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Cartesio e la libertà di stabilimento delle persone giuridiche

Introduzione

Il caso Cartesio attualmente in esame presso la Corte di Giustizia potrebbe segnare un importante passaggio verso la piena attuazione della libertà di stabilimento delle società comunitarie. L’Avvocato Generale Poiares Maduro nelle sue recenti conclusioni ha riconosciuto che una società regolarmente costituita in uno stato membro ha il diritto di trasferire la propria sede operativa in un altro stato membro (Conclusioni dell’AG Poiares Maduro, 22 maggio 2008, causa C-210/96, Cartesio). Se tali conclusioni verranno accolte dai giudici di Lussemburgo sarà sancito l’importante principio per cui il diritto comunitario vieta ad uno stato membro di impedire ad una società di diritto nazionale di spostare la sede operativa all’estero.

La contrastata attuazione della libertà di stabilimento delle persone giuridiche

In virtù del combinato disposto degli articoli 42 e 48 CE alle società costituite secondo la legge nazionale di uno degli stati membri e connesse con l’ordinamento comunitario da uno dei criteri di collegamento previsti dall’articolo 48 CE è riconosciuta la libertà di stabilimento.

Tuttavia, in un primo momento, alla libertà di stabilimento delle società è stata data interpretazione e attuazione in misura decisamente più limitata di quanto sia avvenuto per la corrispondente libertà di stabilimento riconosciuta alle persone fisiche dall’articolo 42 CE.

L’esistenza stessa di una società dipende dalla legge nazionale dello stato di costituzione ed è questo il maggior ostacolo che si frappone alla piena attuazione della libertà di stabilimento delle società. Affinché una società, regolarmente costituita nello stato di origine, possa liberamente esercitare la libertà di stabilimento è necessario che sia riconosciuta anche dalle autorità dello stato di stabilimento. In assenza di tale riconoscimento la società migrante non potrebbe godere nello stato ospite della personalità giuridica e quindi del beneficio della responsabilità limitata.

Ma le norme di diritto internazionale privato degli stati membri non prevedono criteri di collegamento uniformi per determinare la nazionalità di una società e quindi quale sia la legge regolatrice delle società. Alcuni stati hanno adottato il più flessibile e liberale criterio dell’incorporazione in virtù del quale la lex societatis è identificata nella legge nazionale del luogo di costituzione della società. Ma, altri prevedono il più rigido e protettivo criterio della sede reale, secondo il quale la lex societatis è la legge del luogo dove la società ha posto la sede effettiva. Tale criterio generalmente richiede che la sede effettiva della società coincida con il luogo di costituzione. Una società costituita in uno stato che adotta il criterio della sede reale non potrebbe trasferire la sede all’estero senza correre il rischio dell’estinzione.

La libertà di stabilimento, a sua volta, può essere esercitata secondo due diverse modalità: la libertà di stabilimento primario e la libertà di stabilimento secondario. La prima comprende il diritto della società di scegliere lo stato dove porre la sede. La seconda riconosce alla società il diritto di aprire in uno stato membro diverso da quello dello stabilimento primario un’agenzia ovvero una filiale o succursale.

Delle due, la libertà di stabilimento secondario è quella decisamente meno controversa nella giurisprudenza comunitaria. I giudici comunitari hanno considerato la libertà di stabilimento secondario con un certo favore, in modo particolare con riferimento alla circolazione infracomunitaria delle “pseudo-foreign companies”. Una pseudo-foreign company è una società costituita dai soci in un determinato stato membro al solo scopo di beneficiare del diritto nazionale di quello stato considerato più vantaggioso di quello dello stato dove la società eserciterà interamente la propria attività.

Come si diceva la Corte di Giustizia ha riconosciuto la piena legittimità di tale fattispecie in quanto espressione della libertà di stabilimento. Tale orientamento è stato per la prima volta espresso nel celeberrimo caso Centros (Corte di Giustizia CE, 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros c Ehrvers-og Selkskabsstyrelsen). La costituzione di una società di diritto inglese da parte di alcuni cittadini danesi, seguita dall’apertura di una succursale in Danimarca dove la società svolge la parte essenziale dell’attività economica non costituisce un tentativo da parte dei soci fondatori di sottrarsi al più severo diritto societario danese, ma un esercizio della libertà di stabilimento.

