medico biologo, farmacista, dietologo), di indicazioni alimentari personalizzate in base alle caratteristiche fisiche della persona richiedente, avuto riguardo alle ricadute della materia sulla salute pubblica (Sez. 6, 20281/2017).

 

…Fisioterapisti

L’attività del fisioterapista consiste nell’elaborazione di programmi di riabilitazione nei confronti del disabile, nell’attività terapeutica per la rieducazione funzionale delle disabilità motorie, psicomotorie attraverso terapie fisiche e manuali, nella proposizione di protesi ed ausili nei confronti dei sopraindicati soggetti. Siffatta attività professionale può essere praticata nei confronti di pazienti le cui condizioni generali non presuppongono la necessità di intervento medico. Chi non sia in possesso di laurea in medicina non può formulare diagnosi o prescrivere terapie, in assenza delle prescrizioni medicali (Sez. 6, 54438/2018).

L’art. 2, comma 2, della L. 251/2000 reca la “disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica”. L’art. 2, comma 2, del DM 741/1994, contiene a sua volta il “Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del fisioterapista”.

L’inciso contenuto nel comma 2 dell’art. 2 del DM 741/1994 (in riferimento alla diagnosi ed alle prescrizioni del medico) e il riferimento ai «profili professionali» contenuto nell’art. 2 L. 251/2000, in relazione alle professioni sanitarie innanzi indicate, circoscrivono l’entità dell’autonomia riconosciuta al fisioterapista nel duplice senso che essa può esplicarsi solo nell’ambito del profilo e delle competenze professionali proprie del fisioterapista e, comunque, in rapporto con le diagnosi e prescrizioni di stretta competenza medica, cioè all’interno di una preliminare individuazione del problema clinico e del tipo di risposta riabilitativa necessaria, oltre che della verifica dei risultati, quindi nel rispetto delle prerogative che la normativa statale in materia riabilitativa attribuisce al medico e al fisiatra, al quale spetta la definizione del programma riabilitativo del singolo paziente e la predisposizione dei singoli atti terapeutici, di cui resta responsabile, anche se la loro esecuzione è frutto del lavoro di un’equipe della quale fa parte anche il fisioterapista.

L’art. 1, comma 2, DM 741/1994 - con riferimento all’autonomia riconosciuta al fisioterapista, anche in relazione alla cura - va dunque inteso nel senso di consentire al fisioterapista di prestare la propria attività, prendendo a riferimento le diagnosi e le prescrizioni del medico, sia autonomamente che in équipe, ma solo in funzione esecutiva delle prescrizioni mediche (Sez. 6, 29667/2018).

 

…Infermieri e ostetrici

Le funzioni d’infermiere professionale non possono essere legittimamente attribuite, in modo continuativo e normale, ad un’ostetrica, al di fuori della connessione con i compiti ai quali essa è professionalmente chiamata (Consiglio di Stato, Sez.5, 1729/2001).

L’art. 7 DPR 163/1975 consente all’ostetrica di svolgere le attività proprie degli infermieri professionali in connessione alla sua attività per l’assistenza alle gestanti, alle partorienti e alle puerpere; pertanto è illegittimo l’ordine di servizio che assegna all’ostetrica esclusivamente mansioni proprie dell’infermiere, quale è quella di somministrazione dei vaccini (TAR L’Aquila, 141/1998).

In senso contrario: l’ostetrica che sia in possesso del relativo diploma legittimamente è inquadrata nei ruoli dell’USL come infermiera professionale poiché ai sensi dell’art. 7, comma 1, DPR 163/1975, il diploma di ostetrica abilita anche all’esercizio dell’attività di infermiera professionale, assorbendone le funzioni (TAR Napoli, Sez. 4, 291/1991).

Tra i compiti accessori delle ostetriche rientra anche quello di effettuare, nei riguardi delle malate, una diretta assistenza di carattere infermieristico, purché tale compito sia attinente alla competenza professionale delle ostetriche ed abbia carattere strumentale, residuale e sussidiario (Sez. 5, 998/1994).