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Gli effetti della caducazione del titolo esecutivo del creditore procedente: revirement giurisprudenziale?

Gli effetti della caducazione del titolo esecutivo del creditore procedente: revirement giurisprudenziale?
Gli effetti della caducazione del titolo esecutivo del creditore procedente: revirement giurisprudenziale?

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, esercitando la funzione di Giudice della nomofilachia, con la sentenza n. 61/2014 hanno affrontato una questione particolarmente dibattuta, ovvero quella relativa agli effetti della caducazione sopravvenuta del titolo esecutivo del creditore procedente, nei confronti degli altri creditori cum titulo, intervenuti nella medesima procedura espropriativa.

I. I profili problematici della questione 

Preliminarmente, occorre rilevare che detta questione riverbera importanti e dirimenti effetti, sia dal punto di vista giuridico che su quello pratico – operativo, in quanto coinvolge  principi sistematici in tema di esecuzione civile.

Trattasi, infatti, di una interessante pronuncia in materia di espropriazione forzata che, correggendo un precedente orientamento espresso, giunge a riaffermare i principi sanciti già da un anteriore dictat, così da dirimere il contrasto giurisprudenziale creatosi.

Dal carattere “compositivo” della sentenza deriva un ulteriore spunto di riflessione, cioè verificare se e in quale misura la pronuncia  possa qualificarsi quale vero e proprio revirement giurisprudenziale o se, al contrario, si sia limitata a riproporre una soluzione già formulata in passato, lasciando inattuata qualsivoglia funzione nomofilattica.

In particolare, il punctum dolens su cui il Supremo Collegio è stato chiamato a pronunciarsi consiste nel comprendere se il venir meno del titolo esecutivo del creditore pignorante determini la caducazione dell’intera procedura esecutiva, anche in presenza di intervento di creditori titolati, laddove il primo pignoramento non sia stato “integrato” da un pignoramento successivo, o se il processo esecutivo in cui partecipano più creditori concorrenti, in forza di un intervento titolato  e, a maggior ragione, di un intervento successivo riunito al primo, resti insensibile alle vicende relative al titolo esecutivo del pignorante, purché quello azionato da almeno un altro creditore mantenga integra la sua efficacia.

Al fine di emanare il principio di diritto atto a dirimere la controversia, il Supremo Consesso passa in rassegna due tesi previgenti, diametralmente contrapposta l’una all’altra che, mediante un iter motivazionale e argomentativo diversificato, giungono a risolvere la questione in maniera divergente.

Trattasi, nello specifico, di due orientamenti formulati dalla stessa Corte di Cassazione (ovvero, la sentenza n. 427/1978 e la pronuncia del 2009 n. 3531) che pongono in essere il contrasto giurisprudenziale che il Suprema Collegio risolve.

Orbene, la prima delle menzionate tesi sancisce il principio della “insensibilità” del processo esecutivo individuale alle vicende relative al titolo invocato dal procedente (alla condizione che esista un titolo esecutivo valido, azionato da almeno uno dei creditori concorrenti che mantenga integra la sua efficacia).

Ex adverso, la seconda impostazione giunge alla estrema conclusione che il venir meno del titolo esecutivo azionato dal creditore procedente impedisce la legittima prosecuzione della procedura da parte degli interventi titolati, in difetto di un pignoramento successivo, con conseguente caducazione ex tunc di tutti gli atti esecutivi compiuti.

II. La soluzione adottata dalla Suprema Corte di Cassazione 

La Suprema Corte finisce col rigettare completamente il precedente giurisprudenziale del 2009, adottando e richiamando espressamente la menzionata tesi sub “B”.

In particolare, la Cassazione  riconosce che in un sistema come il nostro che accoglie il principio della par condicio creditorum e rifiuta il riconoscimento del diritto di priorità al creditore procedente deve farsi discendere che il creditore intervenuto munito di titolo esecutivo si trovi in una situazione paritetica a quella del creditore procedente, potendo sia l’uno sia l’altro dare impulso al processo esecutivo con il compiere o richiedere al giudice il compimento di atti esecutivi.

Ne deriva, pertanto, che entrambi i creditori siano titolari dell’azione di espropriazione, derivante dal titolo esecutivo di ciascuno di essi.

Per converso, come correttamente affermato dal precedente del 1978, si assiste ad una “oggettivizzazione” degli atti compiuti nel corso della procedura espropriativa, la cui validità prescinde in toto dal soggetto che concretamente gli ha posti in essere.