Si tratta, quindi, di una condotta pienamente legittima. Lo stato membro ospite non potrà vietare tout court lo stabilimento secondario della società nel proprio territorio. Invece questo può adottare misure restrittive per evitare le condotta fraudolente dei suoi cittadini, i quali avvalendosi delle libertà riconosciute dal diritto comunitario potrebbero così sottrarsi all’applicazione della legge nazionale.

Anche il caso Inspire Art guarda con malcelato favore alle psuedo-foreign companies (Corte di Giustizia CE, 30 settembre 2003, causa C-167/01, Kamer van Koophandel en Fabrieken voor Amsterdam c Inspire Art). Anche qui come in Centros, era stata costituita una società di diritto inglese la quale operava quasi unicamente nel territorio olandese. La Corte ha vietato alle autorità olandesi di applicare alla società di diritto inglese la più severa legislazione societaria nazionale in materia di capitale sociale minimo e informazione societaria. In questo modo la Corte ha decisamente limitato le possibilità dello stato membro ospite di applicare il proprio diritto societario nazionale a tali enti.

Per contro l’orientamento tradizionale dei giudici comunitario riguardante la libertà di stabilimento primario è meno favorevole alla circolazione delle società. Nel noto caso Daily Mail (Corte di Giustizia CE, 27 settembre 1988, C-81/87, The Queen c Daily Mail e General Trust) la Corte di Giustizia ha sancito che agli stati membri spetta la competenza esclusiva per determinare le condizioni in base alle quali una società di diritto nazionale può trasferire la sede in altro stato membro. La libertà di stabilimento primario non può essere quindi interpretata nel senso che attribuisce alle società il diritto di trasferire la sede all’estero.

Nel caso Überseering (Corte di Giustizia CE 5 novembre 2002, causa C-208/00 Überseering c Nordic Construction Company Baumgarten) la corte ha affrontato il caso di una società di diritto nazionale olandese, la sede effettiva della quale era stata trasferita in Germania a seguito dell’acquisito del capitale della società da parte di due cittadini tedeschi. I giudici comunitari hanno stabilito che la società, nonostante il trasferimento della sede in Germania, avesse in questo stato capacità giuridica e capacità di stare in giudizio.

Nonostante le apparenze, Überseering non costituisce un revirement di quanto la Corte ha deciso in Daily Mail. Infatti, è stato precisato che Daily Mail riguarda un caso in cui una società esercita la libertà di stabilimento primario al fine di emigrare, trasferendo la sede in altro stato membro. Ma lo stato di origine ha competenza esclusiva per stabilire le condizioni che una società di diritto nazionale deve osservare al fine di trasferire la sede all’estero senza essere assoggettata a scioglimento e procedura di liquidazione.

Invece in Überseering ai giudici comunitari si è presentato un caso in cui una società esercita la libertà di stabilimento primario al fine di immigrare, cioè quando una società costituita all’estero si avvale della libertà di stabilimento con lo scopo di trasferire la sede in altro stato membro. Questo situazione è invece regolata dal diritto comunitario.

Si deve quindi attendere la successiva sentenza Sevic per vedere il superamento della distinzione tra libertà di stabilimento primario quando esercitata al fine di emigrare e quando al fine di immigrare.(Corte di Giustizia CE, 13 dicembre 2005, causa 411/03 SEVIC Systems). In questo caso la Corte di Giustizia ha stabilito che uno stato membro non può legittimamente, secondo il diritto comunitario, vietare una fusione transfrontalieria tra una società di diritto nazionale e una società costituita in un altro membro. Una fusione transfrontalieria è disciplinata dal diritto comunitario essendo una modalità di esercizio della libertà di stabilimento.

La sentenza segna un passo importante verso la piena realizzazione della libertà di stabilimento primario in quanto sancisce che la libertà di stabilimento si applica alle operazioni di fusioni transfrontaliere. Più precisamente, il diritto comunitario sembra applicarsi a tutte le fusioni tra società costituite in diversi stati membri, a prescindere se l’operazione di fusione è attuata mediante l’incorporazione della società straniera nella società nazionale ovvero se è la società nazionale ad essere incorporata in una società straniera.

