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Brevi cenni in ordine al ruolo del marchio su internet

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1. Lo sviluppo del mercato su Internet ed il ruolo dei marchi e dei segni distintivi

2. Uso del marchio su Internet

3. Servizi di advertising

4. Usi illeciti del marchio altrui

5. Conclusioni

 

1. Lo sviluppo del mercato su Internet ed il ruolo dei marchi e dei segni distintivi

La diffusione di Internet, sia come strumento di comunicazione di massa sia come nuova frontiera del mercato, ha senza ombra di dubbio determinato notevoli cambiamenti all’interno dello scenario delle opportunità commerciali che vede protagoniste le singole imprese.

Internet, nel corso degli ultimi anni, ha determinato tutta una serie di importanti modifiche tanto con riferimento alle dinamiche di produzione e di commercio di prodotti e/o servizi, quanto con riguardo al complesso delle relazioni umane che per l’effetto hanno subito un mutamento molto significativo, anche in ragione della facilità con cui oggigiorno le imprese riescono a raggiungere un’illimitata platea di pubblico.

Il web, infatti, rappresenta uno strumento di comunicazione di massa indispensabile per le imprese, le quali, attraverso la rete, che è luogo totalmente privo di frontiere e confini, incrementano e promuovono le proprie attività commerciali, il cui fiorire ha dato vita al c.d. e-commerce o commercio elettronico.

Oggi infatti qualsiasi tipo di attività vale a dire negoziazioni, trattative, stipulazione di contratti, distribuzione di beni, fornitura di servizi, può svolgersi senza problemi direttamente nella rete.

Le dinamiche del web hanno ineluttabilmente coinvolto anche il mondo dei segni distintivi (come marchio, ditta, insegna e domain name), il cui ruolo ha assunto un carattere di importanza primaria in quanto risultato di espressioni preordinate alla valorizzazione dell’immagine delle imprese.

Difatti, per ogni impresa, come è facilmente intuibile, è di vitale importanza che i propri prodotti e/o servizi siano riconosciuti dal grande pubblico e soprattutto è fondamentale che gli stessi siano distinti da quelli di un’impresa concorrente.

All’interno del delineato quadro di riferimento non appare revocabile in dubbio che il marchio svolga un ruolo fondamentale, sotto plurimi aspetti, in ragione del fatto che il medesimo segno contraddistingue prodotti e/o servizi, assume una funzione qualitativa e di garanzia dei prodotti e dei servizi stessi ed assolve ad una funzione comunicativa e pubblicitaria.

Quanto testé evidenziato ha determinato il ricorso a nuove forme di competizione e di concorrenza tra le imprese, le quali quotidianamente cercano di attrarre un numero sempre maggiore di visitatori all’interno delle proprie pagine web.

Nel delineato e rappresentato quadro di insieme tuttavia, non mancano episodi in cui i mezzi utilizzati dalle imprese assumono caratteri di illiceità ed è proprio in questi casi che si configurano fattispecie di concorrenza sleale che verranno successivamente esaminate.

 

2. Uso del marchio su Internet

L’uso del marchio è disciplinato dall’articolo 20 Codice Proprietà Industriale, norma questa che consente a chi è titolare di un marchio registrato di farne un uso esclusivo. Ciò sta a significare che, fatto sempre salvo il proprio consenso, il titolare di un marchio ha il diritto di vietare a terzi l’utilizzo nell’attività economica di

a) un segno identico al proprio marchio per prodotti e/o servizi identici;

b) un segno identico o simile per prodotti o servizi identici o affini;

c) un segno identico o simile per prodotti e/o servizi anche non affini nel caso in cui il marchio registrato gode di rinomanza.

Va inoltre ancora posto nel dovuto risalto che l’uso esclusivo del marchio da parte del titolare così come qualificato dalla norma non è incondizionato, ma trova dei limiti nell’articolo 21 Codice Proprietà Industriale.

Quest’ultima norma prevede, infatti, che il titolare, nello svolgimento della propria attività economica non possa vietare a terzi, l’uso del proprio nome e cognome, l’uso di indicazioni relative alla specie alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto e della prestazione del servizio, ovvero ad altre caratteristiche proprie del prodotto medesimo (il c.d. uso descrittivo), nonché l’uso del marchio di impresa se necessario per indicare la destinazione di un prodotto e/o servizio (es. accessori e/o pezzi di ricambio) purché tale uso sia conforme ai principi di correttezza professionale, ossia non determini il verificarsi di illeciti concorrenziali e non crei confusione all’interno del mercato.

L’articolo 21 Codice Proprietà Industriale si pone dunque quale linea guida per determinare ciò che è consentito e ciò che non lo è.

Le disposizioni dettate dalla norma si applicano ovviamente anche al mondo di internet, ambito nel quale è infatti consentito usare il marchio altrui o in maniera descrittiva oppure su autorizzazione del titolare tramite accordi di licenza o altri accordi specifici in merito.