Tale assunto comporta il superamento dell’idea pienamente condivisa da buona parte della dottrina tradizionale[1] secondo cui la validità e la persistenza di validità del pignoramento dipenderebbero dalla permanenza del titolo esecutivo in capo al procedente.

Quindi, la caducazione del titolo esecutivo del creditore procedente non pregiudica i creditori intervenuti cum titolo, stante l’oggettivizzazione del pignoramento e la conseguente fungibilità soggettiva, in forza della quale l’esecuzione potrà sopravvivere alle sorti del titolo esecutivo, con l’unico limite che continui a sussistere una catena interscambiabile di titoli esecutivi, riferibili ai diversi creditori.

La extrama ratio individuata dalla Suprema Corte al fine di avvalorare e condividere detta tesi rinviene le proprie origini da una pluralità di elementi.

In primo luogo, secondo la ricostruzione del Supremo Collegio, sarebbe possibile individuare un dentellato normativo all’interno dell’articolo 629 Codice di Procedura Civile in ragione del quale se, prima della vendita, il procedente rinunzia alla esecuzione, il creditore intervenuto munito di titolo può scegliere di continuarla per la sola sua soddisfazione.

In detta ipotesi, appunto, l’esecuzione, azionata da un soggetto, continuerebbe da un creditore diverso e al sol fine di soddisfare quest’ultimo.

Trattasi, dunque, di un evidente fenomeno successorio all’interno del processo esecutivo disposto ex lege dall’articolo 629 Codice di Procedura Civile che finirebbe per avvalorare la possibilità della prosecuzione dell’azione a seguito della caducazione dell’originario titolo esecutivo.

In aggiunta, anche il principio dell’effetto indipendente del pignoramento di cui all’art. 493 Codice di Procedura Civile, se interpretato alla luce delle corrette prospettazioni, secondo la Suprema Corte, finirebbe per confermare ulteriormente la suesposta tesi, in assenza di qualsivoglia elemento normativo che disponga apertis verbiis la “supremazia” del pignoramento successivo sull’istituto dell’intervento.

In ultima analisi, prosegue la Corte, la tesi sub “B” risulta essere funzionalmente congrua rispetto a quanto disposto dall’art. 2913 del Codice Civile.

Infatti, la cennata disposizione prevede il c.d. vincolo della porta aperta che consente di ravvisare nel pignoramento un fenomeno in grado di produrre effetti, della cui utilità, possono usufruire anche altri creditori intervenuti.

Ciò che rileva, pertanto, è che detta norma non specifichi se gli effetti in parola dipendono strettamente dal permanere dell’efficacia e della validità del titolo esecutivo del creditore procedente.

Nel silenzio della legge, quindi, il Giudice delle leggi trae un ulteriore dato a sostegno della tesi posta a fondamento della decisione.

Giova aggiungere, altresì, che la pronuncia in esame effettua un preciso distinguo tra l’originaria mancanza del titolo esecutivo o l’invalidità originaria del pignoramento e l’ipotesi di difetto sopravvenuto.

Di fatti, la Corte sentenzia espressamente che il difetto sussistente ab origine minerà la legittimità stessa della procedura espropriativa, rendendola viziata sin dalla sua instaurazione.

In detta ipotesi, posto che i creditori intervenuti agiranno in assenza di un presupposto legittimante a cui riferirsi, l’intera procedura esecutiva sarà travolta dall’effetto caducante del titolo esecutivo.

Diverso, invece, è il caso in cui la procedura sia stata iniziata sulla scorta di un valido titolo e, solo successivamente, questo sia venuto meno.

Solo in questo caso, sebbene il creditore procedente non potrà più proseguire la sua azione, gli interventori titolati, in forza del principio tempus regit actum, si gioveranno degli atti posti in essere da quest’ultimo fino alla caducazione del titolo esecutivo, poiché validamente compiuti.

Orbene, ne discende il completo travolgimento del precedente giurisprudenziale offerto dalla pronuncia del 2009, dato che la scelta del creditore di intervenire in un procedura già avviata, o di agire a mezzo di un pignoramento successivo non è qualificabile come “scelta di rischio” (così come precedentemente affermato nella sentenza n. 427/1978 della Cassazione), bensì come scelta ponderata in base alla valutazione del titolo del procedente e della regolarità formale dell’atto di pignoramento e del processo cui ha dato luogo.

