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Il creditore può proseguire l’azione revocatoria ordinaria dopo il sopravvenuto fallimento del debitore, in caso di inerzia del curatore

Nota a Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza 17 dicembre 2008, n. 29421
[Si ringrazia per la gentile collaborazione Alba Calcaterra]

Massima - Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza 17 dicembre 2008, n. 29421 – Pres. Carbone – Rel. Rodorf

Fallimento e procedure concorsuali – Azione revocatoria ordinaria – Successivo fallimento del debitore – Mancato subentro in giudizio del curatore – Legittimazione del creditore – Composizione di contrasto

(c.c. art. 2901 – R.D. 16 marzo 1942, n. 267, “Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa”, artt. 43, 51, 52, 66, 67)

Il promuovimento dell’azione revocatoria ordinaria da parte del creditore ex art. 2901 cod. civ., pur permettendo al curatore del successivo fallimento di subentrare nel relativo processo ovvero di proporre ex novo la medesima azione, ex art. 66 legge fall., non esclude, in caso di inerzia dell’organo concorsuale, la prosecuzione dell’azione del creditore individuale.

Sommario:

1. Premessa

2. Una breve cronistoria dei fatti

3. Le questioni preliminari affrontate dalle sezioni unite

4. Alcuni cenni sull’azione revocatoria ordinaria prima e dopo il fallimento del debitore

5. Il contrasto giurisprudenziale sull’eventualità di un concorso tra l’azione revocatoria ordinaria instaurata dal singolo creditore a norma dell’art. 2901 c.c. e l’azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatore a seguito del sopravvenuto fallimento del debitore ex art. 66 l. Fall.

6. L’inquadramento dei termini della questione posta alle sezioni unite

7. Le ragioni ostative alla dichiarazione di improcedibilità dell’azione revocatoria ordinaria per il sopravvenuto fallimento del debitore nel caso di mancato subentro in giudizio del curatore

8. La condivisibile decisione degli ermellini

9. L’accertamento dell’inesistenza di un diritto di credito per difetto di prova, una volta passato in giudicato, rende improponibile l’azione revocatoria, non essendovi più neppure un’aspettativa di credito

1. Premessa

Con la sentenza n. 29421 del 17 dicembre 2008, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno stabilito che il promuovimento dell’azione revocatoria ordinaria da parte del creditore ex art. 2901 cod. civ., pur permettendo al curatore del successivo fallimento di subentrare nel relativo processo ovvero di proporre ex novo la medesima azione, ex art. 66 l. fall., non esclude, in caso di inerzia dell’organo concorsuale, la prosecuzione dell’azione del creditore individuale. [La sentenza è pubblicata su www.cortedicassazione.it/Notizie/GiurisprudenzaCivile/SezioniUnite. La causa è stata rimessa alle Sezioni Unite da Cass. Civ., III sez., con ordinanza 25 febbraio 2008, n. 4717]

Nell’analizzare la motivazione impiegata dagli Ermellini a sostegno del principio di diritto appena esposto, verranno dedicati brevi cenni all’istituto della revocatoria ordinaria prima e dopo il fallimento del debitore, saranno inquadrati i termini della questione su cui si è pronunciata la Corte, indicando altresì le ragioni per cui tale soluzione sia condivisibile.

2. Una breve cronistoria dei fatti

La pronuncia giurisprudenziale in commento ha ad oggetto una vicenda fattuale di particolare interesse, sintetizzabile nei seguenti termini.

Due attori, coniugi, mentre agiscono in giudizio dinanzi al Tribunale contro una società che non ha ottemperato l’obbligo, espressamente assunto, di far cancellare l’ipoteca su di un bene immobile loro alienato, apprendono la notizia che la società ha altresì alienato una parte degli ulteriori cespiti di sua proprietà ad una seconda società, in tal modo pregiudicando le garanzie del loro credito. Gli attori chiedono al tribunale di dichiarare inefficace nei loro riguardi gli atti di compravendita da ultimo menzionati.

Il giudice di primo grado accoglie la domanda.

La società acquirente interpone gravame, con atto notificato anche alla curatela del sopravvenuto fallimento della società venditrice, che resta contumace.

La Corte d’Appello rigetta l’impugnazione disattendendo l’eccezione con cui la società acquirente, sul presupposto che la legittimazione all’esercizio dell’azione revocatoria spetti in via esclusiva alla curatela del fallimento, chiede la dichiarazione di improcedibilità della domanda proposta dai due coniugi. Conferma, nel merito, la sentenza di primo grado nella parte in cui ritiene esistenti le condizioni richieste dall’art. 2901 c.c., per la revoca degli atti di disposizione patrimoniali compiuti dalla società debitrice.

Contro la sentenza di appello, la società acquirente propone ricorso per Cassazione, articolato in quattro motivi. La terza sezione civile sollecita la rimessione della causa alle Sezioni unite per risolvere il contrasto giurisprudenziale sulla questione se il sopravvenuto fallimento del debitore, in pendenza di azione revocatoria ordinaria proposta da un singolo creditore a norma dell’art. 2901 c.c., determina o meno l’improcedibilità dell’azione proposta dall’attore.

3. Le questioni preliminari affrontate dalle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, prima di affrontare l’interrogativo loro posto, hanno risolto due questioni preliminari attinenti sia alla formazione sul punto di un giudicato interno sia all’esistenza di un eccepito giudicato esterno che sarebbe nel frattempo intervenuto.

In relazione alla formazione di un giudicato interno, la parte ricorrente censura il capo della sentenza con cui la Corte d’Appello ritiene indiscutibile, in base alla mancata impugnazione ad opera della curatela del fallimento della sentenza di primo grado, la legittimazione degli attori a proseguire l’azione revocatoria ordinaria.

Inoltre, la difesa della società ricorrente sostiene che nel frattempo si è formato un giudicato esterno sulla causa, facendo riferimento ad un’altra causa, definita con sentenza della Suprema Corte di Cassazione, sez. III civile, del 28 febbraio 2008, n. 5272, avente ad oggetto comunque la revocatoria di atti di compravendita immobiliare posti in essere dalla medesima società in pregiudizio dei propri creditori, nella quale si è posto il problema della perdurante legittimazione dell’attore anche a seguito del sopravvenuto fallimento del debitore. [Nella sentenza ultima citata, pubblicata su Giust. civ. Mass. 2008, 2, gli Ermellini hanno avuto modo di sostenere che è stato più volte ribadito <<che la posizione del curatore che agisce in giudizio può variare di caso in caso, a seconda dell’interesse che egli intende far valere e che è correlato, di volta in volta, alle ragioni del fallito o dei creditori e della massa fallimentare (Cass. n. 8545/03; n. 5026/99), per cui quando agisce come creditore, sostituendosi alle ragioni del fallito o come avente causa da quest’ultimo, egli si trova nella stessa situazione processuale del medesimo (Cass. n. 6625/84), mentre, quando agisce, invece, per la conservazione o l’incremento dell’attivo fallimentare, lo stesso assume di regola la duplice veste di rappresentante della massa dei creditori e del fallito (Cass. n. 5026/99 sopra cit.; n. 1619/85). Tanto premesso, questo Collegio ritiene di condividere il mutamento di indirizzo giurisprudenziale attuato con la suddetta sentenza n. 11763/06 come più rispondente di quello precedentemente seguito alla realtà processuale del giudizio di cui trattasi. Ed invero, la sentenza impugnata dà atto espressamente della mancata costituzione in giudizio del curatore del fallimento (…)>>. <<E’ certo, dunque, che nel caso di specie la curatela in questione sia stata posta in grado di far valere nel presente giudizio le proprie legittime pretese, in primo luogo quella riguardante la rivendicazione nei confronti delle altre parti processuali di una sua esclusiva legittimazione a proseguire l’azione promossa dai coniugi>>, attori. In assenza, pertanto, di una costituzione in appello della curatela e di sue pertinenti richieste da effettuare eventualmente in tale sede, giustamente la Corte di merito ha proceduto all’esame delle doglianze addotte dall’appellante, attuando in tal modo il principio sopra delineato della relativa autonomia della azione individuale già promossa dal singolo creditore rispetto alla legittimazione del curatore alla prosecuzione dell’azione stessa. Né può sostenersi che a seguito del fallimento del debitore (dichiarato, nel caso di specie, dal Tribunale di Avellino con sentenza depositata il 5.6.2000) siano venuti meno l’interesse e la legittimazione ad agire dei creditori, giacché è pacifico che l’accoglimento dell’azione revocatoria, come si evince dagli artt. 2901 e 2902 c.c., non comportando affatto l’invalidità dell’atto di disposizione sui beni ed il rientro di quest’ultimi nel patrimonio del debitore alienante, bensì esclusivamente l’inefficacia dell’atto stesso nei soli confronti del creditore che abbia agito per conseguirla, con conseguente possibilità per quest’ultimo, e solo per lui, di promuovere azioni esecutive o conservative su quei beni contro i terzi acquirenti, pur divenutine validamente proprietari (Cass. n. 1227/97), si risolverebbe pur sempre certamente in un giovamento per il creditore stesso. Infatti, una volta ottenuta la sentenza di revoca a suo vantaggio, il creditore individuale potrebbe soddisfare il suo credito espropriando un bene non appartenente alla massa attiva, e così arrecando indirettamente un vantaggio anche per la massa stessa>>].