Com’è stato correttamente spiegato dall’AG Mengozzi nelle sue conclusioni, la decisione delle autorità nazionale di vietare una fusione transfrontalieria limita in primo luogo il diritto delle società nazionale di esercitare il diritto di stabilimento in “uscita” mediante la fusione con società costituite nello Stato membro nel quale le società di diritto nazionale intendono intraprendere o espandere un’attività economica. Tale decisione negativa limita parimenti la facoltà delle società costituite in altri Stati membri di esercitare la libertà di stabilimento in “entrata” mediante la fusione con una società di diritto nazionale allo scopo di svolgere un’attività economica nello stato membro che si è opposto alla fusione.

In breve l’importanza della sentenza Sevic consiste nel fatto che per la prima volta la libertà di stabilimento primario è stata interpretata nel senso di comprendere non solo il diritto di una società costituita in uno stato membro di immigrare in un altro stato membro; ma anche, e contrariamente a quanto già deciso in Daily Mail, il diritto della società di diritto nazionale di uno stato membro di emigrare in un altro stato membro.

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Giova anche brevemente accennare ad alcuni strumenti adottati dal legislatore comunitario nel senso di favorire la circolazione delle società, anche attraverso il trasferimento della sede all’estero. Tra questi, la Societas Europea (Regolamento CE n. 2157/2001), la decima direttiva CE di diritto societario sulle fusioni transfrontaliere (Direttiva n. 2005/56 CE) e la proposta quattordicesima direttiva CE di diritto societario sul trasferimento della sede in altro stato membro.

Il caso Cartesio

Cartesio, una società di persone di diritto ungherese decideva di trasferire la sede operativa dall’Ungheria in Italia. Al tempo stesso intendeva mantenere la sede legale in Ungheria affinché il diritto societario ungherese continuasse ad essere la legge nazionale regolatrice della società Cartesio. Il tribunale commerciale del luogo dell’ufficio del registro delle imprese dove la società Cartesio è stata costituita si rifiutava di iscrivere nel registro la decisione di trasferimento della sede.

L’Ungheria adotta la real seat doctrine al fine di stabilire quale sia la lex societatis che regola la costituzione e il funzionamento di una società. La real seat doctrine richiede che la sede legale della società coincida con la sede effettiva. Una società di diritto ungherese non può quindi trasferire la sede all’estero in quanto il trasferimento comporterebbe l’estinzione della società. Si deve quindi prima provvedere allo scioglimento e liquidazione della società e quindi ricostituire la medesima secondo la legge dello stato dove si intende trasferire la sede.

Il giudice di secondo grado, davanti al quale la sentenza sopra descritta era stata appellata, ha richiesto l’intervento della Corte di Giustizia ex art. 234 CE al fine di chiarire se la decisione di non iscrivere la delibera fosse compatibile con il diritto comunitario, e in particolare con la libertà di stabilimento riconosciuta alle società.

Secondo l’AG la legge ungherese contestata discrimina tra il trasferimento della sede effettiva all’interno del territorio nazionale, consentito, e il trasferimento all’estero, invece precluso in quanto sarebbe causa di scioglimento della società, con la conseguenza che il trasferimento avrebbe come effetto l’estinzione della società. Per questi motivi l’AG ritiene che la normativa in oggetto costituisca una restrizione della libertà di stabilimento.

L’AG propende quindi per l’interpretazione estensiva della libertà di stabilimento primario delle società. Le conclusioni dell’AG in Cartesio si collocano di pieno diritto nel recente orientamento delle corti comunitarie favorevole alla piena realizzazione della libertà di circolazione delle società nel mercato unico che si è già manifestato nelle sentenze Centros, Uberseering, Inspire Art e Sevic.