In quest’ultima ipotesi, ossia quella in cui un terzo sia autorizzato all’uso del marchio altrui, l’autorizzazione concessa deve specificare i luoghi di pubblicazione del logo (es. sito web, landing page, e-mail, brochures pubblicitarie), gli usi che se ne faranno, oltre che i tempi ed i modi.

È quindi opportuno in sede contrattuale specificare in una clausola ad hoc, le modalità di uso del marchio sul sito web aziendale e sui profili social da parte del terzo autorizzato. Inoltre, anche il logo che il terzo utilizzerà dovrà essere riportato sulla pagina web senza nessuna modifica che ne alteri la forma o il colore determinati in sede di registrazione, attesa l’evidenza che ogni uso del marchio altrui che genera situazioni di confusione o effetti distorsivi non è consentito.

La registrazione del marchio rappresenta dunque un tassello fondamentale per qualsiasi impresa che voglia utilizzare e tutelare un marchio sul proprio sito istituzionale e sui propri canali social.

Oltre alla registrazione del marchio, all’interno del proprio sito web o delle pagine social è altresì, consigliabile inserire disclaimer come ad esempio tutti i diritti riservati, oppure il marchio e/o il segno distintivo registrato che sono di proprietà del rispettivo titolare. Ciò consente al titolare medesimo di godere di una più pregnante ed incisiva tutela dei propri segni distintivi nel momento in cui si viene a rilevare un illecito ad opera di terzi in quanto le disclaimer identificano all’istante che il segno oggetto di violazione è stato registrato.

Va da sé che l’uso del marchio, all’interno di un sito web può ben essere accompagnato dalle immagini dei propri prodotti.

Nel caso in cui invece il titolare utilizzi il proprio marchio in comparazione con prodotti a marchio altrui occorre, invece, prestare molta attenzione nella gestione di tale operazione in quanto, in caso di cattiva conduzione dell’operazione si corre il rischio di generare confusione fra prodotti ovvero di cadere nella cosiddetta pubblicità comparativa, senza il rispetto dei limiti che la legge impone per questo tipo di pubblicità.

 

3. Servizi di advertising

Sul web, oltre agli usi classici del marchio, è altresì possibile per i titolari di un marchio registrato, utilizzare servizi online di advertising, ovvero servizi offerti dai motori di ricerca internet.

I servizi di advertising consentono all’inserzionista, tramite l’acquisto di una parola o di una combinazione di esse (le c.d. keywords) di comparire nella pagina dei risultati di ricerca degli utenti che hanno impostato la loro ricerca sulla base di tale o tali parole.

Uno dei servizi di posizionamento più noto ed utilizzato è il servizio offerto da Google ossia “Google Adwords”.

Generalmente in materia di illeciti concorrenziali, i motori di ricerca non sono ritenuti responsabili per le fattispecie di concorrenza sleale poste in essere dagli inserzionisti nell’utilizzo di keywords violative dei segni distintivi altrui, in quanto essi svolgono soltanto una funzione passiva che consiste nella fornitura di parole chiave agli inserzionisti medesimi.

Per quanto riguarda l’aspetto della responsabilità dei motori di ricerca la Corte di Giustizia Europea in data 23 marzo 2010, occupandosi del caso Google France, ha delineato i margini di responsabilità e di coinvolgimento dei motori di ricerca nel caso in cui si verifichino illeciti concorrenziali realizzati dagli inserzionisti.

Secondo la Corte, Google non fa uso di marchi contraffatti dato che, come già sopra evidenziato, si limita a consentire ai propri clienti di usare tali marchi attraverso la fornitura di keywords.

L’organo giudicante, a tal proposito, statuisce che è l’inserzionista che “acquista” un altrui marchio come Adword a fare un “uso nel commercio” di tale marchio “per promuovere i propri prodotti e servizi”.

Pertanto, è la condotta dell’inserzionista che “acquista” un altrui marchio come Adword ad integrare la contraffazione di tale marchio ai sensi dell’articolo 5, n. 1, lett. a), della Direttiva 2000/31/CE, allorquando si determini un pregiudizio attuale o potenziale alle funzioni del marchio altrui soprattutto con riferimento alla sua funzione di indicazione di provenienza ed alla sua funzione pubblicitaria.

Secondo la Corte l’illecito si configura allorché l’annuncio che accompagna il link sponsorizzato induca l’utente di Internet a ritenere la sussistenza di un “collegamento economico” tra l’autore dell’annuncio o il titolare del sito, ovvero quando il medesimo sia talmente vago da non consentire all’utente “normalmente informato e ragionevolmente attento” di sapere, sulla base di tale annuncio e del link, se tale collegamento sussista o meno.

Per l’organo giudicante, Google, al contrario dell’inserzionista, può beneficiare dell’esenzione di responsabilità prevista dall’articolo 14, n. 1 della Direttiva 2000/31CE per l’attività di catching, a condizione che si limiti ad attività di ordine “meramente tecnico, automatico e passivo” ed a condizione di non aver alcuna conoscenza, né controllo sul contenuto di tali informazioni.

