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Art. 349 - Violazione di sigilli

1. Chiunque viola i sigilli, per disposizione della legge o per ordine dell’autorità apposti al fine di assicurare la conservazione o l’identità di una cosa, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032 (1)

2. Se il colpevole è colui che ha in custodia la cosa, la pena è della reclusione da tre a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 3.098 (1).

(1) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

Il reato di violazione di sigilli è configurabile anche nel caso in cui i sigilli siano stati apposti esclusivamente per impedire l’uso illegittimo della cosa, perché questa finalità deve ritenersi compresa in quella, menzionata nell’art. 349, di assicurare la conservazione o la identità della cosa (SU, 5385/2010).

Il reato di violazione di sigilli ha natura istantanea e si perfeziona sia con la materiale violazione dei sigilli, sia con qualsiasi condotta idonea a frustrare il vincolo di immodificabilità imposto sul bene per disposizione di legge o per ordine dell’autorità (Sez. 3, 38198/2017).

Il reato di violazione di sigilli ha natura istantanea e si perfezione per il solo fatto della rimozione, rottura, apertura, distruzione dei sigilli, ovvero con la realizzazione di qualsiasi comportamento idoneo a frustrare l’assicurazione della cosa mediante i sigilli pur lasciando intatti i medesimi. Il momento di perfezionamento del reato può essere desunto anche da indizi gravi, precisi e concordanti e da nozioni di comune esperienza: quindi si può ritenere, in virtù di considerazioni logiche (l’inosservanza dei doveri imposti avviene a distanza di qualche tempo), di fatti notori (sospensione dell’attività edilizia durante il periodo natalizio), di massime di esperienza (l’accertamento viene effettuato tempestivamente a seguito, per lo più, di denuncia anonima) che il momento consumativo del delitto coincida con quello dell’accertamento, salva l’esistenza di ipotesi anomale e particolari da provare rigorosamente, le quali intaccano la detta presunzione rendendo almeno dubbia l’epoca di commissione dei fatti (Sez. 6, 52566/2016).

Oggetto della tutela penale del reato di violazione di sigilli, non è solo la cosa assicurata dai sigilli, ma anche il mezzo giuridico che ne sancisce l’assoluta indisponibilità; ciò perché la ratio dell’incriminazione risiede nella necessità di presidiare con la sanzione penale il mancato rispetto dello stato di custodia, nel quale vengano a trovarsi determinate cose, mobili o immobili, per effetto della manifestazione di volontà della P.A. espressa nell’apposizione dei sigilli. Quindi, la finalità di assicurare la conservazione della cosa sigillata, alla quale fa riferimento l’art. 349, viene frustrata anche mediante il semplice uso di essa, perché il concetto di conservazione comprende non solo la categoria dell’indisponibilità, ma anche quella dell’interdizione dell’uso (Sez. 3, 39342/2018).

Il sigillo non è il mezzo con il quale si assicura materialmente la indisponibilità di un bene, ma lo strumento simbolico attraverso cui si manifesta la volontà dello Stato di garantire la cosa, oggetto della misura cautelare, contro ogni atto di disposizione o manomissione. Ne consegue che non può ritenersi essenziale, ai fini del reato di violazione di sigillo, che le modalità di apposizione degli stessi siano tali da impedire, se non mediante la loro effrazione, l’accesso alla cosa che si è voluto rendere intangibile (Sez. 7, 14798/2019).

Per la sussistenza del delitto di cui all’art. 349 non è necessario che il responsabile venga colto sul fatto oppure che i lavori siano in corso al momento dell’accertamento oppure venga utilizzata la cosa oggetto di sequestro, ma è sufficiente che esistano indizi gravi, precisi e concordanti perché il fatto della violazione dei sigilli possa essere riferibile all’imputato ed, una volta individuato il responsabile, salva la dimostrazione di particolari ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, ovvero di una colpevole vigilanza (Sez. 7, 9072/2019).

Il momento consumativo del reato di violazione di sigilli può essere ritenuto coincidente con quello dell’accertamento - sulla base di elementi indiziari, di considerazioni logiche, ovvero di fatti notori e massime di esperienza - salvo che venga rigorosamente provata l’esistenza di situazioni particolari o anomale, idonee a confutare la valutazione presuntiva e a rendere almeno dubbia l’epoca di commissione del fatto (Sez. 6, 5871/2019).

 

Aggravante della custodia

In tema di violazione di sigilli, la circostanza aggravante della qualità di custode prevista dall’art. 349, secondo comma, ha natura soggettiva e può comunicarsi ai concorrenti che siano a conoscenza o ignorino colpevolmente tale qualità, non rientrando la stessa tra quelle circostanze soggettive da valutarsi soltanto con riguardo alla persona cui si riferiscono (Sez. 3, 2283/2018).

