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Il caso Bwin: il divieto ad un operatore autorizzato dell’esercizio di giochi di azzardo su Internet non viola il diritto comunitario

La Corte di Giustizia con una sentenza pronunziata in Grande Sezione ha stabilito che uno stato membro può legittimamente vietare, per il diritto comunitario, ad un operatore, stabilito in un altro stato membro e qui legalmente autorizzato ad offrire giochi d’azzardo via Internet, di proporre tali servizi nel proprio territorio (causa C-42/07, Liga Portuguesa de Futebol Profissional/Bwin International c Santa Casa).

Secondo la legge portoghese l’esercizio dei giochi d’azzardo è vietato in via generale, ma lo stato ha comunque il potere di autorizzare eventualmente l’esercizio di tali giochi secondo le modalità ritenute più opportune. La gestione di tutti i giochi di azzardo in Portogallo è solitamente data in esclusiva al Departamento de Jogos de Santa Casa de Misericordia de Lisboa (Santa Casa), il quale costituisce “una persona giuridica di utilità pubblica amministrativa”. La Bwin, un’impresa non stabilita in Portogallo, dalla sua sede di Gibilterra offriva scommesse sportive on line relative ai risultati delle partite di calcio del campionato portoghese. Le scommesse di cui sopra in sostanza erano equivalenti ai giochi Totobola e Totogolo attribuiti in esclusiva alla Santa Casa. Nel 2005 la Bwin ha anche concluso un contratto di sponsorizzazione con Liga Portuguesa de Futebol Profissional per una durata di quattro anni, in virtù del quale la Bwin è divenuta lo sponsor principale del campionato di serie A portoghese.

Nell’esercizio dei suoi poteri la Santa Casa sanzionava la Bwin e la Liga per lo sviluppo, la gestione e l’organizzazione via Internet di giochi sociali uguali o simili a quelli attribuiti alla Santa Casa e per la pubblicità effettuata in favore di tali giochi. Il giudice portoghese di fronte al quale la Bwin e la Liga avevano impugnato le decisioni della Santa Casa decideva di sospendere il procedimento e richiedeva l’intervento della Corte di Giustizia ex art. 234 UE. Una misura nazionale – ecco la questione pregiudiziale sottoposta alla Corte - come la legge portoghese che attribuisce l’esclusivo esercizio di giochi d’azzardo ad un unico ente, così impedendo ad un operatore stabilito in altro stato membro, e qui regolarmente autorizzato a proporre giochi di azzardo via internet, di offrire il medesimo servizio nel territorio dello stato membro che ha adottato la misura restrittiva è compatibile con il diritto comunitario?

La natura restrittiva della legge portoghese è pacifica. L’attribuzione dell’esercizio esclusivo dei giochi d’azzardo alla Santa Casa impedisce a operatori stabiliti in altri stati membri di proporre tali servizi in Portogallo, e pertanto costituisce una restrizione alla libera circolazione dei servizi.

Si deve allora verificare se la normativa portoghese, incompatibile con il principio della libera circolazione dei servizi, può comunque essere giustificata per il diritto comunitario. Prima di affrontare il merito della questione, è opportuno soffermarsi su alcune peculiarità proprie del settore dei giochi di azzardo che rilevano ai fini del giudizio sulla compatibilità delle misure nazionali adottate in questa materia dagli stati membri con il diritto comunitario. La Corte ha costantemente evidenziato che in materia di giochi di azzardo gli stati membri sono divisi da considerazioni di ordine morale, religioso e culturale. Inoltre la disciplina del settore non è stata ancora armonizzata a livello comunitario. Ne consegue che gli stati membri conservano il potere di stabilire come meglio proteggere gli interessi nazionali rilevanti secondo la propria scala di valori; inoltre possono anche decidere quali obbiettivi le politiche nazionali in questa materia devono perseguire, nonché il livello di protezione degli interessi nazionali ritenuti meritevoli di tutela. Il fatto che gli stati membri abbiano optato per un differente sistema di tutela dei propri interessi nazionali non può essere considerato come un elemento rilevante ai fini di accertare la compatibilità delle misure nazionali con il diritto comunitario (causa C-124/97, Låårå; C-67/98, Zenatti; C-243/01, Gambelli; cause riunite C-338/04, C-359/04 e c-360/04, Placanica).