III. Conclusione

Il principio di diritto affermato dal Supremo Consesso è il seguente: “nel processo di esecuzione forzata, al quale partecipino più creditori concorrenti, le vicende relative al titolo esecutivo del creditore procedente (sospensione, sopravvenuta inefficacia, caducazione, estinzione) non possono ostacolare la prosecuzione dell’esecuzione sull’impulso del creditore intervenuto il cui titolo abbia conservato la sua forza esecutiva”.

Per quanto attiene la portata della sentenza è possibile affermare pacificamente che si tratta di “ritorno al passato” più che di un revirement giurisprudenziale.

Pur tuttavia, giova riconoscere il grande merito della pronuncia, ovvero quello di aver composto, definitivamente, il contrasto giurisprudenziale insorto in seno alla stessa Corte di Cassazione.

In altri termini, appurata l’assenza di elementi di novità, è d’uopo ammettere che l’intrinseco carattere mutevole del diritto, volto a piegarsi alle esigenze della societas, porta con sé, irrimediabilmente, la volubilità e l’instabilità delle pronunce della Suprema Corte.

Esercitare la funzione nomofilattica, infatti, non significa mantenere fermi ed immutabili principi solo perché affermati in passato, col rischio che non rispecchino l’evoluzione sociale mutata nel frattempo.

Al contrario l’uniforme applicazione della legge, nonché la sua interpretazione, sono costantemente soggetti al cambiamento e alla modifica, sacrificando, a volte, l’intangibilità della certezza del diritto.

Appare, pertanto, pacifico concludere che “l’uniformità della giurisprudenza appartiene più al regno delle illusioni che a quello delle realtà, senza contare che l’unificazione ad ogni costo sarebbe indubbiamente dannosa perché finirebbe per ingabbiare in una camicia di forza le sempre mutevoli esigenze dell’ordinamento giuridico”[2].

[1]G. VERDE, Il pignoramento. Studio sulla natura e sugli effetti, 1964, 114, secondo cui il pignoramento è atto “inscindibilmente legato alla posizione di colui che lo ha provocato di modo che non possa essere fatto proprio da altri e sorretto dalla posizione giuridica di altri soggetti, qualora la posizione del creditore pignorante non si rilevi idonea a conferire ad esso fondamento giuridico sufficiente, perché, in caso contrario si finirebbe per ammettere la possibilità che l’azione esecutiva sia esercitata in carenza di tiolo esecutivo”.

[2] G. MONTELEONE, Noterelle sulla sentenza della Cass., S.U., 7-1-2014, n. 61, 299, in Riv. Esecuzione forzata, 2014, 298.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, esercitando la funzione di Giudice della nomofilachia, con la sentenza n. 61/2014 hanno affrontato una questione particolarmente dibattuta, ovvero quella relativa agli effetti della caducazione sopravvenuta del titolo esecutivo del creditore procedente, nei confronti degli altri creditori cum titulo, intervenuti nella medesima procedura espropriativa.

I. I profili problematici della questione 

Preliminarmente, occorre rilevare che detta questione riverbera importanti e dirimenti effetti, sia dal punto di vista giuridico che su quello pratico – operativo, in quanto coinvolge  principi sistematici in tema di esecuzione civile.

Trattasi, infatti, di una interessante pronuncia in materia di espropriazione forzata che, correggendo un precedente orientamento espresso, giunge a riaffermare i principi sanciti già da un anteriore dictat, così da dirimere il contrasto giurisprudenziale creatosi.

Dal carattere “compositivo” della sentenza deriva un ulteriore spunto di riflessione, cioè verificare se e in quale misura la pronuncia  possa qualificarsi quale vero e proprio revirement giurisprudenziale o se, al contrario, si sia limitata a riproporre una soluzione già formulata in passato, lasciando inattuata qualsivoglia funzione nomofilattica.

In particolare, il punctum dolens su cui il Supremo Collegio è stato chiamato a pronunciarsi consiste nel comprendere se il venir meno del titolo esecutivo del creditore pignorante determini la caducazione dell’intera procedura esecutiva, anche in presenza di intervento di creditori titolati, laddove il primo pignoramento non sia stato “integrato” da un pignoramento successivo, o se il processo esecutivo in cui partecipano più creditori concorrenti, in forza di un intervento titolato  e, a maggior ragione, di un intervento successivo riunito al primo, resti insensibile alle vicende relative al titolo esecutivo del pignorante, purché quello azionato da almeno un altro creditore mantenga integra la sua efficacia.

Al fine di emanare il principio di diritto atto a dirimere la controversia, il Supremo Consesso passa in rassegna due tesi previgenti, diametralmente contrapposta l’una all’altra che, mediante un iter motivazionale e argomentativo diversificato, giungono a risolvere la questione in maniera divergente.

