Corte dei Conti: risarcimento del danno per assenze del danno di dipendente ASL
REPUBBLICA ITALIANA
In Nome del Popolo Italiano
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Giurisdizionale Regionale dell’Umbria
composta dai seguenti Magistrati :
Dott. Lodovico PRINCIPATO Presidente
Dott. Roberto LEONI Consigliere
Dott. Cristiana RONDONI Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente:
S E N T E N Z A
nel giudizio di responsabilità iscritto al n.11326 del registro di Segreteria, promosso ad istanza del Vice Procuratore Generale della Corte dei Conti per la Regione Umbria,
nei confronti
del signor TIZIO , nato a Cascia il 7 aprile 1953 ed ivi residente in Via Lucangeli n. 38, C.F.: BRN MRA 53 D07 B948M nella sua qualità di dipendente della ASL n.3 dell’Umbria con qualifica di assistente amministrativo in servizio presso l’ospedale di Cascia.
Uditi nella pubblica udienza del giorno 7 aprile 2009, con l’assistenza del segretario Dott.ssa Elisa Rossetti, il Relatore, Consigliere Dott.ssa Cristiana Rondoni, il difensore Avvocato Marzio Vaccari ed il P.M., nella persona del Vice Procuratore Generale, Dott.ssa Fernanda Fraioli.
Assente e non rappresentato il convenuto.
Ritenuto in
F A T T O
Con Atto di Citazione del Vice Procuratore Generale dell’Umbria della Corte dei Conti n. V2007/0901/FRA del 3 gennaio 2009– ritualmente notificato all’interessato in data 5 febbraio 2009 – è stato chiamato in giudizio davanti alla Sezione Giurisdizionale Regionale dell’Umbria della Corte dei Conti il Sig. TIZIO , nella sua qualità di dipendente della ASL n.3 dell’Umbria con qualifica di assistente amministrativo in servizio presso l’ospedale di Cascia, per il danno patrimoniale, all’immagine e da disservizio cagionato all’Amministrazione di appartenenza e quantificato in complessivi € 20.658,00 (oltre alla rivalutazione monetaria, agli interessi legali ed alle spese di giudizio) per aver posto in essere una condotta illecita allontanandosi dal posto di lavoro senza effettuare la registrazione nell’apposito rilevatore delle presenze conseguendo da un lato l’ingiusto profitto corrispondente alla retribuzione percepita per il tempo di assenza dal luogo di lavoro e danneggiando dall’altro la medesima Amministrazione nella sua immagine nonché provocando disservizio.
Riferisce la citazione che la Procura ha aperto l’istruttoria sul caso a seguito della ricezione in data 22 novembre 2007, di una nota della Direzione Generale della ASL n.3 dell’Umbria di trasmissione della delega per l’esecuzione di ordinanza cautelare della Procura della Repubblica di Spoleto, unitamente a copia dell’Ordinanza di applicazione della misura cautelare della sospensione dall’esercizio di pubblico ufficio di un dipendente della ASL medesima emessa dal G.I.P. del Tribunale di Spoleto.
In particolare il convenuto è risultato indagato per il delitto previsto e punito dall’art. 81, comma 2 e dall’art. 640, comma 2, n.1 del codice penale, ovvero truffa aggravata ai danni della ASL n.3 dalla quale dipendeva, conseguendo ugualmente l’intera retribuzione ed arrecando all’Amministrazione un danno economico pari ad € 658,00, per il periodo da giugno 2006 ad agosto 2007.
Dalle indagini condotte dai Carabinieri della Stazione di Cascia sarebbe emerso che il TIZIO si allontanava con un’elevata frequenza e senza giustificazione alcuna dal posto di lavoro per attendere ad occupazioni personali di mero diletto o di disbrigo burocratico, tra cui quella di intrattenersi con amici e conoscenti anche per giocare con loro a carte in un bar della cittadina, quella di recarsi presso l’esercizio commerciale gestito dal proprio figlio, anche per coadiuvarlo in qualche attività, quella di sbrigare alcune pratiche amministrative relative al rinnovo delle licenze di caccia di suoi conoscenti.
Conseguentemente al ricevimento dell’ordinanza del GIP del Tribunale di Spoleto, il Dirigente del Servizio Amministrazione del Personale proponeva di adottare una decisione amministrativa – successivamente assunta dai vertici dell’Azienda con Determina n. 445 del 4 ottobre 2007 – di sospensione del dipendente in questione.
Successivamente, in data 3 dicembre 2007, con Decisione amministrativa n. 564, il Direttore Generale della ASL n. 3, determinava, sempre in esecuzione di quanto statuito dal GIP nell’ordinanza, di riammettere in servizio il TIZIO, atteso che l’efficacia della disposta misura interdittiva era determinata fino al 2 dicembre 2007, né era intervenuta in merito alcuna richiesta del PM.
La Procura ha ritenuto sussistente il danno, così come rappresentato dall’Amministrazione denunciante e supportato dagli accertamenti effettuati, e, ai sensi dell’art. 5 D.L. 1993/453, convertito in legge 14 gennaio 1994 n. 19, nel testo di cui al D.L. 1996/543, convertito in legge n. 639/1996, ha invitato il presunto responsabile a produrre entro quaranta giorni eventuali deduzioni e/o documenti con facoltà di essere sentito personalmente.