Giova altresì ricordare che con la sentenza Gouda (causa C-288/89, Collectieve Antennevoorziening Gouda) i giudici comunitari hanno sancito l’applicazione della dottrina Cassis de Dijon anche alla libera circolazione dei servizi. Quindi, una misura restrittiva, indistintamente applicabile, può essere giustificata se fondata su esigenze imperative connesse all’interesse generale e se conforme al principio di proporzionalità.

Tutto ciò premesso, si possono ora esaminare le ragioni addotte dal Portogallo al fine di giustificare le misure nazionali restrittive della libera circolazione dei servizi qui in esame. Il Portogallo ha sostenuto che tale misure erano state adottate con il fine di lotta alla criminalità e, in particolare, tutela dei consumatori dei giochi d’azzardo contro le frodi commesse dagli operatori. Tali obbiettivi costituiscono esigenze imperative connesse all’interesse generale nel senso della dottrina Cassis de Dijon.

Il fatto che i giochi d’azzardo in questione non siano vietati tout court, ma attribuiti in esclusiva ad un ente di diritto pubblico potrebbe sollevare qualche dubbio circa la compatibilità di tale soluzione con il principio di proporzionalità. In materia di libera circolazione delle merci la Corte aveva infatti escluso che la conformità con il principio di proporzionalità di una misura restrittiva che vietava la commercializzazione, per ragioni di moralità pubblica, ma non la produzione nel territorio nazionale di alcuni prodotti (causa 34/79, Henn & Darby). Tornando ai giochi di azzardo, simili perplessità sono state già sollevate dalla Corte nei riguardi della legge italiana. Da un lato, l’Italia vietava la raccolta di scommesse sportive per conto di un operatore stabilito nel Regno Unito, ma dall’altro seguiva una politica di forte espansione di giochi e scommesse al fine di raccogliere fondi pubblici. Sul punto i giudici comunitari hanno osservato che gli stati membri non possono appellarsi all’ordine pubblico sociale per giustificare misure restrittive come quelle qui in esame e allo stesso tempo incoraggiare i consumatori a partecipare a lotterie e giochi di azzardo al fine di raccogliere fondi pubblici ( causa C-243/01, Gambelli).

Nel nostro caso, invece la Corte ha assunto una posizione più favorevole per gli stati membri, confermando un orientamento già accolto sin dal caso Låårå (causa C-124/97). Spetta infatti al potere discrezionale degli stati membri stabilire le modalità per realizzare l’obbietivo perseguito dalle politiche nazionali in materia di giochi di azzardo. Uno stato membro può decidere se vietare totalmente una determinata attività o se limitarne il compimento a determinati modalità, sottoposte al controllo pubblico. Anche il divieto parziale di svolgere giochi di azzardo può esere compatible con il principio di proporzionalità. In altre parole, in talune circostanze, la limitazione dell’esercizio di un determinata attività solo attraverso determinati canali, è necessaria per la tutela di interessi generali degli stati membri.

La concessione del diritto esclusivo per la gestione dei giochi d’azzardo via Internet ad un operatore unico, la Santa Casa nel nostro caso, soggetto ad uno stretto controllo amministrativo non è perciò contraria al principio di proporzionalità. Tale soluzione, in circostanze come quelle qui esaminate, consente di incanalare la gestione di tali giochi in un circuito controllato. In questa modo l’attribuzione del diritto esclusivo può essere considerata idonea a tutelare i consumatori contro le frodi commesse dagli operatori. Il fatto che Bwin sia autorizzata a svolgere giochi di azzardo nello stato membro di stabilimento non può costituire garanzia sufficiente a tutelare i consumatori, considerato che per le autorità dello stato di stabilimento può essere difficile valutare le caratteristiche qualitative e la correttezza degli operatori.