Le Sezioni Unite negano la sussistenza sia del giudicato interno sia del giudicato esterno con le sue seguenti argomentazioni.

In relazione alla insussistenza del giudicato interno, la Corte rileva che il sopravvenuto fallimento della società si è verificato dopo la pronuncia di primo grado. <<Tanto basta, evidentemente, per escludere che il tribunale abbia potuto prendere in considerazione tale evento ed anche solo implicitamente statuire in ordine agli effetti che esso avrebbe prodotto sulla procedibilità dell’azione>>. Conclude sul punto, sostenendo che <<non sussistono, pertanto, le condizioni perché possa parlarsi di un giudicato interno su una questione che, essendo rilevabile d’ufficio anche in secondo grado, avrebbe dovuta essere presa in esame dalla corte d’appello>>.

Sul giudicato esterno eccepito dai ricorrenti, la Corte evidenzia che la sentenza n. 5272 del 2008 ha statuito su una domanda avente ad oggetto atti di disposizione diversi da quelli dei quali si discute in giudizio. Ma non solo. Anche i soggetti non sono totalmente identici. Essendo in presenza di cause diverse, ciò vale ad escludere gli effetti di giudicato della sentenza citata sulla causa in esame, di cui si dovrà tener conto solo in quanto contiene principi che costituiscono <<un significativo precedente giurisprudenziale>>.

4. Alcuni cenni sull’azione revocatoria ordinaria prima e dopo il fallimento del debitore

L’analisi della sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione richiede qualche cenno preliminare e sommario all’istituto della revocatoria, riprendendo altresì il contenuto di alcune dissertazioni impiegate dagli Ermellini in relazione alla revocatoria ordinaria prima e dopo la dichiarazione di fallimento del debitore.

L’azione revocatoria ordinaria, regolata negli artt. 2901 ss., c.c., è attribuita al creditore contro ogni atto di disposizione del patrimonio compiuto dal debitore, che sia in grado di recare pregiudizio alle sue ragioni. [Così, Gazzoni, Obbligazioni e contratti, Napoli, 2006, 683. Sui principi accolti dal diritto romano in tema di fraus creditorum e sui rimedi per combatterla, si vedano tra gli altri, Maierini, Della revoca degli atti fraudolenti, Firenze, 1898; Solazzi, La revoca degli atti fraudolenti nel diritto romano, 1934].

E’ un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.) i cui presupposti fondanti sono: a) l’esistenza di un diritto di credito [In particolare, Cass., S.U., 27 giugno 2002, n. 9349, in Giust. civ. Mass., 2002, 1109, ha stabilito che l’azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito, e non anche la sua concreta esigibilità]; b) un atto con cui il debitore dispone di beni del proprio patrimonio; c) un pregiudizio per il creditore consistente nel fatto che, come conseguenza dell’atto di disposizione compiuto, il patrimonio del debitore divenga insufficiente a soddisfare la sua pretesa creditoria (c.d. eventus damni); d) la consapevolezza da parte del debitore e, se l’atto è stato fatto a titolo oneroso, del terzo del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie (c.d. consilium fraudis). [Sul tema della revocatoria ordinaria, tra gli altri, Nicolò, Dell’azione revocatoria, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja-Branca, Bologna, 1953; Martini, Azione revocatoria (diritto privato), in Nss. D.I., vol. II, Torino, 1957; Bigliazzi Geri, Revocatoria (azione), in Enc. giur., vol. XXVII, Roma, 1991; D’Ercole, L’azione revocatoria, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 20, Torino, 1998; Dimartino, Revocatoria (azione) [post. agg.], in Enc. giur., vol. XXVII, Roma, 2001; Roselli, Responsabilità patrimoniale. I mezzi di conservazione, Torino, 2005, 131 ss.]

Con la sentenza di revoca viene dichiarata l’inefficacia dell’atto di disposizione nei confronti del creditore che ha agito in giudizio. [Natoli, Azione revocatoria, in Enc. Dir., IV, Milano, 1959, 888 ss., evidenzia che, in base al combinato disposto tra art. 2901 c.c. ed art. 2902 c.c., <<l’azione revocatoria appare come una azione tendente a far dichiarare l’inefficacia relativa a determinati atti di disposizione del debitore; un’efficacia, cioè, che sussiste ed ha valore soltanto nei confronti del creditore-attore, unico soggetto, quindi, legittimato a giovarsene>>].

Sulla funzione dell’azione pauliana, nella pronuncia in esame gli Ermellini hanno ancora una volta ribadito che pur non essendo, <<in senso proprio, un’azione esecutiva, ben può dirsi che essa è naturalmente orientata a finalità esecutive, come inequivocabilmente testimonia il disposto dell’art. 2902 c.c.>>. Infatti, tale ultima previsione stabilisce che <<il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell’atto impugnato>>. [Come precisato da Cass. civ., sez. II, 14 giugno 2007, n. 13972, in Giust. civ. Mass., 2007, 6, l’azione revocatoria ordinaria ha la funzione di ricostruire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, che si prospetti compromessa dall’atto di disposizione da questi posto in essere; essa, pertanto, in caso di esito vittorioso, non travolge l’atto impugnato, con conseguente effetto restitutorio o recuperatorio del bene al patrimonio del debitore, ma ha l’effetto tipico di determinare l’inefficacia dell’atto stesso nei confronti del solo creditore, al fine di consentirgli di aggredire il bene con l’azione esecutiva qualora il proprio credito rimanga insoddisfatto. Così, anche Cass., 8 aprile 2003, n. 5455, in Giust. civ. Mass. 2003, 4; Cass., 25 maggio 2001, n. 7127, in Giust. civ. Mass, 2001, 1055; Cass., 18 febbraio 2000, n. 1804, in Giur. it., 2000, c. 2904; Cass., 25 gennaio 2000, n. 791, in Giust. civ. Mass., 2000, 130; Cass., 19 dicembre 1996, n. 11349, in Giust. civ. Mass., 1996, 1770; Cass., 18 febbraio 1991, n. 1991, in Giust. civ. Mass.,1991, 2].

Nell’art. 2904 c.c. è espressamente previsto che <<sono fatte salve le disposizioni sull’azione revocatoria in materia fallimentare e in materia penale>> [Sulla revocatoria penale, si veda, tra gli altri, Roselli, Responsabilità patrimoniale. I mezzi di conservazione, cit., 218 ss.]

In ambito fallimentare, bisogna distinguere l’azione revocatoria ordinaria nel fallimento dalla revocatoria fallimentare.

L’azione revocatoria ordinaria nel fallimento è disciplinata nell’art. 66 l. fall., il quale dispone che <<il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile>>. [Azzolina, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino, 1961, II, 1320, rileva che la norma in esame ha eliminato i dubbi prospettati in relazione al vecchio art. 708 cod. comm. secondo cui l’azione sarebbe stata esperibile non già dal curatore nell’interesse della massa, bensì solo dai singoli creditori per titolo anteriore al compimento dell’atto in frode nel rispettivo interesse]. La revocatoria fallimentare è regolata negli artt. 67 ss., l. fall., ed è diretta a ricostruire il patrimonio dell’imprenditore fallito, rendendo inefficaci tutti quegli atti compiuti dallo stesso in pregiudizio ai creditori. [Per maggiori approfondimenti sul tema specifico della revocatoria fallimentare, si vedano, tra gli altri, Tarzia, Le azioni revocatorie nelle procedure concorsuali, Milano, 2003; Fabiani, L’alfabeto della nuova revocatoria fallimentare, in Fall., 2005, 573 ss.; Vincre, Le nuove norme sulla revocatoria fallimentare, in Riv. dir. proc., 2005, 887 ss.; Rago, Manuale della revocatoria fallimentare. Profili sistematici di dottrina e giurisprudenza, Padova, 2006; Tarzia, Di Iulio, Farina, L’azione revocatoria nella nuova legge fallimentare, Milano, 2006].

Mentre la revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. è esercitata dal creditore ed è diretta a salvaguardare le sole ragioni di quest’ultimo, la revocatoria ordinaria nel fallimento ex art. 66 l. fall. è esercitata dal curatore, organo fallimentare, e favorisce tutti i creditori [Cfr. Caringella-De Marzo, Le obbligazioni, in Manuale di diritto civile, Milano, 2008, 736, i quali precisano che nella revocatoria ex art. 66 l. fall. viene meno il carattere di relatività della revocatoria esercitata dal singolo creditore ex art. 2901 c.c.]

