x

x

​​​​​​​Parziale imponibile estero e riduzione del foreign tax credit

Foreign tax credit
Foreign tax credit

Parziale imponibile estero e riduzione del foreign tax credit

 

Abstract

Nell'ipotesi di redditi prodotti all'estero che concorrono solo "parzialmente" alla base imponibile italiana, il comma 10 dell'articolo 165 del TUIR, stabilisce l'impossibilità di scomputare dall'imposta italiana le imposte assolte all'estero corrispondenti alla parte di reddito esclusa da imposizione in Italia: tuttavia, una recente sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia Romagna, sez. 12 consente di rimarcare che il foreign tax credit spettante deve essere ridotto in misura corrispondente al reddito prodotto all’estero che concorre parzialmente alla formazione del reddito complessivo.


Premessa

Il comma 10 dell'articolo 165 del TUIR prevede che l'imposta estera detraibile deve essere ridotta in misura corrispondente nelle ipotesi in cui il reddito estero concorre parzialmente alla formazione del reddito complessivo: nella sostanza, nei limiti in cui opera la parziale esclusione del reddito estero dall'imponibile, alla mancata tassazione corrisponde simmetricamente il mancato riconoscimento del foreign tax credit.
 

Reddito prodotto all’estero e reddito complessivo

La riduzione dell'imposta estera detraibile, nei limiti della quota imponibile del reddito estero, non riguarda le ipotesi in cui - per effetto di differenti modalità di determinazione del reddito nei vari ordinamenti - l'ammontare del reddito estero assoggettato a tassazione in Italia non corrisponda al quantum tassato nello Stato estero: in altri termini, nei soli casi in cui non vi sia corrispondenza tra reddito estero assoggettato a tassazione in Italia e il quantum tassato nello Stato estero.

La disposizione del citato comma 10, dunque, prevede espressamente un confronto tra “reddito prodotto all’estero” e “reddito complessivo” e tale operazione di confronto non può che svolgersi tra valori omogenei. Pertanto, il termine “reddito” deve essere inteso in senso tecnico, ossia come risultato dell’operazione che dal compenso percepito giunge, sulla base delle regole di determinazione previste dall’ordinamento italiano, a definire la base imponibile. Di conseguenza, per individuare l’ammontare del “reddito prodotto all’estero” dovranno applicarsi, ad esempio nel caso in esame del lavoro dipendente, le disposizioni contenute nell’articolo 51 del TUIR, ad esclusione del comma 8-bis. Questa impostazione consente di utilizzare un valore coerente con il “reddito complessivo” che ai sensi dell’articolo 8 del TUIR “si determina sommando i redditi di ogni categoria che concorrono a formarlo”. Utilizzando, invece, il “reddito tassato all’estero”, si verificherebbe una contraddizione, dal momento che quest’ultimo, essendo afferente ad un ordinamento tributario non italiano, non concorre alla formazione del reddito complessivo.

Nella sostanza, i “redditi prodotti all’estero” rilevanti non sono quelli effettivamente tassati nel Paese estero, ma, nel caso di lavoro dipendente, quelli ritratti dallo svolgimento di un’attività lavorativa all’estero che hanno concorso alla formazione del reddito complessivo (in tal senso Risoluzione n. 48/E/2013). Di conseguenza, il reddito prodotto all’estero, costituendo un di cui del reddito complessivo, deve essere inteso come reddito determinato secondo le norme dell’ordinamento tributario italiano. La locuzione “reddito prodotto all’estero” contenuta nel comma 10 dell’articolo 165 del TUIR non può che essere riferita al reddito che, sebbene prodotto all’estero, è determinato secondo le regole proprie del TUIR

Il comma 10 si rende applicabile nel caso di redditi derivanti da attività di lavoro subordinato prestata all'estero in via continuativa di cui al citato articolo 51, comma 8-bis del TUIR, determinati in base alle retribuzioni convenzionali definite annualmente con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali: sul tema l’articolo 36, comma 30 del DL n. 223/2006, ha introdotto una norma di interpretazione autentica che stabilisce per il reddito di lavoro dipendente estero calcolato convenzionalmente ha diritto al foreign tax credit proporzionale al reddito determinato ai sensi del predetto articolo 51, comma 8-bis del TUIR. Il foreign tax credit spettante deve essere rimodulato sulla base del rapporto tra la retribuzione convenzionale e il reddito di lavoro dipendente che sarebbe stato tassabile in via ordinaria in Italia.