Tale condizione di neutralità non viene meno per il solo fatto che Google offra il servizio di Adword a pagamento e che tale pagamento condizioni l’ordine di visualizzazione delle inserzioni, ma dipende dal ruolo svolto da Google nella redazione del messaggio che accompagna il link pubblicitario e nella selezione degli adword.

Ciò sta a significare che in pratica, Google è responsabile solo qualora esso motore di ricerca sia a conoscenza dell’illecito e non intervenga prontamente a rimuovere le keywords oggetto di concorrenza sleale e contraffazione.

 

4. Usi illeciti del marchio altrui

In conformità a quanto sopra già riferito, è del tutto evidente come l’uso del marchio altrui su internet non vada considerato sempre lecito giacché nel mondo del web possono ravvisarsi varie e plurime fattispecie di illeciti concorrenziali che determinano ipotesi di sviamento della clientela poiché il pubblico viene indotto a credere che sussista un collegamento tra il titolare del sito ed il marchio altrui abusivamente utilizzato.

Una prima fattispecie di illecito, la si riscontra nella c.d. usurpazione classica ossia, nell’utilizzazione del marchio altrui su un sito internet con modalità distintive (es. banners pubblicitari, pop up windows) al preordinato fine di far credere al consumatore che i prodotti e/i servizi provengano dalla stessa impresa.

Altra fattispecie che però oggi non è più considerata un illecito anticoncorrenziale è il c.d. Deep linking, ossia un collegamento ipertestuale diretto volto rinviare il consumatore su un altro sito senza passare per la home page di quest’ultimo.

Non appare pleonastico ricordare che tale schermato collegamento, per il solo fatto che potesse indirizzare capziosamente il consumatore verso una pagina specifica di un altro sito web, e, quindi, di conseguenza indurre il consumatore a ritenere che l’informazione provenisse direttamente dal titolare del sit web originario, veniva, dalla dottrina e dalla giurisprudenza di un passato peraltro non molto lontano, considerato quale illecito concorrenziale.

Oggigiorno, invece, siffatto carattere non viene più rilevato come patologico dalla giurisprudenza prevalente il cui mutato orientamento si fonda sulla considerazione che nel deep linking non emergono profili di illiceità laddove al visitatore appaia comprensibile il fatto di trovarsi su una pagina diversa da quella che stava esaminando.

Non appare inutile riferire che tale evidenza si considera presunta in ragione del dato obiettivo e consolidato che la pratica di indirizzare il consumatore sulla pagina di un altro sito rappresenta ormai la prassi costante nel mondo del web.

Altro caso tipico, anche se ormai, per vero, desueto, è il framing che si configura quando al consumatore, durante la navigazione su un sito web, senza che sia cambiato l’indirizzo web del browser, vengono mostrati contenuti appartenenti ad altri siti all’interno del frame. La presenza di contenuti e segni distintivi, riconducibili ad altre imprese, può ingenerare un rischio di confusione per il consumatore atteso che il framing rappresenta in termini di tutta evidenza una forma di sfruttamento parassitario del marchio altrui.

In ultimo vi sono i Metatags ossia le parole chiave inserite da un soggetto terzo nel linguaggio HTML del proprio sito che richiamano il segno distintivo di un concorrente. Un esempio tipico è la ditta di borse che impiega come metatag il marchio di un produttore famoso di borse.

In sintesi tali fenomeni anche se possono essere contrastati, purtroppo non possono essere con facilità prevenuti. Pertanto, è fortemente consigliabile alle imprese di munirsi di idonei ed adeguati servizi di sorveglianza in maniera tale da poter intervenire prontamente una volta che vengano individuate e riscontrate tali improprie condotte.

 

5. Conclusioni

La rete, ed il commercio elettronico, hanno senza alcuna ombra di dubbio favorito l’espansione delle attività d’impresa.

Va però, per correttezza soggiunto che tale processo di dilatazione espansiva ha comportato, come contraltare l’effetto della moltiplicazione delle ipotesi di una proliferazione parassitaria di prodotti e servizi dichiaratamente diversi da quelli autentici.

A prescindere dalle evidenti responsabilità dell’inserzionista, dalle quali, come abbiamo già visto e sopra rappresentato, non sempre può essere esentato il gestore del servizio, le imprese interessate devono avere un ruolo attivo per cercare impedire che il proprio marchio venga utilizzato illecitamente.

Per questo motivo si rende necessario il ricorso a strumenti preventivi di informazione e di tutela  quali l’utilizzo di software che esplorino la rete e monitorino il marchio che si desidera tutelare (attivazione di un servizio di sorveglianza), l’utilizzo dei simboli ® e ™per configurare il marchio registrato, il deposito del nome a dominio corrispondente al marchio che si intende tutelare, l’inserimento di condizioni e termini per regolare eventuali link collegati al proprio sito ed il controllo del posizionamento del marchio di interesse su internet.

Tutte queste precauzioni anche se non possono sconfiggere in radice gli illeciti commessi su internet possono in ogni caso contribuire ad incrementare la protezione dei marchi registrati e accelerare il ricorso ai rimedi giudiziali volti alla tutela del titolare del marchio.