La revocatoria ordinaria nel fallimento si distingue dalla revocatoria fallimentare poiché quest’ultima <<si fonda su presupposti parzialmente diversi e consente, attraverso una serie di presunzioni a favore del fallimento, una più agevole ed ampia ricostruzione del patrimonio da sottoporre all’esecuzione concorsuale>> [Così, Campobasso, Contratti. Titoli di credito. Procedure concorsuali, Diritto commerciale, Torino, 2008, 366, il quale precisa che nella revocatoria fallimentare, il curatore è dispensato dall’onus probandi del consilium fraudis e dell’eventus damni, in quanto il principio che è alla base di tale istituto è che tutti gli atti posti in essere dall’imprenditore in stato di insolvenza si presumono pregiudizievoli per i creditori perché idonei ad alterare la par condicio creditorum].

Analizzati sommariamente i diversi istituti, è possibile comprendere quanto sostenuto dagli Ermellini, i quali hanno evidenziato nella sentenza in commento che <<quando (…) il debitore sia un imprenditore commerciale e l’atto di disposizione da lui compiuto ne abbia causato (o aggravato) l’insolvenza, onde ne è seguita la dichiarazione di fallimento, il pregiudizio che giustifica l’esercizio dell’azione revocatoria si riflette necessariamente sulla posizione dell’intera massa dei creditori, le cui ragioni devono essere soddisfatte secondo le regole del concorso. Si spiega, quindi, come mai l’art. 66 l. fall., in tal caso, attribuisca al curatore, nell’interesse della massa, la legittimazione all’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, quale prevista dai citati artt. 2901 e segg. c.c., in aggiunta all’azione revocatoria fallimentare disciplinata dal successivo art. 67 della stessa legge>>. [In dottrina, Cavallo, Azione revocatoria fallimentare, sez. I, in Enc. Dir., IV, Milano, 1959, 902 ss., nell’analizzare le modifiche di natura sostanziale attinenti all’azione revocatoria ordinaria a causa del fallimento del debitore, evidenzia che, in seguito al fallimento del debitore, l’azione revocatoria perde il suo carattere relativo, cessa cioè di essere una difesa del singolo creditore e diventa una difesa generale nell’interesse di tutti i creditori in forza del principio della par condicio creditorum. Diventa, quindi, un’azione a favore della massa.]

Emblematico è l’ulteriore passaggio in cui la Suprema Corte evidenzia che <<in dottrina (…) è stato osservato che, nell’ipotesi in cui il debitore è un imprenditore commerciale di cui però è stato dichiarato il fallimento, l’esercizio dell’azione revocatoria individuale inevitabilmente comporta una stortura: perché l’atto di disposizione patrimoniale del debitore è sempre potenzialmente dannoso per la collettività dei creditori (ed il consilium fraudis ha carattere impersonale), mentre l’azione produce effetti a vantaggio di un creditore singolo. Stortura che cessa invece di esistere, in caso di dichiarazione di fallimento, qualora l’azione sia esercitata dal curatore nell’interesse indistinto di tutti i creditori pregiudicati da quell’atto; ed il cosiddetto effetto recuperatorio, che si suole ricollegare all’azione revocatoria in ambito fallimentare (diversamente da quando essa è esercitata al di fuori del fallimento), non è che una conseguenza del diverso modo in cui si atteggia la successiva fase esecutiva della procedura concorsuale rispetto all’esecuzione forzata individuale>>.

Quindi, <<pur potendosi ammettere (…) che l’inserimento dell’azione revocatoria ordinaria nell’ambito della procedura concorsuale richiede degli adattamenti, sembra senz’altro da affermare che essa resta, anche in tale evenienza, la medesima prevista dal codice civile, come del resto l’espressione adoperata dal primo comma dell’art. 66 l. fall. sta chiaramente ad indicare>>.

Individuati alcuni passaggi significativi della Suprema Corte sulle modifiche che interessano la disciplina dell’azione revocatoria ordinaria a causa del fallimento del debitore, vanno inquadrati i termini del problema oggetto della pronuncia giurisdizionale in esame.

5. Il contrasto giurisprudenziale sull’eventualità di un concorso tra l’azione revocatoria ordinaria instaurata dal singolo creditore a norma dell’art. 2901 c.c. e l’azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatore a seguito del sopravvenuto fallimento del debitore ex art. 66 l. fall.

Le Sezioni Unite hanno evidenziato che l’art. 66 l. fall., <<nell’attribuire al curatore del fallimento la legittimazione anche all’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, non contempla però l’eventualità del concorso di tale azione con quella esercitata dal singolo creditore a norma dell’art. 2901 c.c., né disciplina l’ipotesi di fallimento del debitore quando l’azione del singolo creditore è stata già esercitata, ma è ancora pendente>>.

Ed è proprio su tale problema che si sono manifestati due opposti orientamenti giurisprudenziali della Suprema Corte di Cassazione.

Un consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene che, una volta esercitata la revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., in caso di sopravvenuto fallimento del debitore, la legittimazione alla prosecuzione del giudizio spetta esclusivamente al curatore, il quale agisce come sostituto processuale della massa dei creditori, oramai carenti d’interesse e privati della legittimazione a proseguire l’azione. La conseguenza di tale opzione interpretativa è che gli effetti dell’azione, consistenti nell’inefficacia dell’atto di disposizione patrimoniale, sono destinati a prodursi nei confronti di tutti i creditori del fallito e non del singolo creditore attore. [Così, in ultimo, Cass. civ., sez. I, 8 settembre 2005, n. 17943, in Giust. civ. Mass. 2005, 6, secondo cui qualora, dopo la proposizione dell’azione revocatoria ordinaria, sopravvenga il fallimento del debitore, la legittimazione all’esercizio dell’azione spetta, in via esclusiva, al curatore, il quale agisce come sostituto processuale della massa dei creditori, privati della legittimazione ad iniziare o proseguire l’azione per tutta la durata della procedura fallimentare, nonché come sostituto processuale del debitore fallito, il quale perde la capacità di stare in giudizio rispetto ai rapporti patrimoniali compresi nel fallimento; pertanto il curatore è legittimato a proseguire il giudizio promosso dal creditore, rispetto al quale il fallito è privo di legittimazione processuale, con la conseguenza che resta esclusa la necessità dell’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, previa nomina di un curatore speciale, ex art. 78 c.p.c. Cfr. Cass., sez. III, 6 agosto 2002, n. 11760, in Giust. civ. Mass., 2002, 1476; Cass., sez. I, 25 luglio 2002, n. 10921, in Giust. civ. Mass., 2002, 1342; Cass., sez. I, 19 luglio 2002, n. 10547, in Giust. civ. Mass., 2002, 1282; Cass., sez. I, 21 luglio 1998, n. 7119, in Giust. civ. Mass., 1998, 1560; Cass. 3485/1977]

Di diverso avviso è altro orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità secondo cui, nel caso in esame, le due azioni possono concorrere e quella del creditore può eventualmente raccordarsi a quella della massa. [In tal senso, Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2006, n. 11763, in Giust. civ. Mass. 2006, 5, la quale ha sostenuto che qualora, dopo la proposizione dell’azione revocatoria ordinaria, sopravvenga il fallimento del debitore, la legittimazione all’esercizio dell’azione spetta al curatore, il quale agisce come sostituto processuale della massa dei creditori, senza che sia esclusa tuttavia la possibilità del creditore individuale di proseguire il giudizio, ben potendo le due azioni concorrere, restando il creditore legittimato a proseguire la sua azione raccordandola, eventualmente, a quella della massa. Nella specie il curatore del fallimento, costituendosi in appello, aveva chiesto, oltre che la conferma della impugnata sentenza di accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria proposta contro il debitore, anche l’estensione della inefficacia dell’atto di disposizione nei confronti della massa fallimentare. La Suprema Corte in applicazione del principio di cui sopra ha ritenuto compatibile con essa la domanda del creditore, che tendeva alla revoca dell’atto impugnato per ottenere la soddisfazione del proprio credito. Così, in ultimo, anche la già citata, Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2008, n. 5272, la quale ha stabilito che l’azione revocatoria ordinaria può essere validamente proseguita dal singolo creditore, anche dopo il fallimento del debitore, in quanto la sopravvenuta legittimazione del curatore non ha carattere esclusivo e non determina l’improseguibilità dell’azione individuale. Pertanto, in caso di sopravvenuto fallimento del debitore dopo la sentenza di primo grado e di mancata costituzione del curatore nel giudizio d’appello, il creditore può, comunque, ottenere la declaratoria d’inefficacia dell’atto di disposizione patrimoniale e soddisfare il proprio credito mediante l’espropriazione forzata del bene oggetto della pronuncia]

6. L’inquadramento dei termini della questione posta alla Sezione Unite

Gli Ermellini, nella sentenza in commento, dopo aver precisato che è pacifico che il curatore prosegua il giudizio intrapreso prima del fallimento del singolo creditore, subentrando nella posizione processuale di quest’ultimo, evidenzia che <<incertezze si sono manifestate soltanto quanto alla sorte da riservare all’azione individuale originariamente intrapresa dal creditore singolo, una volte che sia sopravvenuto il fallimento del debitore>>.

Dopo la dichiarazione di fallimento del debitore, <<il più delle volte, accade (…) che il curatore subentri nella causa in rappresentanza della massa dei creditori, e ciò finisce per svuotare di significato l’originaria iniziativa del singolo creditore>>.