Inoltre nel caso di specie la Corte ha considerato due ulteriori elementi che impongono cautela. A causa dell’assenza di un contatto diretto tra operatore e consumatore, i giochi di azzardo forniti via Internet sollevano rischi di natura differente e maggiori rispetto ai giochi di azzardo offerti secondo i canali tradizionali. Inoltre, la Corte, piuttosto maliziosamente, ipotizza che un operatore che sponsorizza un campionato sui risultati del quali accetta scommesse, nonché alcune squadre partecipanti a tale campionato, potrebbe influire, direttamente o indirettamente, sul risultato di tali squadre, a suo vantaggio al fine di aumentare i profitti.

In conclusione, nella sentenza Bwin la Corte ha ancora una volta applicato la dottrina di Cassis di Dijon in materia della libera prestazione di servizi. La Corte ha altresì confermato che uno stato membro può legittimamente limitare la commercializzazione di giochi di azzardo ad un solo canale soggetto ad un controllo pubblico al fine di tutelare i consumatori contro le frodi. In questo modo uno stato membro può legittimamente impedire l’esercizio di un servizio di scommesse sportive via Internet nel proprio territorio ad un operatore stabilito ed autorizzato in altro stato membro a svolgere tale servizio. Infine, la sentenza Bwin si colloca nel solco delle sentenze Låårå, Zenatti e Placanica, dalle quali, a differenza della sentenza pronunziata nel caso Gambelli, sembra emergere una certa deferenza dei giudici comunitari nei confronti degli stati membri in materia di disciplina dei giochi di azzardo, imputabile, forse, alla diversa sensibilità degli stati in materia. Rispetto all’ordinamento comunitario, rientra nella competenza degli stati membri stabilire quali sono gli obbiettivi da perseguire con le politiche nazionali relative ai giochi di azzardo, se tali obbiettivi corrispondono alle esigenze imperative della dottrina Cassi de Dijon e il livello di protezione di tali interessi.



 

La Corte di Giustizia con una sentenza pronunziata in Grande Sezione ha stabilito che uno stato membro può legittimamente vietare, per il diritto comunitario, ad un operatore, stabilito in un altro stato membro e qui legalmente autorizzato ad offrire giochi d’azzardo via Internet, di proporre tali servizi nel proprio territorio (causa C-42/07, Liga Portuguesa de Futebol Profissional/Bwin International c Santa Casa).

Secondo la legge portoghese l’esercizio dei giochi d’azzardo è vietato in via generale, ma lo stato ha comunque il potere di autorizzare eventualmente l’esercizio di tali giochi secondo le modalità ritenute più opportune. La gestione di tutti i giochi di azzardo in Portogallo è solitamente data in esclusiva al Departamento de Jogos de Santa Casa de Misericordia de Lisboa (Santa Casa), il quale costituisce “una persona giuridica di utilità pubblica amministrativa”. La Bwin, un’impresa non stabilita in Portogallo, dalla sua sede di Gibilterra offriva scommesse sportive on line relative ai risultati delle partite di calcio del campionato portoghese. Le scommesse di cui sopra in sostanza erano equivalenti ai giochi Totobola e Totogolo attribuiti in esclusiva alla Santa Casa. Nel 2005 la Bwin ha anche concluso un contratto di sponsorizzazione con Liga Portuguesa de Futebol Profissional per una durata di quattro anni, in virtù del quale la Bwin è divenuta lo sponsor principale del campionato di serie A portoghese.