Nel termine indicato il convenuto non si è avvalso di nessuna delle due facoltà riconosciutegli dalla legge.
Con memoria depositata in data 30 marzo 2009 il convenuto si è costituito in giudizio, delegando a rappresentarlo l’Avvocato Sandro Picchiarelli e l’Avvocato Marzio Vaccari.
La difesa propone preliminarmente istanza di sospensione in attesa della definizione del processo penale, anche perché << la Procura non ha raggiunto la prova dei fatti prospettati perché recepisce acriticamente i fatti così come identificati nel provvedimento del GIP del Tribunale di Spoleto, senza operare un proprio riscontro autonomo in merito alle situazioni ivi descritte>> ed in relazione alla mancata prova del danno all’immagine e da disservizio chiede l’assoluzione o in subordine la riduzione dell’addebito.
All’odierna udienza, il Pubblico Ministero ed il difensore del convenuto insistono nelle conclusioni di cui agli atti scritti.
Considerato in
DIRITTO
Oggetto del giudizio
La questione all’esame del Collegio concerne la domanda risarcitoria dell’asserito danno patrimoniale, all’immagine e da disservizio cagionato alla ASL n. 3 dell’Umbria e quantificato in complessivi € 20.658,00 – 658,00 a titolo di danno patrimoniale; 10.000,00 a titolo di danno all’immagine e 10.000,00 a titolo di danno da disservizio - (oltre alla rivalutazione monetaria, agli interessi legali ed alle spese di giudizio):
Il sig. TIZIO , in qualità di dipendente della ASL n.3 dell’Umbria con qualifica di assistente amministrativo in servizio presso l’ospedale di Cascia si sarebbe ripetutamente assentato dal servizio senza registrarlo nel sistema di rilevazione delle presenze, percependo un ingiusto profitto costituito dalle retribuzioni relative ai periodi non lavorati e cagionando nel contempo un danno all’immagine dell’Amministrazione data la notevole frequenza e la disinvoltura con la quale si assentava ed un disservizio, concretatosi nelle disfunzioni dovute alla sottrazione di energie lavorative.
Per i fatti indicati il dipendente risulta essere indagato per il delitto previsto e punito dall’art. 81, comma 2 e dall’art. 640, comma 2, n.1 del codice penale, ovvero truffa aggravata ai danni della ASL n.3 dalla quale dipendeva, conseguendo ugualmente l’intera retribuzione ed arrecando all’Amministrazione un danno economico pari ad € 658,00, per il periodo da giugno 2006 ad agosto 2007.
Merito
Quanto al merito della causa, il Collegio è tenuto, nella fattispecie concreta del presente giudizio, a verificare la reale esistenza del danno erariale e la sua quantificazione e ad accertare la sussistenza, in capo al convenuto, della responsabilità amministrativo-contabile, in presenza del nesso di causalità nella condotta illecita commissiva od omissiva tenuta dallo stesso ed in presenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, come stabilito dalla vigente normativa in materia; da ultimo, dall’articolo 58 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (ora art. 93 del T.U. n. 267 del 18 luglio 2000); dall’articolo 2 della legge 8 ottobre 1984, n. 658; dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19; dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20; e dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639.
Esistenza del danno e sua quantificazione.
In particolare in relazione alla specifica fattispecie in esame, l’accusa lamenta la sussistenza del danno patrimoniale per le retribuzioni ingiustamente percepite, quantificato in € 658,00, del danno all’immagine, quantificato in € 10.000,00 e del danno da disservizio, pure quantificato in € 10.000,00 per un totale di € 20.658,00.
Danno patrimoniale.
Al riguardo il Collegio non ha dubbi circa il fatto che il mancato adempimento dei propri obblighi di servizio, che si è verificato per le continue assenze dal posto di lavoro, determini in capo al convenuto l’obbligo di risarcire l’ingiusto profitto tratto dalle retribuzioni percepite per le ore di servizio non prestate.
Il numero di assenze dal servizio accertate dai carabinieri della Stazione di Cascia è talmente ingente da rendere irrilevante la circostanza che nell’indicare la durata dell’assenza si faccia riferimento ad un orario definito dalla difesa non attendibile per la dicitura “almeno tra”. Prevale infatti, nel caso di specie, una condotta assolutamente irregolare, di un dipendente che per abitudine non timbrava il cartellino marcatempo ogni volta che usciva ed entrava dall’ufficio dopo la prima timbratura di accesso, che non è sporadica, bensì sistematica .
Dalla sommatoria sistematica dei numerosi periodi di assenza di diversa durata il Collegio ritiene debba farsi derivare il superamento della soglia minima di rilevanza oltre la quale deve essere risarcito il danno cagionato all’Amministrazione, in disparte la consistenza dello stesso.
Anche la circostanza che un organo di polizia come i Carabinieri abbia ritenuto di dover controllare il convenuto per ben un anno di tempo è indicativa, a parere del Collegio, della gravità dei sospetti ricadenti sullo stesso.