Ma <<la questione non si pone in questi termini, nel presente caso>>.

Infatti, secondo la Corte, il curatore, rimanendo contumace nel giudizio di appello relativo all’azione revocatoria ordinaria del singolo creditore, non <<ha inteso subentrare nell’azione già pendente, non potendo certo un tale effetto prodursi in modo automatico sol perché è sopravvenuto il fallimento del debitore>>. Né altra azione revocatoria è stata intrapresa ex novo dal curatore nei confronti dei medesimi atti di disposizione patrimoniale del debitore che hanno formato oggetto della presente azione.

7. Le ragioni ostative alla dichiarazione di improcedibilità dell’azione revocatoria ordinaria per il sopravvenuto fallimento del debitore nel caso di mancato subentro in giudizio del curatore

Le Sezioni Unite, dopo aver richiamato le ragioni per le quali <<si dubita>> della proseguibilità dell’azione del singolo creditore nel caso in cui il curatore del sopravvenuto fallimento abbia a propria volta esercitato l’azione nell’interesse dell’intera massa dei creditori, pone la questione se esse <<conservino valore anche quando il curatore, viceversa, non ravvisando l’opportunità di subentrare nell’azione o altrimenti di esercitarla, se ne disinteressi>>.

La Corte sostiene che:

a) non è di ostacolo alla proseguibilità del giudizio promosso dal singolo creditore la previsione dell’art. 51 l. fall. che vieta, una volta dichiarato il fallimento, qualsiasi azione esecutiva individuale sui beni compresi nel fallimento;

b) neppure i principi su cui si regge il concorso dei creditori in presenza del fallimento del comune debitore ai sensi dell’art. 52 l. fall., sono logicamente incompatibili con la prosecuzione dell’azione revocatoria da parte del singolo creditore, una volta che tale azione non entri in concorrenza con un’analoga iniziativa del curatore.

In relazione al primo punto, scrive la Corte che <<se è vero che, come s’è accennato, l’azione revocatoria è naturalmente preordinata al soddisfacimento esecutivo del creditore, nondimeno, di per se stessa, essa non può considerarsi un’azione esecutiva, essendo volta ad ottenere null’altro che una pronuncia dichiarativa dell’inopponibilità al creditore dell’atto dispositivo compiuto dal debitore. La successiva fase esecutiva cui il vittorioso esperimento di detta azione potrebbe metter capo, d’altronde, avrebbe ad oggetto un bene – quello del quale il debitore ha disposto compromettendo la garanzia generica del creditore – che non è più compreso nel patrimonio del debitore medesimo (né dunque nel fallimento) e che neppure per effetto dell’accoglimento della domanda revocatoria tornerebbe ad esserne compreso, perché non viene intaccata la validità e neppure, in assoluto, l’efficacia dell’atto con cui detto bene è stato trasferito ad altri, ma lo si rende soltanto inopponibile al creditore che ha esperito l’azione>>.

Per quanto concerne il secondo punto, la circostanza che il curatore, <<almeno per il momento, non abbia inteso impugnare nell’interesse della massa l’atto di disposizione compiuto dal debitore sul proprio patrimonio, con la conseguenza che il bene oggetto di quell’atto non appare destinato ad essere acquisito al fallimento, né perciò è prevedibile che sia assoggettato ad alcuna attività esecutiva nell’ambito della procedura concorsuale, fa si che l’iniziativa del singolo creditore non interferisce in alcun modo con lo svolgimento della procedura concorsuale stessa. Lungi dal pregiudicare gli interessi della massa degli altri creditori, anzi, essa potrebbe loro indirettamente giovare, nella misura in cui, consentendo tutto o in parte il soddisfacimento delle ragioni creditorie dell’attore in revocatoria, ne escludesse o ne riducesse la partecipazione al concorso sui beni acquisiti all’attivo del fallimento>>.

Alla luce di tali affermazioni, la Corte enuncia il seguente principio di diritto: <<Il sopravvenuto fallimento del debitore non determina l’improcedibilità dell’azione revocatoria ordinaria promossa da un singolo creditore al fine di far dichiarare a sé inopponibile un atto di disposizione compiuto dal debitore sul proprio patrimonio, quando il curatore del fallimento non manifesti la volontà di subentrare in detta azione, né altrimenti risulti aver intrapreso, con riguardo a quel medesimo atto di disposizione, altra analoga azione a norma dell’art. 66 l. fall.>>.

8. La condivisibile decisione degli Ermellini

Come precisato sin dall’inizio, la decisione delle Sezioni Unite è condivisibile.

L’art. 66, comma 1, l. fall., dispone – come abbiamo già avuto modo di leggere – che <<il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile>>.

Dall’interpretazione della disposizione emerge chiaramente che al curatore è concessa la facoltà di decidere sull’esercizio dell’azione, che potrebbe rivelarsi concretamente inopportuno.

Nel caso di specie, poiché la curatela non ha impugnato la sentenza di primo grado restando contumace, non è stata esercitata alcuna azione ai sensi dell’art. 66 l. fall.

Il mancato esercizio dell’azione revocatoria ordinaria nel fallimento da parte del curatore pone il delicato problema della sopravvivenza, una volta intervenuto il fallimento del debitore, dell’azione revocatoria ordinaria esercitata dal creditore.

Primo ostacolo giuridico che si frappone alla prosecuzione dell’azione revocatoria ordinaria del singolo creditore è la previsione contenuta nell’art. 51 l. fall. secondo cui <<salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento>>.

Come precisato sin dall’inizio, l’azione revocatoria non è un’azione esecutiva, per quanto sia orientata a finalità esecutive. Con la sentenza di revoca verrà dichiarata l’inefficacia dell’atto di disposizione nei confronti del solo creditore che ha agito in giudizio. Perciò, anche dopo l’esperimento di tale azione, il bene non rientrerà nel patrimonio del fallito. D’altronde, quando – come nel caso in esame – l’azione del singolo creditore non ha ad oggetto beni compresi nel fallimento, non è applicabile il divieto appena citato.

Ma non solo. Vi è altresì la necessità di verificare se, consentendo al singolo creditore la prosecuzione dell’esercizio dell’azione, venga violato il principio della par condicio creditorum. La norma di riferimento, in tema di effetti del fallimento nei confronti dei creditori, è l’art. 52, comma 1, l. fall., secondo cui <<il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito>>, salvo le dovute eccezioni. [Tuttavia, il principio in esame ha la sua fonte normativa innanzitutto negli artt. 2740 e 2741 c.c. e trova, poi, attuazione principalmente attraverso la procedura esecutiva concorsuale. Sul tema, interessante è il saggio di Colesanti, “Mito e realtà della par condicio creditorum”, in Il fallimento, 1984, 32 ss.]

Come sostenuto dalle Sezioni Unite, nel caso in esame, posto che il curatore non ha inteso impugnare nell’interesse della massa l’atto di disposizione compiuto dal debitore sul proprio patrimonio, <<l’iniziativa del singolo creditore non interferisce in alcun modo con lo svolgimento della procedura concorsuale>>. E inoltre, la prosecuzione dell’azione da parte del singolo creditore, in caso di mancato subentro del curatore, non solo non danneggia gli altri creditori, ma giova tutti loro nella parte in cui riduce il concorso sui beni acquisiti all’attivo fallimentare.

Dunque, la decisione appare coerente con i principi che regolano il concorso dei creditori nel fallimento.

9. L’accertamento dell’inesistenza di un diritto di credito per difetto di prova, una volta passato in giudicato, rende improponibile l’azione revocatoria, non essendovi più neppure un’aspettativa di credito.

Infine, le Sezioni Unite hanno stabilito che <<è vero che, per l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria, può essere sufficiente l’esistenza di una semplice ragione di credito e non necessariamente di un credito certo, liquido ed esigibile accertato in sede giudiziale (cfr. Cass. n. 12678 del 2001), perché tale azione recepisce una nozione di credito estesa fino a comprendere le legittime ragioni o aspettative di credito, in coerenza con la funzione sua propria di conservazione dell’integrità del patrimonio del debitore quale garanzia generica delle ragioni creditizie (cfr. Cass. n. 11471 del 2003), onde per il suo esperimento basta che l’aspettativa di credito non si riveli prima facie pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata (cfr. Cass. n. 20002 del 2008). Ma questi principi non possono essere utilmente invocati quando (…) il preteso creditore abbia contemporaneamente già agito anche per conseguire la condanna della controparte al pagamento del credito e si sia visto rigettare la domanda con una pronuncia del giudice che, non essendo da lui stata impugnata, è oramai divenuta definitiva>>. Infatti, <<(…) l’accertamento dell’inesistenza di un diritto per difetto di prova, una volta formatosi il giudicato formale, costituisce giudicato sostanziale, nel senso che la domanda deve ritenersi non più proponibile in un nuovo giudizio tra le stesse parti (…)>>. <<Non vi è quindi più neppure un’aspettativa di credito, da tutelare attraverso l’azione revocatoria, volta che nessuna pretesa creditoria è più in futuro utilmente esercitabile da parte degli attori>>.

