Federalismo fiscale: conoscere per deliberare
In tale occasione, si sono subito sviluppati una serie di interessanti interventi politici a favore e contro il provvedimento appena approvato. Il problema, però, è che, prima di fare considerazioni in merito, sarebbe opportuno conoscere meglio, ed in anticipo, i presupposti giuridico – tributari sui quali si svilupperà il federalismo fiscale, altrimenti i dibattiti e le analisi rimarranno sempre sul piano della genericità, con l’aggravante di creare facili illusioni (prima) e cocenti delusioni (dopo), in sede di pratica applicazione delle norme.
Il disegno di legge delega, secondo me, è ancora troppo generico per consentire un sereno ed approfondito giudizio in merito, soprattutto per quanto riguarda il tipo di “tributi” che saranno assegnati ai vari livelli di governo.
Innanzitutto, occorre precisare che, ai sensi dell’art. 76 della Costituzione, l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi, soltanto per un tempo limitato, e per oggetti definiti.
E’ evidente che, quando il testo unico è destinato a riordinare disposizioni già in precedenza inserite in testi legislativi, il potere di intervento del Governo deve essere preventivamente disciplinato dal succitato art. 76, con conseguente abrogazione delle norme precedenti.
A tal proposito, però, la Corte Costituzionale ha più volte affermato che la legge delega deve contenere, oltre i limiti di durata e la definizione degli oggetti, l’enunciazione dei principi e criteri direttivi e che, all’uopo, il precetto costituzionale è da ritenersi soddisfatto allorchè sono date al legislatore delegato delle precise direttive vincolanti, ragionevolmente limitatrici della sua discrezionalità e delle indicazioni che riguardano il contenuto della disciplina delegata.
Mentre, allo stesso legislatore delegato è demandata soltanto la realizzazione, secondo modalità tecniche prestabilite, delle esigenze, delle finalità e degli interessi considerati dal legislatore delegante.
In sostanza, le direttive, i principi ed i criteri servono, da un verso, a circoscrivere il campo della delega, così da evitare che essa sia esercitata in modo divergente dalle finalità che l’hanno determinata, ma, dall’altro, devono consentire al potere delegato la possibilità di valutare le particolari situazioni giuridiche da regolamentare.
In definitiva, “la norma di delega non deve contenere enunciazioni troppo generiche o troppo generali, riferibili indistintamente ad ambiti vastissimi della normazione oppure enunciazioni di finalità inidonee o insufficienti ad indirizzare l’attività normativa del legislatore delegato” (sentenze n. 158 del 06/05/1985 e n. 156 del 13/05/1987 della Corte Costituzionale).
Infatti, quanto più i principi ed i criteri direttivi impartiti dal legislatore delegante sono analitici e dettagliati, tanto più ridotti risultano i margini di discrezionalità lasciati al legislatore delegato (sentenze n. 141 del 06/04/1993 e n. 126 del 27/04/2000).
Nella “bozza” del disegno di legge delega appena approvato, secondo me, non sono stati rispettati i principi costituzionali di cui sopra, in quanto i riferimenti ai “tributi” sono troppo generici ed indeterminati, lasciando troppa discrezionalità al legislatore delegato.
Infatti, all’art. 5, comma 1, lett. b, n. 3, per le Regioni a statuto ordinario, si fa generico riferimento a “tributi propri istituiti dalle Regioni con proprie leggi in relazione alle basi imponibili non già assoggettate ad imposizione erariale”, senza specificarne la specie.
Così, all’art. 10, comma 1, lett. c), per i Comuni e le Province, si indica genericamente “un paniere di tributi propri”, con garanzia di un’adeguata “flessibilità”, al fine di conseguire il finanziamento delle relative funzioni, unitamente alle risorse derivanti dal fondo perequativo.
Ora, se l’introduzione del federalismo fiscale comporterà una rivoluzione copernicana nel settore tributario, erariale e locale, con inevitabili problemi di armonizzazione ed organizzazione, la legge delega non può astrattamente e genericamente usare il termine “tributi” senza una precisa collocazione giuridica, tenendo conto che:
- l’assenza di una definizione precisa di “tributo” da parte del legislatore si è nel tempo dimostrata idonea ad attrarre nel relativo ambito forme diverse di entrate, in una prospettiva che, talvolta, tende a valorizzare la doverosità del concorso alle spese pubbliche, talvolta la coattività della prestazione a favore dello Stato ed enti pubblici, senza consentire però la costruzione di una nozione unitaria, precisa ed onnicomprensiva di tributo (da ultimo, sul tema, le sentenze della Corte Costituzionale n. 64 del 14/03/2008 e n. 130 del 14/05/2008);
- nel settore fiscale, “i tributi” possono essere di diversa natura (patrimoniali, reddituali, di trasferimento, di consumo, d’investimento e di produzione) con presupposti, consistenza e caratteristiche (regime di cassa o di competenza) diversi, anche per quanto riguarda la fase dei controlli, degli accertamenti, della riscossione e persino del contenzioso (giudice ordinario o giudice tributario).
In conclusione, è auspicabile che, nelle sedi istituzionali dove si svilupperà il dibattito sul tema, si arrivi all’approvazione di una legge delega che rispetti scrupolosamente i dettami costituzionali in termini di precisione e chiarezza; questo per il bene di tutti, perché per poter decidere con serenità e pacatezza, senza pregiudizi politici e territoriali, è necessario, soprattutto, che il legislatore, per primo, abbia le idee chiare e stabilisca, in modo preciso, il tipo di tributi da assegnare ai vari livelli di governo, anche per conoscere indirettamente i numeri della rivoluzionaria operazione fiscale.