Richiamandosi alle precedenti sentenze, e in particolare al caso Sevic, l’AG chiarisce che la libertà di stabilimento deve essere intesa nel senso che questa comprende qualsiasi movimento infracomunitario delle società costituite conformemente al diritto nazionale di uno stato membro e connesse alla Comunità secondo i criteri previsti dall’articolo 48 CE. Non quindi più necessario distinguere tra la libertà di stabilimento esercitata da una società al fine di emigrare e la libertà di stabilimento esercitata da una società al fine di immigrare per delimitare l’ambito di applicazione della libertà di stabilimento. Una norma nazionale che limita l’ingresso di una società costituita in altro stato membro appare incompatibile con il diritto comunitario nella stessa misura in cui lo è una norma che vieta l’uscita delle società di diritto nazionale.

La nouvelle vague della giurisprudenza comunitaria, della quale Cartesio ne costituisce il più recente episodio segna l’abbandono, forse definitivo della risalente dottrina Daily Mail e dell’idea che ne costituiva il fondamento giuridico; e cioè, essendo le società creazione dell’ordinamento giuridico di costituzione, gli stati membri hanno competenza esclusiva per determinare le condizioni per la costituzione ed estinzione delle società, a prescindere degli effetti, anche restrittivi, che le normative nazionali possono avere sull’esercizio della libertà di stabilimento.

Con questo non si intende obbligare gli stati membri a scegliere il criterio della sede reale piuttosto che quello dell’incorporazione al fine di determinare la nazionalità della società. È invece necessario che gli stati membri considerino gli effetti che il diritto societario nazionale può avere sul principio di diritto comunitario della libertà di stabilimento. A tal fine, l’AG osserva che la fruizione della libertà di stabilimento delle società richiede il mutuo riconoscimento e cooperazione internazionale. Ne discende che, secondo l’attuale stato di evoluzione del diritto comunitario gli stati membri non hanno più il potere assoluto di determinare la vita e la morte delle società di diritto nazionale; ma devono considerare gli effetti che le loro scelte sul piano del diritto nazionale possono avere sul diritto comunitario.

Inoltre, il divieto assoluto di trasferimento della sede operativa è discutibile anche per ragioni di carattere pratico. La libertà di trasferire la sede in altro stato è di rilevante importanza, in particolare per le piccole e medie imprese come la società Cartesio. Il trasferimento della sede è un efficiente strumento per poter iniziale un’attività economica in un altro stato senza dover necessariamente passare per la costosa e complessa procedura di scioglimento della società e di ricostituzione di una nuova società nello stato di stabilimento.

Si deve peraltro rilevare come la libertà di stabilimento riconosciuta alle società non è assoluta. Il diritto comunitario non impedisce di certo agli stati membri l’adozione di misure restrittive per impedire l’esercizio della libertà di stabilimento possa pregiudicare determinati interessi tutelati dalle norme nazionali. Secondo il consolidato indirizzo dei giudici comunitari tali misure nazionali restrittive possono essere giustificate dal diritto comunitario se previste a tutela di ragioni imperative di interesse generale pubblico e se conformi al principio di proporzionalità.

Nel rispetto di tali requisiti, uno stato membro può stabilire alcune condizioni l’osservanza delle quali è necessaria affinchè una società di diritto nazionale possa trasferire la sede amministrativa all’estero. Come già affermato dalla Corte in Sevic ciò che è sicuramente vietato dal diritto comunitario è una restrizione assoluta e incondizionata della libertà di stabilimento.

Il divieto assoluto di trasferimento delle sede all’estero previsto dalla legge ungherese contestata non può essere giustificato dal diritto comunitario secondo quanto sopra esposto. Infatti il governo ungherese non ha indicato nessuna ragione imperativa di interesse generale a giustificazione del divieto assoluto di trasferimento. La misura restrittiva, così come congegnata, ha come solo effetto quello che le società di diritto nazionale non possono trasferire la sede operative all’estero senza che il trasferimento stesso costituisca causa di scioglimento della società.

Di qui la conclusione dell’AG, secondo il divieto assoluto del trasferimento della sede operativa di una società previsto dalle legge dello stato di costituzione in un altro stato membro viola gli art. 43 e 48 CE. Ora non rimane che attendere la sentenza della Corte per vedere confermato l’attuale indirizzo interpretativo in materia della libertà di stabilimento delle società.

