Capital gain da cessione di partecipazioni estere
Capital gain da cessione di partecipazioni estere
Abstract
Il profilo impositivo delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni in una società estera di un soggetto persona fisica va ricercato considerando sia la disciplina domestica che le norme pattizie contenute nelle Convenzioni contro la doppia imposizione. L’applicazione di una tassazione sostitutiva domestica impedise il recapture del foreign tax credit….distorsione da correggere
1. Premessa
Il profilo impositivo delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni in una società estera va ricercato considerando sia la disciplina domestica che le norme pattizie contenute nelle Convenzioni contro la doppia imposizione.
2. Capital gain domestico
Come abbiamo evidenziato in altri articoli di questa rubrica, nell’ordinamento domestico, l’articolo 3 del TUIR prevede che i redditi dei soggetti residenti nel territorio dello Stato, ovunque prodotti, siano tassati (a titolo definitivo) in Italia (worldwide taxation principle) mentre la tassazione in Italia trova applicazione per le persone fisiche non residenti soltanto in relazione ai redditi prodotti all’interno del territorio dello Stato (source-based taxation principle).
Seguendo questi principi le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni in società estere detenute da un soggetto fiscalmente residente in Italia sono tassate in Italia, ai sensi del citato articolo 3 del TUIR mentre le plusvalenze realizzate in Italia da soggetti non residenti sono tassate in base all’articolo 23 (eccezion fatta per quelle relative a partecipazioni quotate in mercati regolamentati).
La disposizione richiamata riserva la potestà impositiva allo Stato di residenza del soggetto cedente e, quindi, la plusvalenza derivante dalla cessione delle partecipazioni detenute all’estero dal soggetto fiscalmente residente in Italia, deve essere tassata in Italia salvo diversa pattuizione convenzionale stipulata con il Paese estero.
Il capital gain che origina dal trasferimento della proprietà della partecipazione o del titolo e percepito da persone fisiche (non in regime di impresa) si caratterizza per tre distinti regimi di tassazione:
- regime della dichiarazione;
- regime del risparmio amministrato;
- regime del risparmio gestito.
Soffermandoci sul solo regime dichiarativo, il capital gain realizzato viene catalogato nella categoria dei redditi diversi di natura finanziaria ai sensi dell’articolo 67 del TUIR e subisce una tassazione sostitutiva delle imposte sui redditi del 26% secondo il criterio di cassa: il gain viene determinato come differenza tra il corrispettivo percepito e il costo o il valore di acquisto assoggettato a tassazione, aumentato di ogni onere inerente alla loro produzione, compresa l’imposta di successione e donazione, con esclusione degli interessi passivi. Nel regime della dichiarazione si considerano ceduti prima gli strumenti finanziari acquisiti in data più recente, nella sostanza si applica il metodo del LIFO continuo (art. 67 comma 1-bis del TUIR).
Dal 2019 le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni societarie sono soggette ad imposta sostitutiva del 26% a prescindere dalla quota di partecipazione posseduta (partecipazione qualificata e non qualificata).
Una partecipazione si considera qualificata quando rappresenta complessivamente (art. 67 comma 1 lett. c) del TUIR):
- una percentuale di partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 25% ovvero una percentuale dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria superiore al 20%, per le società non quotate;
- una percentuale di partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5% ovvero una percentuale dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 2%, per le società i cui titoli sono negoziati nei mercati regolamentati.
I due criteri sono tra di loro alternativi: pertanto, affinché una partecipazione possa definirsi qualificata, è sufficiente che sia soddisfatto soltanto uno dei due requisiti mentre al di sotto di tali soglie, la partecipazione si considera non qualificata.
Per completezza, le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni, titoli e strumenti finanziari emessi da società residenti in Paesi o territori a fiscalità privilegiata qualificate e non qualificate concorrono alla formazione del reddito per il loro ammontare e sono sommate algebricamente alle minusvalenze, computate anch’esse in misura integrale. Resta fermo, l’obbligo di evidenziare separatamente i diversi comparti di plusvalenze e di minusvalenze nella dichiarazione dei redditi.