Trattasi, nello specifico, di due orientamenti formulati dalla stessa Corte di Cassazione (ovvero, la sentenza n. 427/1978 e la pronuncia del 2009 n. 3531) che pongono in essere il contrasto giurisprudenziale che il Suprema Collegio risolve.

Orbene, la prima delle menzionate tesi sancisce il principio della “insensibilità” del processo esecutivo individuale alle vicende relative al titolo invocato dal procedente (alla condizione che esista un titolo esecutivo valido, azionato da almeno uno dei creditori concorrenti che mantenga integra la sua efficacia).

Ex adverso, la seconda impostazione giunge alla estrema conclusione che il venir meno del titolo esecutivo azionato dal creditore procedente impedisce la legittima prosecuzione della procedura da parte degli interventi titolati, in difetto di un pignoramento successivo, con conseguente caducazione ex tunc di tutti gli atti esecutivi compiuti.

II. La soluzione adottata dalla Suprema Corte di Cassazione 

La Suprema Corte finisce col rigettare completamente il precedente giurisprudenziale del 2009, adottando e richiamando espressamente la menzionata tesi sub “B”.

In particolare, la Cassazione  riconosce che in un sistema come il nostro che accoglie il principio della par condicio creditorum e rifiuta il riconoscimento del diritto di priorità al creditore procedente deve farsi discendere che il creditore intervenuto munito di titolo esecutivo si trovi in una situazione paritetica a quella del creditore procedente, potendo sia l’uno sia l’altro dare impulso al processo esecutivo con il compiere o richiedere al giudice il compimento di atti esecutivi.

Ne deriva, pertanto, che entrambi i creditori siano titolari dell’azione di espropriazione, derivante dal titolo esecutivo di ciascuno di essi.

Per converso, come correttamente affermato dal precedente del 1978, si assiste ad una “oggettivizzazione” degli atti compiuti nel corso della procedura espropriativa, la cui validità prescinde in toto dal soggetto che concretamente gli ha posti in essere.

Tale assunto comporta il superamento dell’idea pienamente condivisa da buona parte della dottrina tradizionale[1] secondo cui la validità e la persistenza di validità del pignoramento dipenderebbero dalla permanenza del titolo esecutivo in capo al procedente.

Quindi, la caducazione del titolo esecutivo del creditore procedente non pregiudica i creditori intervenuti cum titolo, stante l’oggettivizzazione del pignoramento e la conseguente fungibilità soggettiva, in forza della quale l’esecuzione potrà sopravvivere alle sorti del titolo esecutivo, con l’unico limite che continui a sussistere una catena interscambiabile di titoli esecutivi, riferibili ai diversi creditori.

La extrama ratio individuata dalla Suprema Corte al fine di avvalorare e condividere detta tesi rinviene le proprie origini da una pluralità di elementi.

In primo luogo, secondo la ricostruzione del Supremo Collegio, sarebbe possibile individuare un dentellato normativo all’interno dell’articolo 629 Codice di Procedura Civile in ragione del quale se, prima della vendita, il procedente rinunzia alla esecuzione, il creditore intervenuto munito di titolo può scegliere di continuarla per la sola sua soddisfazione.

In detta ipotesi, appunto, l’esecuzione, azionata da un soggetto, continuerebbe da un creditore diverso e al sol fine di soddisfare quest’ultimo.

Trattasi, dunque, di un evidente fenomeno successorio all’interno del processo esecutivo disposto ex lege dall’articolo 629 Codice di Procedura Civile che finirebbe per avvalorare la possibilità della prosecuzione dell’azione a seguito della caducazione dell’originario titolo esecutivo.

In aggiunta, anche il principio dell’effetto indipendente del pignoramento di cui all’art. 493 Codice di Procedura Civile, se interpretato alla luce delle corrette prospettazioni, secondo la Suprema Corte, finirebbe per confermare ulteriormente la suesposta tesi, in assenza di qualsivoglia elemento normativo che disponga apertis verbiis la “supremazia” del pignoramento successivo sull’istituto dell’intervento.

In ultima analisi, prosegue la Corte, la tesi sub “B” risulta essere funzionalmente congrua rispetto a quanto disposto dall’art. 2913 del Codice Civile.

Infatti, la cennata disposizione prevede il c.d. vincolo della porta aperta che consente di ravvisare nel pignoramento un fenomeno in grado di produrre effetti, della cui utilità, possono usufruire anche altri creditori intervenuti.