Introduzione

Il caso Cartesio attualmente in esame presso la Corte di Giustizia potrebbe segnare un importante passaggio verso la piena attuazione della libertà di stabilimento delle società comunitarie. L’Avvocato Generale Poiares Maduro nelle sue recenti conclusioni ha riconosciuto che una società regolarmente costituita in uno stato membro ha il diritto di trasferire la propria sede operativa in un altro stato membro (Conclusioni dell’AG Poiares Maduro, 22 maggio 2008, causa C-210/96, Cartesio). Se tali conclusioni verranno accolte dai giudici di Lussemburgo sarà sancito l’importante principio per cui il diritto comunitario vieta ad uno stato membro di impedire ad una società di diritto nazionale di spostare la sede operativa all’estero.

La contrastata attuazione della libertà di stabilimento delle persone giuridiche

In virtù del combinato disposto degli articoli 42 e 48 CE alle società costituite secondo la legge nazionale di uno degli stati membri e connesse con l’ordinamento comunitario da uno dei criteri di collegamento previsti dall’articolo 48 CE è riconosciuta la libertà di stabilimento.

Tuttavia, in un primo momento, alla libertà di stabilimento delle società è stata data interpretazione e attuazione in misura decisamente più limitata di quanto sia avvenuto per la corrispondente libertà di stabilimento riconosciuta alle persone fisiche dall’articolo 42 CE.

L’esistenza stessa di una società dipende dalla legge nazionale dello stato di costituzione ed è questo il maggior ostacolo che si frappone alla piena attuazione della libertà di stabilimento delle società. Affinché una società, regolarmente costituita nello stato di origine, possa liberamente esercitare la libertà di stabilimento è necessario che sia riconosciuta anche dalle autorità dello stato di stabilimento. In assenza di tale riconoscimento la società migrante non potrebbe godere nello stato ospite della personalità giuridica e quindi del beneficio della responsabilità limitata.

Ma le norme di diritto internazionale privato degli stati membri non prevedono criteri di collegamento uniformi per determinare la nazionalità di una società e quindi quale sia la legge regolatrice delle società. Alcuni stati hanno adottato il più flessibile e liberale criterio dell’incorporazione in virtù del quale la lex societatis è identificata nella legge nazionale del luogo di costituzione della società. Ma, altri prevedono il più rigido e protettivo criterio della sede reale, secondo il quale la lex societatis è la legge del luogo dove la società ha posto la sede effettiva. Tale criterio generalmente richiede che la sede effettiva della società coincida con il luogo di costituzione. Una società costituita in uno stato che adotta il criterio della sede reale non potrebbe trasferire la sede all’estero senza correre il rischio dell’estinzione.

La libertà di stabilimento, a sua volta, può essere esercitata secondo due diverse modalità: la libertà di stabilimento primario e la libertà di stabilimento secondario. La prima comprende il diritto della società di scegliere lo stato dove porre la sede. La seconda riconosce alla società il diritto di aprire in uno stato membro diverso da quello dello stabilimento primario un’agenzia ovvero una filiale o succursale.

Delle due, la libertà di stabilimento secondario è quella decisamente meno controversa nella giurisprudenza comunitaria. I giudici comunitari hanno considerato la libertà di stabilimento secondario con un certo favore, in modo particolare con riferimento alla circolazione infracomunitaria delle “pseudo-foreign companies”. Una pseudo-foreign company è una società costituita dai soci in un determinato stato membro al solo scopo di beneficiare del diritto nazionale di quello stato considerato più vantaggioso di quello dello stato dove la società eserciterà interamente la propria attività.

Come si diceva la Corte di Giustizia ha riconosciuto la piena legittimità di tale fattispecie in quanto espressione della libertà di stabilimento. Tale orientamento è stato per la prima volta espresso nel celeberrimo caso Centros (Corte di Giustizia CE, 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros c Ehrvers-og Selkskabsstyrelsen). La costituzione di una società di diritto inglese da parte di alcuni cittadini danesi, seguita dall’apertura di una succursale in Danimarca dove la società svolge la parte essenziale dell’attività economica non costituisce un tentativo da parte dei soci fondatori di sottrarsi al più severo diritto societario danese, ma un esercizio della libertà di stabilimento.