Le eventuali minusvalenze che eccedono le plusvalenze possono essere riportate in diminuzione dall’ammontare delle plusvalenze dei quattro periodi d’imposta successivi, purché ne sia fornita indicazione nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel quale le minusvalenze sono state realizzate.
3. Capital gain nelle norme convenzionali
La tassazione della plusvalenza derivante dall’alienazione di azioni o quote detenute in società estere, rende necessario coordinare la disciplina domestica con le norme pattizie convenzionali
stipulate dall’Italia.
A livello OCSE, le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazione sono disciplinate dall’articolo 13, § 5 ove viene stabilito che “Gains from the alienation of any property, other than that referred to in paragraphs 1, 2, 3 and 4, shall be taxable only in the Contracting State of which the alienator is a resident”: come a dire, che le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni sono soggette a tassazione esclusiva nel Paese del cedente e non in quello della società ceduta escludendo in tal modo la potestà impositiva del Paese in cui è collocata la partecipazione.
Tuttavia, analizzato quanto previsto dal paragrafo 5 dell’art. 13 del modello OCSE è necessario verificare se la medesima disposizione contenuta nel Modello OCSE è presente nella convenzione stipulata tra l’Italia e il Paese estero interessato e, a tal fine con l’ausilio di una tabella riassumiamo il contenuto previsto da alcune delle principali Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia:
Convenzione bilaterale |
Potestà impositiva |
ITALIA – AUSTRALIA |
Tassazione concorrente |
ITALIA – AUSTRIA |
Tassazione esclusiva dello Stato di residenza del cedente |
ITALIA – CINA |
Tassazione concorrente |
ITALIA – CANADA |
Tassazione esclusiva dello Stato di residenza del cedente |
ITALIA – FRANCIA |
Tassazione esclusiva dello Stato di residenza del cedente |
ITALIA – LUSSEMBURGO |
Tassazione esclusiva dello Stato di residenza del cedente |
ITALIA – ROMANIA |
Tassazione esclusiva dello Stato di residenza del cedente |
ITALIA – UNGHERIA |
Tassazione esclusiva dello Stato di residenza del cedente |
4. Mancato recapture del foreign tax credit
Con il metodo del credito d’imposta, infatti, quando l’imposta estera, rispetto a quella dovuta in Italia (Paese di residenza del contribuente) è:
- inferiore, occorre versare all’Erario italiano la differenza;
- superiore, non si dà luogo a “restituzione” dell’eccedenza, in quanto il credito compete solo fino a concorrenza dell’imposta italiana relativa al reddito estero.
Le asimmetrie tra imposta estera e italiana sono influenzate, oltre che dal diverso gioco delle aliquote, anche dalle differenze nei criteri di imputazione a periodo o di quantificazione dell’ammontare del reddito estero che viene assoggettato a imposizione nello Stato della fonte e in Italia secondo le rispettive norme interne.
Per quanto attiene l’ambito di applicazione, il credito d’imposta di cui all’art. 165 del TUIR è riconosciuto ai soggetti fiscalmente residenti in Italia quando sono rispettate le seguenti condizioni:
- la produzione di un reddito all’estero;
- il concorso di tale reddito alla formazione del reddito complessivo;
- il pagamento di imposte estere a titolo definitivo.
L’art. 165 del TUIR non è, quindi, applicabile in relazione ai redditi che non concorrono alla formazione del reddito complessivo imponibile in Italia, come ad esempio i redditi soggetti ad imposta sostitutiva per i quali non è stata richiesta l’opzione per la tassazione ordinaria (Agenzia delle Entrate circ. n. 9/2015).
Ai sensi dell’art. 165, comma 1 del TUIR, le imposte pagate all’estero a titolo definitivo sui redditi ivi prodotti sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino a concorrenza della quota d’imposta corrispondente al seguente rapporto:
Risulta evidente che l’assoggettamento del capital gain a imposta sostitutiva del 26% non consente il riconoscimento al cedente la partecipazione estera la possibilità di scomputare le eventuali imposte pagate all’estero: il mancato riconoscimento del foreign tax credit determina una doppia imposizione sul medesimo reddito con l’applicazione nella sostanza di una doppia imposizione una in uscita dall’estero e una in entrata dall’estero.