Il Collegio pertanto ritiene che - pur non escludendo di poter giustificare talune di queste assenze imputandole a cause di forza maggiore oppure ad altre cause - la sistematicità con cui sono state poste in essere, la loro sommatoria e la rilevanza anche singolare di alcune di esse ( per la durata di 1 ora e 30 minuti) , facciano ritenere sussistente il danno patrimoniale, quantificabile in via equitativa ex articolo 1226 c.c. almeno in € 500.00, che deve essere risarcito dall’odierno convenuto, essendo superata la soglia dell’antidoverosità e quindi sussistendo l’illecito contabile.
Danno all’immagine.
Con riguardo a tale posta di danno in primo luogo << il Collegio ritiene opportuno far riferimento alla propria consolidata giurisprudenza in materia di danno all’immagine (tra le moltissime si vedano, in particolare, le sentenze 28 maggio/29 giugno 1998, n. 628, 9 marzo/11 maggio 2004, n. 216, 4 giugno/19 ottobre 2002, n. 498, 4/18 ottobre 2000, n. 557, 1/18 dicembre 1998, n. 1087, 14/28 maggio 1998, n. 501), nella quale ne ha più volte precisata natura e caratteri, chiarendo che esso “si realizza in presenza di illeciti che, pur non rivestendo necessariamente carattere penale, hanno una tale rilevanza e capacità lesiva, per la loro intrinseca gravità e per il settore pubblico nel quale intervengono, da ingenerare una corale disapprovazione sociale ed un diffuso e persistente senso di sfiducia della collettività nell’Amministrazione, data la manifesta ed abnorme contrarietà del suo operato <<ai fondamentali canoni della legalità, del buon andamento, e dell’imparzialità, ex art. 97 Cost.>>”.
Più articolatamente (tra le altre, recentemente, la sentenza 3 luglio/13 agosto 2007, n. 196), siffatta giurisprudenza ha anche precisato che “il <<danno all’immagine ed al prestigio della P.A.>> determinato da parte di un soggetto legato alla P.A. da un rapporto di lavoro, di impiego o di servizio (anche di fatto) viene in rilievo unitamente ad altri fondamentali e necessari concomitanti elementi, quali il necessario <<clamor>> e la risonanza e l’amplificazione della notizia da parte dei vari mezzi di informazione” e che tale forma di danno erariale va inquadrato:
a) nell’ambito della categoria del <<danno patrimoniale ingiusto per violazione di un diritto fondamentale della persona giuridica pubblica>>, rapportandolo, quindi, al <<danno patrimoniale in senso ampio>> ex art. 2043 c.c. in collegamento con l’art. 2 Cost., che <<non si correla necessariamente ad un comportamento causativo di un reato>> (non rientrando nell’ambito di applicabilità dell’art. 2059 c.c.), ma può ben discendere anche <<da un comportamento gravemente illegittimo ovvero gravemente illecito extrapenale>>, con la precisazione che non tutti gli atti o comportamenti genericamente illegittimi o illeciti sono causalmente idonei a determinare una menomazione di detta immagine e di detto prestigio, venendo in rilievo - nel giudizio di responsabilità amministrativa contabile - <<solo i comportamenti gravemente illegittimi ovvero gravemente illeciti (anche di carattere extrapenale)>>, perché idonei - nella loro consistenza fenomenica - a produrre quella <<grave perdita del prestigio dell’immagine>> e quel <<grave detrimento della personalità pubblica>>;
b) nell’ambito della fattispecie del pregiudizio che mina alle basi la stessa credibilità sociale e, dunque, l’esistenza dell’Amministrazione pubblica, in presenza di una condotta altamente lesiva del bene/valore che si riflette sull’immagine pubblica (sanità, giustizia, sicurezza, cultura e via dicendo);
c) nell’ambito della categoria del <<danno/evento>> (e non del <<danno/conseguenza>>), considerato che, poiché l’oggetto del risarcimento non può che essere una perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva e la liquidazione del danno non può riferirsi se non a perdite, a questi limiti soggiace anche la tutela risarcitoria dei danni non patrimoniali causati dalla lesione di diritti od interessi costituzionalmente protetti, quali il diritto all’immagine, con la peculiarità che essa deve essere ammessa indipendentemente dalla dimostrazione di perdite patrimoniali, oggetto del risarcimento, senza la diminuzione o la privazione di valori inerenti al bene protetto;
d) nell’ambito delle fattispecie per le quali - non essendo richiesta la prova delle spese necessarie al recupero del bene giuridico leso - si può fare affidamento - per la concreta determinazione dell’ammontare del danno erariale - sulla <<valutazione equitativa del Giudice>>, ai sensi dell’articolo 1226 c.c., sulla base dei <<parametri di tipo oggettivo, soggettivo e sociale>> come definiti dalla giurisprudenza maggioritaria e prevalente della Corte dei Conti di cui si è detto ed, in particolare, da diverse sentenze di questa Sezione in precedenza indicate;
e) nell’ambito delle fattispecie per le quali sussiste in ogni caso <<l’onere per l’attore di indicare le presunzioni, gli indizi e gli altri parametri che intende utilizzare sul piano probatorio>>;
f) nell’ambito delle fattispecie per le quali è necessario <<il superamento di una soglia minima>> di rilevanza della condotta, da individuarsi con una indagine attenta e completa sul comportamento tenuto dal convenuto e sulla potenzialità lesiva dell’immagine e del prestigio della P.A. di detto comportamento tale da minacciare l’affidamento della comunità sociale nella P.A.”