In tale occasione, si sono subito sviluppati una serie di interessanti interventi politici a favore e contro il provvedimento appena approvato. Il problema, però, è che, prima di fare considerazioni in merito, sarebbe opportuno conoscere meglio, ed in anticipo, i presupposti giuridico – tributari sui quali si svilupperà il federalismo fiscale, altrimenti i dibattiti e le analisi rimarranno sempre sul piano della genericità, con l’aggravante di creare facili illusioni (prima) e cocenti delusioni (dopo), in sede di pratica applicazione delle norme.
Il disegno di legge delega, secondo me, è ancora troppo generico per consentire un sereno ed approfondito giudizio in merito, soprattutto per quanto riguarda il tipo di “tributi” che saranno assegnati ai vari livelli di governo.
Innanzitutto, occorre precisare che, ai sensi dell’art. 76 della Costituzione, l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi, soltanto per un tempo limitato, e per oggetti definiti.
E’ evidente che, quando il testo unico è destinato a riordinare disposizioni già in precedenza inserite in testi legislativi, il potere di intervento del Governo deve essere preventivamente disciplinato dal succitato art. 76, con conseguente abrogazione delle norme precedenti.
A tal proposito, però, la Corte Costituzionale ha più volte affermato che la legge delega deve contenere, oltre i limiti di durata e la definizione degli oggetti, l’enunciazione dei principi e criteri direttivi e che, all’uopo, il precetto costituzionale è da ritenersi soddisfatto allorchè sono date al legislatore delegato delle precise direttive vincolanti, ragionevolmente limitatrici della sua discrezionalità e delle indicazioni che riguardano il contenuto della disciplina delegata.
Mentre, allo stesso legislatore delegato è demandata soltanto la realizzazione, secondo modalità tecniche prestabilite, delle esigenze, delle finalità e degli interessi considerati dal legislatore delegante.
In sostanza, le direttive, i principi ed i criteri servono, da un verso, a circoscrivere il campo della delega, così da evitare che essa sia esercitata in modo divergente dalle finalità che l’hanno determinata, ma, dall’altro, devono consentire al potere delegato la possibilità di valutare le particolari situazioni giuridiche da regolamentare.
In definitiva, “la norma di delega non deve contenere enunciazioni troppo generiche o troppo generali, riferibili indistintamente ad ambiti vastissimi della normazione oppure enunciazioni di finalità inidonee o insufficienti ad indirizzare l’attività normativa del legislatore delegato” (sentenze n. 158 del 06/05/1985 e n. 156 del 13/05/1987 della Corte Costituzionale).
Infatti, quanto più i principi ed i criteri direttivi impartiti dal legislatore delegante sono analitici e dettagliati, tanto più ridotti risultano i margini di discrezionalità lasciati al legislatore delegato (sentenze n. 141 del 06/04/1993 e n. 126 del 27/04/2000).
Nella “bozza” del disegno di legge delega appena approvato, secondo me, non sono stati rispettati i principi costituzionali di cui sopra, in quanto i riferimenti ai “tributi” sono troppo generici ed indeterminati, lasciando troppa discrezionalità al legislatore delegato.
Infatti, all’art. 5, comma 1, lett. b, n. 3, per le Regioni a statuto ordinario, si fa generico riferimento a “tributi propri istituiti dalle Regioni con proprie leggi in relazione alle basi imponibili non già assoggettate ad imposizione erariale”, senza specificarne la specie.
Così, all’art. 10, comma 1, lett. c), per i Comuni e le Province, si indica genericamente “un paniere di tributi propri”, con garanzia di un’adeguata “flessibilità”, al fine di conseguire il finanziamento delle relative funzioni, unitamente alle risorse derivanti dal fondo perequativo.
Ora, se l’introduzione del federalismo fiscale comporterà una rivoluzione copernicana nel settore tributario, erariale e locale, con inevitabili problemi di armonizzazione ed organizzazione, la legge delega non può astrattamente e genericamente usare il termine “tributi” senza una precisa collocazione giuridica, tenendo conto che:
- l’assenza di una definizione precisa di “tributo” da parte del legislatore si è nel tempo dimostrata idonea ad attrarre nel relativo ambito forme diverse di entrate, in una prospettiva che, talvolta, tende a valorizzare la doverosità del concorso alle spese pubbliche, talvolta la coattività della prestazione a favore dello Stato ed enti pubblici, senza consentire però la costruzione di una nozione unitaria, precisa ed onnicomprensiva di tributo (da ultimo, sul tema, le sentenze della Corte Costituzionale n. 64 del 14/03/2008 e n. 130 del 14/05/2008);
- nel settore fiscale, “i tributi” possono essere di diversa natura (patrimoniali, reddituali, di trasferimento, di consumo, d’investimento e di produzione) con presupposti, consistenza e caratteristiche (regime di cassa o di competenza) diversi, anche per quanto riguarda la fase dei controlli, degli accertamenti, della riscossione e persino del contenzioso (giudice ordinario o giudice tributario).
In conclusione, è auspicabile che, nelle sedi istituzionali dove si svilupperà il dibattito sul tema, si arrivi all’approvazione di una legge delega che rispetti scrupolosamente i dettami costituzionali in termini di precisione e chiarezza; questo per il bene di tutti, perché per poter decidere con serenità e pacatezza, senza pregiudizi politici e territoriali, è necessario, soprattutto, che il legislatore, per primo, abbia le idee chiare e stabilisca, in modo preciso, il tipo di tributi da assegnare ai vari livelli di governo, anche per conoscere indirettamente i numeri della rivoluzionaria operazione fiscale.