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Di Maio e Raggi, scuse post assoluzione: il garantismo a orologeria del Movimento 5 Stelle

Raggi e Di Maio
Raggi e Di Maio

Di Maio e Raggi: quale garantismo?

Mentre Di Maio effettua una improvvisa “svolta garantista”, a parole, il Movimento 5 Stelle in Parlamento propone l’abolizione dell’articolo 597 comma 3 Codice Procedura Penale per l’eliminazione del divieto di reformatio in peius nel processo penale.

Per i non addetti ai lavori è il principio giuridico che sancisce il divieto per i giudici di appello di irrogare una pena più grave in caso di impugnazione della sentenza di condanna di primo grado da parte del solo imputato.

Il giudice d’appello, secondo il dettato del codice, non può: “irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici”. La norma del divieto della reformatio in peius è il corollario del più ampio principio del favor rei.

Principio fondamentale o scelta di politica legislativa?

Lo storico dibattito instauratosi intorno al principio del divieto di reformatio in peius risulta dominato dal confronto tra due contrapposte linee di pensiero. Vi è chi ha cercato una dimostrazione della coerenza giuridica dell’istituto all’interno dell’ordinamento processuale, elevandolo a principio cardine del sistema impugnatorio e chi, al contrario, evidenziandone la natura meramente politica, ha sostenuto fermamente l’assenza di ogni logica giuridica.

Per brevità ci permettiamo di sottolineare che l’eventuale riforma del divieto della reformatio andrebbe inquadrata in una riforma organica delle impugnazioni nel processo penale con una riflessione intorno alla fisionomia delle impugnazioni in generale. Ricordiamo come il divieto esplichi i propri effetti nei limiti della devoluzione in appello, ai sensi e per l’effetto dell’articolo 597 comma 1 Codice Procedura Penale.

Come scriveva Giacomo Delitala il divieto di reformatio in peius: “costituisce un angolo dal quale si apre una magnifica visuale su tutta quanta la dottrina dei mezzi di impugnazione”.

Dall’angolo di visuale di uno dei massimi studiosi del processo penale passiamo alla “visione” dei cinque firmatari pentastellati della Proposta di legge n. 3047 depositata alla Camera dei Deputati il 22 aprile 2021.

I cinque onorevoli ritengono che il principio sia una fastidiosa prassi che “ha contribuito alla proposizione di impugnazioni meramente dilatorie, spesso volte solo a differire l’esecutività del provvedimento nell’attesa della prescrizione del reato. Una prassi che, insieme alla mancata riforma dei termini della prescrizione nel senso di un adeguato, allungamento degli stessi, incide profondamente sull’aumento del contenzioso in sede d’appello”.

Fatta la premessa si conclude con l’esposizione dell’articolo 1 del progetto di legge: “Il comma 3 dell’articolo 597 del codice di procedura penale è abrogato”.

"Le leggi sono prodotte dall’egoismo, dall’inganno e dalla lotta di partito; esse non possono servire una vera giustizia"

Lev Tolstoj

La logica sottesa nella proposta di abolizione ci fa compiere un balzo a ritroso nel tempo di quarant’anni, quando venne introdotto il nuovo codice di rito e si indicava nel divieto della reformatio in peius la causa del ritardo cronico delle tempistiche processuali. Oggi come allora si individua nell’abolizione del divieto sancito dall’articolo 597 comma 3 Codice Procedura Penale la panacea dei mali della giustizia.

Invocare la celerità a discapito delle garanzie è foriero di errori giudiziari e ingiustizie ma, per quelle, sembrano bastare le scuse postume.

La macchina della giurisdizione deve far suo il motto latino Festina lente, affrettati lentamente, per non rinunciare alla prudenza e tranquillità necessarie che richiede il giudizio espresso da un uomo sul destino di un altro uomo.

Mentre di Maio si scusa, ricordiamo Umberto Eco, che scriveva: “La giustizia non è mossa dalla fretta … e quella di Dio ha secoli a disposizione”.