Nell’esercizio dei suoi poteri la Santa Casa sanzionava la Bwin e la Liga per lo sviluppo, la gestione e l’organizzazione via Internet di giochi sociali uguali o simili a quelli attribuiti alla Santa Casa e per la pubblicità effettuata in favore di tali giochi. Il giudice portoghese di fronte al quale la Bwin e la Liga avevano impugnato le decisioni della Santa Casa decideva di sospendere il procedimento e richiedeva l’intervento della Corte di Giustizia ex art. 234 UE. Una misura nazionale – ecco la questione pregiudiziale sottoposta alla Corte - come la legge portoghese che attribuisce l’esclusivo esercizio di giochi d’azzardo ad un unico ente, così impedendo ad un operatore stabilito in altro stato membro, e qui regolarmente autorizzato a proporre giochi di azzardo via internet, di offrire il medesimo servizio nel territorio dello stato membro che ha adottato la misura restrittiva è compatibile con il diritto comunitario?

La natura restrittiva della legge portoghese è pacifica. L’attribuzione dell’esercizio esclusivo dei giochi d’azzardo alla Santa Casa impedisce a operatori stabiliti in altri stati membri di proporre tali servizi in Portogallo, e pertanto costituisce una restrizione alla libera circolazione dei servizi.

Si deve allora verificare se la normativa portoghese, incompatibile con il principio della libera circolazione dei servizi, può comunque essere giustificata per il diritto comunitario. Prima di affrontare il merito della questione, è opportuno soffermarsi su alcune peculiarità proprie del settore dei giochi di azzardo che rilevano ai fini del giudizio sulla compatibilità delle misure nazionali adottate in questa materia dagli stati membri con il diritto comunitario. La Corte ha costantemente evidenziato che in materia di giochi di azzardo gli stati membri sono divisi da considerazioni di ordine morale, religioso e culturale. Inoltre la disciplina del settore non è stata ancora armonizzata a livello comunitario. Ne consegue che gli stati membri conservano il potere di stabilire come meglio proteggere gli interessi nazionali rilevanti secondo la propria scala di valori; inoltre possono anche decidere quali obbiettivi le politiche nazionali in questa materia devono perseguire, nonché il livello di protezione degli interessi nazionali ritenuti meritevoli di tutela. Il fatto che gli stati membri abbiano optato per un differente sistema di tutela dei propri interessi nazionali non può essere considerato come un elemento rilevante ai fini di accertare la compatibilità delle misure nazionali con il diritto comunitario (causa C-124/97, Låårå; C-67/98, Zenatti; C-243/01, Gambelli; cause riunite C-338/04, C-359/04 e c-360/04, Placanica).

Giova altresì ricordare che con la sentenza Gouda (causa C-288/89, Collectieve Antennevoorziening Gouda) i giudici comunitari hanno sancito l’applicazione della dottrina Cassis de Dijon anche alla libera circolazione dei servizi. Quindi, una misura restrittiva, indistintamente applicabile, può essere giustificata se fondata su esigenze imperative connesse all’interesse generale e se conforme al principio di proporzionalità.

Tutto ciò premesso, si possono ora esaminare le ragioni addotte dal Portogallo al fine di giustificare le misure nazionali restrittive della libera circolazione dei servizi qui in esame. Il Portogallo ha sostenuto che tale misure erano state adottate con il fine di lotta alla criminalità e, in particolare, tutela dei consumatori dei giochi d’azzardo contro le frodi commesse dagli operatori. Tali obbiettivi costituiscono esigenze imperative connesse all’interesse generale nel senso della dottrina Cassis de Dijon.

Il fatto che i giochi d’azzardo in questione non siano vietati tout court, ma attribuiti in esclusiva ad un ente di diritto pubblico potrebbe sollevare qualche dubbio circa la compatibilità di tale soluzione con il principio di proporzionalità. In materia di libera circolazione delle merci la Corte aveva infatti escluso che la conformità con il principio di proporzionalità di una misura restrittiva che vietava la commercializzazione, per ragioni di moralità pubblica, ma non la produzione nel territorio nazionale di alcuni prodotti (causa 34/79, Henn & Darby). Tornando ai giochi di azzardo, simili perplessità sono state già sollevate dalla Corte nei riguardi della legge italiana. Da un lato, l’Italia vietava la raccolta di scommesse sportive per conto di un operatore stabilito nel Regno Unito, ma dall’altro seguiva una politica di forte espansione di giochi e scommesse al fine di raccogliere fondi pubblici. Sul punto i giudici comunitari hanno osservato che gli stati membri non possono appellarsi all’ordine pubblico sociale per giustificare misure restrittive come quelle qui in esame e allo stesso tempo incoraggiare i consumatori a partecipare a lotterie e giochi di azzardo al fine di raccogliere fondi pubblici ( causa C-243/01, Gambelli).