Questa evidente doppia imposizione provoca il mancato recapture delle imposte pagate nel Paese della fonte del reddito dall’imposta dovuta in Italia mediante il foreign tax credit e determina che lo stesso reddito venga assoggettato a una doppia tassazione sia dalla fiscalità italiana (imposta sostitutiva) e sia dall’imposte operata dal Paese della fonte del capital gain.
La funzione del foreign tax credit è quella di contrastare la doppia imposizione internazionale gravante sui redditi dei propri residenti, soggetti ad imposizione sulla base del cd. world-wide principle: l’impossibilità, per i contribuenti che percepiscono il capital gain di fonte estera fuori dal regime d’impresa, di fruire del credito d’imposta per le imposte estere costituisce una lesione di un diritto anziché un contrasto al feniomeno della doppia imposizione.
5. Orientamento della giurisprudenza di legittimità
La Corte di cassazione, Sez. V Civile, con la sentenza n. 25698/2022 è intervenuta sul tema del foreign tax credit per evitare la doppia imposizione per i redditi prodotti all’estero ammettendo la possibilità di utilizzare il credito d’imposta estero, anche per i redditi assoggettati a imposta sostitutiva: nell’esaminare la Convenzione Italia – Stati Uniti d’America la Suprema Corte rileva che “L’art. 23, comma 3, della stessa Convenzione, dopo avere previsto che l’Italia deve dedurre dalle imposte sul reddito, di cui all’art. 2, l’imposta sul reddito pagata negli Stati Uniti (secondo periodo), al terzo periodo stabilisce che, tuttavia, nessuna deduzione sarà accordata ove l’elemento dì reddito sia assoggettato in Italia ad imposizione mediante ritenuta a titolo d’imposta su richiesta del beneficiario di detto reddito in base alla legislazione italiana”.
Da tale disposizione pattizia si ricava a contrario che, qualora l’assoggettamento a imposizione mediante ritenuta a titolo d’imposta, come nell’ipotesi di cui all’art. 27, comma 4, del DPR n. 600/1973, o mediante imposta sostitutiva, come nella fattispecie, del tutto sovrapponibile alla prima in ragione dell’identità di funzione, di cui all’art. 18, comma 1, del TUIR, quando il contribuente sia una persona fisica, avvenga non su richiesta del beneficiario del reddito ma obbligatoriamente, non potendo il contribuente chiedere l’imposizione ordinaria, l’imposta sul reddito pagata negli Stati Uniti d’America si deve considerare detraibile. Tale interpretazione trova conferma nella diversità del testo vigente degli accordi bilaterali contro le doppie imposizioni conclusi con altri Paesi, secondo cui nessuna detrazione sarà accordata ove l’elemento di reddito venga assoggettato in Italia ad imposizione mediante imposta sostitutiva o ritenuta a titolo di imposta, ovvero ad imposizione sostitutiva con la stessa aliquota della ritenuta a titolo di imposta, anche su richiesta del contribuente, ai sensi della legislazione italiana. La Corte in conclusione ribadisce che in base ad una interpretazione conforme della norma pattizia (prevalente) la locuzione “anche sui richiesta del contribuente”, che figura nel testo di tali accordi, conferma che quando l’Italia ha inteso negare il credito d’imposta non solo nei casi in cui l’assoggettamento dell’elemento di reddito a imposta sostitutiva o a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta avvenga su richiesta del contribuente, ma anche nei casi in cui esso sia obbligatorio in base alla legge italiana, lo ha previsto espressamente. Quindi in base alla citata sentenza n. 25698/2022 qualora l’assoggettamento a imposizione mediante imposta sostitutiva di cui all’art. 18, comma 1, del TUIR quando il contribuente sia una persona fisica, avvenga non su richiesta del beneficiario del reddito ma obbligatoriamente, non potendo il contribuente chiedere l’imposizione ordinaria, l’imposta sul reddito pagata nello Stato Estero si deve considerare detraibile.
Tuttavia, in assenza di uno specifico quadro della dichiarazione dei redditi per l’indicazione del foreign tax credit spettante e nell’impossibilità degli intermediari residenti di attribuirlo direttamente, l’unica strada percorribile per il riconoscimento del foreign tax credit è quella del rimborso dell’imposta pagata all’estero