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L’accesso abusivo a sistema informatico costituisce reato di pericolo ed è irrilevante il tipo di notizia appresa

Accesso abusivo
Accesso abusivo

Indice:

1. Introduzione

2. Il caso in esame

3. La decisione della Suprema Corte

 

1. Introduzione

Il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico configura un reato di pericolo che si concretizza ogniqualvolta l’ingresso abusivo riguardi un sistema informatico in cui sono contenute notizie riservate, indipendentemente dal tipo di notizia eventualmente appresa.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, con Sentenza 27 febbraio 2019, n. 8541.

 

2. Il caso in esame

Un sottufficiale della Guardia di Finanza era stato ritenuto responsabile del reato di accesso abusivo ad un sistema informatico di cui all’articolo 615-ter Codice Penale per essersi abusivamente introdotto nel sistema informativo “Serpico” al fine di acquisire informazioni sulla situazione reddituale della moglie, con la quale aveva in corso una causa di separazione.

Aveva proposto, pertanto, ricorso per cassazione, deducendo

il mancato accertamento dei limiti e delle condizioni dell’accesso, risultanti dal complesso delle disposizioni impartite del titolare del sistema, sicché non vi era stata prova che l’accesso fosse stato abusivo, e 

il fatto che nel giudizio civile fosse stata prodotta solo una visura camerale con i dati della ditta intestata alla consorte, documento rinvenibile in registri pubblici.

 

 

3. La decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto la censura infondata.

In particolare, la Corte ha rilevato come nell’appello l’imputato non avesse contestato di aver effettuato l’accesso nel sistema informatico “Serpico”, sollevando censure esclusivamente con riferimento alla qualificazione del fatto e richiamando quella giurisprudenza che reputava irrilevante, dal punto di vista penale, lo scopo eventualmente perseguito dall’agente, assegnando rilievo solo ai limiti posti dall’amministratore del sistema.

I giudici di legittimità hanno evidenziato come nel corso del giudizio fosse intervenuta la decisione delle Sezioni Unite (n. 41210 del 2017) secondo la quale:

integra il delitto previsto dall’art. 615-ter comma 2 n. 1 c.p. la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un servizio informatico o telematico protetto per delimitarne l’accesso, acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee e comunque diverse rispetto a quelle per le quali, soltanto, la facoltà di accesso gli è attribuita”.

Tale doveva ritenersi, a parere della Corte, la situazione in esame, in ragione del fatto che il prevenuto, indipendentemente dai limiti formali posti dall’amministratore di sistema, si era introdotto nel sistema informatico “Serpico” per ragioni ontologicamente diverse da quelle per cui il potere gli era stato conferito, ossia carpire informazioni sullo stato patrimoniale della moglie, da utilizzare poi nel giudizio di separazione in corso.

A nulla rilevava il fatto che le informazioni poi effettivamente utilizzate dal prevenuto fossero comunque reperibili altrove, in quanto scopo della norma è quello di inibire “ingressi abusivi” nel sistema informatico.

Trattasi, come evidenzia la Corte, di reato di pericolo che si concretizza ogniqualvolta l’ingresso abusivo riguardi un sistema informatico in cui sono contenute notizie riservate, indipendentemente dal tipo di notizia eventualmente appresa.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto, condannando l’imputato al pagamento delle spese processuali.

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