Queste considerazioni riposano, in effetti, su una pacifica giurisprudenza della Corte regolatrice – che ha fornito un fondamentale contributo all’elaborazione teorica della figura ed alle implicazioni che, nelle fattispecie concrete, siffatta elaborazione determina – la quale ha già da tempo ben chiarito (sentenza n. 5668 del 1997) i concetti innanzi riepilogati, ben distinguendo il danno all’immagine dal pretium doloris e ne ha affermata l’indefettibilità del carattere patrimoniale.
Né a dette conclusioni il Collegio ritiene di dover venire meno in presenza della recentissima sentenza n. 26972 pronunciata dalla stessa Corte regolatrice in data 24 giugno/11 novembre 2008, in quanto i concetti in essa espressi,. riferiti al danno non patrimoniale nei rapporti privati, non sono estensibili al danno all’immagine provocato alla p.a. da soggetto legato da rapporto di servizio, che è “patrimoniale” in senso stretto e discende da responsabilità contrattuale, se non altro per l’assoluta diversità ontologica che esiste tra persone fisiche e persone giuridiche (la stessa Corte di cassazione, con sentenza n. 744 del 1999)>> (cfr. Sezione Umbria n. 44 del 2009; Sezione Terza d’Appello n. 143/2009).
Anche con riferimento al danno all’immagine alla luce delle considerazioni generali appena ricordate il Collegio ritiene che la condotta del Tizio abbia prodotto senza dubbio un danno, considerato che – come già rilevato - siamo di fronte ad un comportamento che ha ampiamente superato la soglia minima di inadempienza nei rapporti verso la pubblica amministrazione.
Se si considera poi che i fatti sono avvenuti in un paese piccolo, dove i pubblici dipendenti sono osservabili dalla comunità, come il convenuto lo è stato dai carabinieri, non vi è dubbio circa la sussistenza del danno conseguente alla lesione all’immagine dell’Amministrazione sanitaria in conseguenza della condotta tenuta dal convenuto.
Il danno all’immagine, formatosi in relazione al fatto conclamato che trova conferma in una straordinaria quantità di verifiche fatte dai carabinieri che in un piccolo centro come Cascia non hanno quasi potuto evitare di accorgersi con quanta frequenza e con quanta naturalezza il Tizio si assentava dal posto di lavoro durante l’orario di servizio viene dalla Procura attrice quantificato in € 10.000,00, importo che è condiviso anche dal Collegio, stante la disinvoltura e l’abitualità delle assenze del Tizio ed il clamor che dalle stesse deve fuor di dubbio essere derivato considerato il piccolo centro ed il fatto che il convenuto non aveva problemi ad attendere anche a funzioni rese al pubblico (negozio del figlio) o personali durante le assenze.
Danno da disservizio.
Sostiene la Procura attrice che la mera sottrazione di energie lavorative dal servizio abbia inciso negativamente sul servizio stesso generando un danno da disservizio, cioè un’alterazione della normale efficienza ed efficacia del servizio, uno stato disfunzionale dello stesso.
L’enunciazione di principio pur non essendo sbagliata rimane a parere del Collegio generica, in quanto manca la prova in concreto di quali disagi, di quali disservizi, ritardi o malfunzionamenti siano dipesi dalla condotta del Tizio, senza la quale il Collegio non può che assolvere il convenuto almeno per la partita di danno da disservizio, trattandosi tra l’altro di un dipendente amministrativo e non facente parte del personale medico o paramedico, le cui assenze potrebbero in astratto aver determinato dei ritadi nell’espletamento di pratiche che tuttavia, per poter essere valutati dal Collegio, devono essere allegati e provati..
Con riguardo al disservizio il convenuto deve essere quindi assolto, in quanto manca in atti la prova della flessione degli standard, appunto di servizio, dell’Amministrazione di appartenenza in relazione alle assenze dello stesso.
Elemento soggettivo.
Quanto all’elemento soggettivo il Collegio ritiene che il Tizio abbia agito con dolo, nella particolare figura del dolo contrattuale, considerato che il Tizio ha consapevolmente e senza remore violato i doveri che conseguivano dalla qualifica rivestita nell’ambito dell’Amministrazione di appartenenza.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P. Q. M.
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Giurisdizionale dell’Umbria
Condanna Signor TIZIO , nato a Cascia il 7 aprile 1953 ed ivi residente in Via Lucangeli n. 38, C.F.: BRN MRA 53 D07 B948M, al pagamento, in favore della ASL n. 3 dell’Umbria della somma di € 10.500,00 (diecimilacinquecento/00) oltre a interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino al soddisfo, ed alle spese di giudizio, a favore dello Stato, nella misura di € 404,79 (quattrocentoquattro/79).