[Si ringrazia per la gentile collaborazione Alba Calcaterra]

Massima - Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza 17 dicembre 2008, n. 29421 – Pres. Carbone – Rel. Rodorf

Fallimento e procedure concorsuali – Azione revocatoria ordinaria – Successivo fallimento del debitore – Mancato subentro in giudizio del curatore – Legittimazione del creditore – Composizione di contrasto

(c.c. art. 2901 – R.D. 16 marzo 1942, n. 267, “Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa”, artt. 43, 51, 52, 66, 67)

Il promuovimento dell’azione revocatoria ordinaria da parte del creditore ex art. 2901 cod. civ., pur permettendo al curatore del successivo fallimento di subentrare nel relativo processo ovvero di proporre ex novo la medesima azione, ex art. 66 legge fall., non esclude, in caso di inerzia dell’organo concorsuale, la prosecuzione dell’azione del creditore individuale.

Sommario:

1. Premessa

2. Una breve cronistoria dei fatti

3. Le questioni preliminari affrontate dalle sezioni unite

4. Alcuni cenni sull’azione revocatoria ordinaria prima e dopo il fallimento del debitore

5. Il contrasto giurisprudenziale sull’eventualità di un concorso tra l’azione revocatoria ordinaria instaurata dal singolo creditore a norma dell’art. 2901 c.c. e l’azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatore a seguito del sopravvenuto fallimento del debitore ex art. 66 l. Fall.

6. L’inquadramento dei termini della questione posta alle sezioni unite

7. Le ragioni ostative alla dichiarazione di improcedibilità dell’azione revocatoria ordinaria per il sopravvenuto fallimento del debitore nel caso di mancato subentro in giudizio del curatore

8. La condivisibile decisione degli ermellini

9. L’accertamento dell’inesistenza di un diritto di credito per difetto di prova, una volta passato in giudicato, rende improponibile l’azione revocatoria, non essendovi più neppure un’aspettativa di credito

1. Premessa

Con la sentenza n. 29421 del 17 dicembre 2008, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno stabilito che il promuovimento dell’azione revocatoria ordinaria da parte del creditore ex art. 2901 cod. civ., pur permettendo al curatore del successivo fallimento di subentrare nel relativo processo ovvero di proporre ex novo la medesima azione, ex art. 66 l. fall., non esclude, in caso di inerzia dell’organo concorsuale, la prosecuzione dell’azione del creditore individuale. [La sentenza è pubblicata su www.cortedicassazione.it/Notizie/GiurisprudenzaCivile/SezioniUnite. La causa è stata rimessa alle Sezioni Unite da Cass. Civ., III sez., con ordinanza 25 febbraio 2008, n. 4717]

Nell’analizzare la motivazione impiegata dagli Ermellini a sostegno del principio di diritto appena esposto, verranno dedicati brevi cenni all’istituto della revocatoria ordinaria prima e dopo il fallimento del debitore, saranno inquadrati i termini della questione su cui si è pronunciata la Corte, indicando altresì le ragioni per cui tale soluzione sia condivisibile.

2. Una breve cronistoria dei fatti

La pronuncia giurisprudenziale in commento ha ad oggetto una vicenda fattuale di particolare interesse, sintetizzabile nei seguenti termini.

Due attori, coniugi, mentre agiscono in giudizio dinanzi al Tribunale contro una società che non ha ottemperato l’obbligo, espressamente assunto, di far cancellare l’ipoteca su di un bene immobile loro alienato, apprendono la notizia che la società ha altresì alienato una parte degli ulteriori cespiti di sua proprietà ad una seconda società, in tal modo pregiudicando le garanzie del loro credito. Gli attori chiedono al tribunale di dichiarare inefficace nei loro riguardi gli atti di compravendita da ultimo menzionati.

Il giudice di primo grado accoglie la domanda.

La società acquirente interpone gravame, con atto notificato anche alla curatela del sopravvenuto fallimento della società venditrice, che resta contumace.

La Corte d’Appello rigetta l’impugnazione disattendendo l’eccezione con cui la società acquirente, sul presupposto che la legittimazione all’esercizio dell’azione revocatoria spetti in via esclusiva alla curatela del fallimento, chiede la dichiarazione di improcedibilità della domanda proposta dai due coniugi. Conferma, nel merito, la sentenza di primo grado nella parte in cui ritiene esistenti le condizioni richieste dall’art. 2901 c.c., per la revoca degli atti di disposizione patrimoniali compiuti dalla società debitrice.

Contro la sentenza di appello, la società acquirente propone ricorso per Cassazione, articolato in quattro motivi. La terza sezione civile sollecita la rimessione della causa alle Sezioni unite per risolvere il contrasto giurisprudenziale sulla questione se il sopravvenuto fallimento del debitore, in pendenza di azione revocatoria ordinaria proposta da un singolo creditore a norma dell’art. 2901 c.c., determina o meno l’improcedibilità dell’azione proposta dall’attore.

3. Le questioni preliminari affrontate dalle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, prima di affrontare l’interrogativo loro posto, hanno risolto due questioni preliminari attinenti sia alla formazione sul punto di un giudicato interno sia all’esistenza di un eccepito giudicato esterno che sarebbe nel frattempo intervenuto.

In relazione alla formazione di un giudicato interno, la parte ricorrente censura il capo della sentenza con cui la Corte d’Appello ritiene indiscutibile, in base alla mancata impugnazione ad opera della curatela del fallimento della sentenza di primo grado, la legittimazione degli attori a proseguire l’azione revocatoria ordinaria.

Inoltre, la difesa della società ricorrente sostiene che nel frattempo si è formato un giudicato esterno sulla causa, facendo riferimento ad un’altra causa, definita con sentenza della Suprema Corte di Cassazione, sez. III civile, del 28 febbraio 2008, n. 5272, avente ad oggetto comunque la revocatoria di atti di compravendita immobiliare posti in essere dalla medesima società in pregiudizio dei propri creditori, nella quale si è posto il problema della perdurante legittimazione dell’attore anche a seguito del sopravvenuto fallimento del debitore. [Nella sentenza ultima citata, pubblicata su Giust. civ. Mass. 2008, 2, gli Ermellini hanno avuto modo di sostenere che è stato più volte ribadito <<che la posizione del curatore che agisce in giudizio può variare di caso in caso, a seconda dell’interesse che egli intende far valere e che è correlato, di volta in volta, alle ragioni del fallito o dei creditori e della massa fallimentare (Cass. n. 8545/03; n. 5026/99), per cui quando agisce come creditore, sostituendosi alle ragioni del fallito o come avente causa da quest’ultimo, egli si trova nella stessa situazione processuale del medesimo (Cass. n. 6625/84), mentre, quando agisce, invece, per la conservazione o l’incremento dell’attivo fallimentare, lo stesso assume di regola la duplice veste di rappresentante della massa dei creditori e del fallito (Cass. n. 5026/99 sopra cit.; n. 1619/85). Tanto premesso, questo Collegio ritiene di condividere il mutamento di indirizzo giurisprudenziale attuato con la suddetta sentenza n. 11763/06 come più rispondente di quello precedentemente seguito alla realtà processuale del giudizio di cui trattasi. Ed invero, la sentenza impugnata dà atto espressamente della mancata costituzione in giudizio del curatore del fallimento (…)>>. <<E’ certo, dunque, che nel caso di specie la curatela in questione sia stata posta in grado di far valere nel presente giudizio le proprie legittime pretese, in primo luogo quella riguardante la rivendicazione nei confronti delle altre parti processuali di una sua esclusiva legittimazione a proseguire l’azione promossa dai coniugi>>, attori. In assenza, pertanto, di una costituzione in appello della curatela e di sue pertinenti richieste da effettuare eventualmente in tale sede, giustamente la Corte di merito ha proceduto all’esame delle doglianze addotte dall’appellante, attuando in tal modo il principio sopra delineato della relativa autonomia della azione individuale già promossa dal singolo creditore rispetto alla legittimazione del curatore alla prosecuzione dell’azione stessa. Né può sostenersi che a seguito del fallimento del debitore (dichiarato, nel caso di specie, dal Tribunale di Avellino con sentenza depositata il 5.6.2000) siano venuti meno l’interesse e la legittimazione ad agire dei creditori, giacché è pacifico che l’accoglimento dell’azione revocatoria, come si evince dagli artt. 2901 e 2902 c.c., non comportando affatto l’invalidità dell’atto di disposizione sui beni ed il rientro di quest’ultimi nel patrimonio del debitore alienante, bensì esclusivamente l’inefficacia dell’atto stesso nei soli confronti del creditore che abbia agito per conseguirla, con conseguente possibilità per quest’ultimo, e solo per lui, di promuovere azioni esecutive o conservative su quei beni contro i terzi acquirenti, pur divenutine validamente proprietari (Cass. n. 1227/97), si risolverebbe pur sempre certamente in un giovamento per il creditore stesso. Infatti, una volta ottenuta la sentenza di revoca a suo vantaggio, il creditore individuale potrebbe soddisfare il suo credito espropriando un bene non appartenente alla massa attiva, e così arrecando indirettamente un vantaggio anche per la massa stessa>>].