La circostanza aggravante della qualità di custode, di cui al comma secondo dell’art. 349, si comunica ai concorrenti nel reato che siano a conoscenza o ignorino colpevolmente tale qualità, non rientrando la stessa tra quelle circostanze soggettive da valutarsi soltanto con riguardo alla persona cui si riferiscono (Sez. 3, 2283/2018, con riguardo alla moglie del custode di opera edilizia sequestrata, in quanto comproprietaria dell’opera dove per lungo tempo si erano protratti i lavori abusivi, nonché coniuge convivente dell’autore) (Sez. 3, 5935/2019).

In tema di violazioni di sigilli, il custode giudiziario  per la sua qualità di soggetto destinatario di uno specifico obbligo di vigilanza sulla cosa affinché ne venga assicurata o conservata l’integrità  risponde della violazione di sigilli a meno che non dimostri che si verte in ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore (Sez. 3, 29040/2013).

Risponde del reato di violazione di sigilli, in concorso con terzi, il custode del bene in sequestro che non abbia adeguatamente vigilato sull’integrità dei sigilli apposti, a nulla rilevando il fatto che risiedesse in luogo diverso da quello ove era sito il bene in sequestro, non potendo valere detta circostanza come forza maggiore impeditrice dell’esercizio del dovere di vigilanza (Sez. 3, 35956/2010).

A seguito della riscontrata violazione dei sigilli per la prosecuzione della realizzazione di un manufatto abusivo, risponde del reato di cui all’articolo 349 il custode giudiziario che non dimostri che si verte in ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore, atteso che su di esso grava l’obbligo di impedire la violazione dei sigilli stessi (Sez. 3, 19424/2006).

 

Casistica

La violazione di sigilli, penalmente sanzionata dall’art. 349, è reato frequentemente correlato con le violazioni urbanistiche e si configura attraverso la prosecuzione dell’attività edilizia in un cantiere sequestrato con apposizione dei sigilli, violando così il vincolo di immodificabilità apposto sulla cosa nell’interesse dell’amministrazione della giustizia, atteso che il sequestro dell’immobile e la conseguente apposizione dei sigilli mirano ad impedire la prosecuzione dei lavori e l’ultimazione dell’opera (Sez. 3, 359/2019).

Ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 349, non occorre che i sigilli siano stati materialmente apposti, né tanto meno che gli stessi siano stati oggetto di rottura o di rimozione, essendo sufficiente l’esistenza di qualche atto attraverso il quale sia stata resa manifesta la volontà dello Stato di garantire la cosa sequestrata contro ogni condotta di disposizione o manomissione da parte di persone non autorizzate, poiché oggetto specifico della tutela penale è l’interesse pubblico a garantire il rispetto dovuto al particolare stato di custodia imposto, per disposizione di legge o per ordine dell’autorità, ad una determinata cosa mobile o immobile, al fine di assicurarne la conservazione, l’identità e la consistenza oggettiva (Sez. 3, 24684/2015).

Il reato di cui all’art. 349, nell’ipotesi in cui i sigilli siano apposti sulla cosa o su una parte di essa allo scopo di impedire la prosecuzione illegittima di un’attività, è integrato anche dal semplice riutilizzo del bene o ripresa dell’attività illecita mediante accorgimenti idonei ad evitare la lesione dell’integrità materiale del sigillo (fattispecie relativa al sequestro di un autolavaggio azionato senza intervenire sul quadro elettrico sul quale erano stati apposti i sigilli) (Sez. 3, 7407/2015).

Non è necessario, per poter ritenere configurabile il delitto di cui all’art. 349, che l’area (nel caso in esame uno specchio d’acqua) sottoposta a sequestro (per rendere evidente il quale siano stati apposti i sigilli) venga nuovamente stabilmente occupata, essendo sufficiente la effrazione dei sigilli e il nuovo ingresso dell’area, anche se non duraturo: la disposizione, nel configurare il reato come di pericolo, a salvaguardia della intangibilità dei segni apposti alle aree sequestrate, non richiede che quanto sequestrato venga, dopo la illecita rimozione dei sigilli, anche materialmente appreso o rioccupato (Sez. 3, 50644/2018).

L’unicità del disegno criminoso fra il reato di costruzione senza concessione edilizia e quello di violazione dei sigilli, nonché tra le diverse violazioni dell’art. 349, può essere esclusa solo ex post, sulla base di concreti elementi di fatto, e non già a priori (Sez. 1, 51642/2018).

L’inefficacia o l’illegittimità del provvedimento di sequestro o di apposizione di sigilli non esclude il delitto di cui all’art. 349, atteso che la norma incriminatrice richiede solo che l’apposizione dei sigilli derivi da una disposizione di legge o da un ordine dell’Autorità, così che, una volta che il vincolo sia stato apposto a tutela della identità e della conservazione della cosa, esso non può essere violato dal privato, sino a che non venga formalmente rimosso dall’Autorità competente (Sez. 3, 2241/2017).