Così deciso in Perugia, nella Camera di Consiglio del 7 aprile 2009
L’Estensore Il Presidente
f.to Cristiana Rondoni f.to Lodovico Principato
Depositata in Segreteria il 5 agosto 2009
Il Dirigente della Segreteria
f.to Dott. Francesco Belsanti
REPUBBLICA ITALIANA
In Nome del Popolo Italiano
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Giurisdizionale Regionale dell’Umbria
composta dai seguenti Magistrati :
Dott. Lodovico PRINCIPATO Presidente
Dott. Roberto LEONI Consigliere
Dott. Cristiana RONDONI Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente:
S E N T E N Z A
nel giudizio di responsabilità iscritto al n.11326 del registro di Segreteria, promosso ad istanza del Vice Procuratore Generale della Corte dei Conti per la Regione Umbria,
nei confronti
del signor TIZIO , nato a Cascia il 7 aprile 1953 ed ivi residente in Via Lucangeli n. 38, C.F.: BRN MRA 53 D07 B948M nella sua qualità di dipendente della ASL n.3 dell’Umbria con qualifica di assistente amministrativo in servizio presso l’ospedale di Cascia.
Uditi nella pubblica udienza del giorno 7 aprile 2009, con l’assistenza del segretario Dott.ssa Elisa Rossetti, il Relatore, Consigliere Dott.ssa Cristiana Rondoni, il difensore Avvocato Marzio Vaccari ed il P.M., nella persona del Vice Procuratore Generale, Dott.ssa Fernanda Fraioli.
Assente e non rappresentato il convenuto.
Ritenuto in
F A T T O
Con Atto di Citazione del Vice Procuratore Generale dell’Umbria della Corte dei Conti n. V2007/0901/FRA del 3 gennaio 2009– ritualmente notificato all’interessato in data 5 febbraio 2009 – è stato chiamato in giudizio davanti alla Sezione Giurisdizionale Regionale dell’Umbria della Corte dei Conti il Sig. TIZIO , nella sua qualità di dipendente della ASL n.3 dell’Umbria con qualifica di assistente amministrativo in servizio presso l’ospedale di Cascia, per il danno patrimoniale, all’immagine e da disservizio cagionato all’Amministrazione di appartenenza e quantificato in complessivi € 20.658,00 (oltre alla rivalutazione monetaria, agli interessi legali ed alle spese di giudizio) per aver posto in essere una condotta illecita allontanandosi dal posto di lavoro senza effettuare la registrazione nell’apposito rilevatore delle presenze conseguendo da un lato l’ingiusto profitto corrispondente alla retribuzione percepita per il tempo di assenza dal luogo di lavoro e danneggiando dall’altro la medesima Amministrazione nella sua immagine nonché provocando disservizio.
Riferisce la citazione che la Procura ha aperto l’istruttoria sul caso a seguito della ricezione in data 22 novembre 2007, di una nota della Direzione Generale della ASL n.3 dell’Umbria di trasmissione della delega per l’esecuzione di ordinanza cautelare della Procura della Repubblica di Spoleto, unitamente a copia dell’Ordinanza di applicazione della misura cautelare della sospensione dall’esercizio di pubblico ufficio di un dipendente della ASL medesima emessa dal G.I.P. del Tribunale di Spoleto.
In particolare il convenuto è risultato indagato per il delitto previsto e punito dall’art. 81, comma 2 e dall’art. 640, comma 2, n.1 del codice penale, ovvero truffa aggravata ai danni della ASL n.3 dalla quale dipendeva, conseguendo ugualmente l’intera retribuzione ed arrecando all’Amministrazione un danno economico pari ad € 658,00, per il periodo da giugno 2006 ad agosto 2007.
Dalle indagini condotte dai Carabinieri della Stazione di Cascia sarebbe emerso che il TIZIO si allontanava con un’elevata frequenza e senza giustificazione alcuna dal posto di lavoro per attendere ad occupazioni personali di mero diletto o di disbrigo burocratico, tra cui quella di intrattenersi con amici e conoscenti anche per giocare con loro a carte in un bar della cittadina, quella di recarsi presso l’esercizio commerciale gestito dal proprio figlio, anche per coadiuvarlo in qualche attività, quella di sbrigare alcune pratiche amministrative relative al rinnovo delle licenze di caccia di suoi conoscenti.
Conseguentemente al ricevimento dell’ordinanza del GIP del Tribunale di Spoleto, il Dirigente del Servizio Amministrazione del Personale proponeva di adottare una decisione amministrativa – successivamente assunta dai vertici dell’Azienda con Determina n. 445 del 4 ottobre 2007 – di sospensione del dipendente in questione.
Successivamente, in data 3 dicembre 2007, con Decisione amministrativa n. 564, il Direttore Generale della ASL n. 3, determinava, sempre in esecuzione di quanto statuito dal GIP nell’ordinanza, di riammettere in servizio il TIZIO, atteso che l’efficacia della disposta misura interdittiva era determinata fino al 2 dicembre 2007, né era intervenuta in merito alcuna richiesta del PM.
La Procura ha ritenuto sussistente il danno, così come rappresentato dall’Amministrazione denunciante e supportato dagli accertamenti effettuati, e, ai sensi dell’art. 5 D.L. 1993/453, convertito in legge 14 gennaio 1994 n. 19, nel testo di cui al D.L. 1996/543, convertito in legge n. 639/1996, ha invitato il presunto responsabile a produrre entro quaranta giorni eventuali deduzioni e/o documenti con facoltà di essere sentito personalmente.
