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Diritto alla privacy e libertà di informazione: quale bilanciamento?

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Diritto alla privacy e libertà di informazione: quale bilanciamento? 

 

Abstract

Partendo dall’analisi dell’evoluzione del diritto alla riservatezza, percorrendo le tappe dall’elaborazione giurisprudenziale sino all’approvazione del regolamento UE n. 679/2016 (GDPR), la riflessione si concentra sulle implicazioni che il diritto alla privacy incontra in tema di bilanciamento con altri diritti costituzionalmente garantiti come il diritto di cronaca e all’informazione. Da ultimo, si procederà ad un sintetico focus sul concetto di deindicizzazione come soluzione in tema di diritto all’oblio nell’ambito dell’attività di cronaca giudiziaria, alla luce della più recente giurisprudenza ed in considerazione dei provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali.

 

Indice:

1. Aspetti generali ed evoluzione del diritto alla privacy

2. Il Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR) ed il diritto all’oblio

3. Le recenti pronunce in tema di rapporto tra diritto all’oblio e cronaca giornalistica

 

1. Aspetti generali ed evoluzione del diritto alla privacy

È noto come, negli anni che corrono, risultino di centrale rilevanza le numerose questioni che orbitano attorno al trattamento dei dati personali in considerazione dei mutamenti degli assetti sociali, del sempre più costante e onnipresente utilizzo del web e, non da ultimo, dell’accentuata importanza ed attenzione assunta nei confronti della privacy.

In tale contesto, alla luce delle evidenti implicazioni che la navigazione in rete assume nella vita di tutti i giorni, è emerso un diritto di “nuova generazione” definito come diritto all’oblio, che, seppur di neonata matrice, è una naturale estrinsecazione del diritto alla riservatezza ed il diritto alla privacy.

In particolare, tale diritto consiste nella tutela dell’interesse di un individuo a che non vengano riproposte notizie o informazioni che lo riguardano dopo che sia trascorso un considerevole lasso di tempo tra i fatti oggetto delle notizie medesime; letteralmente il diritto all’oblio permette al soggetto che legittimamente ne faccia richiesta di “esser dimenticato” e, per l’appunto, “cadere nell’oblio”.

Già prima dell’introduzione del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), l’attenzione da parte del mondo degli operatori del diritto nei confronti dei cc.dd. “dati personali” ha permesso una continua e costante evoluzione giurisprudenziale.

Ed infatti, con particolare riferimento al panorama giornalistico e nello specifico in tema di diritto di cronaca, il Codice in materia di protezione dei dati personali (Decreto Legislativo n. 196 del 2003) prevedeva agli articoli 11 e 99 che la memorizzazione delle notizie per finalità c.d. storiche fosse un trattamento del tutto conforme rispetto a quello originario di natura giornalistica e che lo stesso potesse essere svolto “anche oltre il periodo di tempo necessario per conseguire i diversi scopi per i quali i dati sono stati in precedenza raccolti o trattati”. All’articolo 4 del d.lgs. si conferiva un’accezione maggiormente ampia alla finalità storica, destinata così a ricomprendere oltre i fini di studio, indagine e ricerca anche il fine volto alla “documentazione di figure, fatti e circostanze del passato”.

La normativa in questione doveva essere necessariamente letta alla luce di quanto previsto dalla Carta Costituzionale agli articoli 21 e 33. Il dettato costituzionale prevede infatti che l’attività di conservazione delle raccolte delle edizioni dei giornali pubblicate nel passato risponda ad un interesse caratterizzato dalla natura pubblicista (intesa nell’accezione che denota l’interesse comune) tanto da assumere un duplice rilievo: in primis, in quanto finalizzato alla ricerca storica ed espressione del medesimo diritto (articolo 33 Costituzione) e, in secondo luogo, in quanto espressione del diritto di manifestare liberamente il pensiero (articoli 21 e 33 Costituzione).

Sul punto è intervenuto nel 2005 il Garante per la protezione dei dati personali che, con la newsletter n. 249 del 21-27 marzo 2005, ha individuato una soluzione che, da un lato, permetta di garantire la trasparenza dell’informazione ma, al contempo, eviti che tale esigenza possa sfociare in una c.d “gogna elettronica”.

Il Garante ha pertanto disposto che “l’ente pubblico continui a pubblicare sul proprio sito le proprie decisioni, anche a distanza di tempo, predisponendo però nell’ambito del proprio sito web, entro un trimestre, una sezione per i vecchi provvedimenti […] consultabile da tutti tramite il sito, ma attraverso l’indirizzo dell’ente, anziché mediante una domanda a tappeto tramite i motori esterni di ricerca. Entro lo stesso termine, l’ente individuerà altresì il periodo temporale, proporzionato al raggiungimento delle proprie finalità durante il quale i propri provvedimenti saranno liberamente reperibili in Internet anche tramite motori di ricerca”.

In tema di responsabilità del motore di ricerca per il trattamento dei dati è intervenuta l’importante sentenza della Corte (Grande Sezione) del 13 maggio 2014 (Google Spain SL e Google Inc. contro Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) e Mario Costeja González - Causa C‑131/12) con la quale si stabiliva che “Il gestore di un motore di ricerca su Internet è responsabile del trattamento da esso effettuato dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi. Così, nel caso in cui, a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, l’elenco di risultati mostra un link verso una pagina web che contiene informazioni sulla persona in questione, questa può rivolgersi direttamente al gestore oppure, qualora questi non dia seguito alla sua domanda, adire le autorità competenti per ottenere, in presenza di determinate condizioni, la soppressione di tale link dall’elenco dei risultati”.