La relazione illustrativa al richiamato articolo 36, comma 30 offre un conforto in tal senso ove si afferma che “con l’interpretazione autentica proposta, si chiarisce che in caso di reddito calcolato convenzionalmente in misura ridotta – secondo le disposizioni dell’articolo 51, comma 8-bis, del TUIR – il prestatore di lavoro all’estero fruisce, per le imposte pagate all’estero, di un credito d’imposta non pieno, ma proporzionale al reddito determinato ai sensi del predetto articolo 51, comma 8-bis”. Conseguentemente, il “credito d’imposta pieno” di cui avrebbe fruito il reddito in caso di tassazione analitica deve essere ridotto nella misura in cui effettivamente il reddito è assoggettato ad imposizione in capo al dipendente residente.

 

La Sentenza della CdGT di secondo grado dell’Emilia Romagna

La sentenza 10 ottobre 2023 n. 944/12/23 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia Romagna, sez. 12 ha trattato nel merito la rilevanza della franchigia dei frontalieri italiani ai fini del calcolo del foreign tax credit spettante ai sensi dell’articolo 165, comma 10 del TUIR.

a) il caso

Un contribuente, sottoposto a  controllo formale per il periodo di imposta 2013 ex art. 36-ter del DPR n. 600/1973, ha proposto ricorso alla CTP di Forlì a seguito dell'avvenuta rettifica del foreign tax credit dichiarato da € 3.225,00 a € 2.542,00 da parte dell’Agenzia delle Entrate competente giustificando tale rettifica col fatto che il reddito prodotto all'estero (complessivamente di € 29.768,00) concorreva parzialmente alla formazione del reddito complessivo (per € 23.068,00 considerato che a San Marino era prevista per l'annualità 2012 una franchigia di € 6.700,00): pertanto, a parere dell'Agenzia ne derivava che anche l'imposta estera pagata per € 3.225,00 doveva essere ridotta in misura corrispondente in applicazione dell'art. 165, comma 10 del TUIR. La Commissione provinciale adita accoglieva il ricorso sulla base del fatto che il reddito prodotto all'estero dalla contribuente era l'unico percepito e, pertanto, viene a costituire il suo reddito complessivo, senza ulteriori concorsi, così da escludere l'applicabilità dell'art. 165 comma 10 del TUIR.

L’Agenzia deposita appello ribadendo e richiamando integralmente quanto già esposto nel primo grado di giudizio evidenziando che la Ctp di Forlì erano incorsi in una violazione e mancata applicazione dell'art. 165 comma 10, ed erronea interpretazione dell'art. 165 comma 1 del TUIR, in quanto l'art. 165 del TUIR stabilisce il riconoscimento di un credito per le imposte versate a titolo definitivo all'estero, sulla base di tre condizioni:

1.         la produzione di un reddito all'estero; ai sensi del comma 2 dell'articolo 165 del TUIR

2.         il concorso del reddito estero alla formazione del reddito complessivo del residente in Italia;

3.         il pagamento di imposte estere a titolo definitivo.

L’Agenzia sostiene che per effetto dell'art. 2, comma 11 della legge n. 289/2002 l’Ufficio ha diritto di assoggettare a tassazione nello Stato di residenza solo la quota di tale reddito eccedente la franchigia di € 6.700,00: il reddito estero non concorre interamente bensì solo parzialmente alla determinazione del reddito complessivo. Il beneficio della franchigia è volto a scongiurare che il soggetto che lavora in zona di frontiera subisca la tassazione in Italia dell'intero reddito maturato all'estero, assoggettando a tassazione solo la parte del reddito estero che residua una volta applicata la franchigia. Di conseguenza il credito spettante in Italia per le imposte assolte all'estero non può essere determinato correttamente se non riproporzionando l'imposta estera versata sul reddito.