Si tratta, quindi, di una condotta pienamente legittima. Lo stato membro ospite non potrà vietare tout court lo stabilimento secondario della società nel proprio territorio. Invece questo può adottare misure restrittive per evitare le condotta fraudolente dei suoi cittadini, i quali avvalendosi delle libertà riconosciute dal diritto comunitario potrebbero così sottrarsi all’applicazione della legge nazionale.

Anche il caso Inspire Art guarda con malcelato favore alle psuedo-foreign companies (Corte di Giustizia CE, 30 settembre 2003, causa C-167/01, Kamer van Koophandel en Fabrieken voor Amsterdam c Inspire Art). Anche qui come in Centros, era stata costituita una società di diritto inglese la quale operava quasi unicamente nel territorio olandese. La Corte ha vietato alle autorità olandesi di applicare alla società di diritto inglese la più severa legislazione societaria nazionale in materia di capitale sociale minimo e informazione societaria. In questo modo la Corte ha decisamente limitato le possibilità dello stato membro ospite di applicare il proprio diritto societario nazionale a tali enti.

Per contro l’orientamento tradizionale dei giudici comunitario riguardante la libertà di stabilimento primario è meno favorevole alla circolazione delle società. Nel noto caso Daily Mail (Corte di Giustizia CE, 27 settembre 1988, C-81/87, The Queen c Daily Mail e General Trust) la Corte di Giustizia ha sancito che agli stati membri spetta la competenza esclusiva per determinare le condizioni in base alle quali una società di diritto nazionale può trasferire la sede in altro stato membro. La libertà di stabilimento primario non può essere quindi interpretata nel senso che attribuisce alle società il diritto di trasferire la sede all’estero.

Nel caso Überseering (Corte di Giustizia CE 5 novembre 2002, causa C-208/00 Überseering c Nordic Construction Company Baumgarten) la corte ha affrontato il caso di una società di diritto nazionale olandese, la sede effettiva della quale era stata trasferita in Germania a seguito dell’acquisito del capitale della società da parte di due cittadini tedeschi. I giudici comunitari hanno stabilito che la società, nonostante il trasferimento della sede in Germania, avesse in questo stato capacità giuridica e capacità di stare in giudizio.

Nonostante le apparenze, Überseering non costituisce un revirement di quanto la Corte ha deciso in Daily Mail. Infatti, è stato precisato che Daily Mail riguarda un caso in cui una società esercita la libertà di stabilimento primario al fine di emigrare, trasferendo la sede in altro stato membro. Ma lo stato di origine ha competenza esclusiva per stabilire le condizioni che una società di diritto nazionale deve osservare al fine di trasferire la sede all’estero senza essere assoggettata a scioglimento e procedura di liquidazione.

Invece in Überseering ai giudici comunitari si è presentato un caso in cui una società esercita la libertà di stabilimento primario al fine di immigrare, cioè quando una società costituita all’estero si avvale della libertà di stabilimento con lo scopo di trasferire la sede in altro stato membro. Questo situazione è invece regolata dal diritto comunitario.

Si deve quindi attendere la successiva sentenza Sevic per vedere il superamento della distinzione tra libertà di stabilimento primario quando esercitata al fine di emigrare e quando al fine di immigrare.(Corte di Giustizia CE, 13 dicembre 2005, causa 411/03 SEVIC Systems). In questo caso la Corte di Giustizia ha stabilito che uno stato membro non può legittimamente, secondo il diritto comunitario, vietare una fusione transfrontalieria tra una società di diritto nazionale e una società costituita in un altro membro. Una fusione transfrontalieria è disciplinata dal diritto comunitario essendo una modalità di esercizio della libertà di stabilimento.

La sentenza segna un passo importante verso la piena realizzazione della libertà di stabilimento primario in quanto sancisce che la libertà di stabilimento si applica alle operazioni di fusioni transfrontaliere. Più precisamente, il diritto comunitario sembra applicarsi a tutte le fusioni tra società costituite in diversi stati membri, a prescindere se l’operazione di fusione è attuata mediante l’incorporazione della società straniera nella società nazionale ovvero se è la società nazionale ad essere incorporata in una società straniera.