Le Sezioni Unite negano la sussistenza sia del giudicato interno sia del giudicato esterno con le sue seguenti argomentazioni.

In relazione alla insussistenza del giudicato interno, la Corte rileva che il sopravvenuto fallimento della società si è verificato dopo la pronuncia di primo grado. <<Tanto basta, evidentemente, per escludere che il tribunale abbia potuto prendere in considerazione tale evento ed anche solo implicitamente statuire in ordine agli effetti che esso avrebbe prodotto sulla procedibilità dell’azione>>. Conclude sul punto, sostenendo che <<non sussistono, pertanto, le condizioni perché possa parlarsi di un giudicato interno su una questione che, essendo rilevabile d’ufficio anche in secondo grado, avrebbe dovuta essere presa in esame dalla corte d’appello>>.

Sul giudicato esterno eccepito dai ricorrenti, la Corte evidenzia che la sentenza n. 5272 del 2008 ha statuito su una domanda avente ad oggetto atti di disposizione diversi da quelli dei quali si discute in giudizio. Ma non solo. Anche i soggetti non sono totalmente identici. Essendo in presenza di cause diverse, ciò vale ad escludere gli effetti di giudicato della sentenza citata sulla causa in esame, di cui si dovrà tener conto solo in quanto contiene principi che costituiscono <<un significativo precedente giurisprudenziale>>.

4. Alcuni cenni sull’azione revocatoria ordinaria prima e dopo il fallimento del debitore

L’analisi della sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione richiede qualche cenno preliminare e sommario all’istituto della revocatoria, riprendendo altresì il contenuto di alcune dissertazioni impiegate dagli Ermellini in relazione alla revocatoria ordinaria prima e dopo la dichiarazione di fallimento del debitore.

L’azione revocatoria ordinaria, regolata negli artt. 2901 ss., c.c., è attribuita al creditore contro ogni atto di disposizione del patrimonio compiuto dal debitore, che sia in grado di recare pregiudizio alle sue ragioni. [Così, Gazzoni, Obbligazioni e contratti, Napoli, 2006, 683. Sui principi accolti dal diritto romano in tema di fraus creditorum e sui rimedi per combatterla, si vedano tra gli altri, Maierini, Della revoca degli atti fraudolenti, Firenze, 1898; Solazzi, La revoca degli atti fraudolenti nel diritto romano, 1934].

E’ un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.) i cui presupposti fondanti sono: a) l’esistenza di un diritto di credito [In particolare, Cass., S.U., 27 giugno 2002, n. 9349, in Giust. civ. Mass., 2002, 1109, ha stabilito che l’azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito, e non anche la sua concreta esigibilità]; b) un atto con cui il debitore dispone di beni del proprio patrimonio; c) un pregiudizio per il creditore consistente nel fatto che, come conseguenza dell’atto di disposizione compiuto, il patrimonio del debitore divenga insufficiente a soddisfare la sua pretesa creditoria (c.d. eventus damni); d) la consapevolezza da parte del debitore e, se l’atto è stato fatto a titolo oneroso, del terzo del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie (c.d. consilium fraudis). [Sul tema della revocatoria ordinaria, tra gli altri, Nicolò, Dell’azione revocatoria, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja-Branca, Bologna, 1953; Martini, Azione revocatoria (diritto privato), in Nss. D.I., vol. II, Torino, 1957; Bigliazzi Geri, Revocatoria (azione), in Enc. giur., vol. XXVII, Roma, 1991; D’Ercole, L’azione revocatoria, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 20, Torino, 1998; Dimartino, Revocatoria (azione) [post. agg.], in Enc. giur., vol. XXVII, Roma, 2001; Roselli, Responsabilità patrimoniale. I mezzi di conservazione, Torino, 2005, 131 ss.]

Con la sentenza di revoca viene dichiarata l’inefficacia dell’atto di disposizione nei confronti del creditore che ha agito in giudizio. [Natoli, Azione revocatoria, in Enc. Dir., IV, Milano, 1959, 888 ss., evidenzia che, in base al combinato disposto tra art. 2901 c.c. ed art. 2902 c.c., <<l’azione revocatoria appare come una azione tendente a far dichiarare l’inefficacia relativa a determinati atti di disposizione del debitore; un’efficacia, cioè, che sussiste ed ha valore soltanto nei confronti del creditore-attore, unico soggetto, quindi, legittimato a giovarsene>>].

Sulla funzione dell’azione pauliana, nella pronuncia in esame gli Ermellini hanno ancora una volta ribadito che pur non essendo, <<in senso proprio, un’azione esecutiva, ben può dirsi che essa è naturalmente orientata a finalità esecutive, come inequivocabilmente testimonia il disposto dell’art. 2902 c.c.>>. Infatti, tale ultima previsione stabilisce che <<il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell’atto impugnato>>. [Come precisato da Cass. civ., sez. II, 14 giugno 2007, n. 13972, in Giust. civ. Mass., 2007, 6, l’azione revocatoria ordinaria ha la funzione di ricostruire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, che si prospetti compromessa dall’atto di disposizione da questi posto in essere; essa, pertanto, in caso di esito vittorioso, non travolge l’atto impugnato, con conseguente effetto restitutorio o recuperatorio del bene al patrimonio del debitore, ma ha l’effetto tipico di determinare l’inefficacia dell’atto stesso nei confronti del solo creditore, al fine di consentirgli di aggredire il bene con l’azione esecutiva qualora il proprio credito rimanga insoddisfatto. Così, anche Cass., 8 aprile 2003, n. 5455, in Giust. civ. Mass. 2003, 4; Cass., 25 maggio 2001, n. 7127, in Giust. civ. Mass, 2001, 1055; Cass., 18 febbraio 2000, n. 1804, in Giur. it., 2000, c. 2904; Cass., 25 gennaio 2000, n. 791, in Giust. civ. Mass., 2000, 130; Cass., 19 dicembre 1996, n. 11349, in Giust. civ. Mass., 1996, 1770; Cass., 18 febbraio 1991, n. 1991, in Giust. civ. Mass.,1991, 2].

Nell’art. 2904 c.c. è espressamente previsto che <<sono fatte salve le disposizioni sull’azione revocatoria in materia fallimentare e in materia penale>> [Sulla revocatoria penale, si veda, tra gli altri, Roselli, Responsabilità patrimoniale. I mezzi di conservazione, cit., 218 ss.]

In ambito fallimentare, bisogna distinguere l’azione revocatoria ordinaria nel fallimento dalla revocatoria fallimentare.

L’azione revocatoria ordinaria nel fallimento è disciplinata nell’art. 66 l. fall., il quale dispone che <<il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile>>. [Azzolina, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino, 1961, II, 1320, rileva che la norma in esame ha eliminato i dubbi prospettati in relazione al vecchio art. 708 cod. comm. secondo cui l’azione sarebbe stata esperibile non già dal curatore nell’interesse della massa, bensì solo dai singoli creditori per titolo anteriore al compimento dell’atto in frode nel rispettivo interesse]. La revocatoria fallimentare è regolata negli artt. 67 ss., l. fall., ed è diretta a ricostruire il patrimonio dell’imprenditore fallito, rendendo inefficaci tutti quegli atti compiuti dallo stesso in pregiudizio ai creditori. [Per maggiori approfondimenti sul tema specifico della revocatoria fallimentare, si vedano, tra gli altri, Tarzia, Le azioni revocatorie nelle procedure concorsuali, Milano, 2003; Fabiani, L’alfabeto della nuova revocatoria fallimentare, in Fall., 2005, 573 ss.; Vincre, Le nuove norme sulla revocatoria fallimentare, in Riv. dir. proc., 2005, 887 ss.; Rago, Manuale della revocatoria fallimentare. Profili sistematici di dottrina e giurisprudenza, Padova, 2006; Tarzia, Di Iulio, Farina, L’azione revocatoria nella nuova legge fallimentare, Milano, 2006].

Mentre la revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. è esercitata dal creditore ed è diretta a salvaguardare le sole ragioni di quest’ultimo, la revocatoria ordinaria nel fallimento ex art. 66 l. fall. è esercitata dal curatore, organo fallimentare, e favorisce tutti i creditori [Cfr. Caringella-De Marzo, Le obbligazioni, in Manuale di diritto civile, Milano, 2008, 736, i quali precisano che nella revocatoria ex art. 66 l. fall. viene meno il carattere di relatività della revocatoria esercitata dal singolo creditore ex art. 2901 c.c.]