Ciò che rileva, pertanto, è che detta norma non specifichi se gli effetti in parola dipendono strettamente dal permanere dell’efficacia e della validità del titolo esecutivo del creditore procedente.

Nel silenzio della legge, quindi, il Giudice delle leggi trae un ulteriore dato a sostegno della tesi posta a fondamento della decisione.

Giova aggiungere, altresì, che la pronuncia in esame effettua un preciso distinguo tra l’originaria mancanza del titolo esecutivo o l’invalidità originaria del pignoramento e l’ipotesi di difetto sopravvenuto.

Di fatti, la Corte sentenzia espressamente che il difetto sussistente ab origine minerà la legittimità stessa della procedura espropriativa, rendendola viziata sin dalla sua instaurazione.

In detta ipotesi, posto che i creditori intervenuti agiranno in assenza di un presupposto legittimante a cui riferirsi, l’intera procedura esecutiva sarà travolta dall’effetto caducante del titolo esecutivo.

Diverso, invece, è il caso in cui la procedura sia stata iniziata sulla scorta di un valido titolo e, solo successivamente, questo sia venuto meno.

Solo in questo caso, sebbene il creditore procedente non potrà più proseguire la sua azione, gli interventori titolati, in forza del principio tempus regit actum, si gioveranno degli atti posti in essere da quest’ultimo fino alla caducazione del titolo esecutivo, poiché validamente compiuti.

Orbene, ne discende il completo travolgimento del precedente giurisprudenziale offerto dalla pronuncia del 2009, dato che la scelta del creditore di intervenire in un procedura già avviata, o di agire a mezzo di un pignoramento successivo non è qualificabile come “scelta di rischio” (così come precedentemente affermato nella sentenza n. 427/1978 della Cassazione), bensì come scelta ponderata in base alla valutazione del titolo del procedente e della regolarità formale dell’atto di pignoramento e del processo cui ha dato luogo.

III. Conclusione

Il principio di diritto affermato dal Supremo Consesso è il seguente: “nel processo di esecuzione forzata, al quale partecipino più creditori concorrenti, le vicende relative al titolo esecutivo del creditore procedente (sospensione, sopravvenuta inefficacia, caducazione, estinzione) non possono ostacolare la prosecuzione dell’esecuzione sull’impulso del creditore intervenuto il cui titolo abbia conservato la sua forza esecutiva”.

Per quanto attiene la portata della sentenza è possibile affermare pacificamente che si tratta di “ritorno al passato” più che di un revirement giurisprudenziale.

Pur tuttavia, giova riconoscere il grande merito della pronuncia, ovvero quello di aver composto, definitivamente, il contrasto giurisprudenziale insorto in seno alla stessa Corte di Cassazione.

In altri termini, appurata l’assenza di elementi di novità, è d’uopo ammettere che l’intrinseco carattere mutevole del diritto, volto a piegarsi alle esigenze della societas, porta con sé, irrimediabilmente, la volubilità e l’instabilità delle pronunce della Suprema Corte.

Esercitare la funzione nomofilattica, infatti, non significa mantenere fermi ed immutabili principi solo perché affermati in passato, col rischio che non rispecchino l’evoluzione sociale mutata nel frattempo.

Al contrario l’uniforme applicazione della legge, nonché la sua interpretazione, sono costantemente soggetti al cambiamento e alla modifica, sacrificando, a volte, l’intangibilità della certezza del diritto.

Appare, pertanto, pacifico concludere che “l’uniformità della giurisprudenza appartiene più al regno delle illusioni che a quello delle realtà, senza contare che l’unificazione ad ogni costo sarebbe indubbiamente dannosa perché finirebbe per ingabbiare in una camicia di forza le sempre mutevoli esigenze dell’ordinamento giuridico”[2].

[1]G. VERDE, Il pignoramento. Studio sulla natura e sugli effetti, 1964, 114, secondo cui il pignoramento è atto “inscindibilmente legato alla posizione di colui che lo ha provocato di modo che non possa essere fatto proprio da altri e sorretto dalla posizione giuridica di altri soggetti, qualora la posizione del creditore pignorante non si rilevi idonea a conferire ad esso fondamento giuridico sufficiente, perché, in caso contrario si finirebbe per ammettere la possibilità che l’azione esecutiva sia esercitata in carenza di tiolo esecutivo”.

[2] G. MONTELEONE, Noterelle sulla sentenza della Cass., S.U., 7-1-2014, n. 61, 299, in Riv. Esecuzione forzata, 2014, 298.