Nel termine indicato il convenuto non si è avvalso di nessuna delle due facoltà riconosciutegli dalla legge.
Con memoria depositata in data 30 marzo 2009 il convenuto si è costituito in giudizio, delegando a rappresentarlo l’Avvocato Sandro Picchiarelli e l’Avvocato Marzio Vaccari.
La difesa propone preliminarmente istanza di sospensione in attesa della definizione del processo penale, anche perché << la Procura non ha raggiunto la prova dei fatti prospettati perché recepisce acriticamente i fatti così come identificati nel provvedimento del GIP del Tribunale di Spoleto, senza operare un proprio riscontro autonomo in merito alle situazioni ivi descritte>> ed in relazione alla mancata prova del danno all’immagine e da disservizio chiede l’assoluzione o in subordine la riduzione dell’addebito.
All’odierna udienza, il Pubblico Ministero ed il difensore del convenuto insistono nelle conclusioni di cui agli atti scritti.
Considerato in
DIRITTO
Oggetto del giudizio
La questione all’esame del Collegio concerne la domanda risarcitoria dell’asserito danno patrimoniale, all’immagine e da disservizio cagionato alla ASL n. 3 dell’Umbria e quantificato in complessivi € 20.658,00 – 658,00 a titolo di danno patrimoniale; 10.000,00 a titolo di danno all’immagine e 10.000,00 a titolo di danno da disservizio - (oltre alla rivalutazione monetaria, agli interessi legali ed alle spese di giudizio):
Il sig. TIZIO , in qualità di dipendente della ASL n.3 dell’Umbria con qualifica di assistente amministrativo in servizio presso l’ospedale di Cascia si sarebbe ripetutamente assentato dal servizio senza registrarlo nel sistema di rilevazione delle presenze, percependo un ingiusto profitto costituito dalle retribuzioni relative ai periodi non lavorati e cagionando nel contempo un danno all’immagine dell’Amministrazione data la notevole frequenza e la disinvoltura con la quale si assentava ed un disservizio, concretatosi nelle disfunzioni dovute alla sottrazione di energie lavorative.
Per i fatti indicati il dipendente risulta essere indagato per il delitto previsto e punito dall’art. 81, comma 2 e dall’art. 640, comma 2, n.1 del codice penale, ovvero truffa aggravata ai danni della ASL n.3 dalla quale dipendeva, conseguendo ugualmente l’intera retribuzione ed arrecando all’Amministrazione un danno economico pari ad € 658,00, per il periodo da giugno 2006 ad agosto 2007.
Merito
Quanto al merito della causa, il Collegio è tenuto, nella fattispecie concreta del presente giudizio, a verificare la reale esistenza del danno erariale e la sua quantificazione e ad accertare la sussistenza, in capo al convenuto, della responsabilità amministrativo-contabile, in presenza del nesso di causalità nella condotta illecita commissiva od omissiva tenuta dallo stesso ed in presenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, come stabilito dalla vigente normativa in materia; da ultimo, dall’articolo 58 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (ora art. 93 del T.U. n. 267 del 18 luglio 2000); dall’articolo 2 della legge 8 ottobre 1984, n. 658; dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19; dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20; e dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639.
Esistenza del danno e sua quantificazione.
In particolare in relazione alla specifica fattispecie in esame, l’accusa lamenta la sussistenza del danno patrimoniale per le retribuzioni ingiustamente percepite, quantificato in € 658,00, del danno all’immagine, quantificato in € 10.000,00 e del danno da disservizio, pure quantificato in € 10.000,00 per un totale di € 20.658,00.
Danno patrimoniale.
Al riguardo il Collegio non ha dubbi circa il fatto che il mancato adempimento dei propri obblighi di servizio, che si è verificato per le continue assenze dal posto di lavoro, determini in capo al convenuto l’obbligo di risarcire l’ingiusto profitto tratto dalle retribuzioni percepite per le ore di servizio non prestate.
Il numero di assenze dal servizio accertate dai carabinieri della Stazione di Cascia è talmente ingente da rendere irrilevante la circostanza che nell’indicare la durata dell’assenza si faccia riferimento ad un orario definito dalla difesa non attendibile per la dicitura “almeno tra”. Prevale infatti, nel caso di specie, una condotta assolutamente irregolare, di un dipendente che per abitudine non timbrava il cartellino marcatempo ogni volta che usciva ed entrava dall’ufficio dopo la prima timbratura di accesso, che non è sporadica, bensì sistematica .
Dalla sommatoria sistematica dei numerosi periodi di assenza di diversa durata il Collegio ritiene debba farsi derivare il superamento della soglia minima di rilevanza oltre la quale deve essere risarcito il danno cagionato all’Amministrazione, in disparte la consistenza dello stesso.
Anche la circostanza che un organo di polizia come i Carabinieri abbia ritenuto di dover controllare il convenuto per ben un anno di tempo è indicativa, a parere del Collegio, della gravità dei sospetti ricadenti sullo stesso.