La revocatoria ordinaria nel fallimento si distingue dalla revocatoria fallimentare poiché quest’ultima <<si fonda su presupposti parzialmente diversi e consente, attraverso una serie di presunzioni a favore del fallimento, una più agevole ed ampia ricostruzione del patrimonio da sottoporre all’esecuzione concorsuale>> [Così, Campobasso, Contratti. Titoli di credito. Procedure concorsuali, Diritto commerciale, Torino, 2008, 366, il quale precisa che nella revocatoria fallimentare, il curatore è dispensato dall’onus probandi del consilium fraudis e dell’eventus damni, in quanto il principio che è alla base di tale istituto è che tutti gli atti posti in essere dall’imprenditore in stato di insolvenza si presumono pregiudizievoli per i creditori perché idonei ad alterare la par condicio creditorum].

Analizzati sommariamente i diversi istituti, è possibile comprendere quanto sostenuto dagli Ermellini, i quali hanno evidenziato nella sentenza in commento che <<quando (…) il debitore sia un imprenditore commerciale e l’atto di disposizione da lui compiuto ne abbia causato (o aggravato) l’insolvenza, onde ne è seguita la dichiarazione di fallimento, il pregiudizio che giustifica l’esercizio dell’azione revocatoria si riflette necessariamente sulla posizione dell’intera massa dei creditori, le cui ragioni devono essere soddisfatte secondo le regole del concorso. Si spiega, quindi, come mai l’art. 66 l. fall., in tal caso, attribuisca al curatore, nell’interesse della massa, la legittimazione all’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, quale prevista dai citati artt. 2901 e segg. c.c., in aggiunta all’azione revocatoria fallimentare disciplinata dal successivo art. 67 della stessa legge>>. [In dottrina, Cavallo, Azione revocatoria fallimentare, sez. I, in Enc. Dir., IV, Milano, 1959, 902 ss., nell’analizzare le modifiche di natura sostanziale attinenti all’azione revocatoria ordinaria a causa del fallimento del debitore, evidenzia che, in seguito al fallimento del debitore, l’azione revocatoria perde il suo carattere relativo, cessa cioè di essere una difesa del singolo creditore e diventa una difesa generale nell’interesse di tutti i creditori in forza del principio della par condicio creditorum. Diventa, quindi, un’azione a favore della massa.]

Emblematico è l’ulteriore passaggio in cui la Suprema Corte evidenzia che <<in dottrina (…) è stato osservato che, nell’ipotesi in cui il debitore è un imprenditore commerciale di cui però è stato dichiarato il fallimento, l’esercizio dell’azione revocatoria individuale inevitabilmente comporta una stortura: perché l’atto di disposizione patrimoniale del debitore è sempre potenzialmente dannoso per la collettività dei creditori (ed il consilium fraudis ha carattere impersonale), mentre l’azione produce effetti a vantaggio di un creditore singolo. Stortura che cessa invece di esistere, in caso di dichiarazione di fallimento, qualora l’azione sia esercitata dal curatore nell’interesse indistinto di tutti i creditori pregiudicati da quell’atto; ed il cosiddetto effetto recuperatorio, che si suole ricollegare all’azione revocatoria in ambito fallimentare (diversamente da quando essa è esercitata al di fuori del fallimento), non è che una conseguenza del diverso modo in cui si atteggia la successiva fase esecutiva della procedura concorsuale rispetto all’esecuzione forzata individuale>>.

Quindi, <<pur potendosi ammettere (…) che l’inserimento dell’azione revocatoria ordinaria nell’ambito della procedura concorsuale richiede degli adattamenti, sembra senz’altro da affermare che essa resta, anche in tale evenienza, la medesima prevista dal codice civile, come del resto l’espressione adoperata dal primo comma dell’art. 66 l. fall. sta chiaramente ad indicare>>.

Individuati alcuni passaggi significativi della Suprema Corte sulle modifiche che interessano la disciplina dell’azione revocatoria ordinaria a causa del fallimento del debitore, vanno inquadrati i termini del problema oggetto della pronuncia giurisdizionale in esame.

5. Il contrasto giurisprudenziale sull’eventualità di un concorso tra l’azione revocatoria ordinaria instaurata dal singolo creditore a norma dell’art. 2901 c.c. e l’azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatore a seguito del sopravvenuto fallimento del debitore ex art. 66 l. fall.

Le Sezioni Unite hanno evidenziato che l’art. 66 l. fall., <<nell’attribuire al curatore del fallimento la legittimazione anche all’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, non contempla però l’eventualità del concorso di tale azione con quella esercitata dal singolo creditore a norma dell’art. 2901 c.c., né disciplina l’ipotesi di fallimento del debitore quando l’azione del singolo creditore è stata già esercitata, ma è ancora pendente>>.

Ed è proprio su tale problema che si sono manifestati due opposti orientamenti giurisprudenziali della Suprema Corte di Cassazione.

Un consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene che, una volta esercitata la revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., in caso di sopravvenuto fallimento del debitore, la legittimazione alla prosecuzione del giudizio spetta esclusivamente al curatore, il quale agisce come sostituto processuale della massa dei creditori, oramai carenti d’interesse e privati della legittimazione a proseguire l’azione. La conseguenza di tale opzione interpretativa è che gli effetti dell’azione, consistenti nell’inefficacia dell’atto di disposizione patrimoniale, sono destinati a prodursi nei confronti di tutti i creditori del fallito e non del singolo creditore attore. [Così, in ultimo, Cass. civ., sez. I, 8 settembre 2005, n. 17943, in Giust. civ. Mass. 2005, 6, secondo cui qualora, dopo la proposizione dell’azione revocatoria ordinaria, sopravvenga il fallimento del debitore, la legittimazione all’esercizio dell’azione spetta, in via esclusiva, al curatore, il quale agisce come sostituto processuale della massa dei creditori, privati della legittimazione ad iniziare o proseguire l’azione per tutta la durata della procedura fallimentare, nonché come sostituto processuale del debitore fallito, il quale perde la capacità di stare in giudizio rispetto ai rapporti patrimoniali compresi nel fallimento; pertanto il curatore è legittimato a proseguire il giudizio promosso dal creditore, rispetto al quale il fallito è privo di legittimazione processuale, con la conseguenza che resta esclusa la necessità dell’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, previa nomina di un curatore speciale, ex art. 78 c.p.c. Cfr. Cass., sez. III, 6 agosto 2002, n. 11760, in Giust. civ. Mass., 2002, 1476; Cass., sez. I, 25 luglio 2002, n. 10921, in Giust. civ. Mass., 2002, 1342; Cass., sez. I, 19 luglio 2002, n. 10547, in Giust. civ. Mass., 2002, 1282; Cass., sez. I, 21 luglio 1998, n. 7119, in Giust. civ. Mass., 1998, 1560; Cass. 3485/1977]

Di diverso avviso è altro orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità secondo cui, nel caso in esame, le due azioni possono concorrere e quella del creditore può eventualmente raccordarsi a quella della massa. [In tal senso, Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2006, n. 11763, in Giust. civ. Mass. 2006, 5, la quale ha sostenuto che qualora, dopo la proposizione dell’azione revocatoria ordinaria, sopravvenga il fallimento del debitore, la legittimazione all’esercizio dell’azione spetta al curatore, il quale agisce come sostituto processuale della massa dei creditori, senza che sia esclusa tuttavia la possibilità del creditore individuale di proseguire il giudizio, ben potendo le due azioni concorrere, restando il creditore legittimato a proseguire la sua azione raccordandola, eventualmente, a quella della massa. Nella specie il curatore del fallimento, costituendosi in appello, aveva chiesto, oltre che la conferma della impugnata sentenza di accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria proposta contro il debitore, anche l’estensione della inefficacia dell’atto di disposizione nei confronti della massa fallimentare. La Suprema Corte in applicazione del principio di cui sopra ha ritenuto compatibile con essa la domanda del creditore, che tendeva alla revoca dell’atto impugnato per ottenere la soddisfazione del proprio credito. Così, in ultimo, anche la già citata, Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2008, n. 5272, la quale ha stabilito che l’azione revocatoria ordinaria può essere validamente proseguita dal singolo creditore, anche dopo il fallimento del debitore, in quanto la sopravvenuta legittimazione del curatore non ha carattere esclusivo e non determina l’improseguibilità dell’azione individuale. Pertanto, in caso di sopravvenuto fallimento del debitore dopo la sentenza di primo grado e di mancata costituzione del curatore nel giudizio d’appello, il creditore può, comunque, ottenere la declaratoria d’inefficacia dell’atto di disposizione patrimoniale e soddisfare il proprio credito mediante l’espropriazione forzata del bene oggetto della pronuncia]

6. L’inquadramento dei termini della questione posta alla Sezione Unite

Gli Ermellini, nella sentenza in commento, dopo aver precisato che è pacifico che il curatore prosegua il giudizio intrapreso prima del fallimento del singolo creditore, subentrando nella posizione processuale di quest’ultimo, evidenzia che <<incertezze si sono manifestate soltanto quanto alla sorte da riservare all’azione individuale originariamente intrapresa dal creditore singolo, una volte che sia sopravvenuto il fallimento del debitore>>.

Dopo la dichiarazione di fallimento del debitore, <<il più delle volte, accade (…) che il curatore subentri nella causa in rappresentanza della massa dei creditori, e ciò finisce per svuotare di significato l’originaria iniziativa del singolo creditore>>.