Com’è stato correttamente spiegato dall’AG Mengozzi nelle sue conclusioni, la decisione delle autorità nazionale di vietare una fusione transfrontalieria limita in primo luogo il diritto delle società nazionale di esercitare il diritto di stabilimento in “uscita” mediante la fusione con società costituite nello Stato membro nel quale le società di diritto nazionale intendono intraprendere o espandere un’attività economica. Tale decisione negativa limita parimenti la facoltà delle società costituite in altri Stati membri di esercitare la libertà di stabilimento in “entrata” mediante la fusione con una società di diritto nazionale allo scopo di svolgere un’attività economica nello stato membro che si è opposto alla fusione.

In breve l’importanza della sentenza Sevic consiste nel fatto che per la prima volta la libertà di stabilimento primario è stata interpretata nel senso di comprendere non solo il diritto di una società costituita in uno stato membro di immigrare in un altro stato membro; ma anche, e contrariamente a quanto già deciso in Daily Mail, il diritto della società di diritto nazionale di uno stato membro di emigrare in un altro stato membro.

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Giova anche brevemente accennare ad alcuni strumenti adottati dal legislatore comunitario nel senso di favorire la circolazione delle società, anche attraverso il trasferimento della sede all’estero. Tra questi, la Societas Europea (Regolamento CE n. 2157/2001), la decima direttiva CE di diritto societario sulle fusioni transfrontaliere (Direttiva n. 2005/56 CE) e la proposta quattordicesima direttiva CE di diritto societario sul trasferimento della sede in altro stato membro.

Il caso Cartesio

Cartesio, una società di persone di diritto ungherese decideva di trasferire la sede operativa dall’Ungheria in Italia. Al tempo stesso intendeva mantenere la sede legale in Ungheria affinché il diritto societario ungherese continuasse ad essere la legge nazionale regolatrice della società Cartesio. Il tribunale commerciale del luogo dell’ufficio del registro delle imprese dove la società Cartesio è stata costituita si rifiutava di iscrivere nel registro la decisione di trasferimento della sede.

L’Ungheria adotta la real seat doctrine al fine di stabilire quale sia la lex societatis che regola la costituzione e il funzionamento di una società. La real seat doctrine richiede che la sede legale della società coincida con la sede effettiva. Una società di diritto ungherese non può quindi trasferire la sede all’estero in quanto il trasferimento comporterebbe l’estinzione della società. Si deve quindi prima provvedere allo scioglimento e liquidazione della società e quindi ricostituire la medesima secondo la legge dello stato dove si intende trasferire la sede.

Il giudice di secondo grado, davanti al quale la sentenza sopra descritta era stata appellata, ha richiesto l’intervento della Corte di Giustizia ex art. 234 CE al fine di chiarire se la decisione di non iscrivere la delibera fosse compatibile con il diritto comunitario, e in particolare con la libertà di stabilimento riconosciuta alle società.

Secondo l’AG la legge ungherese contestata discrimina tra il trasferimento della sede effettiva all’interno del territorio nazionale, consentito, e il trasferimento all’estero, invece precluso in quanto sarebbe causa di scioglimento della società, con la conseguenza che il trasferimento avrebbe come effetto l’estinzione della società. Per questi motivi l’AG ritiene che la normativa in oggetto costituisca una restrizione della libertà di stabilimento.

L’AG propende quindi per l’interpretazione estensiva della libertà di stabilimento primario delle società. Le conclusioni dell’AG in Cartesio si collocano di pieno diritto nel recente orientamento delle corti comunitarie favorevole alla piena realizzazione della libertà di circolazione delle società nel mercato unico che si è già manifestato nelle sentenze Centros, Uberseering, Inspire Art e Sevic.