Nel nostro caso, invece la Corte ha assunto una posizione più favorevole per gli stati membri, confermando un orientamento già accolto sin dal caso Låårå (causa C-124/97). Spetta infatti al potere discrezionale degli stati membri stabilire le modalità per realizzare l’obbietivo perseguito dalle politiche nazionali in materia di giochi di azzardo. Uno stato membro può decidere se vietare totalmente una determinata attività o se limitarne il compimento a determinati modalità, sottoposte al controllo pubblico. Anche il divieto parziale di svolgere giochi di azzardo può esere compatible con il principio di proporzionalità. In altre parole, in talune circostanze, la limitazione dell’esercizio di un determinata attività solo attraverso determinati canali, è necessaria per la tutela di interessi generali degli stati membri.

La concessione del diritto esclusivo per la gestione dei giochi d’azzardo via Internet ad un operatore unico, la Santa Casa nel nostro caso, soggetto ad uno stretto controllo amministrativo non è perciò contraria al principio di proporzionalità. Tale soluzione, in circostanze come quelle qui esaminate, consente di incanalare la gestione di tali giochi in un circuito controllato. In questa modo l’attribuzione del diritto esclusivo può essere considerata idonea a tutelare i consumatori contro le frodi commesse dagli operatori. Il fatto che Bwin sia autorizzata a svolgere giochi di azzardo nello stato membro di stabilimento non può costituire garanzia sufficiente a tutelare i consumatori, considerato che per le autorità dello stato di stabilimento può essere difficile valutare le caratteristiche qualitative e la correttezza degli operatori.

Inoltre nel caso di specie la Corte ha considerato due ulteriori elementi che impongono cautela. A causa dell’assenza di un contatto diretto tra operatore e consumatore, i giochi di azzardo forniti via Internet sollevano rischi di natura differente e maggiori rispetto ai giochi di azzardo offerti secondo i canali tradizionali. Inoltre, la Corte, piuttosto maliziosamente, ipotizza che un operatore che sponsorizza un campionato sui risultati del quali accetta scommesse, nonché alcune squadre partecipanti a tale campionato, potrebbe influire, direttamente o indirettamente, sul risultato di tali squadre, a suo vantaggio al fine di aumentare i profitti.

In conclusione, nella sentenza Bwin la Corte ha ancora una volta applicato la dottrina di Cassis di Dijon in materia della libera prestazione di servizi. La Corte ha altresì confermato che uno stato membro può legittimamente limitare la commercializzazione di giochi di azzardo ad un solo canale soggetto ad un controllo pubblico al fine di tutelare i consumatori contro le frodi. In questo modo uno stato membro può legittimamente impedire l’esercizio di un servizio di scommesse sportive via Internet nel proprio territorio ad un operatore stabilito ed autorizzato in altro stato membro a svolgere tale servizio. Infine, la sentenza Bwin si colloca nel solco delle sentenze Låårå, Zenatti e Placanica, dalle quali, a differenza della sentenza pronunziata nel caso Gambelli, sembra emergere una certa deferenza dei giudici comunitari nei confronti degli stati membri in materia di disciplina dei giochi di azzardo, imputabile, forse, alla diversa sensibilità degli stati in materia. Rispetto all’ordinamento comunitario, rientra nella competenza degli stati membri stabilire quali sono gli obbiettivi da perseguire con le politiche nazionali relative ai giochi di azzardo, se tali obbiettivi corrispondono alle esigenze imperative della dottrina Cassi de Dijon e il livello di protezione di tali interessi.