 

2. Il Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR) ed il diritto all’oblio (“Right to be forgotten”)

Come certamente noto, a seguito delle modifiche degli assetti moderni, dovuti alla globalizzazione e alla digitalizzazione dei rapporti sociali, si è avvertita l’esigenza di adattare le norme in tema di diritto alla privacy ai neonati contesti.

A seguito dell’adozione del Regolamento (UE) 2016/679, ed in particolare con l’introduzione dell’articolo 17, paragrafo 1 (“Diritto all’oblio e alla cancellazione”), la disciplina in tema di diritto all’oblio prevede oggi espressamente che “l’interessato ha il diritto di richiedere la rimozione dei dati personali che lo riguardano” qualora “i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati”.

Pertanto, la valutazione che occorre effettuare per poter dichiarare legittima la richiesta dell’interessato per la rimozione dei propri dati personali deve bilanciarsi con la necessità che i medesimi possano esser trattenuti in relazione alle finalità per cui sono stati raccolti (nel contesto giornalistico le finalità sono quelle di esercitare il diritto costituzionalmente garantito di cronaca nel rispetto della libertà di manifestazione di pensiero e di informazione).

Proseguendo la lettura dell’articolo 17, è possibile però notare come il legislatore comunitario abbia introdotto dei bilanciamenti al diritto del titolare dei dati alla cancellazione. Ed infatti, per quello che qui concerne, il paragrafo 3 afferma come non trovino applicazione i paragrafi 1 e 2 qualora il trattamento risulti necessario “per l’esercizio della libertà di espressione ed informazione.

Tale ultima nozione, sin da un’immediata e repentina lettura, risulta connotata da genericità e astrattezza, binomio che certamente mal si abbina con la necessità di precisione e puntualità nel momento in cui si procede ad un giudizio di bilanciamento di tale importanza.

 

3. Le recenti pronunce in tema di rapporto tra diritto all’oblio e cronaca giornalistica

Con riferimento al bilanciamento tra il tra diritto all’oblio e diritto di cronaca, la Suprema Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. I, ord. 20/03/2018, n. 6919) ha individuato le ipotesi in cui il diritto all’oblio possa esser compresso a favore del diritto di cronaca; tali ipotesi sono tassativamente elencate e risultano le seguenti:

1) il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico;

2) l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali), da reputarsi mancante in caso di prevalenza di un interesse divulgativo o, peggio, meramente economico o commerciale del soggetto che diffonde la notizia o l’immagine;

3) l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica e, segnatamente, nella realtà economica o politica del Paese;

4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l’informazione, che deve essere veritiera (poiché attinta da fonti affidabili, e con un diligente lavoro di ricerca), diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione;

5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al grande pubblico.

Dato che la Corte non ha precisato se tali requisiti debbano essere obbligatoriamente concorrenti o se possano essere adottati alternativamente ed in ragione delle sostanziali modifiche che il GDPR ha introdotto nel contesto normativo in tema di privacy, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite al fine di permettere un’identificazione dei criteri da adottare per il bilanciamento dei diritti in esame.

Le Sezioni Unite (con sentenza Cass. civ. S.U., 22/07/2019, n. 19681), investite della questione, hanno espresso il seguente principio di diritto: “In tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del c.d. diritto all’oblio) e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito – ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a tale rievocazione, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall’articolo 21 Costituzione – ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva”.

Deve evidenziarsi come la recente ordinanza della Corte di Cassazione civile (ord. n. 9147/2020) ha stabilito che “il gestore del motore di ricerca deve essere considerato come “il responsabile” del trattamento dei dati personali, ai sensi dell’articolo 2 lettera d) della direttiva su citata 95/46 del Parlamento Europeo e, pur richiamando i precedenti assestamenti giurisprudenziali sul tema, ha però statuito come il diritto all’oblio del soggetto che lamenti la presenza sul web di una notizia che lo riguardi e la riemersione della stessa attraverso la consultazione tramite digitazione della query sul motore di ricerca possa essere assicurato non con la cancellazione della notizia dal quotidiano online ma bensì attraverso la sua deindicizzazione dai motori di ricerca ad opera del gestore.

L’informazione pertanto non deve essere cancellata e resterà online, pur non potendo più essere reperita attraverso la semplice digitazione del nome e cognome dell’individuo oggetto della notizia.

Da ultimo, assumono centrale importanza i recentissimi provvedimenti del Garante privacy n. 192 e n. 195 del 15 ottobre 2020 che, a seguito di due reclami proposti avverso il motore ricerca “Google” in tema di diritto all’oblio, ha affermato come il reclamante avesse diritto alla deindicizzazione delle notizie che lo riguardavano anche se recenti, in considerazione del fatto che le stesse “si riferiscono ad un’inchiesta giudiziaria svolta principalmente su altri soggetti e … “che la vicenda, ad oggi conclusa, non coinvolge minimamente il reclamante, così come provato dal certificato del casellario giudiziario.

Si evince pertanto che ad oggi prevale il diritto alla deindicizzazione della notizia sul motore di ricerca anche in assenza del requisito del trascorso del tempo qualora manchi l’interesse pubblico alla diffusione della stessa; tale statuizione ben apre a situazioni future che, improntate sul bilanciamento a favore dell’interesse privato alla riservatezza, potrebbero comportare una restrizione del diritto all’informazione qualora sussistano le circostanze pocanzi elencate.