Il Collegio pertanto ritiene che - pur non escludendo di poter giustificare talune di queste assenze imputandole a cause di forza maggiore oppure ad altre cause - la sistematicità con cui sono state poste in essere, la loro sommatoria e la rilevanza anche singolare di alcune di esse ( per la durata di 1 ora e 30 minuti) , facciano ritenere sussistente il danno patrimoniale, quantificabile in via equitativa ex articolo 1226 c.c. almeno in € 500.00, che deve essere risarcito dall’odierno convenuto, essendo superata la soglia dell’antidoverosità e quindi sussistendo l’illecito contabile.
Danno all’immagine.
Con riguardo a tale posta di danno in primo luogo << il Collegio ritiene opportuno far riferimento alla propria consolidata giurisprudenza in materia di danno all’immagine (tra le moltissime si vedano, in particolare, le sentenze 28 maggio/29 giugno 1998, n. 628, 9 marzo/11 maggio 2004, n. 216, 4 giugno/19 ottobre 2002, n. 498, 4/18 ottobre 2000, n. 557, 1/18 dicembre 1998, n. 1087, 14/28 maggio 1998, n. 501), nella quale ne ha più volte precisata natura e caratteri, chiarendo che esso “si realizza in presenza di illeciti che, pur non rivestendo necessariamente carattere penale, hanno una tale rilevanza e capacità lesiva, per la loro intrinseca gravità e per il settore pubblico nel quale intervengono, da ingenerare una corale disapprovazione sociale ed un diffuso e persistente senso di sfiducia della collettività nell’Amministrazione, data la manifesta ed abnorme contrarietà del suo operato <<ai fondamentali canoni della legalità, del buon andamento, e dell’imparzialità, ex art. 97 Cost.>>”.
Più articolatamente (tra le altre, recentemente, la sentenza 3 luglio/13 agosto 2007, n. 196), siffatta giurisprudenza ha anche precisato che “il <<danno all’immagine ed al prestigio della P.A.>> determinato da parte di un soggetto legato alla P.A. da un rapporto di lavoro, di impiego o di servizio (anche di fatto) viene in rilievo unitamente ad altri fondamentali e necessari concomitanti elementi, quali il necessario <<clamor>> e la risonanza e l’amplificazione della notizia da parte dei vari mezzi di informazione” e che tale forma di danno erariale va inquadrato:
a) nell’ambito della categoria del <<danno patrimoniale ingiusto per violazione di un diritto fondamentale della persona giuridica pubblica>>, rapportandolo, quindi, al <<danno patrimoniale in senso ampio>> ex art. 2043 c.c. in collegamento con l’art. 2 Cost., che <<non si correla necessariamente ad un comportamento causativo di un reato>> (non rientrando nell’ambito di applicabilità dell’art. 2059 c.c.), ma può ben discendere anche <<da un comportamento gravemente illegittimo ovvero gravemente illecito extrapenale>>, con la precisazione che non tutti gli atti o comportamenti genericamente illegittimi o illeciti sono causalmente idonei a determinare una menomazione di detta immagine e di detto prestigio, venendo in rilievo - nel giudizio di responsabilità amministrativa contabile - <<solo i comportamenti gravemente illegittimi ovvero gravemente illeciti (anche di carattere extrapenale)>>, perché idonei - nella loro consistenza fenomenica - a produrre quella <<grave perdita del prestigio dell’immagine>> e quel <<grave detrimento della personalità pubblica>>;
b) nell’ambito della fattispecie del pregiudizio che mina alle basi la stessa credibilità sociale e, dunque, l’esistenza dell’Amministrazione pubblica, in presenza di una condotta altamente lesiva del bene/valore che si riflette sull’immagine pubblica (sanità, giustizia, sicurezza, cultura e via dicendo);
c) nell’ambito della categoria del <<danno/evento>> (e non del <<danno/conseguenza>>), considerato che, poiché l’oggetto del risarcimento non può che essere una perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva e la liquidazione del danno non può riferirsi se non a perdite, a questi limiti soggiace anche la tutela risarcitoria dei danni non patrimoniali causati dalla lesione di diritti od interessi costituzionalmente protetti, quali il diritto all’immagine, con la peculiarità che essa deve essere ammessa indipendentemente dalla dimostrazione di perdite patrimoniali, oggetto del risarcimento, senza la diminuzione o la privazione di valori inerenti al bene protetto;
d) nell’ambito delle fattispecie per le quali - non essendo richiesta la prova delle spese necessarie al recupero del bene giuridico leso - si può fare affidamento - per la concreta determinazione dell’ammontare del danno erariale - sulla <<valutazione equitativa del Giudice>>, ai sensi dell’articolo 1226 c.c., sulla base dei <<parametri di tipo oggettivo, soggettivo e sociale>> come definiti dalla giurisprudenza maggioritaria e prevalente della Corte dei Conti di cui si è detto ed, in particolare, da diverse sentenze di questa Sezione in precedenza indicate;
e) nell’ambito delle fattispecie per le quali sussiste in ogni caso <<l’onere per l’attore di indicare le presunzioni, gli indizi e gli altri parametri che intende utilizzare sul piano probatorio>>;
f) nell’ambito delle fattispecie per le quali è necessario <<il superamento di una soglia minima>> di rilevanza della condotta, da individuarsi con una indagine attenta e completa sul comportamento tenuto dal convenuto e sulla potenzialità lesiva dell’immagine e del prestigio della P.A. di detto comportamento tale da minacciare l’affidamento della comunità sociale nella P.A.”