Il contribuente resiste e ribadisce che la franchigia prevista dall'art. 2 comma 11 della legge n. 289/2002 non sia da considerarsi reddito e di conseguenza il reddito dichiarato dalla contribuente al netto di detta franchigia non è un reddito parziale ma l'intero reddito dichiarabile dalla contribuente di conseguenza il disposto dell'art. 165 comma 10 del TUIR non è applicabile, rimanendo nei fatti che il reddito dichiarato di provenienza estera è il proprio unico reddito dichiarabile, anche se in misura ridotta per via dell'applicazione della franchigia prevista.

b) la decisione della Corte

La Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia Romagna, oltre all’art. 165 comma 1 e comma 10 del TUIR e all'art. 2 comma 11 della legge n. 289/2002, richiama la circolare n. 9/E/2015 precisando che tale documento ha proprio lo scopo di chiarire la portata dell'art. 165 del TUIR e a cui l'Agenzia delle Entrate deve attenersi obbligatoriamente essendo una direttiva governativa. Orbene dalla normativa la Corte evince che il contribuente per quanto riguarda la sua dichiarazione reddituale ricade sotto le disposizioni di cui all'art. 51 commi da 1 a 8, con esclusione del comma 8-bis, in quanto (lavoratrice dipendente che non soggiorna all'estero per più di n. 183 giorni e frontaliera). Su tale punto la circolare risulta esplicita "Il comma 10 dell'articolo 165 del TUIR stabilisce che quando il reddito estero concorre parzialmente alla formazione del reddito complessivo, l'imposta estera detraibile deve essere ridotta in misura corrispondente ... [omissis] ... In proposito, è opportuno chiarire che la riduzione dell'imposta estera detraibile, nei limiti della quota imponibile del reddito estero, non riguarda le ipotesi in cui - per effetto di differenti modalità di determinazione del reddito nei vari ordinamenti - l'ammontare del reddito estero assoggettato a tassazione in Italia non corrisponda al quantum tassato nello Stato estero. Ciò si verifica, ad esempio, per il reddito delle stabili organizzazioni all'estero o per il reddito di lavoro dipendente prestato all'estero diverso da quello determinato ai sensi dell'articolo 51 comma 8-bis del TUIR, essendo diverse le regole di determinazione vigenti nei vari Paesi". In pratica l'interpretazione della norma riferita al "reddito di lavoro dipendente prestato all'estero diverso da quello determinato ai sensi dell'art. 51 comma 8- bis TUIR" prevede che il reddito prodotto ai sensi dell'art. 51 commi 1-8 del TUIR cioè, nel caso di specie (lavoratrice dipendente che non soggiorna all'estero per più di n. 183 giorni e frontaliera), non ricada sotto le disposizioni dell'art. 165 comma 10. Ciò anche perché il reddito estero regolarmente dichiarato è stato ridotto in sede di dichiarazione reddituale (franchigia) unicamente per una norma agevolativa prevista espressamente dalla nostra normativa per i frontalieri, è di tutta evidenza che una siffatta norma non può venire vanificata da una interpretazione non ortodossa della normativa apportando nei fatti un danno alla contribuente che si vedrebbe diminuire il credito d'imposta legittimo da utilizzare nella propria dichiarazione. E, in aggiunta, viene a supporto anche una interpretazione letterale della norma laddove il termine "parziale" non è riferito all'importo di quanto dichiarato ma al fatto che al reddito complessivo possa concorre un reddito di altra natura prodotto in Italia che si vada a sommare al reddito estero.