Ma <<la questione non si pone in questi termini, nel presente caso>>.

Infatti, secondo la Corte, il curatore, rimanendo contumace nel giudizio di appello relativo all’azione revocatoria ordinaria del singolo creditore, non <<ha inteso subentrare nell’azione già pendente, non potendo certo un tale effetto prodursi in modo automatico sol perché è sopravvenuto il fallimento del debitore>>. Né altra azione revocatoria è stata intrapresa ex novo dal curatore nei confronti dei medesimi atti di disposizione patrimoniale del debitore che hanno formato oggetto della presente azione.

7. Le ragioni ostative alla dichiarazione di improcedibilità dell’azione revocatoria ordinaria per il sopravvenuto fallimento del debitore nel caso di mancato subentro in giudizio del curatore

Le Sezioni Unite, dopo aver richiamato le ragioni per le quali <<si dubita>> della proseguibilità dell’azione del singolo creditore nel caso in cui il curatore del sopravvenuto fallimento abbia a propria volta esercitato l’azione nell’interesse dell’intera massa dei creditori, pone la questione se esse <<conservino valore anche quando il curatore, viceversa, non ravvisando l’opportunità di subentrare nell’azione o altrimenti di esercitarla, se ne disinteressi>>.

La Corte sostiene che:

a) non è di ostacolo alla proseguibilità del giudizio promosso dal singolo creditore la previsione dell’art. 51 l. fall. che vieta, una volta dichiarato il fallimento, qualsiasi azione esecutiva individuale sui beni compresi nel fallimento;

b) neppure i principi su cui si regge il concorso dei creditori in presenza del fallimento del comune debitore ai sensi dell’art. 52 l. fall., sono logicamente incompatibili con la prosecuzione dell’azione revocatoria da parte del singolo creditore, una volta che tale azione non entri in concorrenza con un’analoga iniziativa del curatore.

In relazione al primo punto, scrive la Corte che <<se è vero che, come s’è accennato, l’azione revocatoria è naturalmente preordinata al soddisfacimento esecutivo del creditore, nondimeno, di per se stessa, essa non può considerarsi un’azione esecutiva, essendo volta ad ottenere null’altro che una pronuncia dichiarativa dell’inopponibilità al creditore dell’atto dispositivo compiuto dal debitore. La successiva fase esecutiva cui il vittorioso esperimento di detta azione potrebbe metter capo, d’altronde, avrebbe ad oggetto un bene – quello del quale il debitore ha disposto compromettendo la garanzia generica del creditore – che non è più compreso nel patrimonio del debitore medesimo (né dunque nel fallimento) e che neppure per effetto dell’accoglimento della domanda revocatoria tornerebbe ad esserne compreso, perché non viene intaccata la validità e neppure, in assoluto, l’efficacia dell’atto con cui detto bene è stato trasferito ad altri, ma lo si rende soltanto inopponibile al creditore che ha esperito l’azione>>.

Per quanto concerne il secondo punto, la circostanza che il curatore, <<almeno per il momento, non abbia inteso impugnare nell’interesse della massa l’atto di disposizione compiuto dal debitore sul proprio patrimonio, con la conseguenza che il bene oggetto di quell’atto non appare destinato ad essere acquisito al fallimento, né perciò è prevedibile che sia assoggettato ad alcuna attività esecutiva nell’ambito della procedura concorsuale, fa si che l’iniziativa del singolo creditore non interferisce in alcun modo con lo svolgimento della procedura concorsuale stessa. Lungi dal pregiudicare gli interessi della massa degli altri creditori, anzi, essa potrebbe loro indirettamente giovare, nella misura in cui, consentendo tutto o in parte il soddisfacimento delle ragioni creditorie dell’attore in revocatoria, ne escludesse o ne riducesse la partecipazione al concorso sui beni acquisiti all’attivo del fallimento>>.

Alla luce di tali affermazioni, la Corte enuncia il seguente principio di diritto: <<Il sopravvenuto fallimento del debitore non determina l’improcedibilità dell’azione revocatoria ordinaria promossa da un singolo creditore al fine di far dichiarare a sé inopponibile un atto di disposizione compiuto dal debitore sul proprio patrimonio, quando il curatore del fallimento non manifesti la volontà di subentrare in detta azione, né altrimenti risulti aver intrapreso, con riguardo a quel medesimo atto di disposizione, altra analoga azione a norma dell’art. 66 l. fall.>>.

8. La condivisibile decisione degli Ermellini

Come precisato sin dall’inizio, la decisione delle Sezioni Unite è condivisibile.

L’art. 66, comma 1, l. fall., dispone – come abbiamo già avuto modo di leggere – che <<il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile>>.

Dall’interpretazione della disposizione emerge chiaramente che al curatore è concessa la facoltà di decidere sull’esercizio dell’azione, che potrebbe rivelarsi concretamente inopportuno.

Nel caso di specie, poiché la curatela non ha impugnato la sentenza di primo grado restando contumace, non è stata esercitata alcuna azione ai sensi dell’art. 66 l. fall.

Il mancato esercizio dell’azione revocatoria ordinaria nel fallimento da parte del curatore pone il delicato problema della sopravvivenza, una volta intervenuto il fallimento del debitore, dell’azione revocatoria ordinaria esercitata dal creditore.

Primo ostacolo giuridico che si frappone alla prosecuzione dell’azione revocatoria ordinaria del singolo creditore è la previsione contenuta nell’art. 51 l. fall. secondo cui <<salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento>>.

Come precisato sin dall’inizio, l’azione revocatoria non è un’azione esecutiva, per quanto sia orientata a finalità esecutive. Con la sentenza di revoca verrà dichiarata l’inefficacia dell’atto di disposizione nei confronti del solo creditore che ha agito in giudizio. Perciò, anche dopo l’esperimento di tale azione, il bene non rientrerà nel patrimonio del fallito. D’altronde, quando – come nel caso in esame – l’azione del singolo creditore non ha ad oggetto beni compresi nel fallimento, non è applicabile il divieto appena citato.

Ma non solo. Vi è altresì la necessità di verificare se, consentendo al singolo creditore la prosecuzione dell’esercizio dell’azione, venga violato il principio della par condicio creditorum. La norma di riferimento, in tema di effetti del fallimento nei confronti dei creditori, è l’art. 52, comma 1, l. fall., secondo cui <<il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito>>, salvo le dovute eccezioni. [Tuttavia, il principio in esame ha la sua fonte normativa innanzitutto negli artt. 2740 e 2741 c.c. e trova, poi, attuazione principalmente attraverso la procedura esecutiva concorsuale. Sul tema, interessante è il saggio di Colesanti, “Mito e realtà della par condicio creditorum”, in Il fallimento, 1984, 32 ss.]

Come sostenuto dalle Sezioni Unite, nel caso in esame, posto che il curatore non ha inteso impugnare nell’interesse della massa l’atto di disposizione compiuto dal debitore sul proprio patrimonio, <<l’iniziativa del singolo creditore non interferisce in alcun modo con lo svolgimento della procedura concorsuale>>. E inoltre, la prosecuzione dell’azione da parte del singolo creditore, in caso di mancato subentro del curatore, non solo non danneggia gli altri creditori, ma giova tutti loro nella parte in cui riduce il concorso sui beni acquisiti all’attivo fallimentare.

Dunque, la decisione appare coerente con i principi che regolano il concorso dei creditori nel fallimento.

9. L’accertamento dell’inesistenza di un diritto di credito per difetto di prova, una volta passato in giudicato, rende improponibile l’azione revocatoria, non essendovi più neppure un’aspettativa di credito.

Infine, le Sezioni Unite hanno stabilito che <<è vero che, per l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria, può essere sufficiente l’esistenza di una semplice ragione di credito e non necessariamente di un credito certo, liquido ed esigibile accertato in sede giudiziale (cfr. Cass. n. 12678 del 2001), perché tale azione recepisce una nozione di credito estesa fino a comprendere le legittime ragioni o aspettative di credito, in coerenza con la funzione sua propria di conservazione dell’integrità del patrimonio del debitore quale garanzia generica delle ragioni creditizie (cfr. Cass. n. 11471 del 2003), onde per il suo esperimento basta che l’aspettativa di credito non si riveli prima facie pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata (cfr. Cass. n. 20002 del 2008). Ma questi principi non possono essere utilmente invocati quando (…) il preteso creditore abbia contemporaneamente già agito anche per conseguire la condanna della controparte al pagamento del credito e si sia visto rigettare la domanda con una pronuncia del giudice che, non essendo da lui stata impugnata, è oramai divenuta definitiva>>. Infatti, <<(…) l’accertamento dell’inesistenza di un diritto per difetto di prova, una volta formatosi il giudicato formale, costituisce giudicato sostanziale, nel senso che la domanda deve ritenersi non più proponibile in un nuovo giudizio tra le stesse parti (…)>>. <<Non vi è quindi più neppure un’aspettativa di credito, da tutelare attraverso l’azione revocatoria, volta che nessuna pretesa creditoria è più in futuro utilmente esercitabile da parte degli attori>>.