Queste considerazioni riposano, in effetti, su una pacifica giurisprudenza della Corte regolatrice – che ha fornito un fondamentale contributo all’elaborazione teorica della figura ed alle implicazioni che, nelle fattispecie concrete, siffatta elaborazione determina – la quale ha già da tempo ben chiarito (sentenza n. 5668 del 1997) i concetti innanzi riepilogati, ben distinguendo il danno all’immagine dal pretium doloris e ne ha affermata l’indefettibilità del carattere patrimoniale.
Né a dette conclusioni il Collegio ritiene di dover venire meno in presenza della recentissima sentenza n. 26972 pronunciata dalla stessa Corte regolatrice in data 24 giugno/11 novembre 2008, in quanto i concetti in essa espressi,. riferiti al danno non patrimoniale nei rapporti privati, non sono estensibili al danno all’immagine provocato alla p.a. da soggetto legato da rapporto di servizio, che è “patrimoniale” in senso stretto e discende da responsabilità contrattuale, se non altro per l’assoluta diversità ontologica che esiste tra persone fisiche e persone giuridiche (la stessa Corte di cassazione, con sentenza n. 744 del 1999)>> (cfr. Sezione Umbria n. 44 del 2009; Sezione Terza d’Appello n. 143/2009).
Anche con riferimento al danno all’immagine alla luce delle considerazioni generali appena ricordate il Collegio ritiene che la condotta del Tizio abbia prodotto senza dubbio un danno, considerato che – come già rilevato - siamo di fronte ad un comportamento che ha ampiamente superato la soglia minima di inadempienza nei rapporti verso la pubblica amministrazione.
Se si considera poi che i fatti sono avvenuti in un paese piccolo, dove i pubblici dipendenti sono osservabili dalla comunità, come il convenuto lo è stato dai carabinieri, non vi è dubbio circa la sussistenza del danno conseguente alla lesione all’immagine dell’Amministrazione sanitaria in conseguenza della condotta tenuta dal convenuto.
Il danno all’immagine, formatosi in relazione al fatto conclamato che trova conferma in una straordinaria quantità di verifiche fatte dai carabinieri che in un piccolo centro come Cascia non hanno quasi potuto evitare di accorgersi con quanta frequenza e con quanta naturalezza il Tizio si assentava dal posto di lavoro durante l’orario di servizio viene dalla Procura attrice quantificato in € 10.000,00, importo che è condiviso anche dal Collegio, stante la disinvoltura e l’abitualità delle assenze del Tizio ed il clamor che dalle stesse deve fuor di dubbio essere derivato considerato il piccolo centro ed il fatto che il convenuto non aveva problemi ad attendere anche a funzioni rese al pubblico (negozio del figlio) o personali durante le assenze.
Danno da disservizio.
Sostiene la Procura attrice che la mera sottrazione di energie lavorative dal servizio abbia inciso negativamente sul servizio stesso generando un danno da disservizio, cioè un’alterazione della normale efficienza ed efficacia del servizio, uno stato disfunzionale dello stesso.
L’enunciazione di principio pur non essendo sbagliata rimane a parere del Collegio generica, in quanto manca la prova in concreto di quali disagi, di quali disservizi, ritardi o malfunzionamenti siano dipesi dalla condotta del Tizio, senza la quale il Collegio non può che assolvere il convenuto almeno per la partita di danno da disservizio, trattandosi tra l’altro di un dipendente amministrativo e non facente parte del personale medico o paramedico, le cui assenze potrebbero in astratto aver determinato dei ritadi nell’espletamento di pratiche che tuttavia, per poter essere valutati dal Collegio, devono essere allegati e provati..
Con riguardo al disservizio il convenuto deve essere quindi assolto, in quanto manca in atti la prova della flessione degli standard, appunto di servizio, dell’Amministrazione di appartenenza in relazione alle assenze dello stesso.
Elemento soggettivo.
Quanto all’elemento soggettivo il Collegio ritiene che il Tizio abbia agito con dolo, nella particolare figura del dolo contrattuale, considerato che il Tizio ha consapevolmente e senza remore violato i doveri che conseguivano dalla qualifica rivestita nell’ambito dell’Amministrazione di appartenenza.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P. Q. M.
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Giurisdizionale dell’Umbria
Condanna Signor TIZIO , nato a Cascia il 7 aprile 1953 ed ivi residente in Via Lucangeli n. 38, C.F.: BRN MRA 53 D07 B948M, al pagamento, in favore della ASL n. 3 dell’Umbria della somma di € 10.500,00 (diecimilacinquecento/00) oltre a interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino al soddisfo, ed alle spese di giudizio, a favore dello Stato, nella misura di € 404,79 (quattrocentoquattro/79).
Così deciso in Perugia, nella Camera di Consiglio del 7 aprile 2009
L’Estensore Il Presidente
f.to Cristiana Rondoni f.to Lodovico Principato
Depositata in Segreteria il 5 agosto 2009
Il Dirigente della Segreteria
f.to Dott. Francesco Belsanti