 

Le criticità della sentenza

La sentenza della Corte emiliano-romagnola propende per l’attribuzione del credito d’imposta pieno: tuttavia tale decisione non appare condivisibile mancando un’attenta analisi sia della normativa interna che di quella comunitaria, sia della giurisprudenza unionale. Tre le criticità che si rilevano e che meritano un approfondimento:

  • la prima si riferisce all’interpretazione letterale della norma in cui è il reddito calcolato in misura ridotta che concorre parzialmente alla formazione del reddito complessivo a nulla rilevando la compresenza in quest’ultimo (reddito complessivo) di ulteriori categorie reddituali;
  • la seconda è rappresentata dal fatto che la franchigia dei frontalieri equivale ad un’esclusione da imposizione che deve essere rapportata ai singoli periodi di paga, al fine di realizzare un prelievo equilibrato nel periodo d’imposta e deve essere configurata come una componente di capacità contributiva reddituale ancorché esente;
  • la terza va ricercata nel fatto che in forza del diritto dell’Unione, lo Stato membro di residenza non è tenuto ad eliminare la doppia imposizione mediante il riconoscimento di un credito d’imposta pari all’intero importo dell’imposta versata nello Stato membro della fonte, legittimando in tal modo il contenuto dell’art. 165, comma 10 del TUIR.

Il foreign tax credit (art. 165 del TUIR) è lo strumento previsto dall’ordinamento tributario italiano per attenuare la doppia imposizione giuridica internazionale, che si verifica quando il reddito prodotto all’estero da un soggetto fiscalmente residente in Italia (art. 2 del TUIR) viene assoggettato ad imposizione, sia nel Paese straniero (Paese della fonte), che nel territorio nazionale, in conseguenza dell’applicazione del c.d. “worldwide principle” (art. 3, comma 1 del TUIR), che dispone la tassazione su base mondiale dei contribuenti italiani.

In merito alla prima criticità riscontrata, la sentenza in commento propone un’originale interpretazione letterale della norma in cui il termine "parziale" non viene riferito all'importo di quanto dichiarato ma al fatto che al reddito complessivo possa concorre un reddito di altra natura prodotto in Italia che si vada a sommare al reddito estero: tuttavia, volendo scandire le parole contenute nella norma, si legge nel comma 10 dell’art. 165 del TUIR che “il reddito estero concorre parzialmente alla formazione del reddito complessivo”: con tale disposizione si è voluto costruire un limite, una soglia all’ammontare dell’imposta estera subìta da recuperare in sede di tassazione definitiva nel Paese di residenza del percettore del reddito di fonte estera. A conforto di questa interpretazione letterale soccorre il fatto che la predetta disposizione è applicabile anche nel caso in esame dei redditi derivanti da attività lavorativa prestata all’estero, determinati in base alle retribuzioni convenzionali per i quali, con norma di interpretazione autentica, l’art. 36, comma 30 del DL n. 223/2006 ha precisato che, in caso di reddito calcolato convenzionalmente in misura ridotta, il prestatore di lavoro residente fruisce, per le imposte pagate all’estero, di un credito d’imposta non pieno, ma proporzionale al reddito estero che concorre alla formazione del reddito complessivo. È il reddito calcolato in misura ridotta che concorre parzialmente alla formazione del reddito complessivo a nulla rilevando la compresenza in quest’ultimo (reddito complessivo) di ulteriori categorie reddituali.

Con riferimento alla seconda criticità individuata, si rileva che l’art. 165 del TUIR, dopo aver previsto (al comma 1) che le imposte pagate all’estero sono ammesse in detrazione dall’IRPEF italiana fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo dichiarato in Italia (c.d. “rapporto di detraibilità”), dispone (al comma 10) che quando il reddito estero concorre parzialmente alla formazione del reddito complessivo, l’imposta estera detraibile deve essere ridotta in misura corrispondente .

Relativamente alla terza criticità individuata, occorre considerare che l’art. 23 del Modello di Convenzione OCSE (e, analogamente, il corrispondente articolo recato dalle Convenzioni bilaterali conformi al predetto Modello) prevede, tra i criteri alternativi per l’eliminazione della doppia imposizione giuridica, il metodo del credito d’imposta, in maniera similare all’art. 165 del TUIR; tuttavia, a differenza di quanto previsto dal comma 10 di quest’ultimo articolo, la norma convenzionale nulla dispone in merito alla quantificazione (riduzione) dell’imposta estera, allorquando il relativo reddito concorre solo parzialmente alla formazione del reddito complessivo in Italia. La disposizione contenuta nel Modello OCSE (e nelle Convenzioni bilaterali conformi al Modello stesso) non rappresenta, una normativa di miglior favore per il contribuente, derogatoria all’art. 165 del TUIR, quanto piuttosto una previsione sintetica che, non disciplinando nel dettaglio le modalità operative di applicazione del credito d’imposta, implicitamente rimanda alle regole fissate dai singoli ordinamenti nazionali.