Richiamandosi alle precedenti sentenze, e in particolare al caso Sevic, l’AG chiarisce che la libertà di stabilimento deve essere intesa nel senso che questa comprende qualsiasi movimento infracomunitario delle società costituite conformemente al diritto nazionale di uno stato membro e connesse alla Comunità secondo i criteri previsti dall’articolo 48 CE. Non quindi più necessario distinguere tra la libertà di stabilimento esercitata da una società al fine di emigrare e la libertà di stabilimento esercitata da una società al fine di immigrare per delimitare l’ambito di applicazione della libertà di stabilimento. Una norma nazionale che limita l’ingresso di una società costituita in altro stato membro appare incompatibile con il diritto comunitario nella stessa misura in cui lo è una norma che vieta l’uscita delle società di diritto nazionale.

La nouvelle vague della giurisprudenza comunitaria, della quale Cartesio ne costituisce il più recente episodio segna l’abbandono, forse definitivo della risalente dottrina Daily Mail e dell’idea che ne costituiva il fondamento giuridico; e cioè, essendo le società creazione dell’ordinamento giuridico di costituzione, gli stati membri hanno competenza esclusiva per determinare le condizioni per la costituzione ed estinzione delle società, a prescindere degli effetti, anche restrittivi, che le normative nazionali possono avere sull’esercizio della libertà di stabilimento.

Con questo non si intende obbligare gli stati membri a scegliere il criterio della sede reale piuttosto che quello dell’incorporazione al fine di determinare la nazionalità della società. È invece necessario che gli stati membri considerino gli effetti che il diritto societario nazionale può avere sul principio di diritto comunitario della libertà di stabilimento. A tal fine, l’AG osserva che la fruizione della libertà di stabilimento delle società richiede il mutuo riconoscimento e cooperazione internazionale. Ne discende che, secondo l’attuale stato di evoluzione del diritto comunitario gli stati membri non hanno più il potere assoluto di determinare la vita e la morte delle società di diritto nazionale; ma devono considerare gli effetti che le loro scelte sul piano del diritto nazionale possono avere sul diritto comunitario.

Inoltre, il divieto assoluto di trasferimento della sede operativa è discutibile anche per ragioni di carattere pratico. La libertà di trasferire la sede in altro stato è di rilevante importanza, in particolare per le piccole e medie imprese come la società Cartesio. Il trasferimento della sede è un efficiente strumento per poter iniziale un’attività economica in un altro stato senza dover necessariamente passare per la costosa e complessa procedura di scioglimento della società e di ricostituzione di una nuova società nello stato di stabilimento.

Si deve peraltro rilevare come la libertà di stabilimento riconosciuta alle società non è assoluta. Il diritto comunitario non impedisce di certo agli stati membri l’adozione di misure restrittive per impedire l’esercizio della libertà di stabilimento possa pregiudicare determinati interessi tutelati dalle norme nazionali. Secondo il consolidato indirizzo dei giudici comunitari tali misure nazionali restrittive possono essere giustificate dal diritto comunitario se previste a tutela di ragioni imperative di interesse generale pubblico e se conformi al principio di proporzionalità.

Nel rispetto di tali requisiti, uno stato membro può stabilire alcune condizioni l’osservanza delle quali è necessaria affinchè una società di diritto nazionale possa trasferire la sede amministrativa all’estero. Come già affermato dalla Corte in Sevic ciò che è sicuramente vietato dal diritto comunitario è una restrizione assoluta e incondizionata della libertà di stabilimento.

Il divieto assoluto di trasferimento delle sede all’estero previsto dalla legge ungherese contestata non può essere giustificato dal diritto comunitario secondo quanto sopra esposto. Infatti il governo ungherese non ha indicato nessuna ragione imperativa di interesse generale a giustificazione del divieto assoluto di trasferimento. La misura restrittiva, così come congegnata, ha come solo effetto quello che le società di diritto nazionale non possono trasferire la sede operative all’estero senza che il trasferimento stesso costituisca causa di scioglimento della società.

Di qui la conclusione dell’AG, secondo il divieto assoluto del trasferimento della sede operativa di una società previsto dalle legge dello stato di costituzione in un altro stato membro viola gli art. 43 e 48 CE. Ora non rimane che attendere la sentenza della Corte per vedere confermato l’attuale indirizzo interpretativo in materia della libertà di stabilimento delle società.