Interessante in questa sede è l’Ordinanza 4 febbraio 2016,C-194/15 in cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha esaminato la compatibilità del regime impositivo italiano dei dividendi esteri percepiti da persone fisiche residenti con la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali di cui agli articoli 49 e 63 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”). Il caso esaminato dalla Corte verteva sulla tassazione dei dividendi di fonte francese percepiti da persone fisiche residenti negli anni 2007 e 2008 che sono stati assoggettati a tassazione in Italia limitatamente al 40% del loro ammontare all’ aliquota progressiva IRPEF. Su tali redditi era stata applicata in Francia la ritenuta alla fonte pari al 15% del loro importo in conformità all’art. 10 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e Francia mentre i percettori avevano hanno scomputato dall’imposta italiana l’intero importo della ritenuta subita in Francia. Nel caso di specie, la Corte prende atto che la normativa italiana non fa alcuna distinzione tra i dividendi distribuiti da una società stabilita in Italia e quelli distribuiti da una società stabilita in Francia, posto che in entrambi i casi i dividendi concorrono alla base imponibile limitatamente al 40 per cento del loro importo. La circostanza che i dividendi di fonte francese siano assoggettati ad un onere tributario maggiormente gravoso rispetto a quello gravante sui dividendi di fonte interna (distribuiti da società italiane) non è imputabile ad alcuna discriminazione posta in essere dalla normativa italiana, bensì la mera conseguenza dell’esercizio parallelo del proprio potere impositivo dei due Stati, l’uno operante come Stato della fonte (Francia) e l’altro come Stato di residenza (Italia). Pertanto, la Corte conclude che lo Stato membro di residenza dell’azionista non è tenuto, in forza del diritto dell’Unione, ad eliminare la doppia imposizione dei dividendi mediante il riconoscimento di un credito d’imposta pari all’intero importo dell’imposta versata nello Stato membro della fonte di tali dividendi, confermando, quindi, con riguardo all’ordinamento tributario italiano, la legittimità dell’art. 165 comma 10 del TUIR. Con l’ordinanza in commento, la Corte ribadisce un principio consolidato per cui l’esercizio parallelo del potere impositivo tra Stati membri, e la conseguente doppia imposizione giuridica internazionale cui sono soggette le distribuzioni transfrontaliere di dividendi, non costituisce una violazione della libertà di stabilimento ovvero della libera circolazione dei capitali (per una critica alla posizione della Corte si veda A. Rust (ed.), Double Taxation within the European Union, Deventer, 2011).


Conclusioni

Per quanto esposto si sostiene che l’entità del foreign tax credit, ossia la misura dell’imposta estera ammessa in detrazione dall’imposta italiana, in presenza di un reddito estero che concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo (nel caso all’esame della Corte la franchigia del frontaliere riduceva l’imponibile da tassare in Italia), deve essere riconosciuta in misura proporzionale alla quota parte di reddito che concorre alla formazione del reddito complessivo e si ribadisce che se il reddito effettivo prodotto all’estero non concorre interamente a formare il reddito complessivo in Italia, il riconoscimento del credito dovrà essere ridotto in misura proporzionale. Questo significa che le imposte estere potranno essere recuperate in proporzione al reddito che risulterà imponibile in Italia: nelle ipotesi in cui il reddito prodotto all’estero da un frontaliere (esempio euro 30.000 e imposte estere euro 13.000) sia imponibile solamente per euro 20.000 (a seguito dell’applicazione della franchigia di euro 10.000) le imposte potenzialmente “recuperabili” (foreign tax credit pari a euro 8.710) dovranno essere ricalcolate nel seguente modo ridsultando l’imponibile italiano diverso da quello estero su cui sono state trattenute le imposte:

•          euro 20.000 / euro 30.000 = 67%;

•          euro 13.000 x 67% = euro 8.710.